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Autore: Rose Wilson    09/09/2016    3 recensioni
Ormai da tempo, la City ha conquistato l'America, distruggendo le insulse città e metropoli e devastando la vegetazione. Il motivo? Il Progresso, ovvio.
L'America è adesso priva di regioni o stati; ricoperta totalmente di cemento, è diventata un'unica enorme città, la City, che ora si appresta a invadere il resto del mondo e a portare il Progresso ovunque.
Col tempo però, un gruppo di ribelli terroristi ha fondato la Lega Anti-Progresso, votata a ostacolare i nobili progetti del Sindaco, la massima autorità della City.
Non si conosce l'identità del capo della Lega, ma senz'altro si conosce il suo agente migliore: l'esperimento 929, una ragazza con un passato ancor più oscuro del mantello che indossa…
Ora, è nelle mani della City. Ma nessuno, neppure lei, sa che le cose stanno per cambiare per sempre.
Genere: Angst, Dark, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Raven, Red X, Slade, Terra, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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~CITY~








CAPITOLO 2



LA SALA ESPERIMENTI


 
Dolore. Un dolore sordo, continuo, che le ottenebrava la mente, impedendole di pensare con lucidità.

Era così da quando l'avevano trasferita nella sala esperimenti. Le faceva male tutto, ma dalla sua bocca non uscivano che grida e lamenti. Non una confessione, non una supplica, non un pianto.

Ma questo era chiaro. Lei non poteva piangere. Semplicemente non ne era in grado. Non aveva pianto alla morte dei suoi genitori, non aveva pianto alla distruzione del mondo così come lo conosceva, non avrebbe pianto per il dolore.

Era impossibile determinare con chiarezza da quanto fosse lì dentro. A parer suo, poteva essere passato un giorno quanto un anno.

Non poteva neppure carpire tale informazione dai pasti, dato che la maggior parte del tempo lei cadeva in una specie di trance dal quale fuoriusciva solo per brevi periodi, quel che bastava perché le iniettassero qualcos'altro nelle vene che l'avrebbe fatta gridare dal dolore finché non fosse scivolata nuovamente in quella dimensione onirica che, per lo meno, era una buona scappatoia dalla sofferenza.

Sentì la porta scorrevole aprirsi. Prese un respiro profondo e strinse i denti, pronta per l'ennesima tortura.
Sentì i passi pesanti degli stivali sul pavimento di metallo, lenti e calcolati. Erano in due.
Sentì il proprio cuore accellerare.

 
~~~
 
Lui odiava quella donna.

Quella donna accanto a lui, con un ghigno malefico sul volto, probabilmente pregustando l'attimo in cui avrebbe inflitto chissà quali atroci torture alla sua preda, legata a un freddo tavolo da laboratorio.

Quella donna che lo aveva sempre superato in tutto e che glielo rinfacciava di continuo.
Quella donna che non aveva esitato un secondo ad uccidere per arrivare al potere.
Lui la odiava.

I due si trovavano nella sala esperimenti, a fissare l'inerte prigioniera. Due enormi manette grigio azzurre le bloccavano i polsi e le caviglie al tavolo, costringendola a tenere braccia e gambe divaricate. A parte l'intimo nero era nuda e, chissà perché, ciò lo metteva a disagio.

«Demone» la salutò malignamente la donna, entrando a passi decisi nella sala e raggiungendo il tavolo. Il ragazzo si costrinse a muovere le gambe e a raggiungerla.

Due palpebre grigie si socchiusero lente, rivelando un piccolo spicchio delle meravigliore ametiste che l'esperimento 929 possedeva al posto degli occhi. Al solito, aveva un'espressione impassibile dipinta sul viso perlaceo ma, a differenza delle altre volte, i suoi occhi rivelavano, nel profondo, il dolore che la tormentava. Il ragazzo si morse il labbro. Mai prima di allora gli era capitato di rimanere infastidito da una sofferenza altrui. O meglio, c'era stato un tempo...

«Lord. Lady.» rispose atona lei. Era solo una sua impressione, o stava guardando proprio lui?

La donna la squadrò senza pudore, abbandonando il ghigno.

«Le ferite che le abbiamo inflitto ieri sono scomparse. Notevole» commentò, sfilandosi gli onnipresenti guanti color dell'acciaio e calzando dei guanti di plastica, per poi afferrare una siringa.

«Allora, il protocollo mi obbliga a porti per l'ennesima volta la seguente domanda: dove si trova la base dei ribelli?» domandò, vagamente annoiata, mentre versava all'interno del cilindro in vetro un liquido trasparente.

Le rispose il silenzio, al che lei sogghignò.

«Brava ragazza. Il gioco facile non è divertente» affermò, infilandole l'ago nell'avambraccio destro. Lei non fece una piega nemmeno quando l'intera sostanza le entrò in corpo. Dopo pochi secondi iniziò a gridare.

La donna assistette deliziata al suo strazio. Il ragazzo fu costretto a distogliere lo sguardo. Quegli occhi di ametista non l'avevano lasciato un solo istante.

 
~~~
 
La donna rimise a posto la siringa e i guanti, lanciando occhiate scocciate alla prigioniera.

«Non piange mai, non implora mai, che noia!» si lamentò, afferrando uno straccio e ficcandolo in mano al ragazzo.

«Occupatene tu, va, che io ho da fare» ringhiò brusca, uscendo dalla stanza e lasciandolo solo.

Lui la guardò andare via, trattenendo a stento un moto di rabbia. Si voltò verso l'esperimento 929 e per poco non sussultò. Quegli occhi, del colore delle ametiste più pure si erano aperti di nuovo e lo scrutavano.

Non c'era odio, né collera, né altro nel suo sguardo. Vi era solo apparente indifferenza e questo lo metteva a disagio più di quanto già non lo fosse.

Restarono fermi lì, a studiarsi per un tempo che parve infinito. Poi, lei ruppe il silenzio per la prima volta.
«Non dovreste odiarla, Lord»

Il ragazzo si accigliò, confuso.
«Cosa?»

«Ho detto che non dovreste odiarla» ripetè lei, con la medesima voce atona di prima.

Lui scosse la testa, frastornato. «Intendete Lady Rose? Come avete fatto a capire il mio astio nei suoi confronti?»

«Non serve essere empatici come me per accorgersene» rispose lei, come se fosse ovvio, non mutando il tono.

«Non dovreste odiarla»

Lui si sentì offeso: erano anni che aveva imparato a celare le sue emozioni al mondo intero e il fatto che non un essere umano, un esperimento mal riuscito riuscisse a leggergli la mente in quel modo lo irritava non poco.

Il ragazzo emise un verso di scherno. «Datemi un valido motivo per cui non dovrei. Voi non conoscete quella donna»

Lei chiuse gli occhi e rimase in silenzio. Dopo vari istanti mormorò, con voce stanca e inespressiva:

«Avete ragione, Lord, io non conosco quella donna. Ma, mentre voi vi limitate a guardare, io vedo. La Lady che voi conoscete non esiste, è solo una finzione, una maschera falsa quanto fragile»

Riaprì gli occhi viola e lo fissò.
«Sta soffrendo, Lord. Ha paura»

Il ragazzo, turbato, rimase in silenzio. Ciò che l'esperimento diceva non aveva senso. Quella donna era una semplice mercenaria che, chissà per quale motivo era finita col diventare il braccio destro del Sindaco, tutto qui. E ai mercenari era vietato conoscere la paura.
Prima, però, che potesse anche solo aprire la bocca per rinfacciarle quell'ovvietà, lei entrò, interrompendoli.

«Dick, il Sindaco vuole vederti» gli comunicò, secca, senza nemmeno fermarsi a guardarlo, andando dritta al tavolo dove giaceva la prigioniera, che aveva richiuso nuovamente gli occhi.

La donna si voltò a guardarlo, seria.
«Non è felice»

Lui annuì con un cenno del capo e si voltò verso l'uscita, per poi bloccarsi. Lanciò un'ultima occhiata all'esperimento 929, poi alla donna. Era davvero solo una maschera? La fissò ancora, mentre armeggiava con una flebo, quasi come se si aspettasse che accedesse chissà cosa che confermasse le parole della prigioniera da un momento all'altro. Tutto normale.

Scosse la testa e fece per andarsene quando lo notò.

Il tremito appena percettibile delle mani, il labbro inferiore martoriato da continui morsi di indecisione, il quasi invisibile sudore che le imperlava la fronte pallida.

Che la prigioniera avesse ragione? Che quella donna stesse veramente fingendo di essere una mercenaria crudele e spietata come lui l'ha sempre vista per mascherare chissà quali incertezze e timori?

La donna sollevò lo sguardo su di lui e aggrottò la sopracciglia sottili.
«Si può sapere cosa ci fai ancora qui? Muoviti!» sbottò aspra.

Lui si riscosse e annuì di nuovo col capo, voltandosi e uscendo dalla stanza.

 
~~~
 
«Abbiamo finito?» domandò esausta la ragazza, strofinandosi gli occhi irritati dalla polvere.

Lei e Luke erano lì sotto a pulire e catagolare quei vasi antichi da almeno due ore, e non parevano nemmeno lontanamente vicini all'aver finito. Per l'appunto l'amico ignorò la domanda, non ritenendola degna di risposta, e continuò a lucidare la teca di una vecchia ciotola risalente al ventiseiesimo secolo, come daltronde ogni altra cosa presente nella sala dove si trovavano.

Tara stava in piedi accanto a lui, con uno stupido blocco per gli appunti in una mano e una penna nell'altra, col compito di riportare numero, data e nome dell'archeologo che aveva scoperto la ceramica.

Lei era annoiata a morte, e scommetteva lo stesso per Luke. Represse a stento uno sbadiglio, maledicendo mentalmente Ainsworth. L'aveva rimproverata perché si era addormentata sul lavoro, ma se la spediva a fare lavori di questo genere rischiava seriamente di mandarla in letargo.

Se non uscissi tutte le notti per guardare le tue amate stelle ignorando le regole del coprifuoco, saresti più che sveglia, le sussurrò maligna una voce nella sua testa, che lei scacciò via.

«Ehi Luke, secondo te perché il Sindaco ha richiamato l'intera Corporazione Scientifica nell'Area Capitale?» domandò all'improvviso, ricordando il video messaggio visto nella sala degli uccelli imbalsamati.

«Eh? Mah, non saprei e a ben pensarci non voglio saperlo. Non sono affari miei, e nemmeno tuoi» brontolò l'amico, voltandosi appena a guardarla per poi chinarsi di nuovo davanti alla teca che era intento a pulire, sporcando di polvere la divisa nera e grigia degli Apprendisti.

Il regolamento diceva chiaramente che, a meno che non fosse un giorno festivo, gli Apprendisti erano tenuti a tenere le divise sempre e comunque ma, dato che a Luke le regole non erano mai piaciute troppo, lui era stato lesto ad aggirare la regola. Sul davanti e sul retro della sua maglia, infatti, spiccava un teschio stilizzato disegnato da lui stesso, con una bella X rossa sulla fronte.

Questo suo comportamento era più volte stato ripreso e rimproverato, molto spesso punito anche, ma non era servito a nulla, quindi adesso i superiori si limitavano a sospirare contrariati e a lanciargli occhiatacce, senza però fare nulla di concreto.

Tara sbuffò. Luke sapeva essere davvero insopportabile quando ci si metteva.

«E andiamo, non sei nemmeno un minimo curioso? Secondo me ci stanno nascondendo qualcosa di grosso» ribadì, per nulla intenzionata a lasciar cadere l'argomento.

«Secondo me, invece, sono cose che non ti riguardano. E comunque scommetto che si tratta solo di sistemare qualcosa nei laboratori. Niente che ti possa interessare»

«Sei noioso»

«Sono realista»

«C'è differenza?»

«Sì»

Terminò così la loro conversazione.

Un paio d'ore più tardi, durante la cena alla mensa dove tutti gli Apprendisti consumavano i loro pasti, Tara e Luke si separarono - le regole erano molto severe riguardo i rapporti tra femmine e maschi.

La bionda si sedette accanto a due ragazze della sua età, una certa Jennifer e una certa Karen, con cui non condivideva un'amicizia molto profonda ma con cui spesso e volentieri si ritrovava a chiacchierare.

In quel momento, Jennifer, i cui capelli rosa erano intrecciati e laccati in un paio di corna demoniache che venivano continuamente rese oggetto di critiche e rimproveri da parte dei superiori più anziani, farneticava con aria piuttosto adirata su di un ragazzetto che da un po' di giorni non la lasciava in pace e osava farle la corte.

Era talmente furiosa che si accorse della presenza di Markov solo una dozzina di minuti dopo che avevano iniziato a mangiare.

«Tara? Da quanto sei qui?» domandò, cambiando tono di colpo a metà di una frase e accigliandosi, confusa.

«Più o meno dalla millesima volta che hai mandato a quel paese quel poveraccio» rispose Karen al posto della bionda, ammiccando verso quest'ultima.

Il resto della cena trascorse piacevolmente, tranne quando Amalia, passando accanto al loro tavolo, rovesciò accidentalmente il contenuto della sua bottiglietta addosso a Jennifer, col solo risultato di uno sclero da parte della rosa che piagnucolò per la sua meravigliosa acconciatura rovinata per tutto il resto della serata.
















Rivelata l'identità del "ragazzo" di cui si è sentito tanto parlare nel Prologue! Dai, siate sinceri: ve lo aspettavate?
E se avete ancora dubbi riguardo Luke allora non so proprio che dirvi.


Al prossimo capitolo,
Rose

P.s.: per qualunque cosa (discutere, insultarmi, farmi notare quei due errori grammaticali che nemmeno a rileggere il testo trecento volte vengono fuori, ecc...) ricordate che il tasto "Recensisci" è a vostra disposizione :) .



 
 
   
 
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