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Autore: Ayduin    14/09/2016    1 recensioni
I Draghi si sono ormai estinti e con essi la loro Dinastia, di cui Veer e suo figlio Arian sono gli unici eredi ancora in vita. Pensavano di aver trovato rifugio da se stessi, dalla propria identità, una volta dispersi nel globo terrestre, lontani dai giochi di potere, inganno e passione che si sono sempre svolti nei retroscena di corte. Eppure la Shàkbara non si è estinta, l'antica energia dell'universo li reclama, la loro stessa terra d'origine pare attrarli a sè con un legame indissolubile, e quando un giorno Vissia entra in contatto con essa per errore, non avranno altra scelta se non quella di affrontare un passato più presente che mai. Ma dietro le apparenze maggiormente innocue si celano grandi segreti e non sarà sufficiente essere abili nella guerra, scaltri nelle azioni e fedeli ai propri ideali per sopravvivere. Una tempesta si sta addensando grave e nera sul cuore di ciascuno, e nessuno è così fortunato da esserne al sicuro.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vissia aprì gli occhi sotto l'arcata di un cielo stellato senza luna dalle sfumature violacee, solleticata da sottili steli d'erba mossi da una lieve brezza serale. I ricordi di pochi istanti prima, annebbiati e confusi, le vorticavano in testa squassandole le tempie: aveva cercato di raggiungere Bastian al centro di una stanza tinta della magia dell'universo, riusciva ancora a riprodurre nella sua mente la sensazione che aveva provato entrandovi, un misto tra meraviglia e pace interiore, e quasi poteva rivivere il momento in cui le costellazioni che fluttuavano tra le pareti avevano cominciato a vorticarle intorno. Aveva erroneamente creduto che si trattasse di ologrammi, che suo fratello si fosse semplicemente sentito attratto dall'immergersi in immagini artificiali con la spensieratezza di un bambino di dieci anni, ma Veer era parso di tutt'altro parere, irrigidito fin nelle viscere le aveva chiesto di farlo uscire, subito, perché non era un gioco quello in cui Bastian si era immerso. Suo figlio aveva tentato di avvicinarsi per tendere una mano all'amico, invitandolo ad andare a nascondersi altrove, che tanto non l'avrebbe comunque trovato se avesse contato fino a trenta invece che a venti, ma Veer gli aveva bloccato il gesto appena prima che superasse lo stipite della porta, scuotendo la testa ed obbligando Vissia a farsi avanti, convinto che lei avrebbe sortito il medesimo effetto di suo fratello su quel luogo: nullo. Si era sbagliato, tremendamente sbagliato, rimuginò la ragazza, scrutando l'oscurità attorno a sé che sì, la nascondeva, in parte confortandola, ma permetteva al suo interno a qualunque altra cosa o persona di annidarsi senza che lei potesse saperlo. Non sapeva dove fosse, come avesse fatto a giungervi né tantomeno riusciva a spiegarsi il motivo del perché fosse sola, dopotutto erano stati in quattro ad essere partecipi della sua sorte. Tentò di levarsi in piedi, il corpo indolenzito, stremato da uno sforzo che non pensava d'aver compiuto e tornò in terra, con le ginocchia nel fango molle, quando realizzò di essere fisicamente allo stremo. L'aria che la circondava era tesa e carica di un sapore acre, la invitava a rimanere vigile e a non abbandonarsi alle lusinghe di un paesaggio apparentemente a riposo, anche la sua ragione esortava a fare lo stesso seppur tentennasse nell'immagine di un sonno ristoratore. Avrebbe voluto urlare per chiedere aiuto, ma la voce le moriva in gola, le corde vocali lacerate dalla paura di chi le avrebbe prestato soccorso. Se solo al suo fianco ci fosse stato Bastian sarebbe stata capace di trovare le forze per non arrendersi allo sconforto e continuare a lottare nella speranza di una soluzione, ma lui non era lì, come Veer e Arian, era sola. Totalmente sola in mezzo ad un nulla sconosciuto e minaccioso. Tremò, nonostante il freddo fosse sopportabile, e le prime lacrime le solcarono gli zigomi sporchi di terra, gettandola in un oscuro oblio di rassegnata disperazione. Dapprima tentò di sorreggere il peso del pianto, nell'ultimo tentativo di non farsi schiacciare, ma più i minuti scorrevano come un fiume papabile davanti i suoi occhi, più si sentiva persa e più desiderava essere soffocata dai suoi stessi lamenti. Lamenti che crescevano in suono proporzionalmente all'amara consapevolezza che si stava facendo strada sotto la pelle di Vissia: non sarebbe arrivato nessuno a salvarla. Fu sul nascere di un'ondata di panico che giunse qualcuno alle sue spalle a coprirle delicatamente la bocca
« Come ti ho trovata io, molti altri possono averlo fatto e credimi sulla parola, non vuoi sapere chi essi possano essere. » fu Veer a sussurrarle all'orecchio, la sua voce ridotta ad un sibilo e le mani impercettibilmente scosse da un sentimento che alla ragazza rimase appena celato. Annuì e si voltò per abbracciarlo, ma lui frenò il suo entusiasmo, accovacciandosi a terra abbastanza da scomparire tra l'altezza sinuosa dell'erba e portando Vissia con lui.
« Non fare movimenti repentini. » l'ammonì, perlustrando le vicinanze con occhio attento e tenendole ancora la mano poggiata sulla spalla affinché non si sporgesse troppo dal pelo del mare verde. Le disse di avanzare, lenta e costante, con movimenti sufficientemente fluidi da permettere anche ad un osservatore vicino di credere che in mezzo agli steli non stessero realmente strascicando i propri corpi due persone.
« Dove siamo? » Vissia tentò di ricavare qualche informazione prima di muoversi, ora che le sue paure erano state confermate dall'atteggiamento guardingo e nervoso di Veer, non le mancava altro che dare un nome alla fonte da cui provenivano. Le rispose solo dopo i primi metri percorsi, la voce in un affanno mentale più che fisico « Mi dispiace. » ed il cuore della ragazza perse qualche battito, non perché lui non sembrasse affatto il genere di uomo che si abbassa a domandare perdono di un proprio presunto errore, piuttosto perché quelle parole celavano, come una porta sbarrata, ciò che vi stesse dietro, quasi avesse voluto aggiungere 'Mi dispiace, se non ce la faremo'. Arrancarono attraverso il terreno umido e viscido in fila, silenziosi abbastanza da percepire l'uno le preghiere velate dell'altro, ma nessuno ebbe coraggio sufficiente per domandarsi se almeno uno dei due credesse veramente in ciò che stesse dicendo. Il tempo si dilatava e a Vissia pareva non finisse mai quell'immensa distesa di prato, avrebbe volentieri chiesto quanto ancora mancasse ma le scuse di Veer le facevano eco nella testa, minacciandola di rimanere zitta. Alzò lo sguardo del minimo necessario per osservare dove fossero diretti e vide appropinquarsi sinistra una foresta ed intorno ad essa, sospesa a mezz'aria, aleggiare una coltre di nebbia dal macabro colore bianco sporco. Si arrestò ed afferrò con la mano una caviglia di Veer, il quale si girò immediatamente, il volto tirato in una smorfia di paura « Hai visto qualcosa? » la ragazza rispose di no ed il volto di lui riacquistò colorito. Cosa le nascondeva? Dov'erano? Chi doveva seguirli? Le sue scuse non avevano sostanzialmente apportato alcun contributo nella ricerca di una risposta e lei rimaneva brancolante in una coltre di questioni.
« Dobbiamo proprio immergerci là dentro? » bisbigliò, scoprendosi perfettamente pronta ad accettare di rimanere nel fango anche per tutta la vita piuttosto che farsi avvolgere da quell'ambiente spettrale. Veer accennò una risposta muovendo solo le labbra, che lei non riuscì a carpire. Quando furono sufficientemente vicini Vissia scorse un'ombra attenderli sul ciglio della macchia di alberi e sperò egoisticamente in cuor suo che non fosse Bastian, non avrebbe sopportato di vederlo in una situazione simile, a rischiare la propria incolumità ad appena dieci anni. Fu invece Arian, il figlio di Veer, a porgerle una mano per alzarsi, delicato come un fiore l'aiutò anche a pulirsi gran parte del terriccio rimasto attaccato ai vestiti.
« Rimanete qui. » ordinò Veer « Devo ricordare come si esce una volta entrati. »
« Sei già stato in questo posto? » la ragazza sembrò sinceramente incredula che qualcuno avesse mai solcato un simile terreno inospitale.
« E' parte del mio mondo. » alzò le spalle, incurante di cosa gli avrebbe detto in risposta e si mosse per inoltrarsi nel fitto della vegetazione. Se non fosse stato per un gridolino inorridito del figlio, sarebbero rimasti lì da soli, lei e Arian, come due stranieri in una città troppo grande e nessuna indicazione a soccorrerli. Vissia sciolse a fatica il nodo in gola che le si era creato al pensiero e si girò ad osservare il motivo della reazione del bambino. Si aspettava qualunque genere di essere vivente, bestia o uomo che fosse, già in testa aveva prefigurato quel momento ed il modo con cui vi avrebbe interagito per non doverlo fare su due piedi e prendere la decisione peggiore solo a causa dell'agitazione, ma non si era preparata certo ad una corsa estenuante per fuggire da quel qualcosa. Del come avrebbero fatto a raggiungerli non aveva fatto i conti, dopotutto. Aveva dato per scontato che la notte li avrebbe fatti materializzare davanti a loro, proprio come aveva fatto con Veer, ed invece i loro inseguitori erano lontani, visibili solo grazie alle luci rossastre che dovevano star tenendo in mano. Luci? Vissia aveva scartato l'ipotesi che si trattasse di occhi più per paura di cosa ci fosse oltre quegli stessi che non per un ragionamento coerente. Dovette però ammettere che la sua ipotesi non filava, le luci erano a due a due ravvicinate come se realmente fossero iridi incandescenti e poi alcune erano più in alto, altre più in basso, quasi qualcuno si trovasse sopra a qualcos'altro.
« Dobbiamo muoverci. Adesso! » Veer incitò gli altri e se stesso a trovare la forza fisica per iniziare una fuga a perdifiato, la tensione che ormai aveva raggiunto il culmine li graziò della momentanea adrenalina che permise a tutt'e tre di cominciare a correre, seppur esausti, in mezzo alla foresta. I piedi ben presto iniziarono a sprofondare nella terra molle di una selva acquitrinosa, più simile ad una palude, rendendo l'avanzamento lento ed estenuante. Veer rimaneva volontariamente poco più indietro del gruppo, esortandolo a non voltarsi per nessun motivo, ma lui stesso periodicamente girava la testa per amaramente realizzare che li avrebbero raggiunti, stavano procedendo con un'andatura sostenuta, era evidente dallo sforzo che i suoi muscoli stavano compiendo per non cedere, ma non riusciva comunque a contrastare l'incedere brutale dei Cani Neri. Mancava assai poco prima che le urla degli uomini ed il ringhio dei cani iniziasse a manifestarsi non solo nella propria mente, lo sapeva, gli era evidente, cristallino come le sacre acque dell'Almabyra, e a chi sarebbe importato quale ruolo lui avesse avuto prima di fuggire? A nessuno avrebbero fatto paura le minacce di un sovrano scappato dal proprio ruolo. Si chinò per immergere una mano in una pozza di acqua melmosa, alla ricerca del fondo, ed un'altra la mosse nel tentativo di trovare un qualunque oggetto adatto ad incidere. Trovò un ramo, secco e malridotto, si sarebbe spezzato se non avesse fatto attenzione, lo immerse anch'esso, poggiando la punta sul dorso della propria mano già bagnata e spinse con le ultime forze rimastegli. Non era certo di cosa stesse facendo, se mai avesse potuto funzionare, ma doveva tentare lo stesso. Perdere tentandoci. Vissia e Arian si accorsero quasi subito dell'arresto di Veer e lo raggiunsero, implorandolo di alzarsi e proseguire, inconsapevoli dell'importanza del suo gesto, ma ormai lui si era estraniato dalla realtà e percepiva solo lontanamente le loro voci rotte dal pianto e le suppliche che tanto insistentemente stavano muovendo. Qualche goccia del suo sangue si era affacciata alla superficie della pozza marrone quando mollò la presa del ramo e riprese coscienza, la mente stremata dalla fatica di congiungersi con Brea ma il volto non più tirato in una smorfia, bensì, pensò Vissia, beatamente rilassato. Cos'era appena successo? Che senso aveva farlo? Altre domande si accodarono assieme alle restanti migliaia senza risposta.
« Dobbiamo muoverci! Stanno a-a...» le parole le morirono sul pelo delle labbra: non c'erano più i puntini rossi alle loro spalle. La ragazza si strizzò gli occhi incredula e constatò che per davvero non c'era più nessuno alle loro calcagna, poi rivolse gli occhi a Veer ed infine ad Arian, che pareva tanto spaesato quanto lei.
« Siamo al sicuro. » sentenziò, levando lo sguardo al cielo nell'esatto istante in cui un'ombra più nera della notte stessa passò a pochi metri dalle loro teste, muovendo i lunghi capelli di Veer in un turbinio e scompigliando quelli piuttosto corti e già arruffati di Vissia e Arian
« Andiamo. » tornò eretto, rimanendo ad ammirare l'alone di splendore che l'animale aveva lasciato, volando sopra di loro con una grazia ineccepibile, finché non scomparve del tutto. Solo allora riprese a camminare, tremando fin dentro le ossa per la mancanza di forze. Il figlio si mosse anch'egli, stringendogli la mano ed unendosi al suo fianco nel ritorno sui propri passi ma la ragazza rimase impietrita, incapace persino di respirare.
« Che cos'era quello? » chiese stridula, con un tono che non ammetteva di essere ignorato. Veer le rispose solo dopo che anche lei si decise a raggiungerli
« Un Drago. Il mio Drago. »
   
 
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