Gwen
Avevo appena
finito di dire per la quindicesima volta a mia madre che stavo bene e
che non
mi interessava nemmeno più se Jessie mi aveva tradito con
un’altra, quando il
suono del campanello mi interruppe, facendomi saltare immediatamente il
cuore
in gola.
«Chi può
essere?» Chiese lei, guardandomi con aria interrogativa.
In realtà Matt
non mi aveva più fatto sapere nulla, quindi non era detto
che fosse lui. Ci
eravamo salutati dopo aver portato a casa Lola e non ci eravamo
più sentiti, mi
aveva lasciata così, in uno stato di euforia mista ad ansia
che non riuscivo
più a sopportare. Da una parte desideravo con tutta me
stessa che avesse deciso
di venire, avevo voglia di tastare un po’ il terreno, vedere
cosa sarebbe
potuto succedere; dall’altra, una paura tremenda di star
facendo l’errore più
grande della mia vita – e forse era anche per quello che
avevo deciso di non
scrivergli per sapere cosa aveva deciso di fare. In quel momento, mi
sentivo
come una ragazzina al primo appuntamento con la sua prima vera cotta, a
cui è
morta dietro per troppo tempo e che crede essere l’uomo della
sua vita… ed in
effetti era proprio così.
«Non so.»
Risposi a mia madre, mentendo. «Apri tu?» La
guardai con espressione
implorante.
Così, mentre lei si avviava alla porta per vedere chi fosse,
feci in tempo a
correre un attimo in bagno al piano di sopra per controllare che la mia
faccia
avesse un aspetto più o meno decente, mi diedi
così una sistemata ai capelli e,
proprio mentre stavo per tornare giù, sentii la sua voce.
Era venuto da
me, nonostante quella strana indecisione di prima. Era lì,
proprio come ai
vecchi tempi, ed io, esattamente come tre anni prima quando veniva da
me, avevo
il cuore che pompava ansia ed emozione a circa mille battiti al minuto.
«Tu sei sempre
stata di parte, Diane. Non vale.» Lo sentii ridacchiare,
mentre mia madre lo
conduceva dentro casa.
Probabilmente
mia madre gli aveva appena fatto un complimento. Era un bel
po’ di tempo che
non lo vedeva. Da quando mi ero messa con Jessie, Matt non era
più venuto così
spesso a casa nostra, solo qualche volta, per qualche cena in compagnia
con
amici, ai miei compleanni, a salutare a Natale e quella fatidica notte
in cui
avevo deciso di rimanere fedele al mio fidanzato e dire no a tutto
ciò che
avevo desiderato per anni. C’era stato Jessie in casa mia,
per tutto quel
tempo, era stato lui a passare le serate con me, a mangiare e dormire
qui, ad
aiutare con qualche lavoretto e a cui sia mia madre che mia sorella si
erano
affezionate. Matt c’era stato prima, anche se, ovviamente, in
un modo diverso.
Eravamo cresciuti praticamente insieme e mia mamma per molto tempo
l’aveva considerato
come un terzo figlio, poi, però, le nostre strade si erano
– diciamo -
separate: lui aveva iniziato ad andare male a scuola (non
perché fosse stupido,
semplicemente perché non aveva voglia di studiare) e, a
causa della malattia di
suo padre, spesso si assentava, e forse fu proprio per quella ragione
che venne
graziato e fatto diplomare. Era capitato anche che uscisse con gente
poco
raccomandabile a fare cose poco legali, mentre, intanto, la lista di
quelle che
si portava a letto aumentava sempre di più. Solo negli
ultimi anni, sembrava
aver regolarizzato un po’ il suo modo di vivere, si era
trovato un lavoro e
aveva ripreso ad uscire con i suoi vecchi amici, anche se io
– tra un pianto, una
delusione e una crisi di gelosia – e Dom c’eravamo
sempre stati, in una maniera
o nell’altra. Io, invece, avevo cercato di concentrarmi sullo
studio e la vita
da cosiddetta “brava ragazza”, mentre lui aveva
lasciato che, ogni giorno di
più, aumentasse la sua fama di ragazzaccio: amato dalle
figlie, disprezzato
dalle madri. Anche la mia, nonostante l’avesse sempre trovato
un ragazzo
intelligente, con la testa sulle spalle e anche bellissimo, in quel
periodo e pure
ultimamente, non era per niente felice che facesse ancora parte della
mia
cerchia di amici. Se solo avesse saputo che io volevo da lui qualcosa
di più di
una semplice amicizia, non so cosa avrebbe fatto… Ma era
sempre stato così e
non avrei cambiato idea facilmente, perché Jessie era stato
solo una parentesi
in quella storia impossibile che era e sarebbe stata quella tra me e
Matt.
Iniziai a scendere le scale, anche se con calma, ero curiosa di sentire
come
avrebbero portato avanti la conversazione.
«Allora,
Matthew? Come stai? E Valerie? Ogni tanto la vedo in paese e ci
fermiamo a
chiacchierare.» Disse mia mamma, mentre lo faceva accomodare
sul divano.
«Io me la cavo,
mia madre anche. Sono passato prima e l’ho trovata
bene.» Rispose lui,
sedendosi in un angolo del sofà.
Io li guardavo dalle scale senza farmi notare e non riuscivo a capire
chi dei
due fosse più imbarazzato. Era strano vederli
così e pensare al rapporto che
c’era una volta.
«Ne sono felice.» Commentò poi lei e lui
le sorrise educatamente.
«Qui come ve la passate?»
«Piuttosto
bene, direi. Come saprai sicuramente, Gwen si laurea fra poco, mentre
Nina da
quando lavora in città la vedo un po’ meno, ma
sono comunque contenta per lei.»
Rispose mia madre piena d’orgoglio.
«Gwen!» Chiamò subito dopo.
Presi un
respiro e scesi gli ultimi gradini.
«Sono qui.»
Dissi, palesandomi in salotto.
Matt si alzò
subito dal divano e si voltò verso di me. Una volta
incrociato il mio sguardo,
uno di quei suoi sorrisi perfetti e magnetici si disegnò sul
suo viso ed io
persi un battito. Pensai a quanto avrei voluto baciarlo, quel sorriso.
Mi
sarebbe piaciuto farlo subito, senza riflettere più. Se
fosse stato tutto così
facile…
«Ehi» Mi fece
lui, accennando un movimento del capo nella mia direzione.
«Ciao» Risposi
io, lasciando tradire la mia voce da una nota di emozione.
Mia madre mi
guardava con aria interrogativa, ma io feci finta di nulla,
così fece da sola e
chiese a Matt cosa lo aveva portato lì. Una volta non
l’avrebbe mai fatto.
«Oh, è che Gwen
mi aveva chiesto di guardare un film insieme. Ho pensato che sarebbe
stata una
cosa carina e allora sono venuto.» Rispose lui, con
un’innocenza impressionante,
stringendosi nelle spalle. Sicuramente si era accorto del leggero astio
di mia
madre nei suoi confronti.
Era dolcissimo
e bellissimo, ed io non sapevo più come trattenermi. Nella
mia testa la
situazione stava degenerando un po’ troppo in fretta.
Mamma si limitò
a sorridergli e venne verso di me, mi afferrò per un braccio
e, mentre mi
trascinava in cucina, disse: «Vieni a prendere qualcosa da
offrire a Matthew.».
Lui rimase lì impalato, trattenendo una risata. Sapevo
già cosa mi aspettava.
«Perché l’hai
fatto venire qui?» Mi sibilò mentre apriva il
frigorifero per tirar fuori
qualche bibita.
«Mamma, non ha
la peste.» Le feci notare, prendendo un paio di bicchieri
dalla credenza.
«Stai già
rimpiazzando Jessie?» Domandò poi, sempre
sottovoce, sbattendo la bottiglia di
Coca Cola sul tavolo.
«Ma cosa stai
dicendo?» Le lanciai un’occhiata glaciale.
«Gwen. No.»
Continuò, in tono fermo.
«Ma Gwen no,
cosa?»
«Non fare
cazzate.»
«Ho invitato il
mio migliore amico da vent’anni a vedere un film.»
Cercai di chiarire. «Niente
di più, okay? Non mi sembra la fine del mondo.»
Lei scosse la
testa, mettendomi in mano un vassoio sul quale poggiò i due
bicchieri vuoti e
Coca.
«Non c’è
possibilità che tu e Jessie-» Iniziò a
dire, ma la interruppi subito emettendo
un specie di ringhio e me ne andai, lasciandola lì impalata
in preda alle sue
paranoie.
Avrei fatto quello che volevo, di certo non dovevo rendere conto a lei.
Come
poteva anche solo aver tentato di farmi una domanda del genere? Era al
corrente
del fatto che fosse stato lui ad andare con un’altra, che
aveva preso in giro sua figlia, ma
a quanto pareva non
sembrava essere un problema. Mentre il fatto che quel
“cattivone” di Matt fosse
lì, la infastidiva parecchio.
Raggiunsi Matt e gli feci segno di seguirmi al piano di sopra, lui mi
venne
dietro a ruota. Sparimmo così, finalmente, dalla vista di
quell’impicciona di
mia madre e ci chiudemmo in camera mia, anche se sapevo che poco dopo
sarebbe
dovuta uscire con uno con cui aveva iniziato a vedersi.
Lui scoppiò
subito in una risata, mentre io appoggiavo il vassoio sulla scrivania.
«Mi odia così
tanto?» Chiese, divertito.
«Non ti odia, è
solo preoccupata.» Cercai di farla sembrare meno tragica.
«Preoccupata
che ti porti sulla cattiva strada?» Disse, con un mezzo
sorriso.
«Credo di sì.»
Risposi, un po’ in imbarazzo per lei.
«Dai, non sono
più messo così male…»
Mi sentii in colpa per quello che mia madre pensava di lui.
«Lo so, lo so.»
Gli andai vicino e gli lasciai una carezza sul braccio.
«Poi tu sei già
una cattiva ragazza, non hai bisogno di me per diventarlo.»
Aggiunse,
ridacchiando.
«Cattivissima.»
Lo corressi e lui mi fece l’occhiolino.
Un attimo dopo
iniziò ad aggirarsi per la stanza guardandosi in giro. Diede
un’occhiata ai
libri che avevo sul comodino, ai mille appunti per l’ultimo
esame di filosofia,
ai pupazzi che tenevo sopra all’armadio– tra cui
sicuramente riconobbe
l’orsacchiotto che mi aveva regalato lui anni prima
–, ma si soffermò in
particolare sul collage di foto che avevo appeso alla parete sopra al
mio
letto. Ce n’erano alcune di quando ero piccola, un paio con
mio padre – di
prima che lui e mia madre si separassero –, molte con Lola,
una più grossa
delle altre dove ero abbracciata a Jessie – non avevo ancora
avuto il tempo di
toglierla – e due polaroid in cui ero insieme a lui. Nella
più vecchia avremmo
avuto circa dieci anni, eravamo alla recita di Natale; per la prima
volta ero
stata scelta io per fare la protagonista ed ero agitatissima. Quella
foto era
stata scattata da mio padre proprio quando Matt mi aveva preso la mano
poco
prima della mia entrata in scena. I suoi capelli corvini contrastavano
i miei
biondissimi, mentre mi rivolgeva un sorriso incoraggiante.
L’altra, scattata da Lola, era della festa del mio
diciannovesimo compleanno.
C’ero io, con la schiena contro il muro della cucina e lui
proprio di fronte a
me, con il gomito appoggiato allo stipite della porta, che mi parlava a
pochi
centimetri dal viso. Osservando quella foto, solo io riuscivo veramente
a
capire come lo stavo guardando in quel momento. Non ricordavo nemmeno
cosa mi
stesse dicendo, perché l’unica cosa su cui ero
davvero concentrata erano le sue
labbra, che speravo di riuscire ad attirare verso le mie forse con -
probabilmente - la sola
forza del
pensiero. Ovviamente, non ci riuscii e lui quella sera finì
a letto con Alexis,
una nostra ex compagna. Io passai la notte a piangere a casa di Lola.
Patetica.
«Com’eri
carina.» Commentò, sfiorando la polaroid
più vecchia ed io mi emozionai senza
nemmeno un vero motivo.
«Anche tu non
eri male vestito da elfo.» Ridacchiai, poco dopo e lui con me.
Poi guardò
anche l’altra e lo vidi sorridere.
«Chissà che
stronzata ti stavo dicendo...» Disse.
«Probabilmente ero anche sbronzo.»
«Ah, sbronzo sicuramente.» Risi.
«Quel vestitino
nero ti stava da dio, come ho fatto a non saltarti addosso?»
Chiese, d’un
tratto, lasciandomi impietrita e con il cuore in gola.
Notai che si morse il labbro e poi scosse la testa. Commento sbagliato?
Io,
intanto, cercai di riprendermi e sembrare il più sicura di
me possibile. Pensai
che avrei presto avuto bisogno di alcol per affrontare quella serata,
altro che
Coca Cola.
«Sinceramente
non lo so.» Gli risposi poi, alzando un sopracciglio ed
evitando di dirgli che
era esattamente quello che avevo sperato ardentemente quella sera.
«Vedi? Sono un
bravo ragazzo e nessuno lo capisce.» Disse, facendo finta di
lamentarsi.
«Povero ometto
incompreso…»
Lui mi sorrise
e si sedette sul letto. Entrambi rimanemmo un attimo in silenzio per
ascoltare
i rumori provenienti dal piano di sotto, mia mamma doveva aver appena
chiuso la
porta. Finalmente se n’era andata.
«Allora? Cosa
guardiamo?» Domandò poi, mentre si toglieva le
scarpe.
«Non so,
proposte?» Dissi, quando, in realtà, tutto quello
che avrei voluto guardare era
solo lui.
«Batman?»
«Scherzi?»
«Assolutamente
no.»
«Ma sono due
ore e mezza di film…» Feci, lamentosa.
«E dai!» Cercò
di convincermi lui.
«Dovrò
ubriacarmi allora.» Sospirai.
Quasi tre ore
dopo ci ritrovammo sdraiati sul tappeto in camera mia a ridere. Due
birre vuote
e una bottiglia di gin a metà e le mie inibizioni stavano
già
andando a farsi
benedire.
«E poi ti
ricordi di quella volta che siamo andati in gita e siamo finiti in
quell’hotel
dove si mangiavano solo carote? Pasta con le carote, minestra con le
carote,
carote con le carote, carote senza carote. Me le hanno fatte odiare,
cazzo!»
Disse Matt per poi scoppiare in un’altra risata.
«Me l’ero
dimenticato, ci credi? Maledette carote!» Risposi, divertita.
Ed eravamo lì, vicini.
Troppo vicini. La mia testa appoggiata sul suo braccio e le gambe
attorcigliate. Mi concentrai per un attimo, l’alcol in corpo
mi faceva sembrare
tutto perfetto, ma comunque riuscii solo a pensare che
l’incavo del suo braccio
fosse stato concepito con quella precisa struttura perché io
potessi
appoggiarci la testa e capire che quello era il mio posto nel mondo. Il
suo
profumo mi inebriava la mente.
Rimanemmo in
silenzio per un po’ e mi venne in mente quella sera anni
prima, quando eravamo finiti
sdraiati sul tappeto a raccontarci stronzate, proprio come in quel
momento, e
avevo sentito che mi desiderava esattamente come io avevo fatto
con lui
per tutti quegli anni.
E io lo volevo ancora, forse più di prima. Me lo dicevano le
farfalle nello
stomaco, me lo diceva il batticuore e quel potentissimo impulso di
baciarlo che
stavo cercando di trattenere.
Mi voltai verso
di lui appoggiando il mento contro il dorso della mano e gli puntai gli
occhi
addosso. I suoi, azzurri, brillavano nella penombra, la luce delle
lampade
disegnava gli spigoli del suo viso, un sorriso così perfetto
e seducente che mi
balzò in testa come un lampo il pensiero di tutte le altre
“lei” c’erano state
prima di me e mi fece male. Ma non mi passò la voglia di
continuare quello che
avevo iniziato.
«E ti ricordi
quella sera che stavi per baciarmi?» Sussurrai, con cautela,
vicino al suo
viso.
Lo vidi
deglutire e poi portarsi una mano sugli occhi.
«Oh, Gwen.»
Disse, con una risatina imbarazzata. «Ma cosa ti viene in
mente?»
Era stupendo ed
io ero sempre più convinta di volerlo. In ogni senso.
Risi anche io per un attimo, ma poi tornai subito seria e lo guardai
così
intensamente che lo convinsi a voltarsi verso di me e finalmente a
reggere il
mio sguardo.
«Allora? Ti ricordi?»
«Mi ricordo.» Mormorò.
Silenzio.
«Pensavo che fossi tu a non ricordartene.»
Aggiunse, poco dopo.
Gli sorrisi. Se
solo avesse saputo quante cose mi ricordavo..., cose che lui neanche
poteva
immaginare.
«Invece sì.» Mi
avvicinai pericolosamente a lui e gli presi la mano per poi portarmela
sul
fianco.
Lo vidi
irrigidirsi e la cosa mi fece sorridere: sembravo io ad avere la
situazione in
mano, per una volta. Mi guardò negli occhi con
l’espressione di qualcuno che
non capisce cosa sta succedendo e socchiuse le labbra come per prendere
un
respiro. Sembrava spaventato e io, giuro, non avevo mai visto Matthew
Bellamy
intimorito da una ragazza. Mi sentii potente, in un certo senso.
Le mie labbra
erano sempre più vicine alle sue, ma lui non mi fermava e
non sembrava nemmeno intenzionato
a farlo e questo mi convinse a non lasciar perdere tutto. Nonostante
avessi il
cuore in gola, ma anche un bel po’ di alcol nelle vene, stavo
per fare quello
che avrei dovuto fare anni e anni prima.
D’un tratto,
però, lui scosse quasi impercettibilmente la testa e mi
guardò come a dire
“cosa stai facendo?”, così io mi bloccai
per un attimo. Ed ecco che la mia
parte razionale stava riaffiorando troppo in fretta: e se stessi
sbagliando?, balenò
nella mia mente. Ma quasi non feci in tempo a pensarlo che sentii la
mano di
Matt
dietro alla nuca tirarmi verso di lui, lo guardai negli occhi
un’ultima volta e
poi mi lasciai andare. Lo baciai, proprio come avevo sognato di fare
tante
altre volte. Lo baciai mettendoci dentro anni di baci onirici,
così a lungo da
restare a corto di respiro. E lui baciava così bene che la
pelle d'oca sulle
mie braccia mi pungeva in modo fastidioso. Sentii una scarica elettrica
nella
schiena, fino alla base e la sua mano scendere dalla nuca fino al mio
collo. Mi
accarezzò la guancia con il pollice e sentii la sua lingua
farsi strada tra le
mie labbra, le dischiusi e mi feci trascinare da quel bacio che
di casto
e puro non aveva proprio nulla. Cercai, però, di mantenere
il controllo, perché sentivo di
desiderarlo troppo e non
volevo lasciarmi trascinare dalla frenesia di averlo per me - in ogni
senso – subito.
Così, a fatica, mi allontanai e sollevai gli occhi nei suoi.
L’azzurro mi invase
e un sorriso bellissimo mi fece perdere la testa un’altra
volta e lo baciai di
nuovo.
E poi ancora.
E ancora.
Ciao a tutte!
Questa settimana siamo a quota due capitoli, mi sento ispirata. Spero vi sia piaciuto, finalmente siamo arrivati al primo bacio e no, non è un sogno della povera Gwen XD
Come sempre, ringrazio tutti, chi legge, chi preferisce (siete sempre di più) e ricorda, ma ancora di più chi mi perde un po' di tempo per farmi sapere cosa ne pensa. Grazie a tutti.
Al prossimo,
Baci.