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Autore: Elendil    21/09/2016    1 recensioni
Sequel del primo libro della saga "Nihaar'ì".
Le vicende di Harryan continuano ma i punti di vista ancora una volta cambiano. Il destino della Veggente prosegue con nuovi e improbabili risvolti!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti!

Di ritorno da terre straniere e stenti lavorativi, eccomi di nuovo qui! Ancora un mega grazie a tutti quanti per aver resistito fino a qui e un altrettanto mega grazie se resisterete ad altri sudatissimi capitoli futuri J Spero che possa piacervi e di trovare tante bellissime recensioncine!

A presto e baciozzi!

Elendil

 

Quando tutto ebbe fine, la Nihaar’ì era ancora stretta all’altro, immobile in un vincolo pungente di sabbia e timore. Tuttavia non si mosse. Incerta fra il disdegnare quella presa sconosciuta e segretamente apprezzarla.

Asiya la abbracciava spesso. Ginguettò qualcosa dentro di lei, troppo veloce perché ella potesse fermarla. Accusò il colpo con un singulto sordo, pesante, che il suo aguzzino parve interpretare come l’accenno di vita che attendeva per provare anch’egli a muoversi. Si sfilò da lei bruscamente, scostando la stoffa che aveva calato su entrambi prima di stiracchiarsi con un gemito esausto.

Immobile, la Nihaar’ì schiuse solo allora le palpebre ritrovandosi a fissare granelli di sabbia fluttuanti ancora ovunque, sottili e leggeri come polvere sospesa. Tutto attorno pareva ora immerso in un pallore schiumoso e latteo.

Poi si tirò seduta, un vago accenno di tosse a coglierla per un attimo prima che ella voltandosi, fissasse finalmente il proprio sguardo in quello del suo inseguitore. Portava vesti di un rosso scuro e slavato a tratti macchiato da aloni più chiari di sudore rappreso. Al petto portava una piccola sacca di pelle.

Acqua, riconobbe immediatamente lei scoprendosi contemporaneamente assetata. Per un folle attimo meditò la possibilità di impossessarsi di quell’oggetto. L’attimo dopo desistette, la sensazione di essere assai più debole del proprio inseguitore a convincerla della necessità di agire diversamente.

Magari potrei semplicemente ordinargli di darmelo...

“E’ sveglia?” in quella comparvero dalla pallida caligine tre figure ammantate, due alte e una più bassa, tutte portanti al guinzaglio un fiero Yenavo’r (draghi del deserto). Lei si irrigidì. L’altro si tirò in piedi spazzolandosi dalle vesti granelli di sabbia e polvere.

“Questa volta si” si limitò a dire prendendo poi a massaggiarsi un braccio.

Per un attimo i quatto si limitarono a studiarla da dietro i propri bardamenti, una vaga rigidità comune a rivelare quanto quel gesto li rendesse assieme nervosi e onorati al contempo. Poi poggiarono all’unisono il pugno al petto e chinando il capo “Anhi Val’ah”.

“Dove mi trovo?” esalò subito lei. La sua voce parve assai più spaventata di come la Nihaar’ì avrebbe voluto, ma sapeva di non poter fare meglio di così. Al suo fianco, il primo dei quattro si strinse appena nelle spalle “Nel deserto” “Dov’è Zaphil?” lo incalzò lei. Nuova scrollata “Più avanti. Ha detto che ci avrebbe preceduto. Ma questo è avvenuto prima delle Tempeste di Sabbia. Ora non abbiamo idea di dove sia e credo che lo stesso valga per lui”

Incerta, la Nihaar’ì si ritrovò a spostare lo sguardo dai due uomini alti, a quello basso, a quello al suo fianco. Si tirò in piedi.

“Quindi siamo dispersi?” esalò titubante. Vago, il cenno di assenso rimbalzò dall’uno all’altro per poi tornare a lei nello schiarirsi della gola di quello basso “E siamo soli, come può notare. Il resto della Carovana si è via via smarrito man mano che le Tempeste di Sabbia continuavano ad avvicendarsi senza sosta”. Nuovo silenzio. Nuovo cenno d’intesa di tutti. Tutti meno che lei che, incerta, stava ora immobile fra di loro come una piccola preda accerchiata da un branco di belve fameliche.

Rabbrividì. E represse a stento un colpo di tosse. Poi si umettò le labbra.

“Dove siamo diretti?” “Anaphantum” rispose rapidamente l’uomo accanto a lei. La Nihaar’ì si accigliò.

Sentì sotto la lingua vaghe screpolature delle labbra attirare il morso dei suoi denti una, due volte. Si impedì tuttavia di mordere.

Eppure Zaphil aveva parlato della Città del Cielo...

Come percependo la sua confusione, quello più basso fece allora un accenno conciliante.

“Quest’anno le Tempeste di Sabbia sono giunte prima del previsto” spiegò con calma “Si è pensato che seguire la via per Anaphantum fosse la scelta migliore per aggirarle”.

Per un breve attimo la Nihaar’ì tentò di ricostruire a memoria le mappe che più volte i suoi Varpet Yuni (Maestri delle Vie) le avevano mostrato nell’estremo tentativo di suscitare in lei il benché minimo interesse per il continente di cui ella era sovrana e protettrice.

Sospirò.

Suo malgrado, tutto ciò che le sovvenne fu una generale sensazione di noia accompagnato alla precisa e inoppugnabile certezza che mai e poi mai tutto ciò le sarebbe servito in vita. Del resto - ricordava accuratamente di aver constatato- mai e poi ella sarebbe uscita dalla Torre senza che qualcuno prima di lei avesse pensato esattamente a dove andare e come andarci.

Perché dunque prendersi un simile e inutile disturbo?

Silenziosa e immobile come la più misera delle prede, la ragazza non potè che socchiudere appena le palpebre.

Ecco perché. Deglutì a vuoto. Ecco perché.

Così, dopo attimi di frenetica ed infruttuosa ricerca, alla Nihaar’ì non restò che annuire una volta, incerta, ai quattro ora immobili come in attesa del suo -ahimé- verdetto finale sull’intera vicenda.

“Ho capito” decretò infine “Ma questo era prima che ci perdessimo, giusto?”

Nuovo annuire unanime, ora un po’ più genuinamente sconfortato.

“Secondo i nostri calcoli, Zaphil e la sua scorta dovrebbero essere riusciti a evitare il peggio. Per gli altri, invece, temo sia difficile fare qualunque tipo di previsione” “E per noi?” esalò la Nihaar’ì con un gemito. “Fortunatamente il nostro Hiras conosce il Deserto meglio degli esploratori che ci ha rubato il deserto” spiegò incrociando brevemente le braccia al petto “Se non fosse stato per le tempeste di Sabbia e imprevisti annessi ora saremmo già alla volta di Anaphantum”.

Hiras? Si accigliò lei. Un nome da Danzatore?

Capì allora di aver fatto una deduzione corretta perché all’unisono anche gli uomini tutt’attorno a lei parvero zittirsi, i volti pallidi di sabbia a mutare in un che di teso e nervoso assieme prima che l’Hiras in questione abbozzasse un mesto inchino.

Hiras” fu l’annuncio colpevole

Akanj” gli fece eco subito uno dei due alti compiendo il medesimo gesto.

Atam” lo seguì l’altro.

Matnery” concluse infine il più basso.

Per un attimo la Nihaar’ì parve incapace di dire alcunché. Poi, vago, fu come vederla compiere un mezzo passo all’indietro.

Lungo respiro “Siete Danzatori”

Era tradizione che ogni città di Arryan avesse, oltre alla sicurezza dei Legheon, una propria guarnigione armata cui fare affidamento in caso di attacco. Hevnan k’ar aveva, appunto, i Danzatori, famosi in tutto il continente per l’usanza di denominare i propri affiliati con i nomi delle ferite da essi riportate nel corso dei vari addestramenti.

Dita (Matnery) annuì una volta, piano “Dopo gli sconvolgimenti di Hevnan k’ar, le Volpi hanno proposto che una scorta di Danzatori si unisse alla vostra per garantirvi una migliore protezione” esalò. La Nihaar’ì sbattè una volta le palpebre.

E Zaphil aveva accettato? Esitò.Guardò di sfuggita tutti i presenti.

“E Zaphil mi avrebbe lasciata sola con una scorta di cui sapeva poco o nulla?” si accigliò. Denti (Atam) si schiarì frettolosamente la voce “Non era sua iniziale intenzione farlo” ribattè subito “Ma nel corteo più avanti, l’Hayeli’vo necessitava della sua presenza per l’ingresso ad Anaphantum” “Mi ha lasciata sola con voi e nessun altro?” “Sapeva che vi avremmo protetta a costo della vita”.

Ancora, lungamente, lei non potè fare a meno di sorvolare con lo sguardo i Danzatori lì riuniti, ognuno vestito di una rossa tunica cerimoniale lisa e impolverata più di quanto fosse lecito per genti del loro grado. E infine non trovò alcunché da replicare, la notizia che già vi fosse da qualche parte una nuova Hayeli’vo a sostituire Sery a svuotarla improvvisamente di ogni velleità o domanda ulteriore.

Annuì ancora una volta, meccanicamente, limitandosi allora ad ammettere implicitamente dinnanzi a quegli estranei che andava bene così. E che anche se non fosse andato bene, cosa poteva farci? 

“E’ stata un’offerta assai generosa” commentò quindi incerta “Davvero generosa”

 

Terminate quelle inutili ed assai superflue - questa era l’impressione -  chiacchiere esplicative, presto fu chiaro che i quattro avessero davvero una fretta incredibile di ripartire. In meno di qualche attimo raccolsero tutto ciò che la Tempesta di Sabbia aveva sparpagliato, misero in sesto gli Yenavo’r, pulirono mercanzie e beni di prima necessità intaccati dalla sabbia e tutti insieme saltarono infine in groppa. Meno semplice fu invece convincere lei, la Nihaar’ì ad avventurarsi in quel mondo nuovo ed assai poco invitante denominato: cavalcare con un estraneo. Mai, in effetti, le era stato chiesto di esporre se stessa e il suo nobile grado ad un contatto che esulasse le cure di Danhe e le effusioni di Asiya. Presto, tuttavia, quando fu chiaro che nulla della sua costernazione avrebbe potuto contro la fisica mancanza di uno Yenavo’r a suo esclusivo uso e consumo, la ragazza venne costretta a montare in sella al drago di Dita (Matnery)  e così sistemata, permettere finalmente al gruppo di ripartire alla volta di Anaphantum. 

Così schierati, Orecchio (Akanj) e Atam nelle retrovie, lei e Matnery in mezzo e avanti, molto più avanti, Hiras, il gruppo prese finalmente ad avanzare nel pallido meriggio, ore di calma e vento a stemperare sempre più la piana desertica in una infuocata distesa rovente. Solo voltandosi per caso, la Nihaar’ì fu infine in grado di scorgere in lontananza ciò che rimaneva di una piccola branda da trasporto, probabilmente adibita a suo giaciglio fino ad allora. Desiderò allora di poter dormire ancora, placidamente, nella sua comoda branda solitaria.

 

Come era possibile che Zaphil l’avesse lasciata sola?

Giorno di marcia. Notte di veglia.

Non servì che un giorno perchè la Nihaar’ì sperimentasse sulla propria pelle quanto duro potesse essere il deserto se paragonato agli agi e comodità della Torre del Tempo. Alle sue frescure. Alle sue acque limpide e zampillanti. Che a confronto anche la più becera forma di umidità pareva una manna dal cielo. Simili a pelle di serpente al cambio della muta, le sue labbra già dolorosamente martoriate furono le prime ad accusare i sintomi del calore e disidratazione. 

Sapeva quanto fosse importante che tutto risultasse vero, credibile, certo. Tanto inconfutabile da non lasciare adito al dubbio sul come mai un Naphil lasciasse sola la Nihaar’ì all’ingresso di una nuova città.

Giorno di marcia. Notte di veglia.  

Presto le piaghe sulle labbra della Nihaar’ì esplosero e seccarono in un trionfo di bruciori e tormenti senza fine. Di gran carriera si unirono tagli e lacerazioni alle cosce dovuti allo sfregamento contro la sella dello yenavo’r. In breve la frizione accompagnata alla sabbia onnipresente non permisero alla fanciulla di rimanere nella medesima posizione per più di qualche dolorosa ora.

Eppure la finzione poteva essere così importante da trascurare la realtà? Da rischiare di perderla ancora una volta - e per davvero - nel bel mezzo del nulla?

Giorno di marcia. Notte di faticosa veglia.

“Avete sete?”

Silenziosi e attenti, era raro che i Danzatori parlassero durante le ore di marcia. E’ per risparmiare le forze le aveva detto Matney la prima sera avvolgendosi più strettamente nei propri mantelli. Quando si è in marcia è d’obbligo risparmiare su tutto, anche sulle parole.

Abituata ad una vita di frivolezze e futilità, docili preamboli di un inesorabile spreco di parole, la Nihaar’ì non potè che mancare il saggio ed atavico senso di quelle rivelazioni. Fortunatamente però, rango e diffidenza furono comunque in grado di sopperire consentendole in qualche modo di sfoggiare un solido -seppur malinteso- riserbo durante le silenti ore di marcia.

“Avete sete?” ripetè la voce alle sue spalle. Rigida e per metà assonnata, lei si limitò ad annuire una volta ricevendo in risposta la famosa sacca che da giorni aveva notato trovarsi al collo di ogni Danzatore. “Bevete poco” la ammonì subito Akanj “Dubito che ci saranno pozzi da qui in poi. Questa zona è nota per la sua aridità”.

Lei fece una smorfia prima di rimuovere il fermo del recipiente e bere a piccoli sorsi. Quale meraviglia, l’acqua. Terminato, a malincuore lo richiuse per porgerlo nuovamente all’altro. Lui rispose con un mezzo chinarsi del capo prima di indugiare qualche attimo con lo sguardo su di lei.

“Dovreste provare a dormire, sapete?” le suggerì incerto. Lei accostò le mani al fuoco acceso poco distante. “Non sono stanca” mentì beandosi del piccolo calore da esso scaturito. Nella sabbia tutt’attorno al braciere i Danzatori avevano conficcato una serie di pali sulla cui sommità sventolavano stracci di rosso tessuto evidentemente logorato dal tempo. Di giorno li portavano arrotolati nei tessuti delle brande ai fianchi degli Yenavo’r mentre di notte li ponevano tutt’attorno ai giacigli a mo di cerchio dal quale nessuno usciva mai se non strettamente necessario.

“Non siete stanca?” un accenno di sorriso scivolò sulle labbra di lui venandole di fessure sanguigne. Aveva pelle bruna e abbronzata, quasi caramellata a confronto con quella della Nihaar’ì “Eppure sono tre giorni che non dormite. Credete forse di non averne bisogno?”.

Lei si strinse appena nelle spalle, la sensazione che la risposta a quella domanda non fosse altro che Le Nihaar’ì non hanno bisogno di niente a passare come una brezza fra di loro prima che questi, sospirando, le porgesse un pezzo di carne secca.

“Se non volete dormire, almeno provate a mangiare” l’odore acre e salato del budello fece storcere il naso alla ragazza che rifiutò muovendo appena il capo all’indietro.

“Pregare non serve a nulla, Akanj” dall’ombra comparve in quella la figura di Hiras “Se avesse davvero fame, mangerebbe” con un semplice gesto strappò dalle mani del compagno il pezzo di carne infilandoselo dritto in bocca prima di sedersi al suo fianco. Alla Nihaar’ì rivolse un semplice cenno di intesa che ella non ricambiò.

“Dicono cose strane su voi Danzatori” fece lei dopo un attimo, gli occhi fissi sul lento masticare dell’uomo “Dicono cose strane di tutti” rintuzzò lui. La ragazza arricciò appena le labbra “Dicono che veniate addestrati in luoghi segreti nel deserto al di là del confine delle Vele” una pausa, il viso di Hiras che si alzava come in attesa della conclusione “Con le Ombre” esalò lei infine.

Per un attimo parve di vedere entrambi irrigidirsi appena. Poi Hiras scoppiò in una fragorosa risata “Chi sarebbe tanto stupido da andare al di là del Confine?” la sua voce risuonò per la prima volta giovane e suadente alle orecchie di lei. Una nota strana che ella faticò ad identificare.

“Per non parlare dell’inverosimile addestramento con le Ombre” continuò questi cavando dalla propria bisaccia una strana pianta tutta aggrovigliata; una radice forse “Sbaglio o l’unica al mondo capace di affrontarle siete voi?”

La gomitata di Akanj al fianco di Hiras diede il tempo alla Nihaar’ì di dissimulare il calore che sapeva esserle improvvisamente affluito in viso. Quando lui tornò a guardarla, sperò di essere tornata normale. Le sorrise.

“E quindi è per questa ragione che vi rifiutate di mangiare e dormire?” la voce di Atam li raggiunse dalla parte opposta del fuoco. Stava disteso nel proprio giaciglio, entrambe le mani dietro al capo come nell’atto di ammirare il firmamento “Temete che vi possiamo fare del male con il nostro oscuro potere di Danzatori?”. Voltandosi nuovamente in direzione del fuoco, la Nihaar’ì si limitò a rimanere in silenzio per qualche attimo “Temo ciò che non conosco” ammise poi infine “E se aveste vissuto anche un solo giorno della mia vita, dubito che non fareste altrettanto” il volto di Atam parve contrarsi appena “Vissuto come?” la incalzò girandosi lentamente a guardarla. I suoi tratti più di tutti tradivano la durezza di qualche battaglia o combattimento passati.

Rinchiusa in una prigione d’oro con acqua e servi a profusione pronti a tutto pur di compiacermi. E lame nel buio pronte a sgozzarmi.

“Basta, Atam. E’ ora di dormire” la voce di Matnery pose fine a qualunque ulteriore velleità di dialogo, costringendo gli uomini a rintanarsi nelle proprie brande.

“Dormite, Somma Nihaar’ì” la pregò con voce suadente Matnery prima di coricarsi anch’egli “Il Deserto non concede spazio ad ostinazione o caparbietà. Se voi non lo rispetterete, vi ucciderà come un qualunque abitante di Arryan”.

Queste le ultime parole che gli uomini si rivolsero prima che uno dopo l’alto tutti quanti cedessero ad un sonno silenzioso e avvolgente, duro da sostenere per la Nihaar’ì che sola si ostinava da giorni a non soccombervi.

Danzatori...

La stanchezza e la fame gravavano su di lei come una coltre densa e pesante.

Cisposi di sabbia, i suoi occhi rotolarono lenti dall’uno all’altro Danzatore steso attorno a lei in una rosa di rossi fagotti a tratti sospiranti, a tratti scossi da qualche brivido o movimento.

“Giuro su ciò che mi è più caro che vi porteremo sana e salva ad Anaphantum, Somma Nihaar’ì” le aveva promesso il primo giorno Matney prima di porgerle le consunte stoffe per il suo giaciglio. Ricordò di aver accettato con circospezione l’offerta prima di replicare con un sibilo acuto “E cosa vi è più caro, Danzatore?”. Domanda sbagliata, probabilmente, insinuante come il serpente che a tradimento si infili fra le pieghe degli abiti per attendere il momento più propizio per colpire. E come tale, assai eloquente nell’esplicare quanto poco ella considerasse rilevante il proposito appena esplicato. 

Sospirò, il capo che inesorabilmente si chinava verso terra una, due volte. Poi, quasi rimbalzando, tornava su.

Non si fidava di loro. Nemmeno lontanamente. Socchiuse piano le palpebre. Ma aveva forse alternativa?

Fuori dalla Torre tutto le era estraneo e incomprensibile, un mondo rimasto tanto escluso dalla sua vita da apparirle ora insieme vasto ed inafferrabile. Si passò la lingua sulle labbra scoprendole dure e secche come carta.

Pesante, il capo della Nihaar’ì scivolò ancora un po’ più in basso, una lunga e meticolosa occhiata alla sabbia sottostante prima che ella, debolmente, lo rialzasse con un sospiro contrito.

Rabbrividì.

Del resto non poteva dormire. Si passò la lingua sul palato molle. Espirò. Sapeva di non poter dormire...

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Guarda in alto. Ed eccole nel cielo fibre di nuvole ad indicarle il risalire del vento in alta quota. Il distorcersi dell’aria lassù, troppo in alto perché ella possa sfiorarle eppure abbastanza forte da concederle di sentire a lungo, intensamente, quel suono.

Qualcosa sta accadendo, lassù.

Qualcosa - abbassa lo sguardo - sta accadendo laggiù, più oltre, lungo il confine dell’orizzonte ora sfuocato, ora seminascosto. Strabuzza gli occhi. Guarda. E poi le vede, capisce, interpreta. Sono qui. Fa un passo indietro, due, poi cerca di voltare lo sguardo ma non può. Non - annaspa - riesce.

E così può solo arretrare, interdetta, spaventata. Terrorizzata dal fatto che nulla se non il vuoto e la sabbia la separano dall’inesorabile incombere poco più avanti di quelle figure, quelle sagome - espira  - , quelle Ombre.

No. No.

Indietreggia. Indietreggia. E indietreggia ancora. E quando pensa che indietreggiare possa essere l’unica cosa irrinunciabile di quel terribile attimo, il terreno invece la tradisce. Il suo piede scivola, manca la presa. E nella voragine di un attimo la Nihaar’ì avverte il mondo spalancarsi alle sue spalle come una bocca malefica, vorace, insidiosa.

No. Si sente allora sospirare. No...

E così si protende in avanti. Si sbilancia. Tende le mani. Ci prova, insomma, a non cadere.

E nell’attimo in cui aprì gli occhi, capì di esserci riuscita. Qualcuno stava afferrando la sua mano ora, in quell’attimo. E dopo una frazione di istante ecco tirarla a sé, sbilanciarla non più indietro ma forse in avanti e con un ultimo, roco, sforzo, tirarla a sé in un comune ruzzolare a terra ansante e stremato.

Faccia a terra, la NIhaar’ì si prese tutto il tempo possibile per riprendere fiato. Poi, un tremito incontrollabile a scuoterla da parte a parte, volse il capo di lato incontrando quello del proprio salvatore girato verso di lei in una posa tesa e affannata. Trattenne a stento un mezzo sospiro.

“State bene?” fece Atam senza muoversi. Aveva il labbro inferiore spaccato quasi che nell’atto di afferrarla si fosse morso “Si, credo di si” fece lei poco convinta facendo allora leva sulle braccia per tirarsi in piedi. Lui tuttavia la trattenne con una lieve stretta della mano.

“Aspettate che giungano gli altri” la ammonì piano “Nessuno di noi due indossa il Colore”.

Strana affermazione. Valutò la Nihaar’ì. Giacché ella ricordava perfettamente di essersi addormentata con quegli stracci addosso non meno di...

Si bloccò. Poi, il tempo di una maledizione a fior di labbra, la giovane abbandonò di nuovo il capo a terra, sconfitta.

“Voi siete una donna forte, Somma Nihar’ì” fece subito l’altro come cogliendo la sua epifania “Ma cinque giorni di veglia sono troppi per chiunque”.

Non per una Nihaar’ì desiderò poter rispondere lei. Sfortunatamente però, i fatti avrebbero reso quell’affermazione assai puerile. Nel silenzio generale, si concesse ancora un paio di maledizioni prima di sospirare.

“Era per questo che non volevate dormire?” le chiese dopo un attimo lui “Temevate forse di scappare per miglia e miglia nel deserto come una Agves Anaphat (Volpe del deserto) per dirigervi verso il primo dirupo e buttarvici dentro?” abbozzò un sorriso che ella avrebbe di certo ricambiato se solo il tutto non fosse suonato così stupido e ridicolo assieme.

“I Sogni della Nihaar’ì non sono cose per gente come voi” sospirò poi infine “Desolata che abbiate dovuto assistervi” lui fece spallucce “Non siete la prima Agves Anaphat che vedo. Anche se raramente me ne sono capitate di così atletiche” lei si limitò ad alzare un sopracciglio colmo di sdegno. Poi ricordò che molto probabilmente lui non l’avrebbe notato -portava il velo- così, arrendendosi allo sconforto, si limitò a rimanere in silenzio. Tuttavia fu sufficiente: con il medesimo sorriso conciliante, Atam si concesse di scrollare ancora una volta le spalle prima di borbottare “Si fiderà di me, ora che le ho salvato la vita?”.

Di tutta risposta lei tentò nuovamente di tirarsi in piedi. Invano.

“Gradirei alzarmi” digrignò in un sibilo. Lui fece finta di nulla. Nuovo sospiro contratto, poi la Nihaar’ì ci riprovò. Questa volta l’uomo si abbandonò ad un gemito esasperato “Vi ho detto di aspettare. Cosa esattamente vi è sfuggito?” “E io sono la Nihaar’ì” fu la rigida replica dell’altra “Cosa esattamente vi è sfuggito?”.

Per un attimo fanciulla e Danzatore si fronteggiarono con una lunga e intensa occhiata. Poi con uno scatto stizzito lui lasciò la presa.

“Molto bene allora” digrignò “Andate, se è questo che volete” ma prima che lei avesse anche solo il tempo di muoversi, la ammonì “Credo però sia d’obbligo informarvi che ci troviamo molto distanti dal punto dove dovremmo essere. In effetti, più vicini al confine delle Vele che alla rotta verso Anaphantum

Immediatamente lei si irrigidì. Lui piegò appena un angolo delle labbra.

“Come vi avevo detto, avete un passo invidiabile

Esitare, questa volta, fu cosa assai superflua. Sconfitta, lei si arrese infine nel poggiare nuovamente la fronte nella sabbia.

“Non è la prima volta che accade, vero?” chiese dopo un lungo attimo di riflessione. Lui rimase in silenzio. “E immagino sia per colpa mia che abbiamo perso così tanto la strada in questi giorni” continuò con voce strascicata.

Non per le tempeste di Sabbia. Non per le temperature del deserto.

Da qualche parte alla sua sinistra, sentì l’altro annuire piano. “Hiras ha proposto di legarvi, ad un certo punto. Ma noi altri ci siamo rifiutati”

Io non l’avrei fatto. Sospirò lei piegando finalmente il capo a guardarlo. Atam aveva volto e mascella squadrate, vivide di linee sottili e dure come di chi non avesse mai riposato o mangiato abbastanza nella vita. Non era attraente, ma emanava comunque un che di interessante che induceva lo sguardo a permanere più di una sola e semplice occhiata.

“Quanti anni avete?” si ritrovò a chiedere dopo un istante lei. Lui parve sorpreso dalla domanda perché impiegò qualche attimo per rispondere. “Poco più di trenta” “E avete sempre combattuto?” rintuzzò lei. Vaga scrollata di spalle “I miei genitori non erano abbastanza ricchi per permettersi di sfamare me e i miei fratelli. Quando fu chiaro che tutti insieme saremmo morti di fame, chiesero ai Danzatori di prendermi con sé e da allora” vago accenno di sorriso “L’Ordine è la mia nuova famiglia”

Per un attimo lei si limitò a valutare la risposta dell’uomo, il sole già alto nel cielo a disegnare ombre oblunghe sul volto di lui. Poi socchiuse le palpebre.

“Quindi non fu una vostra decisione entrare nell’Ordine” constatò. Lui strinse appena le labbra “Non inizialmente” le concesse “Ma negli anni imparai ad amare ciò che mi veniva insegnato e rispettare coloro che me lo insegnavano. E poi in genere è così che si entra nei Danzatori” lei gli riservò un’espressione interrogativa “Tutti o quasi i membri dell’Ordine nascono come trovatelli, abbandonati o rifiutati. Persone da poco, in effetti.” spiegò questi paziente “Se è di Nobili o ricchi che volete parlare, penso dovreste rivolgervi alle Guardie della Torre o della Città del Cielo” 

 

  
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