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Autore: Kiki S    10/09/2016    1 recensioni
Rachel è una ragazzina di quattordici anni.
Rachel ha ancora paura del buio.
Dopo quell'episodio notturno durante l'ultima gita scoltastica è diventata lo zimbello dell'intero istituto: le prese in giro e gli scherzi crudeli, ormai, sono all'ordine del giorno.
Rachel decide che non può far altro che giocare la sua ultima carta per riprendersi almeno la propria dignità.
Questa carta ha un nome: Zoe Collins.
Genere: Dark, Generale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II
 
ZOE
 
Zoe Collins era una ragazza strana, ma ciò che colpiva particolarmente Rachel era che si trattasse anche di un tipo piuttosto solitario.
Non l’aveva mai vista con nessuno e, cosa incredibile ai suoi occhi, non sembrava affatto soffrirne.
Di certo però non passava inosservata: era una dark, o qualcosa di simile. Stava di fatto che si vestiva sempre di nero, aveva i capelli dello stesso colore e anche sulle unghie portava sempre lo smalto scuro. Rachel quasi si chiedeva se non le avesse così di natura, in fondo non se ne sarebbe stupita più di tanto.
Però, a fare particolarmente scalpore, c’erano le sue collane e i vari bracciali borchiati e con i teschi: doveva averne davvero una bella collezione perché ne metteva di diversi ogni settimana.
E questo in barba alle regole scolastiche riguardo alla divisa.
Sembrava che a Zoe non interessasse nulla di nulla, forse che vivesse su un altro pianeta.
Aveva sedici anni, frequentava la quarta perché aveva saltato l’anno di transizione non obbligatorio previsto dalla scuola irlandese. Non che fosse da stupirsene: era difficile pensare che una come lei potesse preoccuparsi troppo dello studio e del suo futuro professionale. Probabilmente non ci pensava affatto.
Rachel ci aveva riflettuto per un po’, ma alla fine si era convinta che non esistesse alternativa; comunque dovesse andare, doveva tentarci.
Tanto, si diceva, peggio di così non sarebbe potuta andare di certo.
E aveva scelto Zoe perché lei, con il buio, pareva andarci a braccetto.
Era stato così che quel giorno (quello successivo all’incidente nello spogliatoio della palestra) le si era avvicinata prima di entrare in classe.
L’aveva vista seduta sul muretto sormontato dalle inferriate che costeggiavano la scuola. Ci si sarebbe aspettati di vederla fumare una sigaretta, ma non era così.
Zoe guardava in alto con un sorrisetto strafottente e beffardo disegnato in viso e sembrava non fare neanche caso alle occhiate di chi le passava accanto.
Di certo non aveva notato Rachel che andava verso di lei; Rachel non veniva mai notata da nessuno, salvo in quell’ultimo periodo, in cui ogni opportunità per sfotterla era colta al volo.
E questo, per inciso, non valeva per Zoe.
La dark non aveva mai detto nemmeno una parola alla povera sfortunata, di nessun genere.
Forse era anche per questo che Rachel aveva creduto di potersi rivolgere a lei: era stata l’unica in tutto l’istituto a non prenderla in giro e a non indicarla ridendo.
Forse non tanto per pietà, ma più probabilmente perché non provava interesse per la cosa. Comunque fosse, a Rachel bastava così.
Aveva preso fiato profondamente prima di cominciare a parlare; fu soltanto un peccato che avesse inalato tanta aria per niente, perché alla fine fu Zoe a parlare per prima: -Che c’è? Dimmi-, l’aveva anticipata prima ancora che l’altra potesse emettere suono.
Rachel ne rimase sbigottita, ma poi decise di darsi una mossa e cominciare a esprimersi se voleva raggiungere qualche risultato; e se non voleva che anche Zoe iniziasse a deriderla.
-Ciao Zoe, sono Rachel Robbins, sono …-
-Sì, lo so chi sei, tranquilla-.
Avanti di quel passo e Rachel non sarebbe riuscita a dire nemmeno una sola frase per intero, bel modo per presentarsi e per chiedere aiuto.
-Già, ormai sono diventata famosa… purtroppo-, ammise la poveretta con desolazione e rammarico. -Ah, lascia che le oche starnazzino e che i maiali grugniscano, tu non preoccuparti.-, fece una breve pausa, durante la quale Rachel riuscì persino a sorridere; e a perdersi nel verde profondo delle iridi della sua interlocutrice. Quanto le sarebbe piaciuto essere come lei. Per lo meno forte come lei. Indifferente come lei. Diversa come lei.
E poi avrebbe tenuto a mente quella frase: come metafora era proprio carina e poi, a quelle come Judith, l’immagine dell’oca starnazzante si addiceva proprio alla perfezione.
-Piuttosto: che ti serve?-, riprese la dark.
-Ho bisogno del tuo aiuto-
-Questo l’avevo capito da sola, tesoro, non avresti altri motivi per rivolgerti a me. La domanda è: per che cosa?-.
Rachel restò momentaneamente allibita: era davvero così prevedibile? Così scontata? O forse si trattava del fatto che mai nessuno si avvicinava a Zoe Collins, per cui non c’era da meravigliarsi che quest’ultima non si aspettasse attenzioni di altro genere?
-Ho bisogno che mi aiuti a superare la mia paura del buio-.
Zoe la squadrò interessata e le sorrise comprensiva.
-E come mai lo chiedi a me? Perché sono l’unica che non te le ha cantate per quello che hai fatto?-.
Quello che hai fatto. Senza volere quelle parole le fecero male. Rachel avrebbe preferito che l’altra avesse detto Ciò che è successo. In quel modo sembrava quasi una colpa terribile.
-Sì, anche-, rispose titubante, poi prese fiato e seguitò più decisa, -ma soprattutto perché tu sembri conoscere il buio alla perfezione, forse puoi insegnarmi a non temerlo-.
Zoe allora si alzò in piedi e, continuando a sorridere, prese entrambe le mani di Rachel nelle sue.
-L’uomo muore di freddo, non di oscurità. Sai chi l’ha detto?-, fece sembrando a un tratto una bambina felice. Rachel scosse la testa.
-Miguel de Unamuno. Poeta e scrittore spagnolo. Non so molto di lui, ma una volta ho letto questa frase e l’ho adorata-.
La ragazzina si concesse di sorridere a sua volta a quella più grande.
-Allora mi puoi aiutare?-, le domandò quindi impaziente. -Perché no? Vieni a casa mia dopo la scuola?-.
-Vorrei. Ma dovrei prima chiederlo a mia madre- e in quel momento Rachel si sentì tanto imbarazzata da pentirsi quasi di aver rivolto a Zoe la parola.
Con quella frase doveva proprio essere sembrata una mocciosa.
Zoe infatti aveva sorriso tra sé e sé.
-Niente panico, tesoro. Non c’è problema. Chiedilo a mamma, e vieni da me domani, che ne dici?-. Quella voleva essere una presa in giro? Poteva anche darsi, ma quello non era il momento di pensarci. Ormai contava soltanto uscire da quell’abisso.
-Domani andrebbe bene-, acconsentì sforzandosi di non abbassare lo sguardo di fronte al suo.
-Okay. Tanto a me non cambia niente, i giorni sono tutti uguali- e detto questo, Zoe se n’era andata senza nemmeno salutarla.
Rachel l’aveva osservata mentre si allontanava. Un po’ era spaventata da lei, ma era anche attratta da quell’aura misteriosa e tenebrosa che le aleggiava tutto intorno.
Era incredibile ammetterlo, eppure le sarebbe piaciuto diventare sua amica; ma amica per davvero, non per modo di dire.
Forse sarebbe potuta diventare come lei e sarebbe stato fantastico.
Non sapeva però se Zoe l’avrebbe mai voluta realmente accanto; probabilmente no, era inutile illudersi.
L’importante era che riuscisse a uscire da quella faccenda finalmente più adulta, più sicura e che finalmente fosse in grado di lasciarsi alle spalle certe paure puerili.
Non poteva più avere paura del buio a quattordici anni. No, non esisteva.
Doveva andare oltre. E forse, con Zoe, ci sarebbe riuscita.
In Zoe il buio viveva placidamente e serenamente, avvicinandosi a lei avrebbe imparato a conoscere anche lui. E chissà, forse alla fine le sarebbe anche piaciuto.
 
**
Quella sera pioveva e il freddo di metà novembre non scherzava affatto.
Rachel se ne stava sdraiata a pancia in giù sul letto, con i gomiti appoggiati al materasso e il mento sui pugni chiusi, ascoltando il rumore dell’acqua scrosciante.
E pensava a Zoe.
Era così affascinata dalla sua figura.
Non aveva fatto altro che rimuginare sul loro incontro di quella mattina per tutto il giorno, tanto che le ore scolastiche erano state meno pesanti del solito e non aveva fatto più di tanto caso allo scherno delle compagne.
Aveva trascorso l’intera giornata in una sorta di limbo sospeso nell’aria, all’interno di una spaesata beatitudine. Pensava che con Zoe accanto sarebbe stato davvero tutto diverso.
Zoe era meravigliosa, era attratta dalle tenebre che c’erano in lei, perché non sembrava fossero spaventose.
L’oscurità della ragazza dark aveva un che di invitante.
Sul suo comodino, come sempre, c’era la luce accesa di cui non poteva fare a meno; la osservava sperando che presto avrebbe potuto liberarsene.
Sperava davvero che grazie all’aiuto di Zoe sarebbe riuscita a sconfiggere la sua paura infantile.
In fondo già ci credeva.
E poi non vedeva l’ora di andare a casa sua il pomeriggio successivo, non stava più nella pelle.
A sua madre aveva detto che sarebbe rimasta a studiare nella biblioteca della scuola, perché aveva necessità di consultare diversi testi che non avrebbe potuto portare a casa tutti insieme.
Lei non aveva fatto una piega e le aveva dato il consenso.
Non sarebbe mai stato così semplice se Rachel avesse sostenuto di doversi recare a casa di una tizia strana e dall’apparenza oscura che per giunta non conosceva bene.
Era la prima volta che mentiva a sua madre, e anche quello lo trovava piuttosto eccitante.
Fu mentre pensava a tutte queste cose che sentì bussare alla sua finestra; si voltò di scatto verso il vetro trasalendo e con il cuore a mille nel petto.
Da un lato si sentì morire di paura, ma dall’altro fu invasa dalla gioia più spettacolare che avesse mai sperimentato: lì fuori c’era Zoe, bagnata fradicia, che le sorrideva e la invitava ad andare ad aprire.
Rachel quasi scivolò per la foga utilizzata per scendere dal letto. Si fiondò alla finestra e sollevò l’anta di chiusura. Zoe era arrampicata su una scala.
-Buonasera colombina. Disturbo?-, fece quella puntando d’improvviso il viso a mezzo centimetro da quello di Rachel.
Colombina? E quel nomignolo da dove veniva? C’era da ammettere che fosse senz’altro meglio di piscialletto. Quello era poco ma sicuro.
-N-n-no. No, fi-figurati.-, balbettò la poverina frastornata, -ma tu che ci fai qui? E… quella scala?-. Zoe sorrise. –Eredità-, sostenne con un’espressione indecifrabile disegnata in volto, tanto che l’altra non riuscì a capire se la sua risposta volesse essere una strana battuta oppure una confusa verità.
Infine Rachel decise di soprassedere. -Che cosa ci fai qui, Zoe?-, domandò di nuovo a voce più bassa. -Girovago. Mi piace andare in giro sotto la pioggia.-, e lo disse continuando a sorridere in quel suo modo peculiare e inafferrabile.
Rachel non fu in grado di rispondere; Zoe approfittò dello stupore dell’altra e della sua mancata reazione per prenderle la mano e cominciare a tirarla verso di sé.
Rachel si spaventò quando credé che le mancasse poco a volare giù dalla finestra, ma subito si rese conto che non sarebbe avvenuto. Zoe voleva soltanto che le fosse più vicina.
-Dai-, riprese la dark in tono mellifluo, -vieni con me, così potremmo conoscerci meglio prima di domani-, la invitò; e quell’invito era irresistibile.
Ma sgattaiolare fuori di casa? Oh sì, senza dubbio era un’idea niente male, eccitante di sicuro, ma avrebbe avuto il coraggio di farlo? E se sua madre l’avesse scoperta?
-E dai, colombina, non fare la bambina-, tornò a scherzare l’altra, lasciando che il suono della sua risata si espandesse insieme allo scroscio della pioggia. -Mamma non se ne accorgerà, vedrai. E poi, non vorrai mica lasciarmi qui a bagnarmi da sola?-, continuò.
Rachel a quel punto le sorrise e scosse la testa.
No, non aveva intenzione né di comportarsi da mocciosa né di lasciare che fosse Zoe a prendersi tutta l’acqua. Aveva voglia di un po’ più di emozione nella sua vita e anche di fare una bella follia.
E poi l’idea di lasciarsi infradiciare dalla pioggia insieme a Zoe era come una massa pulsante nella sua testa: voleva farlo, doveva farlo. In un certo senso sarebbe stata come lei.
-Brava la mia colombina!-, si complimentò la dark, che aveva i capelli sciolti ormai incollati al viso perché completamente zuppi.
Poi le prese la mano e l’aiutò a scavalcare il davanzale.
Rachel ebbe un po’ di paura a mettere il piede sul primo piolo della scala che incontrò fuori dalla finestra, ma fece appello a tutto il suo coraggio per non darlo a vedere.
Stava iniziando a ottenere l’attenzione di Zoe Collins, la ragazza più particolare e indipendente di tutta la scuola, non poteva permettersi di perderla per via di una stupidaggine.
Presto furono entrambe in piedi nel cortile della casa di Rachel. Quest’ultima vide che la luce in camera dei suoi genitori era già spenta; e se i suoi stavano dormendo c’era la possibilità che non si accorgessero della sua scappata. Lei se lo augurava, ma da un lato le piaceva avvertire il dubbio che così potesse non essere.
Quel pizzico di timore che avvertiva in petto stava tramutandosi in uno stimolo a continuare.
Infine Rachel smise di pensarci e abbassò lo sguardo su Zoe. Stava cominciando a bagnarsi proprio come lei. Entrambe gocciolavano dai capelli. E poi faceva freddo: Rachel non indossava altro che una tuta. Non che Zoe fosse più coperta: aveva addosso i suoi soliti abiti neri comprensivi di pantaloni, maglietta e felpa con il cappuccio. Al collo aveva una kefiah. Forse però non si sarebbe bagnata i piedi visto che portava gli scarponi. Rachel, al contrario, portava solo le calze (non aveva nemmeno pensato a infilarsi un paio di scarpe, tanto era stato lo sconcerto e l’eccitazione per quella visita improvvisa), ma in fondo non le importava più di tanto: di certo non sarebbe rimasta fuori tutta la notte; una volta rincasata avrebbe pensato a riscaldarsi i ghiaccioli.
In quel momento Zoe le sorrise, la prese per mano e la condusse con sé mentre cominciava a correre; scavalcarono lo steccato della casa di Rachel e furono subito in strada.
Rachel si voltò solo una volta verso la villetta a osservare la scala ancora appoggiata al suo davanzale dal quale proveniva l’unica luce accesa dalla casa.
Non vedeva l’ora di poter spegnere quella lampada una volta per tutte. E ormai confidava di essere sulla buona strada.
Zoe la portò con sé in spiaggia. Lì si sdraiarono sulla sabbia fredda e bagnata lasciandosi investire dalla pioggia che cadeva. Tremavano entrambe, era chiaro che quell’idea poco giovava alla salute, ma Rachel non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo.
Quella era la serata più magica della sua vita (non che avesse un gran termine di paragone. Fino ad allora, la migliore serata della sua vita era stata quella della recita scolastica delle elementari dove aveva interpretato la protagonista e non aveva dimenticato neanche una battuta).
E poi Zoe continuava a stringerle la mano. Rachel era arrivata a pensare che forse quella ragazza soffrisse per la solitudine anche se non lo dava a vedere. Forse aveva sempre avuto bisogno che qualcuno le si avvicinasse e parlasse con lei.
La ragazza si sentì un po’ in colpa quando l’idea le balenò in mente: pensò che lei si era rivolta a Zoe solo per ricevere il suo aiuto, era stata un’egoista. Solo in quel momento si rendeva conto di quanto quella ragazza fosse speciale, di quanto desiderasse la sua compagnia e la sua amicizia anche a prescindere da quel che avrebbe fatto per lei.
Zoe era come una rosa nera che aspetti con trepidazione di essere colta.
E Rachel non aveva paura delle sue spine.
L’acqua che scrosciava loro addosso le parve benedetta, sembrava stesse lavando via tutto il marcio e l’odioso dolore di quegli ultimi giorni. E anche l’insensatezza della sua vita scolorita, come lo era stata fino ad allora.
Rachel sentiva che con Zoe sarebbe stata tutta un’altra cosa, era certa che non sarebbe mai più stata così sola. Se era davvero una colombina, in Zoe aveva trovato finalmente il suo nido.
Poi fu all’improvviso che questa iniziò a parlare, confondendo le sue parole tra le imperterrite e sussurranti gocce di pioggia.
-Non hai paura del buio che c’è qui, Rachel?-, le domandò sottovoce. Sentì che Zoe le stringeva la mano più forte. –No-, fece a bassa voce, -il buio naturale è diverso, anche perché si vedono comunque le luci della città. Non è la stessa cosa di una stanza- delucidò, rendendosi conto di quanto potesse apparire stupida la sua spiegazione.
-Sai, io qui ci vengo sempre quando piove, mi piace-, riprese la dark, -lo faccio da quando papà è morto, sei anni fa-.
Rachel avvertì un tuffo al cuore.
-Tuo padre è morto?-, domandò costernata. –Purtroppo-, rispose l’altra in un sospiro.
-Ma c’è mia madre, ce la caviamo-, aggiunse.
Questa volta fu Rachel a stringerle più forte la mano. Prese fiato per parlare, ma Zoe la anticipò subito.
-No, no. Ti prego, non dire che ti dispiace. Non mi serve-, fece lapidaria.
Rachel richiuse la bocca e tacque. Non aveva intenzione di perdere l’approvazione della sua nuova  e improvvisata forse- quasi- amica.
-Preferisco il silenzio per certe cose. Dice di più-, le spiegò convinta e Rachel si disse che aveva ragione. Così scelse il silenzio a propria volta.
-Sei una tipa niente male, Rach. Non pensavo che l’avrei mai detto a qualcuno, ma stare qui con te è meglio che starci da sola-, esclamò d’improvviso e Rachel non seppe dirsi se la voce le aveva tremato più per il freddo o per il tentativo di trattenere le lacrime.
Fu solo certa, da quel momento, di amare Zoe più di quanto avesse mai amato fino ad allora.
E questo anche se non la conosceva veramente.
Sentiva che quella ragazza strana e sempre volutamente isolata le stava aprendo il suo cuore e tanto le bastava. Voleva ancora il suo aiuto, ma desiderava anche starle vicina. Probabilmente si sarebbero sostenute a vicenda, ed è questo che fanno le amiche.
Forse si erano trovate. Una rosa nera che ospitava al suo fianco un fiore piccolo e insignificante, forse una semplice margheritina come ce n’erano a milioni, alla quale probabilmente mancava anche qualche petalo, ma che avrebbe condiviso per sempre con lei il loro campo solitario.
Grazie a Zoe avrebbe superato la sua paura del buio. La dark, grazie a lei, forse, avrebbe smesso di essere sola.
Quando infine la riportò a casa, sotto la sua finestra, Zoe l’abbracciò, poi se ne andò sorridendo e salutandola solo con un sussurrato: -A domani-. Rachel la osservò andarsene sotto la pioggia con la sua scala mentre stava affacciata al davanzale, ancora bagnata e tremante.
Guardando l’orologio vide che erano già quasi le due del mattino quando rientrò.
Sorrise a quel pensiero; aveva mentito a sua madre riguardo al giorno seguente, era scappata di casa di notte per andare a prendersi la pioggia sulla spiaggia e tutto questo soltanto per Zoe.
Forse quelle che aveva fatto erano cose sbagliate, ma le andava bene così. Perché forse non lo erano davvero, andavano solo contro le regole e questo non rende qualcosa errato per forza.
Quando vide che Zoe era ormai sparita nella notte, si tolse di dosso gli abiti bagnati (e ai quali si era attaccata la sabbia) e si asciugò in fretta, poi indossò un pigiama pesante e delle calze spesse di spugna per scaldarsi i piedi congelati.
Nascose i vestiti fradici nell’armadio; ci avrebbe pensato il giorno dopo.
I capelli se li strofinò rapidamente con un asciugamano fino a che non smisero di gocciolare, poi si infilò sotto le coperte.
Si addormentò con il sorriso sulle labbra, anche se la lampada sul suo comodino era sempre accesa.
Sognò di Zoe Collins.
La sua nuova amica.
   
 
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