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Autore: BeatrixLovett    20/09/2016    1 recensioni
Scabior la gettò a terra e Beatrix atterrò sulle ginocchia.
La ragazza alzò lentamente la testa per vedere colui che aveva davanti. I suoi occhi non avevano mai visto veramente il mondo, non si erano mai soffermati sullo splendore della natura o sulla bellezza di una persona. Quel naso non aveva mai gradito il profumo della dolcezza. Quelle labbra non si erano mai mosse in un sorriso amabile, in una risata di gioia o in un bacio. Il male era davanti a lei, fatto uomo.
Genere: Dark, Fantasy, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Draco Malfoy, Famiglia Lestrange, Famiglia Malfoy, Mangiamorte | Coppie: Bellatrix/Voldemort, Lucius/Narcissa
Note: Cross-over, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da V libro alternativo
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Capitolo 7

Sottomissione


 
Beatrix camminava lungo una stretta via di Diagon Alley. Era notte e la strada era poco illuminata.
Improvvisamente, sbucò davanti a lei un uomo. Era un vecchio dai capelli brizzolati che continuava a guardarsi nervosamente alle spalle, ma non sembrava accorgersi di lei.
«Buonasera, Signor Olivander»  lo salutò Beatrix, riconoscendolo.
L’anziano, come se nulla fosse, aprì una porta poco più avanti ed entrò. La ragazza lo seguì, sicura che fosse solo un sogno, non c’era nessun pericolo da temere.
Si ritrovò nel retrobottega del negozio di bacchette di Olivander. Gli scaffali contenevano centinaia di lunghe scatoline, disposte le une sulle altre, in perfetto ordine, raggruppate in base alle caratteristiche della bacchetta al loro interno.
«Olivander… »  sibilò una voce malvagia che proveniva dalla stanza accanto.
Beatrix si spostò sulla soglia della porta.
«Mi hai mentito… pensavo fossi stato chiaro …»
Un uomo, se così si poteva definire, si ergeva sopra il vecchio. Indossava un lungo mantello nero che lasciava scoperti testa, mani e piedi. Il volto era pallidissimo, scheletrico e calvo. Ricordava la testa di un serpente.
«Ho… ho detto la verità. Non… non so come possa essere successo…»  balbettò Olivander con un espressione di puro terrore dipinta sul volto rugoso.
«No? Evidentemente, sono stato troppo indulgente con te, vecchio… »  disse feroce Voldemort, mentre alzava la bacchetta.
Olivander urlò, alzò le mani, implorante, nel vano tentativo di proteggersi. «Forse c’è un altro modo! »  gridò, pallido come la morte «… può sembrare impossibile, ma… la bacchetta di Sambuco… non è una storia inventata, esiste… »  Voldemort fissava Olivander, malvagio e Beatrix provò una sensazione di assoluto gelo, come se quegli occhi spietati stessero guardando proprio lei.
«S-S-Ssilente!» riprese Olivander balbettando, «Quella bacchetta passa di mano in mano solo sconfiggendo il mago che la possiede.»  l’anziano aveva gli occhi profondamente segnati, rossi e sgranati, tremava da capo a piedi, ma continuò: «Albus Silente l’ha sottratta a Grindelwald che, a sua volta, l’aveva rubata a Gregorovich…»  spiegò con un solo fiato, «Posso assicurare che la bacchetta è ancora nelle mani di Silente…»
Voldemort mosse il braccio e il vecchio urlò dal dolore, piangendo.
«Questa è la tua ultima opportunità Olivander…»  sussurrò crudele Voldemort, «o pagherai per i tuoi errori… »
 
“Era solo un incubo” si ripeteva Beatrix.
Passò poco tempo e convinta che non sarebbe più riuscita a prendere sonno s’alzò, chiudendosi in bagno.
Accese la luce, perché non sopportava di restare al buio. Riempì la vasca da bagno di acqua calda e sapone e vi s’immerse, sperando di riuscire a lavare via tutte le sue preoccupazioni.
Inutile.
Erano passati tre giorni dall’assassinio del Preside. Circolavano voci… molti sospettavano che fosse stato Severus Piton. Oltre alla delusione, si sentiva colpevole. Lo scontro che aveva avuto con sua zia le aveva fatto capire che era davvero impotente, così schifosamente debole.
Ora cosa le restava?
Forse la soluzione migliore era scappare, fuggire da tutto quello schifo e non farsi trovare mai più. Senza coinvolgere nessuno. Senza più nessuna preoccupazione. Sola.
No. Non poteva scappare. Doveva rimanere, come tutti gli altri. Non era una vigliacca.
Si avvolse nei morbidi asciugamani verdi e iniziò ad asciugarsi i capelli, cercando di mantenersi occupata in modo da pensare il meno possibile.
Sprofondò nuovamente nella tristezza entrando in Sala Grande. Il clima di serenità e accoglienza che aleggiava nell’immenso salone era svanito. C’era un silenzio spettrale. Nessuno sorrideva. Il tavolo dei professori era avvolto nello stesso clima, solamente due persone sembravano entusiaste. Non ricordava di averli mai visti prima. Erano un uomo e una donna. Entrambi avevano lunghi capelli lisci, lei biondi legati in una treccia e lui neri sciolti fin sopra le scapole. Indossavano abiti scuri.
Tuttavia, non erano le sole due nuove presenze ad inquietare gli studenti, ma anche le due assenze. Le sedie di Hagrid il guardiacaccia e Charity Burbage l’insegnante di Babbanologia erano sparite.
In silenzio Beatrix cominciò a mangiare la sua colazione, diede un morso alla brioche, ma era insipida. Abbandonò il dolce per passare ad un sorso di caffè che era freddo. La ragazza ripose la tazza sul piattino, evidentemente doveva essere successo qualcosa anche agli elfi domestici della cucina.
Si sentì il rumore di una sedia che si spostava. La ragazza che era uscita dall’infermeria solo il giorno prima, alzò lo sguardo aspettandosi di vedere la McGrannitt in qualità di vicepreside, invece in piedi c’era Severus Piton. Gli studenti stavano in silenzio aspettando un qualche discorso rincuorante, come faceva il Professor Silente.
«In qualità di Preside di Hogwarts… » cominciò con la sua voce ferma e dura, «Sono costretto a mettervi al corrente di alcuni cambiamenti che di certo…miglioreranno le cose a Hogwarts…»  qualcuno cominciò a parlottare e Piton, accorgendosene, con un movimento della bacchetta li mise a tacere, «…come avrete già notato, Rubeus Hagrid e Charity Burbage si sono assentati… permanentemente…» fece una pausa e poi continuò, «…saranno sostituiti da due nuovi insegnanti di…difesa contro… le arti oscure. Amycus e Alecto Carrow…»
Tutti i presenti nella sala, tranne Piton e i due nominati, s’alzarono e cominciarono ad applaudire senza riuscire a smettere.
Severus alzò un sopracciglio e guardò di sbieco i fratelli Carrow. I due sorridevano divertiti nel godersi la scena.
Dopo qualche secondo la maledizione cessò e gli studenti, confusi, si risedettero.
«Saranno eliminate dal piano di studi le ore di babbanologia e cura delle creature magiche. Verranno invece aggiunte nuove ore di difesa contro le Arti Oscure…»  proclamò, scatenando grida di protesta che furono messe a tacere all’istante.
«Andate»  concluse Piton.
Ci fu una vera e propria ressa all’uscita, gli studenti cominciarono a spintonarsi per andarsene il prima possibile da quella stanza.
“Allora era questa la fine di Hogwarts?”
Pensava Beatrix prendendo la borsa e mettendosela a tracolla. Qualche giorno prima nessuno si sarebbe mai immaginato un tale orrendo destino per la scuola… tanto valeva andarsene sul serio.
Entrò nell’aula di trasfigurazione e si andò a sedere in un banco in seconda fila di lato. Erik le si sedette accanto. Era dalla notte di Halloween che non avevano più parlato ed immaginava che l’avrebbe tempestata di domande, invece Erik prese la pergamena appiattendola con le mani, poi prese la penna d’oca e rimase fermo così senza dire una parola.
Dopo qualche minuto entrò nell’aula la professoressa McGranitt, attraversò a passo svelto la stanza e, raggiunta la cattedra, si voltò verso gli studenti. Alle lezioni di Hogwarts partecipavano sempre due classi dello stesso anno, ma di diverse casate, quel giorno erano Serpeverde e Tassorosso. «Ci sono domande sulla scorsa lezione?»  chiese la McGrannitt, ma nessuno ne fece, «Bene, allora possiamo continuare… »  proclamò, mentre con un gesto della bacchetta chiuse la porta.
«L’animagus è il nome che viene attribuito ad un mago o ad una strega capaci di trasformarsi in un animale»  iniziò a spiegare, «Si può assumere una sola sembianza, ma non può essere scelta poiché rispecchia il carattere del mago o della strega in questione. E’ una tecnica molto difficile e per una buona riuscita ci vuole un’ottima preparazione o una forte propensione… »
I minuti passavano lenti, la professoressa continuava ad esporre e il gessetto incantato scribacchiava sulla lavagna lo schema del suo discorso.
Beatrix prendeva appunti, mentre con la mano libera si reggeva la testa.
«Professoressa, qual è la differenza tra un lupo mannaro e un animagus?»  chiese una ragazza paffuta della casata avversaria.
«I licantropi, innanzitutto, si trasformano a causa di un infezione del sangue causata dal morso di un lupo mannaro. Ad oggi non ci risultano casi di lupi mannari che riescano a controllare la metamorfosi e loro stessi durante la mutazione, perché dipendono dalla luna piena. Ucciderebbero un loro amico o un familiare, se lo avessero davanti, senza riconoscerlo. Mentre gli animagus padroneggiano la propria trasfigurazione e hanno piena coscienza di sé, come già detto prima… »
Anche Beatrix aveva una domanda, stava per alzare la mano, ma qualcuno la precedette.
«Come ci si può difendere da un licantropo? »  domandò Cloe.
Ci fu un attimo di rigido silenzio, poi la Professoressa rispose: «Sarebbe una domanda più adeguata per Difesa contro le Arti Oscure, tuttavia posso dirvi che se in caso vi troviate ad affrontare un licantropo, l’unico modo per ferirlo è l’argento.»  fissò a lungo la classe, poi proseguì: «Ma ci stiamo distaccando troppo dall’argomento principale, stavo dicendo… »
Alle 11.00 la lezione finì e con profonda depressione la ragazza si rese conto che la prossima lezione sarebbe stata Storia della Magia al secondo piano.
Il professore si chiamava Cuthbert Rüf ed era l’unico insegnante fantasma. Era morto proprio lì, ad Hogwarts, una mattina si era svegliato ed era andato a lezione lasciandosi il corpo dietro, senza nemmeno accorgersene.
Quando Beatrix era poco più che bambina dovette abituarsi alla presenza dello spettro. Era alquanto inquietante vedere, attraverso la sua trasparenza, gli oggetti ed i mobili dietro di lui, ma nessun altro, essere vivente o spirito, sapeva più di lui in fatto di storia.
Il modo in cui il professore spiegava, la cadenza e il tono monotono, faceva addormentare qualsiasi essere, tanto che quando cominciava a parlare anche gli altri fantasmi del castello rimpiangevano di essere morti.
La ragazza si rese conto che quella era stata una delle poche volte a non essersi addormentata durante la sua lezione, forse perché aveva passato l’intera ora a pensare a come formulare la sua domanda alla fine della lezione.
Il suono della campanella rimbombò per le pareti dei corridoi. Ma contrariamente al passato, i ragazzi non s’alzarono in piedi correndo a pranzo. Nessuno aveva voglia di rivedere quelle facce.
La ragazza si alzò e si diresse lentamente verso la cattedra.
«Professore… »   lo chiamò Beatrix, per attirare la sua attenzione che era ancora rivolta verso la lavagna, «Volevo chiederle… »  continuò, visto che il fantasma continuava a parlare da solo.
Lui si voltò meravigliato della presenza di uno studente che volesse chiedergli qualcosa.
«Prego… Mood »  disse lui, ricordandole la sua particolarità nel storpiare i nomi degli studenti a cui insegnava da anni.
«Ehm… Todd… »  lo corresse, «So che non c’entra molto con la sua lezione, ma… esistono i doni della morte? »  chiese schietta, mentre il volto pallido del fantasma si contorceva in una specie di sorriso divertito. «I doni della morte sono una storia per bambini… una leggenda »  rispose lui in tono canzonatorio, poi si fece d’un tratto serio,  «Alcuni credono invece nella loro reale esistenza. Non si può tuttavia, avere delle certezze. Sono stati trovati molti oggetti simili ai doni descritti nella storia, come il mantello dell’invisibilità, ma della pietra della resurrezione o della bacchetta di sambuco non vi è certezza!»  spiegò.
La ragazza lo ringraziò, lui fece un cenno con il capo, poi si voltò e si rimise a parlare con la lavagna.
Quella spiegazione era stata alquanto deludente.
 
Beatrix decise di non andare a pranzo in Sala Grande.
Gli era tornato in mente l’incubo che aveva avuto quella notte. Era convinta che non fosse stato un semplice sogno. Aveva già vissuto qualcosa di simile, da piccola. Il sogno si verificava anche nella realtà, o nell’esatto momento, o dopo. Se le sue preoccupazioni erano fondate allora Olivander era in pericolo, i Doni della Morte esistevano davvero, Silente aveva la “Bacchetta di Sambuco” e Voldemort la stava cercando. Inoltre i nomi dei maghi citati da Olivander: Grindelwald e Gregorovich, non li aveva mai sentiti prima e non potevano essere frutto della sua immaginazione.
 
Entrò in biblioteca, era molto grande, divisa in corridoi colmi di scaffali sui quali erano raccolti migliaia di libri di vario genere. Esisteva persino un Reparto “Proibito” che conteneva libri sulla magia oscura, ma per quello serviva un permesso speciale.
La bibliotecaria era Madama Pince, una donna scarna che assomigliava ad un avvoltoio denutrito che la accolse intimandole di non fare il minimo rumore.
La ragazza iniziò la sua ricerca, annotando tutto ciò che scopriva su un foglio. Dopo un paio di ore, stanca, ripose i libri al proprio posto e rilesse ciò che aveva scritto:
 
 
  • Gregorovich (Gregorovitch) era un fabbricante di bacchette bulgaro. Voci non confermate hanno dichiarato che fosse stato in possesso di una bacchetta molto potente e simile alla “bacchetta di Sambuco” della leggenda e che gli fosse stata sottratta da Gellert Grindelwald, un grande Mago Oscuro.
 
  • Gellert Grindelwald ha studiato a Durmstrang, prima di venir espulso a causa di alcuni  esperimenti pericolosi che praticava. Viveva a Godric’s Hollow dalla sua parente Bathilda Bath. Il suo scopo è sempre stato quello di dare vita ad una nuova epoca in cui i maghi avrebbero regnato sui babbani e per farlo, sosteneva che aveva bisogno dei “Doni della Morte”, ovvero la bacchetta di Sambuco, la pietra della Resurrezione e il mantello dell’Invisibilità e  ha passato tutta la vita a cercarli.
 
Grindelwald sconfitto da Albus Silente in duello, finì a Nurmengard, la prigione che lui stesso aveva fatto costruire, condannato all’ergastolo.

 
Le informazioni non erano molte, ma provavano che l’incubo di Beatrix fosse vero. Silente sconfiggendo Grindelwald aveva ottenuto la bacchetta di Sambuco e, come aveva detto Olivander, la bacchetta giaceva nella tomba con lui.
Poteva dire di conoscere le intenzioni di Voldemort, e quindi? Cosa poteva fare ora?

 
Il professor Lumacorno era in piedi davanti alla cattedra di Pozioni, aspettando pazientemente gli studenti. Era un mago alto e tondo, dai capelli grigio-argento e un paio di grossi baffi bianchi, indossava un elegante completo verde con fantasia scozzese. Si voltò e dalla sua caotica scrivania prese una fiala di liquido blu.
«Oggi prepareremo la pozione Sancitatis, chi sa dirmi che effetti produce? »  chiese il professore, scuotendo la boccetta con il liquido.
«Ah, Signorina Morgan » esclamò dando la parola alla ragazza che aveva alzato la mano.
«E’ la pozione dell’invisibilità. Se assunta in quantità eccessiva può provocare la completa scomparsa di una persona »  rispose Cloe prontamente.
«Eccellente, dieci punti per Serpeverde »  annunciò Lumacorno, gli studenti della casata vincente sorrisero compiaciuti guardando con superiorità i Grifondoro.
«Prendete tutti posto e iniziamo… »
Gli studenti fecero quanto loro ordinato, posizionandosi ciascuno dietro al proprio paiolo.
«Andate a pagina 182 del vostro libro di testo e preparate la pozione descritta seguendo attentamente le istruzioni. Avete un’ora e mezza di tempo a partire da… »  il professore prese la clessidra che era sopra la scrivania e la capovolse, in modo che la sabbia cominciasse a scorrere, «…ora! »
Beatrix prese il libro di malavoglia e cominciò a girare le pagine una per una, senza concentrarsi sul serio.
«Sta aspettando che si prepari da sola quella pozione, Signorina Todd?! »  la riportò alla realtà la voce del professore.
«Mi scusi »  rispose la ragazza, andando alla pagina assegnata. Cercò di respingere i pensieri e di prestare attenzione su ciò che leggeva.
Gli ingredienti:
ortiche secche;
succo di sanguisuga;
erba fondente;
artemisia;
Comprese il resto e cercò di schematizzare a se stessa ciò che doveva fare:
→  “Riempire il paiolo d’ acqua”: Beatrix controllò che il calderone fosse vuoto e constatando che non c’era niente dentro, fece comparire dell’acqua.
→ “Far bollire”: accese il fuoco sotto al pentolone, mantenendo una fiamma non eccessivamente alta;
→ “Tagliare le sanguisughe e spremere via il succo”: la ragazza si chinò e aprì una delle piccole ante della sua personale dispensa, prese un barattolo dalla forma tonda su cui c’era una targhetta che presentava il contenuto.  Non sapeva la quantità di sanguisughe che doveva usare, siccome non c’era scritto, ma dato che doveva ricavarne del succo dedusse che ne servivano molte. E iniziò a schiacciarle nel pentolone, facendo un lavoro accurato che le fece perdere più tempo del dovuto.
→ “Mescolare in senso orario”: eseguì quanto scritto.
→ “E in senso antiorario fino all’ottenimento di un color rosa”: incantò il mescolo, in modo che girasse da solo.
→ “Intanto tagliuzzare le ortiche e buttarle nel pentolone, sempre continuando a mescolare”: nonostante questo, il colore non mutava, ma non aveva tempo di ricominciare da capo, così continuò ignorando l’errore.
→ “Avvolgere l’erba fondente con l’artemisia e lasciarli sciogliere, insieme, nell’acqua per circa trenta minuti”: con un incantesimo adesivo fece aderire le due piante e le calò lentamente nel calderone, evitando così che il fluido traboccando spegnesse la fiamma.
«Mancano venti minuti »  annunciò Lumacorno.
I ragazzi aumentarono la velocità del mestolo, ma Beatrix la mantenne uguale, piuttosto studiò la pozione, che a suo malgrado, era nera.
Il filtro magico cominciò a salire e spumeggiare, stava per succedere quello che temeva, così abbassò la fiamma. Ora, la pozione più che blu era viola. La ragazza borbottando tra sé, tolse il mestolo e si augurò che l’intruglio raffreddandosi sarebbe diventato del colore giusto.
«Dieci minuti »  annunciò il professore.
«S-a-n-c-i-t-a-t-i-s »  articolò Beatrix una volta che l’infuso si era raffreddato, poi afferrò una fiala e l’immerse dentro il paiolo. Dopo qualche minuto sollevata e sorpresa scoprì che la pozione aveva assunto il colore giusto, anche se non significava che fosse efficace.
«STOP! Posate i mestoli e spegnete il fuoco… insomma mettete a posto e portatemi il vostro lavoro… »  intimò il professor Lumacorno.
Alcuni ubbidirono, altri consegnarono subito e uscirono fingendo di non aver sentito la raccomandazione, senza pulire il sudicio che avevano lasciato. Il Professore se ne accorse e li obbligò a tornare e a pulire fino a che il calderone non brillasse di pulito.
Beatrix fu la prima ad uscire avendo messo tutto apposto sin da subito, però per qualche strana ragione, si ritrovò ad essere l’ultima ad entrare nella classe della lezione successiva.
 
«Tu devi essere Todd. La prima lezione e sei in ritardo? Si comincia male… »  dichiarò Alecto Carrow sogghignando, ma si frenò non appena vide che la ragazza, non curante di ciò che gli era stato detto, si dirigeva verso un banco.
«Non vuoi sentire quale sarà la tua punizione?»  le domandò velenosa, facendola arrestare e voltare, «Per questa lezione potrai fare a meno della bacchetta… »  e protese una mano dalle lunghe unghie appuntite.
Beatrix guardò la donna con sospetto.
«Ne desideri un’altra?»  la pungolò.
La ragazza nonostante fosse irritata dall’arroganza della donna non provò a ribattere. S’avvicinò alla cattedra tirando fuori dalla tasca la bacchetta e senza alzare lo sguardo, la mise sulla scrivania. Non si sarebbe ridotta a consegnargliela proprio nelle sue mani. Dopodiché si voltò e cercò un posto vuoto.
«Spero che nessuno disturbi ancora la lezione… »  aggiunse Amycus che era in piedi, accanto alla porta.
«Vediamo, se questi anni ad Hogwarts sono serviti a qualcosa o se è stato tempo sprecato… »  continuò Alecto, «Quali sono le tre maledizioni senza perdono… », fece scorrere il dito affusolato sull’elenco dei nomi, «Draven »  e non appena alzò lo sguardo, guardò nell’esatto punto in cui sedeva Erik, come se già conoscesse il suo volto.
«La maledizione della tortura, cruciatus; la maledizione imperio, per il comando e l’anatema che uccide… l’avada kedavra »   rispose il ragazzo.
«E qual è la punizione per colui che ne fa uso, La Fey? »  cambiò bersaglio: una ragazza di Grifondoro dall’aspetto fiero, «Viene arrestato, portato al Ministero, giudicato dal Tribunale dei Maghi e, nella maggior parte dei casi, condannato ad Askaban »  rispose mantenendo un tono forte e deciso.
«Risposta sbagliata… vedete? Non siete aggiornati! Questa legge è stata abolita qualche giorno fa!»
Amycus sogghignò.
«Miei cari ragazzi, non potete permettervi di rimanere indietro, ora potete esercitarvi quanto volete! E noi siamo qui per questo!»
Il silenzio degli studenti nella stanza era assordante. Nessuno si muoveva, ne fiatava. Una tremenda sensazione era in bilico nel baratro, tutti avvertivano che ci voleva poco a farla cadere.
«Ma c’è tempo… proseguiamo con la teoria… quali sono le guardie di Askaban, Rainey?»
Il ragazzo rispose: «I Dissennatori… »
«Presumo che vi abbiano insegnato come sconfiggere un Dissennatore… »  questa volta fu Amycus a parlare, trattenendo un sorriso di scherno «Non è vero, Fray?»  chiese velenoso senza nemmeno guardare il registro. Sembrava che quei due conoscessero ogni persona in quella stanza, nome e volto.
«Con l’expecto patronum… »  rispose decisa la nominata, guardando con sguardo di sfida Amycus.
«E saresti così gentile da mostrarlo? »  la sfidò l’uomo, continuando a trattenere il ghigno.
«È un incantesimo avanzato… non ci hanno mai…» urlò uno studente di Grifondoro, ma venne zittito da Alecto. «Lo farò!» urlò Grace alzandosi fiera, impugnò saldamente la bacchetta e prese aria per pronunciare l’incantesimo.
«Ah-Ah! Non stai dimenticando qualcosa?»  questa volta era stata Alecto a parlare, aveva il braccio teso verso la finestra.
Un sinistro cigolio accompagnò l’apertura di una delle enormi vetrate dell’aula. Una mano scheletrica, coperta di croste, comparve sul bordo. Si presentò, dinanzi a loro, una figura volante, qualcosa che prima era un uomo e che ora era solo un cadavere putrefatto, senza coscienza né sentimenti, simile ad un fantasma, vestito come un boia. Era un Dissennatore. Muoveva la testa e nonostante fosse priva di occhi e avesse soltanto orbite vuote, pareva che stesse scrutando l’interno della classe in cerca di qualcuno in particolare. I Dissennatori non essendo capaci di distinguere gli uomini, individuano le loro prede percependone le emozioni: prima succhiando via i ricordi positivi necessari per evocare l’Incanto Patronum, l’unica protezione contro di loro, poi s’impadronivano dell’anima della persona praticando il bacio del Dissennatore.
La creatura avanzava, svolazzante, avvicinandosi alla ragazza in piedi con la bacchetta in pugno.
Quel mostro portò il freddo, non solo nell’aula, ma anche nel cuore di tutti i ragazzi presenti. La stanza pareva fluttuare e allontanarsi sempre di più, c’era solo il buio. Anche se Grace, in qualche modo, era a conoscenza della teoria dell’incantesimo di difesa non avrebbe potuto farcela.
La creatura s’avvicinava sempre di più e allungò una mano per prendersi la giovane.
I fratelli Carrow erano divertiti nel vedere quella scena, ma le loro espressioni mutarono non appena Grace si mosse. «Expecto Patronum! »
Una nuvola di luce scaturì dalla bacchetta formando la figura sinuosa di un gatto che riuscì a far retrocedere il nemico, ma non a mandarlo via. Alcuni ragazzi di Grifondoro si alzarono e puntando le bacchette contro il Dissennatore lanciarono a loro volta l’incantesimo. Un cavallo, un leone, un lupo e un corvo puntarono sulla creatura che si dissolse, invasa dalla troppa luce.
I Grifondoro acclamarono entusiasti. Mentre i Serpeverde guardavano increduli e sbigottiti di quanto fosse successo, anche Beatrix era sconvolta, sollevata certo, ma nessun insegnante aveva mai insegnato loro quell’incantesimo, come facevano i Grifondoro a conoscerlo?
Amycus e Alecto erano lividi di rabbia. Quell’insulsa ragazzina era riuscita a sconfiggere una Creatura Oscura e li aveva resi ridicoli di fronte alla classe.
Alecto iniziò ad applaudire falsa, mettendo a tacere le celebrazioni, «Era un incantesimo semplice. Sono sicura che nessuno di voi sappia eseguire una fattura di medio livello… »  dichiarò la donna, dopodiché il fratello continuò: «Cosa direbbe di voi Silente?»
«Voi non sapete niente di cosa direbbe o non direbbe Silente… »  ribatté Grace, mentre i Grifondoro dietro di lei la sostenevano con grida di approvazione.
«Davvero? Silente apprezzava l’impegno a quanto pare… »  continuò Alecto, «Anzi nemmeno quello, visto che siete solo un branco di rammolliti… evidentemente voleva mettere su il circo!»
Amycus scoppiò a ridere, ma Alecto riprese, «Non sapete proteggervi… né tantomeno duellare… con gli incantesimi che conoscete ora fareste solo un po’ di solletico al vostro nemico… se volete sopravvivere dovete saper padroneggiare le maledizioni senza perdono, solo così potrete avere una possibilità…»
«Mai! Albus Silente è stato un grande mago. Era contro alla magia oscura e non voleva che ci piegassimo a voi! Ce lo ha detto poche ore prima di morire, quasi come se lo sapesse! E’ per merito suo che questa scuola è sopravvissuta. Noi non l’abbandoneremo!»  urlò Grace con vigore e grinta stringendo i pugni.
Alecto digrignò i denti, «Tu… »  ma venne interrotta dalla risata del fratello, «Parli al plurale, ma non mi sembra che nessuno in questa stanza si sia schierato dalla tua parte. Allora c’è qualcuno che è d’accordo con lei?»  disse terribile Amycus senza staccare gli occhi dagli studenti delle due classi.
Beatrix voleva alzarsi, lo voleva con tutta la sua volontà, ma sembrava che non avesse più forza in corpo, era stata fissata alla sedia da un incantesimo. Allora provò a parlare, ma come nel suo incubo, non usciva nessun suono dalla sua bocca. Era costretta a guardare la scena, senza poter far niente, di nuovo.
Nessuno rispose. Nessuno si fece avanti.
«…allora non abbiamo vie di scampo… »  continuò sogghignando l’uomo.
Grace furente lanciò una fattura contro l’uomo, ma Alecto, che se n’era accorta in tempo, protesse il fratello con un incantesimo scudo.
La ragazza ormai sola davanti a quei due, subì il contraccolpo scivolando all’indietro, cascando sul pavimento e battendo la testa sul bordo della sedia.
I due ridevano di gusto, mentre gli studenti erano impietriti.
«Basta continuare con questa pagliacciata, adesso comincerete ad imparare sul serio… »
Gli occhi di Alecto si tinsero di rosso e Grace iniziò ad agitarsi sul pavimento in preda agli spasmi.
Non aveva avuto bisogno nemmeno della bacchetta. Aveva lanciato una maledizione non verbale.
 
Ora Beatrix capiva perché Alecto le avesse sottratto la bacchetta.
Le sue intenzioni erano chiare sin dall’inizio.
Era la sua punizione.
Grace era inginocchiata e tossiva, coprendosi la bocca con la mano. Alcune dita erano sporche di sangue.
Amycus sorrise allungando il braccio e colpendo per la seconda volta la ragazza che crollò a terra.
«Basta!»  gridò qualcuno. Evidentemente l’incantesimo era cessato.
I Carrow lanciarono insieme un’altra maledizione a Grace che sputò altro sangue.
«Così la ucciderete! »  disse un ragazzo di Serpeverde, alzandosi in piedi.
«E chi ha detto che non lo vogliamo fare? »  urlò malvagio Amycus, infliggendo un nuovo colpo a Grace.
«Amycus, sai forse hanno ragione… forse dobbiamo smettere e lasciar provare loro! »  la donna si voltò verso gli studenti, «Avanti, non siate timidi… chi vuole provare per primo? »  chiese con un sorriso orrendamente divertito.
Beatrix lanciò un’occhiata furtiva alla classe e fu contenta di vedere espressioni di disgusto anche dalla parte dei Serpeverde.
«Elaine Arvey… vuoi provare…»
«Mai!»  rispose una ragazza di Grifondoro inorridita. Era la migliore amica di Grace.
«Non era una domanda… ma un ordine. Imperio. »
Gli occhi della ragazza si fecero vuoti. Il suo corpo cominciò a tremare scosso evidentemente da una sottile coscienza ancora rimasta, ma dopo pochi secondi anche questa venne domata e la ragazza cominciò a dirigersi verso l’amica a terra.
Poi, Beatrix, distolse lo sguardo. Non sarebbe rimasta lì a guardare. Cercò di chiamare la sua bacchetta con la mente, «Accio bacchetta »  pensava.
Iniziò a sentire delle urla. Così alzò la testa e vide che anche l’altra ragazza era a terra. «Chi si rifiuterà subirà la stessa sorte… »  annunciò Amycus.
«Erik» sussurrò la ragazza approfittando delle urla,  «…perfavore richiama la mia bacchetta…»
«No, Beatrix. Mi dispiace… non ti permetto di metterti in pericolo un’altra volta…»
«Todd…»  chiamò Alecto, «Vuoi venire a prendere il posto di queste due?»
«No, al contrario… voglio provare!» rispose decisa Beatrix, mentre la sua bacchetta ritornava a lei.
Aveva una voglia incredibile di far provare dolore a quei due stronzi, li voleva vedere contorcersi a terra e supplicarla di smettere. Si alzò e lanciò la maledizione cruciatus addosso ad Alecto. Quella fu la prima volta che avvertì la sensazione di cui parlava sua zia, il pizzicore lungo il braccio e il piacere nel far provar dolore a chi odiava.
I due Mangiamorte caddero a terra insieme e Beatrix avvertí che anche Erik era in piedi accanto a lei.
Le maledizioni lanciate dai due ragazzi cessarono.
«Come avete osato? »  urlò terribile Alecto, alzandosi e lanciandole uno sguardo di fuoco.
«Lo avete detto voi, no? Abbiamo fatto pratica… poco importa con chi…» rispose Erik.
Gli insegnanti alzarono lo sguardo rosso sangue su di loro, sollevando una mano, stavano per lanciargli qualche maledizione, quando la porta si aprì di colpo. «Cosa sta’ succedendo qui?»  disse la McGrannitt entrando nell’aula a passo veloce, con la bacchetta in pugno, seguita da due pallide ragazze di Grifondoro.
«Non sono affari tuoi… questa classe è ancora nella nostra ora e possiamo farne ciò che vogliamo… »
La campanella suonò, interrompendo Alecto.
«La lezione è finita. Potete andare!» confermò la McGrannitt rivolta agli studenti per affrettarli ad uscire.
La classe si svuotò in fretta.
Beatrix prese la sua borsa e con Erik si diresse il più in fretta possibile verso l’uscita.
Prima di varcare la porta, sentì Alecto minacciare la McGrannitt.
«E’ l’ultima volta che interrompi una nostra lezione, Minerva… »
«Finché sarò ad Hogwarts, non vi permetterò di far del male ai miei studenti! »
«Non hai più l’autorità per poterci fermare »
Beatrix si voltò, la McGrannitt stava uscendo in quel momento dall’aula e dietro di lei gli sguardi malvagi dei fratelli Carrow erano rivolti verso di lei.
«Fray, è meglio che tu e la signorina Arvey andiate subito in infermeria! »  esclamò la McGrannitt, senza fermarsi, continuando a camminare per il corridoio deserto.
Beatrix s’avvicinò all’amica per vedere se stesse bene, «Grace, come… »
«Non ho bisogno del tuo aiuto!»  la respinse, le diede le spalle e se ne andò con Elaine.
   
 
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