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Autore: Eli Ardux    12/09/2016    1 recensioni
"Ho spesso pensato a come ti avrei detto addio un giorno. La morte è inevitabile, in fondo. Eppure non pensavo sarebbe successo così in fretta. Mi sono spesso immaginata invecchiare al tuo fianco. E sai, ricordare tutte quelle bellissime bugie fa male. Ma fa ancora più male pensare che tu stia leggendo tutto questo mentre io non sarò al tuo fianco. Mi dispiace, Sirius. Mi dispiace provocarti questo nuovo peso. Mi dispiace non averti suscitato un’altra volta un sorriso. O forse ci riuscirò ancora. Forse, tra molti e molti anni, ricorderai ancora quella stramba ragazza che ti ha insultato così pesantamente. Ricorderai ancora, magari, il calore di un abbraccio, quando il mondo inizierà a diventare freddo."
***
Dal capitolo 46
«Non è stata una mia scelta!» Sirius aprì le braccia, esasperato. Entrambi avevano alzato di nuovo la voce. «Sì invece» «Cosa?! Donna ma ti senti quando parli?» La bocca di lui si contorse dalla rabbia. «Calmati per Merlino» Elisa raccattò una borsa appoggiata al suo fianco, sulla panca, gettandogliela. I libri andarono a cozzare contro il braccio proteso dal ragazzo per difendersi, rotolando poi a terra poco più in là. «Non dirmi di calmarmi!»
Sirius x nuovo personaggio
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Tra afflizione e ciambelle


Elisa si stiracchiò nervosamente. Osservò con poco interesse il libro davanti a sé. Si piegò in avanti fino ad appoggiare la fronte sulla superficie fredda del tavolo. La Sala Comune era pressoché vuota quel giorno. Ascoltò nel silenzio con attenzione fino a trovarlo: un lontano rumore richiamava insistentemente la sua attenzione.
 
Si alzò dalla scrivania e raggiunse la finestra aperta. Il prato era scosso da una calda brezza e le foglie sugli alberi cantavano al suo passaggio. Si permise di rimanere in quella posizione ancora un po’ prima di tornare stancamente davanti al libro di Incantesimi. Si lasciò cadere sulla sedia con un piccolo tonfo. Gli esami si stavano avvicinando, doveva continuare a studiare. Si passò stancamente una mano sul viso, cercando di ritrovare la concentrazione.
 
Una fitta allo stomaco la fece ripiegare su sé stessa. Riprese la calma e ritornò alla lettura del tomo. Le parole iniziarono a vorticarle davanti agli occhi, una danza confusa e caotica. Decise di chiudere il libro e andare a fare una passeggiata.
 
Quando finalmente uscì dal castello qualche decina di minuti più tardi, la ragazza iniziò a passeggiare verso il Lago. Raggiunta la riva una voce la chiamò qualche metro più in là.
 
Marlene le venne incontro sorridendole. «è da un po’ che non ci si vede» Elisa non rispose, scusandosi con lo sguardo. «Come va con Daniel?» una nuova morsa attanagliò il suo stomaco. «Va» rispose enigmatica continuando a tenere lo sguardo fisso all’orizzonte.
 
Le sarebbe piaciuto dire la verità. Le sarebbe piaciuto, davvero. Ma farlo sarebbe stato difficile e lei non voleva essere compatita. Non ne aveva bisogno, non anche per quello.
 
Marlene le sorrise ancora, comprensiva. «Capito, vuoi stare sola» «Se avessi un problema» la interruppe Elisa spostando lo sguardo su di lei «un problema di cui non sa niente nessuno. Tu lo diresti a qualcuno?» Marlene si bloccò prima di poter fare un altro passo verso il castello.
 
Si voltò a guardarla «Dipende» commentò poi pensierosa «Da cosa?» «Che tipo di problema è? Di cuore?» Elisa sorrise vagamente divertita a quelle parole.
 
Fosse stato solo quello.
 
«Di salute» le sopracciglia bionde dell’altra si alzarono visibilmente. «e-» continuò quindi la mora guardandola di sottecchi «- problemi un po’ più complicati» La bionda tornò a guardare il lago, pensierosa.
 
«No» Elisa si girò stupita ad osservare il suo profilo. Gli occhi di Marlene parevano brillare con il sole. «Non per il problema di salute, ovviamente. Per quello penso che basti andare da Madama Chips» aggiunse con un sorriso dolce rivolta alle acque. «Perché non dovrei parlarne?» la bionda si girò lievemente verso di lei continuando a sorridere. Aveva un’espressione dolce, quasi materna, come se stesse spiegando ad un figlio un po’ cresciuto una cosa semplicissima.
 
«Sai, nella mia famiglia ci siamo io, mio padre, mia madre e i miei due fratelli. Sono tutti e due più piccoli di me. Mark ora ha quattordici anni, Tassorosso, se ti interessa, mentre Jack ne ha solo dieci. Non vede l’ora di venire qui ad Hogwarts l’anno prossimo» Elisa non capiva cosa questo c’entrasse nel discorso ma non la interruppe, troppo curiosa di capire la risposta alla sua domanda.
 
«Probabilmente non ci verrà. I miei non hanno ancora avuto cuore di dirglielo. Sai perché probabilmente non potrà venire?» La mora scosse la testa lentamente. «No? Eppure ti facevo più sveglia, Stevenson» Marlene ripiegò la testa da un lato, la sua dolcezza e allegria ora sostituita da una pesante malinconia. «Non ti viene proprio in mente niente che sta succedendo in questo periodo?» Elisa trattenne il fiato, improvvisamente consapevole.
 
«Non sei l’unica che ci pensa sai? Qualcun altro ha visto i segni» la bionda ritornò a guardare il lago che placidamente si agitava «La guerra arriverà» non era una domanda e lo sapevano entrambe «Mio padre e mia madre erano Corvonero, sai. È stato abbastanza facile» spiegò con un’alzata di spalle continuando a guardare l’orizzonte. «Corvonero nati babbani, ovviamente» Elisa continuò a guardare il profilo dell’altra, non perdendosi un’espressione o una parola. «Sai la cosa divertente?» Marlene si rigirò ad incontrare i suoi occhi.
 
«Lui non sa niente. Così come Mark, penso.» riprese pensierosa. «Sarebbe inutile dirglielo, capisci? Jack è troppo piccolo, non capirebbe»  «Mi stai dicendo che-» «Ti sto dicendo» la interruppe la bionda con decisione «di non parlare con altri di cose troppo grandi di loro, cose che non possono comprendere e di cui potrebbero solo spaventarsi. Aspetta che siano pronti» concluse quindi con un sospiro iniziando ad allontanarsi. «Sai, penso che questa sera a cena prenderò il dolce. È quasi ora, mi accompagni?»
 
Elisa non poté fare altro che seguirla lungo la riva.
 
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«Ehi Eli» Daniel l’afferrò da dietro e la strinse in un caldo abbraccio. La ragazza rimase paralizzata, ferma, mentre un nodo pesante le si formava nel petto.
 
Da quando, più di un mese prima, aveva assistito alla scena nell’aula vuota, Elisa non era più la stessa. Se ne era accorta lentamente, svegliandosi giorno dopo giorno e rendendosi conto di non potersi più riconoscere nel riflesso dello specchio la mattina. I giorni avevano cominciato a passare veloci, forse come non mai nella sua vita. Erano rapidi, intrisi di quella tristezza e monotonia da cui non riusciva più a staccarsi. La vita le stava scivolando dalle mani. Eppure non riusciva a fermarsi, non riusciva a mettere un freno a quei giorni, ad uscire da quella continua giostra di azioni che si ripetevano senza un reale motivo di fondo.
 
Mangiare.
 
Mangiare era diventato impossibile. Il cibo aveva iniziato, a detta sua, ad avere sempre lo stesso sapore: sapeva d’amaro, il gusto che poi avrebbe avuto poco dopo in bocca, il gusto del vomito.
 
Perché quello c’era sempre. Riempiva tutte le sue giornate, dopo ogni pasto, immancabile. Arrivava così, senza un reale motivo. Per i primi tempi aveva pensato solo ad un malanno ma, giorno dopo giorno, aveva capito che il problema reale non stava nel suo fisico, ma nella sua testa. O forse entrambe le cose, in fondo.
 
Lily non sapeva nulla, non ufficialmente, almeno. Da quando l’aveva ritrovata accasciata nel pavimento in bagno la sua preoccupazione era aumentata a vista d’occhio. Spesso le lanciava lunghe occhiate quando credeva di non essere vista, presa dalla paura che potesse svenire da un momento all’altro. Le aveva più volte chiesto cosa fosse successo ma lei non aveva fiatato. E forse era stato questo a farla insospettire.
 
Con il tempo aveva preso ad esser più riservata, più di quanto già non fosse. Preferiva i posti appartati, se non addirittura isolati, a quelli invasi dalla folla. La mancanza di energie e la scarsa assunzione di cibo avevano contribuito a donarle un aspetto, come aveva gentilmente definito Carlotta, cadaverico. Lily aveva stretto le labbra a quel commento, indice del fatto che, per quanto le costasse ammetterlo, la smorfiosa avesse ragione.
 
Contro ogni previsione, però, Elisa era riuscita a mantenere la sua condizione di salute abbastanza al sicuro: nessuno era al corrente del fatto che lei vomitasse così frequentemente. Era stata geniale l’idea di utilizzare la stanza delle necessità e ancora se ne rallegrava. Quindi, al di là di un aspetto malaticcio e di un abbassamento drastico di peso, nessuno avrebbe mai potuto dirle nulla.
 
Perché doveva ammetterlo, era dimagrita. Non era mai stata particolarmente magra. Aveva sempre avuto un fisico atletico e se ne rallegrava spesso. Ma ora, i muscoli avevano lasciato spazio alle ossa. Capitava spesso che, per camuffarsi, avesse preso l’abitudine di vestirsi a strati utilizzando tante magliette. In questa maniera le persone non se ne sarebbero accorte, si era detta. Ed era proprio successo questo.
 
Era stato facile imbrogliare gli altri, ma le sue compagne di stanza un po’ meno. Vestirsi sempre al di là degli occhi delle compagne era stato difficile e complicato, senza contare il fatto che si era creato un clima freddo e distaccato nella stanza. Elisa ne era intimamente dispiaciuta.
 
E poi c’era Walker.
 
Il suo viso dolce e gli occhi angelici non erano riusciti a vedere nulla nella ragazza, neanche il minimo cambiamento. Questo, le diede prova, era solo l’ennesimo segnale del fatto che non le importava nulla di lei. L’afflizione per la nuova consapevolezza di non contar nulla fu meno pesante del macigno costretta a portare ogni giorno: la vergogna. Era stata tradita. Niente poteva cambiare questa cosa. Checché tra i due non ci fosse mai stato un rapporto fisico di qualsiasi tipo lei era considerata – forse addirittura dall’intera scuola – la fidanzata del Corvonero. Eppure questo non l’aveva smossa. Intimamente, Elisa si era presto resa conto che questo tradimento non le aveva provocato rabbia o risentimento.
 
Era stata paura.
 
Walker, aveva presto capito, le era totalmente indifferente. L’unico legame a trattenerla a lui era il bisogno egoistico di avere una persona a cui appoggiarsi, una fune attraverso cui avere una possibile parvenza di normalità.
 
Lo stava usando.
 
E di questo ne era immensamente dispiaciuta, oltre che disgustata. Si era spesso chiesta che cosa sarebbe successo se lui si fosse stancato di lei. Non aveva trovato una risposta, forse semplicemente perché non voleva cercarla.
 
Osservando Daniel parlare ad i suoi amici mentre le cingeva le spalle con un braccio Elisa sentì un brivido attraversarle la schiena. Non voleva quel tocco eppure contemporaneamente temeva di non averlo. Persa nei suoi pensieri non si accorse che il ragazzo la stava guardando.
 
«Tutto bene?» le ripeté lui appena un po’ perplesso. Lei annuì soltanto, silenziosa. Non parlavano molto, loro due. Solitamente lui la stringeva o tentava di baciarla, al che lei continuamente si spostava.
 
Un briciolo di orgoglio, almeno, le era rimasto.
 
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«Sai, un giorno capirò perché continui a fare così» quel giorno avevano deciso di andare a studiare in biblioteca per l’esame successivo. Quella mattina avevano avuto trasfigurazione. Non era stato particolarmente difficile. Il giorno seguente avrebbero avuto incantesimi. Era particolarmente tranquilla a riguardo.
 
«Così come?» sussurrò di rimando per non alterare Madama Pince, poco incline agli scocciatori. «Non fingere con me, io ti conosco» mai parole suonarono più sbagliate nelle sue orecchie. Non lo contraddì, però.
 
«C’è qualcosa che ti blocca con me» concluse il Corvonero con un sospiro poggiando l’ultimo libro nello scaffale. Elisa rimase un metro più in là mollemente appoggiata allo scaffale con il fianco. L’eventuale risposta fu bloccata dall’arrivo di un ragazzino. Primo anno, Tassorosso, sembrava avesse appena corso per chilometri.
 
«Il professor … Silente … ti vuole … nello studio» boccheggiò tra un sospiro e l’altro. «Adesso» precisò poi con cura. «Ok ora vado grazie» lo congedò lei prima di rigirarsi verso il ragazzo davanti a lei. «Devo andare, scusa» sussurrò con il viso a terra. «Non abbiamo ancora finito» commentò lui bruscamente afferrandole velocemente una mano.
 
Elisa si bloccò a quel contatto.
 
«Dicevo, c’è qualcosa che ti blocca con me, non capisco, prova a scioglierti un po’» continuò più dolcemente giocherellando con le dita della sua mano  «dai, provaci, sarà divertente» la strattonò lievemente per avvicinarsi e la mano libera si andò a posare sul suo fianco. «Daniel, devo andare» pronunciò risoluta queste parole, cercando di non far trasparire l’agitazione nella sua voce.
 
Era tutto così sbagliato, così maledettamente sbagliato.
 
«Shh non vorrai farci sentire» il respiro caldo di lui andò ad infrangersi contro il suo orecchio destro. Spalancò gli occhi, lievemente terrorizzata. Utilizzando le mani di lei come perno cercò di far leva e spostarlo.
 
Il tocco cambiò.
 
Il ragazzo si spinse con più forza contro di lei, bloccandola contro lo scaffale. La mano appoggiata al suo fianco si spostò lievemente a palparle il sedere. «Andrà tutto bene» furono tre singole parole sussurrate all’orecchio.
 
Il panico iniziò a fondersi ripetutamente nella sua mente insieme ad immagini che mai avrebbe più voluto rivivere. Chiuse gli occhi, sentendo la sua paura più incandescente che mai nella sua testa.
 
«AAAA CAZZO» Daniel si ritrasse con uno scatto tenendosi la mano che, poco prima, era posata sul suo sedere. Elisa sentì la corrente elettrica ancora prima di vedere la mano bruciacchiata dell’altro. La sentì nello stomaco, lungo la spina dorsale, nel sangue.
 
«Che diamine succede qui?» Madama Pince fu sul posto in un attimo. Elisa rimase un attimo a fissare il ragazzo tenersi la mano dolorante prima di afferrare velocemente la sua borsa a terra qualche passo più in là. «Devo andare» biascicò velocemente prima di dirigersi velocemente verso la porta e scomparire nel corridoio.
 
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«Buonasera Elisa» la voce del preside la raggiunse ancora prima della sua vista. Elisa entrò nell’ufficio trafelata,il viso lievemente imperlato di sudore. «Preside» sussurrò vagamente rimanendo sulla porta. «Va tutto bene?» incrociò gli occhi dell’anziano. Un senso di improvvisa tranquillità la investì. Era al sicuro, sarebbe andato tutto bene.
 
«Sono stata meglio» concluse quindi con un sorriso più rilassato avvicinandosi alla scrivania e sedendosi di fronte all’uomo. «Ti trovo dimagrita» commentò guardandola intensamente. Lei non rispose, limitandosi solo ad una casuale alzata di spalle. «Mi ha fatta chiamare, c’è qualcosa di cui vuole parlare?»
 
Per quanto riguardava quel punto non vi erano dubbi a proposito. Se non fosse stato importante avrebbe sicuramente aspettato la prima occasione possibile e non l’avrebbe certo fatta chiamare. Il preside sospirò, per poi alzarsi e dirigersi stancamente verso la finestra.
 
«I tempi stanno cambiando» iniziò tetro osservando il sole scomparire all’orizzonte, al di là della superficie del lago. «e ci obbligano a fare cose che non avremmo mai più voluto fare» Un silenzio carico di significati si stese tra i due. «Di cosa ha bisogno, professore?» Il preside sospirò, sconfitto. «Ho informazioni secondo cui alcuni Mangiamorte stiano prendendo di mira una famiglia» spiegò con calma «ad Hogsmeade» specificò poi misurando la voce. Elisa annuì con lentezza.
 
«Ha bisogno di un mio intervento sul campo?» «Solo se le circostanze lo richiederanno» specificò l’altro voltandosi ad osservarla. «Cerca di capirmi, Elisa, non metterei mai la tua vita in pericolo se non fosse strettamente necessario. Non ho uomini» spiegò tornando a posare il suo sguardo alla finestra. «Potrei mandare Molly e Arthur, li hai conosciuti» Elisa annuì con un sorriso ripensando ai due.
 
Ci aveva lavorato insieme un paio di volte. Simpatici, forse la donna un po’ troppo apprensiva per i suoi gusti. Dalle sue informazioni le pareva fosse madre, quindi il tutto era abbastanza normale. «Ma sono in attesa del terzo figlio e vorrei evitare»
 
«Davvero? Sono contenta per loro» la sua esclamazione fu accolta con sorpresa dal preside così come da sé stessa.
 
«Informazioni sulla famiglia?» Elisa distolse lo sguardo e lo puntò sulla scrivania, pronta a memorizzare, tornando contemporaneamente al tono freddo e distaccato che si si sarebbe aspettato da lei. «Padre, madre e figlio. Hanno rifiutato ad unirsi al Signore Oscuro»
 
Ottimo pensò la ragazza sentendo una morsa amara alla gola. Odiava le vendette: erano tutte veloci, rapide e violente. «La casa? L’indirizzo?» Silente sospirò con calma «Moon’s strett 8» «è un posto in periferia, vicino alla foresta» commentò un po’ scioccata Elisa con una smorfia.
 
«Elisa voglio chiederti una cosa» il preside si voltò e, giunto davanti a lei, le si inginocchiò davanti  «Fai attenzione» era stato un sussurro, forse persino poco udibile. Lei invece sorrise.
 
«Lo faccio sempre, professore»
 
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Quando qualche decina di minuti più tardi Elisa uscì dall’ufficio del preside, il sole era ormai tramontato da un po’. Attraversò con calma qualche corridoio, il pensiero fisso all’incarico appena preso. Sarebbe stata una bella scommessa. Non sapeva se sarebbe stata in grado di farcela, ora che ci pensava più lucidamente. Con questi pensieri incoraggianti raggiunse la Sala Grande per la cena.
 
Appena diede velocemente un occhio al tavolo, la ragazza capì che Lily l’avrebbe detestata a vita. Non appena fu seduta la rossa la degnò di un veloce saluto per poi tornare a parlare con Alice. Quest’ultima, almeno, pareva non avercela troppo a morte con lei. La degnò di qualche attenzione e qualche cortesia per poi tornare, come aveva immaginato, al suo confabulare con gli altri. Elisa non prestò molta attenzione ai discorsi, troppo presa da un nuovo fastidioso mal di testa a martellarle il cervello.
 
«tutto bene?» Lily squadrò l’amica il tempo sufficiente per capire che no,non andava tutto bene. «Ho un mal di testa assurdo» si lamentò allora prendendosi la testa tra le mani. «Sarà lo stress da esame» si intromise Frank comprensivo posandole una mano sulla spalla, incoraggiante. «Perché non sali in stanza a riposarti un po’?» Alice guardò preoccupata l’altra. Elisa lanciò un’occhiata sconsolata alla sua cena ormai lasciata a metà. «Mi sa che farò così. A dopo ragazze, ‘notte Frank» i ragazzi la salutarono con un sorriso compassionevole.
 
«Se hai bisogno ci sono» la voce di Lily la raggiunse flebile. Anche senza vederla, però, Elisa poteva immaginare la stesse seguendo con lo sguardo fuori dalla Sala. Non aspettò di vedere cosa il suo mal di testa avesse in serbo per lei. Si diresse spedita verso il settimo piano. Sapeva che, da un momento all’altro, vomitare sarebbe divenuto un bisogno impellente.
 
Ma non arrivò mai alla Stanza delle Necessità.
 
Un giramento di testa la colse verso il sesto piano. Si fermò, una mano contro il muro per sorreggersi e l’altra a tenersi la testa. Il mal di testa aumentò. La vista le si annebbiò. «Non adesso» sussurrò più a sé stessa che ad altri.
 
Ma il suo corpo non la ascoltò.
 
Una fitta di mal di testa più violenta la colpì. Elisa sentì distintamente la guancia toccare qualcosa di duro prima che, colpita dalla nausea, perdesse i sensi.
 
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«Andrà tutto bene» l’uomo sussurrò quelle parole con calma. Il tono di voce contrastava nettamente con la bacchetta che teneva stretta in pungo. La bambina si rannicchiò sul pavimento, gli occhi chiusi e le manine davanti al viso per farsi scudo.
 
Sapeva quel che da lì a poco sarebbe successo. Sapeva di non dover urlare.
 
«Shh andrà tutto bene» ripeté il l’uomo ruotando lievemente il polso. «Crucio»
 
L’uomo sussurrò.
 
La bambina urlò.
 
La casa stava bruciando. Vedeva le fiamme, respirava il fumo. Cercò di muoversi, ma si accorse con orrore che non ci riusciva. Aveva paura, così paura da non riuscire a muovere un muscolo. Stava tremando.
 
«Va tutto bene tesoro» una donna, il viso scavato dalla cenere e dall’orrore sussurrò quelle parole. Era rimasta incastrata, sotto una trave, da quel che riuscì a scorgere dalle fiamme. Incredibilmente alla sua vista si calmò un poco.
 
«Andrà tutto bene tesoro» annuì, non comprendendo realmente il perché le stesse dando ascolto. «Mamma e papà ti vogliono bene» sussurrò ancora la donna prima di svenire.
 
«Mamma» Elisa si chiese del perché l’avesse chiamata in quel modo. Poi, come un automa, le sue mani andarono a chiudersi su quelle della signora, cercando di tirare e strattonare. E prima che una trave le cedette addosso, la ragazza capì il motivo di tutte quelle stranezze.
 
Perché, da un lontano specchio sulla parete, il riflesso di un bambino le aveva restituito lo sguardo.
 
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«Diamine» la ragazza si risvegliò qualche attimo dopo, il mal di testa incredibilmente affievolito. Rimase ferma qualche altro secondo, il lato destro del viso appoggiato al pavimento. Poco più in là, verso la nuca, un dolore sordo indicava la zona su cui era atterrata qualche attimo prima. A giudicare dal bruciore sulla guancia destra, cadendo aveva sicuramente strisciato contro il muro.
 
Si massaggiò la zona con la mano, esitante. Bruciava un po’, ma non sembravano esserci residui di sangue. Si alzò lentamente, posizionandosi con la schiena contro il muro rimanendo seduta, controllando poi con cura se il suo corpo stesse bene. Rifletté con calma su ciò che aveva appena visto.
 
Superato l’episodio di suo padre, la ragazza si concentrò sul bambino.
 
Doveva recarsi assolutamente ad Hogsmeade il più presto possibile. Non avrebbe fatto in tempo ad avvertire Silente, lo avrebbe poi informato a cose fatte. Ma come raggiungere Hogsmeade? La soluzione arrivò qualche attimo dopo.
 
«No Peter, non possiamo rilassarci adesso. E ridammi quella ciambella!»
 
 
Angolo autrice
Oook, piano con i forconi gente. Presto ci sarà un po’ di azione, ve lo prometto.
Alla prossima
Eli ;-P


P.S.: è la seconda volta che pubblico il capitolo dato che ci sono dei problemi al server. Se vedete due capitoli uguali non preoccupatevi, eliminerò poi in seguito uno dei due ;)
   
 
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