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Autore: Lady Of The Flowers    16/09/2016    2 recensioni
Un gruppo di amici in vacanza insieme al mare e un amore (quasi) impossibile.
Matthew Bellamy è il tipico ragazzo che non ama legarsi, cinico e orgoglioso; Gwen Morrissey, la sua migliore amica da una vita. Qualcosa presto cambierà il loro rapporto.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Gwen


Avevo appena finito di dire per la quindicesima volta a mia madre che stavo bene e che non mi interessava nemmeno più se Jessie mi aveva tradito con un’altra, quando il suono del campanello mi interruppe, facendomi saltare immediatamente il cuore in gola.
«Chi può essere?» Chiese lei, guardandomi con aria interrogativa.
In realtà Matt non mi aveva più fatto sapere nulla, quindi non era detto che fosse lui. Ci eravamo salutati dopo aver portato a casa Lola e non ci eravamo più sentiti, mi aveva lasciata così, in uno stato di euforia mista ad ansia che non riuscivo più a sopportare. Da una parte desideravo con tutta me stessa che avesse deciso di venire, avevo voglia di tastare un po’ il terreno, vedere cosa sarebbe potuto succedere; dall’altra, una paura tremenda di star facendo l’errore più grande della mia vita – e forse era anche per quello che avevo deciso di non scrivergli per sapere cosa aveva deciso di fare. In quel momento, mi sentivo come una ragazzina al primo appuntamento con la sua prima vera cotta, a cui è morta dietro per troppo tempo e che crede essere l’uomo della sua vita… ed in effetti era proprio così.
«Non so.» Risposi a mia madre, mentendo. «Apri tu?» La guardai con espressione implorante.
Così, mentre lei si avviava alla porta per vedere chi fosse, feci in tempo a correre un attimo in bagno al piano di sopra per controllare che la mia faccia avesse un aspetto più o meno decente, mi diedi così una sistemata ai capelli e, proprio mentre stavo per tornare giù, sentii la sua voce.
Era venuto da me, nonostante quella strana indecisione di prima. Era lì, proprio come ai vecchi tempi, ed io, esattamente come tre anni prima quando veniva da me, avevo il cuore che pompava ansia ed emozione a circa mille battiti al minuto.
«Tu sei sempre stata di parte, Diane. Non vale.» Lo sentii ridacchiare, mentre mia madre lo conduceva dentro casa.
Probabilmente mia madre gli aveva appena fatto un complimento. Era un bel po’ di tempo che non lo vedeva. Da quando mi ero messa con Jessie, Matt non era più venuto così spesso a casa nostra, solo qualche volta, per qualche cena in compagnia con amici, ai miei compleanni, a salutare a Natale e quella fatidica notte in cui avevo deciso di rimanere fedele al mio fidanzato e dire no a tutto ciò che avevo desiderato per anni. C’era stato Jessie in casa mia, per tutto quel tempo, era stato lui a passare le serate con me, a mangiare e dormire qui, ad aiutare con qualche lavoretto e a cui sia mia madre che mia sorella si erano affezionate. Matt c’era stato prima, anche se, ovviamente, in un modo diverso. Eravamo cresciuti praticamente insieme e mia mamma per molto tempo l’aveva considerato come un terzo figlio, poi, però, le nostre strade si erano – diciamo - separate: lui aveva iniziato ad andare male a scuola (non perché fosse stupido, semplicemente perché non aveva voglia di studiare) e, a causa della malattia di suo padre, spesso si assentava, e forse fu proprio per quella ragione che venne graziato e fatto diplomare. Era capitato anche che uscisse con gente poco raccomandabile a fare cose poco legali, mentre, intanto, la lista di quelle che si portava a letto aumentava sempre di più. Solo negli ultimi anni, sembrava aver regolarizzato un po’ il suo modo di vivere, si era trovato un lavoro e aveva ripreso ad uscire con i suoi vecchi amici, anche se io – tra un pianto, una delusione e una crisi di gelosia – e Dom c’eravamo sempre stati, in una maniera o nell’altra. Io, invece, avevo cercato di concentrarmi sullo studio e la vita da cosiddetta “brava ragazza”, mentre lui aveva lasciato che, ogni giorno di più, aumentasse la sua fama di ragazzaccio: amato dalle figlie, disprezzato dalle madri. Anche la mia, nonostante l’avesse sempre trovato un ragazzo intelligente, con la testa sulle spalle e anche bellissimo, in quel periodo e pure ultimamente, non era per niente felice che facesse ancora parte della mia cerchia di amici. Se solo avesse saputo che io volevo da lui qualcosa di più di una semplice amicizia, non so cosa avrebbe fatto… Ma era sempre stato così e non avrei cambiato idea facilmente, perché Jessie era stato solo una parentesi in quella storia impossibile che era e sarebbe stata quella tra me e Matt.
Iniziai a scendere le scale, anche se con calma, ero curiosa di sentire come avrebbero portato avanti la conversazione.
«Allora, Matthew? Come stai? E Valerie? Ogni tanto la vedo in paese e ci fermiamo a chiacchierare.» Disse mia mamma, mentre lo faceva accomodare sul divano.
«Io me la cavo, mia madre anche. Sono passato prima e l’ho trovata bene.» Rispose lui, sedendosi in un angolo del sofà.
Io li guardavo dalle scale senza farmi notare e non riuscivo a capire chi dei due fosse più imbarazzato. Era strano vederli così e pensare al rapporto che c’era una volta.
«Ne sono felice.» Commentò poi lei e lui le sorrise educatamente.
«Qui come ve la passate?»
«Piuttosto bene, direi. Come saprai sicuramente, Gwen si laurea fra poco, mentre Nina da quando lavora in città la vedo un po’ meno, ma sono comunque contenta per lei.» Rispose mia madre piena d’orgoglio. «Gwen!» Chiamò subito dopo.
Presi un respiro e scesi gli ultimi gradini.
«Sono qui.» Dissi, palesandomi in salotto.
Matt si alzò subito dal divano e si voltò verso di me. Una volta incrociato il mio sguardo, uno di quei suoi sorrisi perfetti e magnetici si disegnò sul suo viso ed io persi un battito. Pensai a quanto avrei voluto baciarlo, quel sorriso. Mi sarebbe piaciuto farlo subito, senza riflettere più. Se fosse stato tutto così facile…
«Ehi» Mi fece lui, accennando un movimento del capo nella mia direzione.
«Ciao» Risposi io, lasciando tradire la mia voce da una nota di emozione.
Mia madre mi guardava con aria interrogativa, ma io feci finta di nulla, così fece da sola e chiese a Matt cosa lo aveva portato lì. Una volta non l’avrebbe mai fatto.
«Oh, è che Gwen mi aveva chiesto di guardare un film insieme. Ho pensato che sarebbe stata una cosa carina e allora sono venuto.» Rispose lui, con un’innocenza impressionante, stringendosi nelle spalle. Sicuramente si era accorto del leggero astio di mia madre nei suoi confronti.
Era dolcissimo e bellissimo, ed io non sapevo più come trattenermi. Nella mia testa la situazione stava degenerando un po’ troppo in fretta.
Mamma si limitò a sorridergli e venne verso di me, mi afferrò per un braccio e, mentre mi trascinava in cucina, disse: «Vieni a prendere qualcosa da offrire a Matthew.». Lui rimase lì impalato, trattenendo una risata. Sapevo già cosa mi aspettava.
«Perché l’hai fatto venire qui?» Mi sibilò mentre apriva il frigorifero per tirar fuori qualche bibita.
«Mamma, non ha la peste.» Le feci notare, prendendo un paio di bicchieri dalla credenza.
«Stai già rimpiazzando Jessie?» Domandò poi, sempre sottovoce, sbattendo la bottiglia di Coca Cola sul tavolo.
«Ma cosa stai dicendo?» Le lanciai un’occhiata glaciale.
«Gwen. No.» Continuò, in tono fermo.
«Ma Gwen no, cosa?»
«Non fare cazzate.»
«Ho invitato il mio migliore amico da vent’anni a vedere un film.» Cercai di chiarire. «Niente di più, okay? Non mi sembra la fine del mondo.»
Lei scosse la testa, mettendomi in mano un vassoio sul quale poggiò i due bicchieri vuoti e Coca.
«Non c’è possibilità che tu e Jessie-» Iniziò a dire, ma la interruppi subito emettendo un specie di ringhio e me ne andai, lasciandola lì impalata in preda alle sue paranoie.
Avrei fatto quello che volevo, di certo non dovevo rendere conto a lei. Come poteva anche solo aver tentato di farmi una domanda del genere? Era al corrente del fatto che fosse stato lui ad andare con un’altra, che aveva preso in giro sua figlia, ma a quanto pareva non sembrava essere un problema. Mentre il fatto che quel “cattivone” di Matt fosse lì, la infastidiva parecchio.
Raggiunsi Matt e gli feci segno di seguirmi al piano di sopra, lui mi venne dietro a ruota. Sparimmo così, finalmente, dalla vista di quell’impicciona di mia madre e ci chiudemmo in camera mia, anche se sapevo che poco dopo sarebbe dovuta uscire con uno con cui aveva iniziato a vedersi.
Lui scoppiò subito in una risata, mentre io appoggiavo il vassoio sulla scrivania.
«Mi odia così tanto?» Chiese, divertito.
«Non ti odia, è solo preoccupata.» Cercai di farla sembrare meno tragica.
«Preoccupata che ti porti sulla cattiva strada?» Disse, con un mezzo sorriso.
«Credo di sì.» Risposi, un po’ in imbarazzo per lei.
«Dai, non sono più messo così male…»
Mi sentii in colpa per quello che mia madre pensava di lui.
«Lo so, lo so.» Gli andai vicino e gli lasciai una carezza sul braccio.
«Poi tu sei già una cattiva ragazza, non hai bisogno di me per diventarlo.» Aggiunse, ridacchiando.
«Cattivissima.» Lo corressi e lui mi fece l’occhiolino.
Un attimo dopo iniziò ad aggirarsi per la stanza guardandosi in giro. Diede un’occhiata ai libri che avevo sul comodino, ai mille appunti per l’ultimo esame di filosofia, ai pupazzi che tenevo sopra all’armadio– tra cui sicuramente riconobbe l’orsacchiotto che mi aveva regalato lui anni prima –, ma si soffermò in particolare sul collage di foto che avevo appeso alla parete sopra al mio letto. Ce n’erano alcune di quando ero piccola, un paio con mio padre – di prima che lui e mia madre si separassero –, molte con Lola, una più grossa delle altre dove ero abbracciata a Jessie – non avevo ancora avuto il tempo di toglierla – e due polaroid in cui ero insieme a lui. Nella più vecchia avremmo avuto circa dieci anni, eravamo alla recita di Natale; per la prima volta ero stata scelta io per fare la protagonista ed ero agitatissima. Quella foto era stata scattata da mio padre proprio quando Matt mi aveva preso la mano poco prima della mia entrata in scena. I suoi capelli corvini contrastavano i miei biondissimi, mentre mi rivolgeva un sorriso incoraggiante.
L’altra, scattata da Lola, era della festa del mio diciannovesimo compleanno. C’ero io, con la schiena contro il muro della cucina e lui proprio di fronte a me, con il gomito appoggiato allo stipite della porta, che mi parlava a pochi centimetri dal viso. Osservando quella foto, solo io riuscivo veramente a capire come lo stavo guardando in quel momento. Non ricordavo nemmeno cosa mi stesse dicendo, perché l’unica cosa su cui ero davvero concentrata erano le sue labbra, che speravo di riuscire ad attirare verso le mie forse con - probabilmente - la sola forza del pensiero. Ovviamente, non ci riuscii e lui quella sera finì a letto con Alexis, una nostra ex compagna. Io passai la notte a piangere a casa di Lola. Patetica.
«Com’eri carina.» Commentò, sfiorando la polaroid più vecchia ed io mi emozionai senza nemmeno un vero motivo.
«Anche tu non eri male vestito da elfo.» Ridacchiai, poco dopo e lui con me.
Poi guardò anche l’altra e lo vidi sorridere.
«Chissà che stronzata ti stavo dicendo...» Disse. «Probabilmente ero anche sbronzo.»
«Ah, sbronzo sicuramente.» Risi.
«Quel vestitino nero ti stava da dio, come ho fatto a non saltarti addosso?» Chiese, d’un tratto, lasciandomi impietrita e con il cuore in gola.
Notai che si morse il labbro e poi scosse la testa. Commento sbagliato? Io, intanto, cercai di riprendermi e sembrare il più sicura di me possibile. Pensai che avrei presto avuto bisogno di alcol per affrontare quella serata, altro che Coca Cola.
«Sinceramente non lo so.» Gli risposi poi, alzando un sopracciglio ed evitando di dirgli che era esattamente quello che avevo sperato ardentemente quella sera.
«Vedi? Sono un bravo ragazzo e nessuno lo capisce.» Disse, facendo finta di lamentarsi.
«Povero ometto incompreso…»
Lui mi sorrise e si sedette sul letto. Entrambi rimanemmo un attimo in silenzio per ascoltare i rumori provenienti dal piano di sotto, mia mamma doveva aver appena chiuso la porta. Finalmente se n’era andata.
«Allora? Cosa guardiamo?» Domandò poi, mentre si toglieva le scarpe.
«Non so, proposte?» Dissi, quando, in realtà, tutto quello che avrei voluto guardare era solo lui.
«Batman?»
«Scherzi?»
«Assolutamente no.»
«Ma sono due ore e mezza di film…» Feci, lamentosa.
«E dai!» Cercò di convincermi lui.
«Dovrò ubriacarmi allora.» Sospirai.

Quasi tre ore dopo ci ritrovammo sdraiati sul tappeto in camera mia a ridere. Due birre vuote e una bottiglia di gin a metà e le mie inibizioni stavano già andando a farsi benedire.
«E poi ti ricordi di quella volta che siamo andati in gita e siamo finiti in quell’hotel dove si mangiavano solo carote? Pasta con le carote, minestra con le carote, carote con le carote, carote senza carote. Me le hanno fatte odiare, cazzo!» Disse Matt per poi scoppiare in un’altra risata.
«Me l’ero dimenticato, ci credi? Maledette carote!» Risposi, divertita.
Ed eravamo lì, vicini. Troppo vicini. La mia testa appoggiata sul suo braccio e le gambe attorcigliate. Mi concentrai per un attimo, l’alcol in corpo mi faceva sembrare tutto perfetto, ma comunque riuscii solo a pensare che l’incavo del suo braccio fosse stato concepito con quella precisa struttura perché io potessi appoggiarci la testa e capire che quello era il mio posto nel mondo. Il suo profumo mi inebriava la mente.
Rimanemmo in silenzio per un po’ e mi venne in mente quella sera anni prima, quando eravamo finiti sdraiati sul tappeto a raccontarci stronzate, proprio come in quel momento, e avevo sentito che mi desiderava esattamente come io avevo fatto con lui per tutti quegli anni.
E io lo volevo ancora, forse più di prima. Me lo dicevano le farfalle nello stomaco, me lo diceva il batticuore e quel potentissimo impulso di baciarlo che stavo cercando di trattenere.
Mi voltai verso di lui appoggiando il mento contro il dorso della mano e gli puntai gli occhi addosso. I suoi, azzurri, brillavano nella penombra, la luce delle lampade disegnava gli spigoli del suo viso, un sorriso così perfetto e seducente che mi balzò in testa come un lampo il pensiero di tutte le altre “lei” c’erano state prima di me e mi fece male. Ma non mi passò la voglia di continuare quello che avevo iniziato.
«E ti ricordi quella sera che stavi per baciarmi?» Sussurrai, con cautela, vicino al suo viso.
Lo vidi deglutire e poi portarsi una mano sugli occhi.
«Oh, Gwen.» Disse, con una risatina imbarazzata. «Ma cosa ti viene in mente?»
Era stupendo ed io ero sempre più convinta di volerlo. In ogni senso.
Risi anche io per un attimo, ma poi tornai subito seria e lo guardai così intensamente che lo convinsi a voltarsi verso di me e finalmente a reggere il mio sguardo.
«Allora? Ti ricordi?»
«Mi ricordo.» Mormorò.
Silenzio.
«Pensavo che fossi tu a non ricordartene.» Aggiunse, poco dopo.
Gli sorrisi. Se solo avesse saputo quante cose mi ricordavo..., cose che lui neanche poteva immaginare.
«Invece sì.» Mi avvicinai pericolosamente a lui e gli presi la mano per poi portarmela sul fianco.
Lo vidi irrigidirsi e la cosa mi fece sorridere: sembravo io ad avere la situazione in mano, per una volta. Mi guardò negli occhi con l’espressione di qualcuno che non capisce cosa sta succedendo e socchiuse le labbra come per prendere un respiro. Sembrava spaventato e io, giuro, non avevo mai visto Matthew Bellamy intimorito da una ragazza. Mi sentii potente, in un certo senso.
Le mie labbra erano sempre più vicine alle sue, ma lui non mi fermava e non sembrava nemmeno intenzionato a farlo e questo mi convinse a non lasciar perdere tutto. Nonostante avessi il cuore in gola, ma anche un bel po’ di alcol nelle vene, stavo per fare quello che avrei dovuto fare anni e anni prima.
D’un tratto, però, lui scosse quasi impercettibilmente la testa e mi guardò come a dire “cosa stai facendo?”, così io mi bloccai per un attimo. Ed ecco che la mia parte razionale stava riaffiorando troppo in fretta: e se stessi sbagliando?, balenò nella mia mente. Ma quasi non feci in tempo a pensarlo che sentii la mano di Matt dietro alla nuca tirarmi verso di lui, lo guardai negli occhi un’ultima volta e poi mi lasciai andare. Lo baciai, proprio come avevo sognato di fare tante altre volte. Lo baciai mettendoci dentro anni di baci onirici, così a lungo da restare a corto di respiro. E lui baciava così bene che la pelle d'oca sulle mie braccia mi pungeva in modo fastidioso. Sentii una scarica elettrica nella schiena, fino alla base e la sua mano scendere dalla nuca fino al mio collo. Mi accarezzò la guancia con il pollice e sentii la sua lingua farsi strada tra le mie labbra, le dischiusi e mi feci trascinare da quel bacio che di casto e puro non aveva proprio nulla. Cercai, però, di mantenere il controllo, perché sentivo di desiderarlo troppo e non volevo lasciarmi trascinare dalla frenesia di averlo per me - in ogni senso – subito. Così, a fatica, mi allontanai e sollevai gli occhi nei suoi. L’azzurro mi invase e un sorriso bellissimo mi fece perdere la testa un’altra volta e lo baciai di nuovo.
E poi ancora.
E ancora.





Ciao a tutte!
Questa settimana siamo a quota due capitoli, mi sento ispirata. Spero vi sia piaciuto, finalmente siamo arrivati al primo bacio e no, non è un sogno della povera Gwen XD
Come sempre, ringrazio tutti, chi legge, chi preferisce (siete sempre di più) e ricorda, ma ancora di più chi mi perde un po' di tempo per farmi sapere cosa ne pensa. Grazie a tutti.
Al prossimo,
Baci.
   
 
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