Salve a tutti!
Di ritorno da terre straniere
e stenti lavorativi, eccomi di nuovo qui! Ancora un mega grazie a tutti quanti
per aver resistito fino a qui e un altrettanto mega grazie se resisterete ad
altri sudatissimi capitoli futuri J Spero che possa
piacervi e di trovare tante bellissime recensioncine!
A presto e baciozzi!
Elendil
Quando tutto ebbe fine, la Nihaar’ì era ancora stretta all’altro, immobile in un
vincolo pungente di sabbia e timore. Tuttavia non si mosse. Incerta fra il
disdegnare quella presa sconosciuta e segretamente apprezzarla.
Asiya la abbracciava spesso. Ginguettò
qualcosa dentro di lei, troppo veloce perché ella potesse fermarla. Accusò il
colpo con un singulto sordo, pesante, che il suo aguzzino parve interpretare
come l’accenno di vita che attendeva per provare anch’egli a muoversi. Si sfilò
da lei bruscamente, scostando la stoffa che aveva calato su entrambi prima di
stiracchiarsi con un gemito esausto.
Immobile, la Nihaar’ì schiuse solo allora le palpebre ritrovandosi a
fissare granelli di sabbia fluttuanti ancora ovunque, sottili e leggeri come
polvere sospesa. Tutto attorno pareva ora immerso in un pallore schiumoso e
latteo.
Poi si tirò seduta, un vago
accenno di tosse a coglierla per un attimo prima che ella voltandosi, fissasse
finalmente il proprio sguardo in quello del suo inseguitore. Portava vesti di
un rosso scuro e slavato a tratti macchiato da aloni più chiari di sudore
rappreso. Al petto portava una piccola sacca di pelle.
Acqua,
riconobbe immediatamente lei scoprendosi contemporaneamente assetata. Per un
folle attimo meditò la possibilità di impossessarsi di quell’oggetto. L’attimo
dopo desistette, la sensazione di essere assai più debole del proprio
inseguitore a convincerla della necessità di agire diversamente.
Magari
potrei semplicemente ordinargli di darmelo...
“E’ sveglia?” in quella
comparvero dalla pallida caligine tre figure ammantate, due alte e una più
bassa, tutte portanti al guinzaglio un fiero Yenavo’r
(draghi del deserto). Lei si irrigidì. L’altro si tirò in piedi spazzolandosi
dalle vesti granelli di sabbia e polvere.
“Questa volta si” si limitò a
dire prendendo poi a massaggiarsi un braccio.
Per un attimo i quatto si
limitarono a studiarla da dietro i propri bardamenti, una vaga rigidità comune
a rivelare quanto quel gesto li rendesse assieme nervosi e onorati al contempo.
Poi poggiarono all’unisono il pugno al petto e chinando il capo “Anhi Val’ah”.
“Dove mi trovo?” esalò subito
lei. La sua voce parve assai più spaventata di come la Nihaar’ì
avrebbe voluto, ma sapeva di non poter fare meglio di così. Al suo fianco, il
primo dei quattro si strinse appena nelle spalle “Nel deserto” “Dov’è Zaphil?” lo incalzò lei. Nuova scrollata “Più avanti. Ha
detto che ci avrebbe preceduto. Ma questo è avvenuto prima delle Tempeste di
Sabbia. Ora non abbiamo idea di dove sia e credo che lo stesso valga per lui”
Incerta, la Nihaar’ì si ritrovò a spostare lo sguardo dai due uomini
alti, a quello basso, a quello al suo fianco. Si tirò in piedi.
“Quindi siamo dispersi?” esalò
titubante. Vago, il cenno di assenso rimbalzò dall’uno all’altro per poi
tornare a lei nello schiarirsi della gola di quello basso “E siamo soli, come
può notare. Il resto della Carovana si è via via smarrito man mano che le
Tempeste di Sabbia continuavano ad avvicendarsi senza sosta”. Nuovo silenzio.
Nuovo cenno d’intesa di tutti. Tutti meno che lei che, incerta, stava ora
immobile fra di loro come una piccola preda accerchiata da un branco di belve
fameliche.
Rabbrividì. E represse a
stento un colpo di tosse. Poi si umettò le labbra.
“Dove siamo diretti?” “Anaphantum” rispose rapidamente l’uomo accanto a lei. La Nihaar’ì si accigliò.
Sentì sotto la lingua vaghe
screpolature delle labbra attirare il morso dei suoi denti una, due volte. Si
impedì tuttavia di mordere.
Eppure
Zaphil aveva parlato della Città del Cielo...
Come percependo la sua
confusione, quello più basso fece allora un accenno conciliante.
“Quest’anno le Tempeste di
Sabbia sono giunte prima del previsto” spiegò con calma “Si è pensato che
seguire la via per Anaphantum fosse la scelta
migliore per aggirarle”.
Per un breve attimo la Nihaar’ì tentò di ricostruire a memoria le mappe che più
volte i suoi Varpet Yuni
(Maestri delle Vie) le avevano mostrato nell’estremo tentativo di suscitare in
lei il benché minimo interesse per il continente di cui ella era sovrana e
protettrice.
Sospirò.
Suo malgrado, tutto ciò che le
sovvenne fu una generale sensazione di noia accompagnato alla precisa e
inoppugnabile certezza che mai e poi mai tutto ciò le sarebbe servito in vita.
Del resto - ricordava accuratamente di aver constatato- mai e poi ella sarebbe
uscita dalla Torre senza che qualcuno prima di lei avesse pensato esattamente a
dove andare e come andarci.
Perché
dunque prendersi un simile e inutile disturbo?
Silenziosa e immobile come la
più misera delle prede, la ragazza non potè che
socchiudere appena le palpebre.
Ecco
perché. Deglutì a vuoto. Ecco
perché.
Così, dopo attimi di frenetica
ed infruttuosa ricerca, alla Nihaar’ì non restò che
annuire una volta, incerta, ai quattro ora immobili come in attesa del suo -ahimé- verdetto finale sull’intera vicenda.
“Ho capito” decretò infine “Ma
questo era prima che ci perdessimo, giusto?”
Nuovo annuire unanime, ora un
po’ più genuinamente sconfortato.
“Secondo i nostri calcoli, Zaphil e la sua scorta dovrebbero essere riusciti a evitare
il peggio. Per gli altri, invece, temo sia difficile fare qualunque tipo di
previsione” “E per noi?” esalò la Nihaar’ì con un
gemito. “Fortunatamente il nostro Hiras conosce il
Deserto meglio degli esploratori che ci ha rubato il deserto” spiegò incrociando
brevemente le braccia al petto “Se non fosse stato per le tempeste di Sabbia e
imprevisti annessi ora saremmo già alla volta di Anaphantum”.
Hiras? Si accigliò lei. Un nome da Danzatore?
Capì allora di aver fatto una
deduzione corretta perché all’unisono anche gli uomini tutt’attorno a lei
parvero zittirsi, i volti pallidi di sabbia a mutare in un che di teso e
nervoso assieme prima che l’Hiras in questione
abbozzasse un mesto inchino.
“Hiras”
fu l’annuncio colpevole
“Akanj”
gli fece eco subito uno dei due alti compiendo il medesimo gesto.
“Atam”
lo seguì l’altro.
“Matnery”
concluse infine il più basso.
Per un attimo la Nihaar’ì parve incapace di dire alcunché. Poi, vago, fu
come vederla compiere un mezzo passo all’indietro.
Lungo respiro “Siete
Danzatori”
Era tradizione che ogni città
di Arryan avesse, oltre alla sicurezza dei Legheon, una propria guarnigione armata cui fare
affidamento in caso di attacco. Hevnan k’ar aveva, appunto, i Danzatori, famosi in tutto il continente
per l’usanza di denominare i propri affiliati con i nomi delle ferite da essi
riportate nel corso dei vari addestramenti.
Dita (Matnery)
annuì una volta, piano “Dopo gli sconvolgimenti di Hevnan
k’ar, le Volpi hanno proposto che una scorta di Danzatori
si unisse alla vostra per garantirvi una migliore protezione” esalò. La Nihaar’ì sbattè una volta le
palpebre.
E
Zaphil aveva accettato? Esitò.Guardò di sfuggita tutti i presenti.
“E Zaphil
mi avrebbe lasciata sola con una scorta di cui sapeva poco o nulla?” si
accigliò. Denti (Atam) si schiarì frettolosamente la
voce “Non era sua iniziale intenzione farlo” ribattè
subito “Ma nel corteo più avanti, l’Hayeli’vo
necessitava della sua presenza per l’ingresso ad Anaphantum”
“Mi ha lasciata sola con voi e nessun altro?” “Sapeva che vi avremmo protetta a
costo della vita”.
Ancora, lungamente, lei non potè fare a meno di sorvolare con lo sguardo i Danzatori lì
riuniti, ognuno vestito di una rossa tunica cerimoniale lisa e impolverata più
di quanto fosse lecito per genti del loro grado. E infine non trovò alcunché da
replicare, la notizia che già vi fosse da qualche parte una nuova Hayeli’vo a sostituire Sery a
svuotarla improvvisamente di ogni velleità o domanda ulteriore.
Annuì ancora una volta,
meccanicamente, limitandosi allora ad ammettere implicitamente dinnanzi a
quegli estranei che andava bene così. E che anche se non fosse andato bene,
cosa poteva farci?
“E’ stata un’offerta assai
generosa” commentò quindi incerta “Davvero generosa”
Terminate quelle inutili ed
assai superflue - questa era l’impressione -
chiacchiere esplicative, presto fu chiaro che i quattro avessero davvero
una fretta incredibile di ripartire. In meno di qualche attimo raccolsero tutto
ciò che la Tempesta di Sabbia aveva sparpagliato, misero in sesto gli Yenavo’r, pulirono mercanzie e beni di prima necessità
intaccati dalla sabbia e tutti insieme saltarono infine in groppa. Meno
semplice fu invece convincere lei, la Nihaar’ì ad
avventurarsi in quel mondo nuovo ed assai poco invitante denominato: cavalcare
con un estraneo. Mai, in effetti, le era stato chiesto di esporre se stessa e
il suo nobile grado ad un contatto che esulasse le cure di Danhe
e le effusioni di Asiya. Presto, tuttavia, quando fu
chiaro che nulla della sua costernazione avrebbe potuto contro la fisica
mancanza di uno Yenavo’r a suo esclusivo uso e
consumo, la ragazza venne costretta a montare in sella al drago di Dita (Matnery) e così sistemata, permettere
finalmente al gruppo di ripartire alla volta di Anaphantum.
Così schierati, Orecchio (Akanj) e Atam nelle retrovie, lei
e Matnery in mezzo e avanti, molto più avanti, Hiras, il gruppo prese finalmente ad avanzare nel pallido
meriggio, ore di calma e vento a stemperare sempre più la piana desertica in
una infuocata distesa rovente. Solo voltandosi per caso, la Nihaar’ì
fu infine in grado di scorgere in lontananza ciò che rimaneva di una piccola
branda da trasporto, probabilmente adibita a suo giaciglio fino ad allora.
Desiderò allora di poter dormire ancora, placidamente, nella sua comoda branda
solitaria.
Come
era possibile che Zaphil l’avesse lasciata sola?
Giorno di marcia. Notte di
veglia.
Non servì che un giorno perchè la Nihaar’ì sperimentasse
sulla propria pelle quanto duro potesse essere il deserto se paragonato agli
agi e comodità della Torre del Tempo. Alle sue frescure. Alle sue acque limpide
e zampillanti. Che a confronto anche la più becera forma di umidità pareva una
manna dal cielo. Simili a pelle di serpente al cambio della muta, le sue labbra
già dolorosamente martoriate furono le prime ad accusare i sintomi del calore e
disidratazione.
Sapeva
quanto fosse importante che tutto risultasse vero, credibile, certo. Tanto
inconfutabile da non lasciare adito al dubbio sul come mai un Naphil lasciasse sola la Nihaar’ì
all’ingresso di una nuova città.
Giorno di marcia. Notte di
veglia.
Presto le piaghe sulle labbra
della Nihaar’ì esplosero e seccarono in un trionfo di
bruciori e tormenti senza fine. Di gran carriera si unirono tagli e lacerazioni
alle cosce dovuti allo sfregamento contro la sella dello yenavo’r.
In breve la frizione accompagnata alla sabbia onnipresente non permisero alla
fanciulla di rimanere nella medesima posizione per più di qualche dolorosa ora.
Eppure
la finzione poteva essere così importante da trascurare la realtà? Da rischiare
di perderla ancora una volta - e per davvero - nel bel mezzo del nulla?
Giorno di marcia. Notte di
faticosa veglia.
“Avete sete?”
Silenziosi e attenti, era raro
che i Danzatori parlassero durante le ore di marcia. E’ per risparmiare le
forze le aveva detto Matney la prima sera
avvolgendosi più strettamente nei propri mantelli. Quando si è in marcia è
d’obbligo risparmiare su tutto, anche sulle parole.
Abituata ad una vita di
frivolezze e futilità, docili preamboli di un inesorabile spreco di parole, la Nihaar’ì non potè che mancare il
saggio ed atavico senso di quelle rivelazioni. Fortunatamente però, rango e
diffidenza furono comunque in grado di sopperire consentendole in qualche modo
di sfoggiare un solido -seppur malinteso- riserbo durante le silenti ore di
marcia.
“Avete sete?” ripetè la voce alle sue spalle. Rigida e per metà
assonnata, lei si limitò ad annuire una volta ricevendo in risposta la famosa
sacca che da giorni aveva notato trovarsi al collo di ogni Danzatore. “Bevete
poco” la ammonì subito Akanj “Dubito che ci saranno
pozzi da qui in poi. Questa zona è nota per la sua aridità”.
Lei fece una smorfia prima di
rimuovere il fermo del recipiente e bere a piccoli sorsi. Quale meraviglia, l’acqua. Terminato, a malincuore lo richiuse per
porgerlo nuovamente all’altro. Lui rispose con un mezzo chinarsi del capo prima
di indugiare qualche attimo con lo sguardo su di lei.
“Dovreste provare a dormire,
sapete?” le suggerì incerto. Lei accostò le mani al fuoco acceso poco distante.
“Non sono stanca” mentì beandosi del piccolo calore da esso scaturito. Nella
sabbia tutt’attorno al braciere i Danzatori avevano conficcato una serie di
pali sulla cui sommità sventolavano stracci di rosso tessuto evidentemente
logorato dal tempo. Di giorno li portavano arrotolati nei tessuti delle brande
ai fianchi degli Yenavo’r mentre di notte li ponevano
tutt’attorno ai giacigli a mo di cerchio dal quale
nessuno usciva mai se non strettamente necessario.
“Non siete stanca?” un accenno
di sorriso scivolò sulle labbra di lui venandole di fessure sanguigne. Aveva
pelle bruna e abbronzata, quasi caramellata a confronto con quella della Nihaar’ì “Eppure sono tre giorni che non dormite. Credete
forse di non averne bisogno?”.
Lei si strinse appena nelle
spalle, la sensazione che la risposta a quella domanda non fosse altro che Le Nihaar’ì non hanno bisogno di niente a passare come una
brezza fra di loro prima che questi, sospirando, le porgesse un pezzo di carne
secca.
“Se non volete dormire, almeno
provate a mangiare” l’odore acre e salato del budello fece storcere il naso
alla ragazza che rifiutò muovendo appena il capo all’indietro.
“Pregare non serve a nulla, Akanj” dall’ombra comparve in quella la figura di Hiras “Se avesse davvero fame, mangerebbe” con un semplice
gesto strappò dalle mani del compagno il pezzo di carne infilandoselo dritto in
bocca prima di sedersi al suo fianco. Alla Nihaar’ì
rivolse un semplice cenno di intesa che ella non ricambiò.
“Dicono cose strane su voi
Danzatori” fece lei dopo un attimo, gli occhi fissi sul lento masticare
dell’uomo “Dicono cose strane di tutti” rintuzzò lui. La ragazza arricciò
appena le labbra “Dicono che veniate addestrati in luoghi segreti nel deserto
al di là del confine delle Vele” una pausa, il viso di Hiras
che si alzava come in attesa della conclusione “Con le Ombre” esalò lei infine.
Per un attimo parve di vedere
entrambi irrigidirsi appena. Poi Hiras scoppiò in una
fragorosa risata “Chi sarebbe tanto stupido da andare al di là del Confine?” la
sua voce risuonò per la prima volta giovane e suadente alle orecchie di lei.
Una nota strana che ella faticò ad identificare.
“Per non parlare
dell’inverosimile addestramento con le Ombre” continuò questi cavando dalla
propria bisaccia una strana pianta tutta aggrovigliata; una radice forse
“Sbaglio o l’unica al mondo capace di affrontarle siete voi?”
La gomitata di Akanj al fianco di Hiras diede il
tempo alla Nihaar’ì di dissimulare il calore che
sapeva esserle improvvisamente affluito in viso. Quando lui tornò a guardarla,
sperò di essere tornata normale. Le sorrise.
“E quindi è per questa ragione
che vi rifiutate di mangiare e dormire?” la voce di Atam
li raggiunse dalla parte opposta del fuoco. Stava disteso nel proprio
giaciglio, entrambe le mani dietro al capo come nell’atto di ammirare il
firmamento “Temete che vi possiamo fare del male con il nostro oscuro potere di
Danzatori?”. Voltandosi nuovamente in direzione del fuoco, la Nihaar’ì si limitò a rimanere in silenzio per qualche
attimo “Temo ciò che non conosco” ammise poi infine “E se aveste vissuto anche
un solo giorno della mia vita, dubito che non fareste altrettanto” il volto di Atam parve contrarsi appena “Vissuto come?” la incalzò
girandosi lentamente a guardarla. I suoi tratti più di tutti tradivano la
durezza di qualche battaglia o combattimento passati.
Rinchiusa
in una prigione d’oro con acqua e servi a profusione pronti a tutto pur di
compiacermi. E lame nel buio pronte a sgozzarmi.
“Basta, Atam.
E’ ora di dormire” la voce di Matnery pose fine a
qualunque ulteriore velleità di dialogo, costringendo gli uomini a rintanarsi
nelle proprie brande.
“Dormite, Somma Nihaar’ì” la pregò con voce suadente Matnery
prima di coricarsi anch’egli “Il Deserto non concede spazio ad ostinazione o
caparbietà. Se voi non lo rispetterete, vi ucciderà come un qualunque abitante
di Arryan”.
Queste le ultime parole che
gli uomini si rivolsero prima che uno dopo l’alto tutti quanti cedessero ad un
sonno silenzioso e avvolgente, duro da sostenere per la Nihaar’ì
che sola si ostinava da giorni a non soccombervi.
Danzatori...
La stanchezza e la fame
gravavano su di lei come una coltre densa e pesante.
Cisposi di sabbia, i suoi
occhi rotolarono lenti dall’uno all’altro Danzatore steso attorno a lei in una
rosa di rossi fagotti a tratti sospiranti, a tratti scossi da qualche brivido o
movimento.
“Giuro su ciò che mi è più
caro che vi porteremo sana e salva ad Anaphantum,
Somma Nihaar’ì” le aveva promesso il primo giorno Matney prima di porgerle le consunte stoffe per il suo
giaciglio. Ricordò di aver accettato con circospezione l’offerta prima di
replicare con un sibilo acuto “E cosa vi è più caro, Danzatore?”. Domanda sbagliata, probabilmente, insinuante come il serpente che a
tradimento si infili fra le pieghe degli abiti per attendere il momento più
propizio per colpire. E come tale, assai eloquente nell’esplicare quanto poco
ella considerasse rilevante il proposito appena esplicato.
Sospirò, il capo che
inesorabilmente si chinava verso terra una, due volte. Poi, quasi rimbalzando,
tornava su.
Non
si fidava di loro. Nemmeno lontanamente. Socchiuse piano le palpebre.
Ma aveva forse alternativa?
Fuori dalla Torre tutto le era
estraneo e incomprensibile, un mondo rimasto tanto escluso dalla sua vita da
apparirle ora insieme vasto ed inafferrabile. Si passò la lingua sulle labbra
scoprendole dure e secche come carta.
Pesante, il capo della Nihaar’ì scivolò ancora un po’ più in basso, una lunga e
meticolosa occhiata alla sabbia sottostante prima che ella, debolmente, lo
rialzasse con un sospiro contrito.
Rabbrividì.
Del
resto non poteva dormire. Si passò la lingua sul palato molle. Espirò. Sapeva di non poter dormire...
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Guarda
in alto. Ed eccole nel cielo fibre di nuvole ad indicarle il risalire del vento
in alta quota. Il distorcersi dell’aria lassù, troppo in alto perché ella possa
sfiorarle eppure abbastanza forte da concederle di sentire a lungo,
intensamente, quel suono.
Qualcosa
sta accadendo, lassù.
Qualcosa
- abbassa lo sguardo - sta accadendo laggiù, più oltre, lungo il confine
dell’orizzonte ora sfuocato, ora seminascosto. Strabuzza gli occhi. Guarda. E
poi le vede, capisce, interpreta. Sono qui. Fa un passo indietro, due, poi
cerca di voltare lo sguardo ma non può. Non - annaspa - riesce.
E
così può solo arretrare, interdetta, spaventata. Terrorizzata dal fatto che
nulla se non il vuoto e la sabbia la separano dall’inesorabile incombere poco
più avanti di quelle figure, quelle sagome - espira - , quelle Ombre.
No.
No.
Indietreggia.
Indietreggia. E indietreggia ancora. E quando pensa che indietreggiare possa essere
l’unica cosa irrinunciabile di quel terribile attimo, il terreno invece la
tradisce. Il suo piede scivola, manca la presa. E nella voragine di un attimo
la Nihaar’ì avverte il mondo spalancarsi alle sue
spalle come una bocca malefica, vorace, insidiosa.
No.
Si sente allora sospirare. No...
E
così si protende in avanti. Si sbilancia. Tende le mani. Ci prova, insomma, a
non cadere.
E nell’attimo in cui aprì gli
occhi, capì di esserci riuscita. Qualcuno stava afferrando la sua mano ora, in
quell’attimo. E dopo una frazione di istante ecco tirarla a sé, sbilanciarla
non più indietro ma forse in avanti e con un ultimo, roco, sforzo, tirarla a sé
in un comune ruzzolare a terra ansante e stremato.
Faccia a terra, la NIhaar’ì si prese tutto il tempo possibile per riprendere
fiato. Poi, un tremito incontrollabile a scuoterla da parte a parte, volse il
capo di lato incontrando quello del proprio salvatore girato verso di lei in
una posa tesa e affannata. Trattenne a stento un mezzo sospiro.
“State bene?” fece Atam senza muoversi. Aveva il labbro inferiore spaccato
quasi che nell’atto di afferrarla si fosse morso “Si, credo di si” fece lei poco convinta facendo allora leva sulle
braccia per tirarsi in piedi. Lui tuttavia la trattenne con una lieve stretta della
mano.
“Aspettate che giungano gli
altri” la ammonì piano “Nessuno di noi due indossa il Colore”.
Strana
affermazione. Valutò la Nihaar’ì. Giacché ella ricordava perfettamente di
essersi addormentata con quegli stracci addosso non meno di...
Si bloccò. Poi, il tempo di
una maledizione a fior di labbra, la giovane abbandonò di nuovo il capo a
terra, sconfitta.
“Voi siete una donna forte,
Somma Nihar’ì” fece subito l’altro come cogliendo la
sua epifania “Ma cinque giorni di veglia sono troppi per chiunque”.
Non
per una Nihaar’ì desiderò poter rispondere lei.
Sfortunatamente però, i fatti avrebbero reso quell’affermazione assai puerile.
Nel silenzio generale, si concesse ancora un paio di maledizioni prima di
sospirare.
“Era per questo che non
volevate dormire?” le chiese dopo un attimo lui “Temevate forse di scappare per
miglia e miglia nel deserto come una Agves Anaphat (Volpe del deserto) per dirigervi verso il primo
dirupo e buttarvici dentro?” abbozzò un sorriso che ella avrebbe di certo
ricambiato se solo il tutto non fosse suonato così stupido e ridicolo assieme.
“I Sogni della Nihaar’ì non sono cose per gente come voi” sospirò poi
infine “Desolata che abbiate dovuto assistervi” lui fece spallucce “Non siete
la prima Agves Anaphat che
vedo. Anche se raramente me ne sono capitate di così atletiche” lei si limitò ad alzare un sopracciglio colmo di sdegno.
Poi ricordò che molto probabilmente lui non l’avrebbe notato -portava il velo-
così, arrendendosi allo sconforto, si limitò a rimanere in silenzio. Tuttavia
fu sufficiente: con il medesimo sorriso conciliante, Atam
si concesse di scrollare ancora una volta le spalle prima di borbottare “Si
fiderà di me, ora che le ho salvato la vita?”.
Di tutta risposta lei tentò
nuovamente di tirarsi in piedi. Invano.
“Gradirei alzarmi” digrignò in
un sibilo. Lui fece finta di nulla. Nuovo sospiro contratto, poi la Nihaar’ì ci riprovò. Questa volta l’uomo si abbandonò ad un
gemito esasperato “Vi ho detto di aspettare. Cosa esattamente vi è sfuggito?” “E io sono la Nihaar’ì”
fu la rigida replica dell’altra “Cosa
esattamente vi è sfuggito?”.
Per un attimo fanciulla e
Danzatore si fronteggiarono con una lunga e intensa occhiata. Poi con uno
scatto stizzito lui lasciò la presa.
“Molto bene allora” digrignò
“Andate, se è questo che volete” ma prima che lei avesse anche solo il tempo di
muoversi, la ammonì “Credo però sia d’obbligo informarvi che ci troviamo molto
distanti dal punto dove dovremmo essere. In effetti, più vicini al confine
delle Vele che alla rotta verso Anaphantum”
Immediatamente lei si
irrigidì. Lui piegò appena un angolo delle labbra.
“Come vi avevo detto, avete un
passo invidiabile”
Esitare, questa volta, fu cosa
assai superflua. Sconfitta, lei si arrese infine nel poggiare nuovamente la
fronte nella sabbia.
“Non è la prima volta che
accade, vero?” chiese dopo un lungo attimo di riflessione. Lui rimase in
silenzio. “E immagino sia per colpa mia che abbiamo perso così tanto la strada
in questi giorni” continuò con voce strascicata.
Non
per le tempeste di Sabbia. Non per le temperature del deserto.
Da qualche parte alla sua
sinistra, sentì l’altro annuire piano. “Hiras ha
proposto di legarvi, ad un certo punto. Ma noi altri ci siamo rifiutati”
Io
non l’avrei fatto. Sospirò lei piegando finalmente il capo a
guardarlo. Atam aveva volto e mascella squadrate,
vivide di linee sottili e dure come di chi non avesse mai riposato o mangiato
abbastanza nella vita. Non era attraente, ma emanava comunque un che di
interessante che induceva lo sguardo a permanere più di una sola e semplice
occhiata.
“Quanti anni avete?” si
ritrovò a chiedere dopo un istante lei. Lui parve sorpreso dalla domanda perché
impiegò qualche attimo per rispondere. “Poco più di trenta” “E avete sempre
combattuto?” rintuzzò lei. Vaga scrollata di spalle “I miei genitori non erano
abbastanza ricchi per permettersi di sfamare me e i miei fratelli. Quando fu
chiaro che tutti insieme saremmo morti di fame, chiesero ai Danzatori di
prendermi con sé e da allora” vago accenno di sorriso “L’Ordine è la mia nuova
famiglia”
Per un attimo lei si limitò a
valutare la risposta dell’uomo, il sole già alto nel cielo a disegnare ombre
oblunghe sul volto di lui. Poi socchiuse le palpebre.
“Quindi non fu una vostra
decisione entrare nell’Ordine” constatò. Lui strinse appena le labbra “Non
inizialmente” le concesse “Ma negli anni imparai ad amare ciò che mi veniva
insegnato e rispettare coloro che me lo insegnavano. E poi in genere è così che
si entra nei Danzatori” lei gli riservò un’espressione interrogativa “Tutti o
quasi i membri dell’Ordine nascono come trovatelli, abbandonati o rifiutati.
Persone da poco, in effetti.” spiegò questi paziente “Se è di Nobili o ricchi
che volete parlare, penso dovreste rivolgervi alle Guardie della Torre o della
Città del Cielo”