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Autore: FALLEN99    21/09/2016    1 recensioni
Fino a che punto può spingersi la passione prima di diventare oscura?
Questo Amalia Jones, appena trasferitasi dalla splendente California in un paesino ai piedi di Dublino, ancora non lo sa. Appena però incontra gli occhi funesti di Alek Bás inizia ad averne una vaga idea. La passione ti strappa la ragione e ti getta nella pazzia, ed Amalia lo sperimenterà a caro prezzo.
“Come un ago sulla bilancia, il tuo potere è in grado di favorire la luce o le tenebre. Sta solo a te decidere. Se sceglierai il bene, potrai salvare il mondo. In caso contrario, distruggerlo”
**
– Riesci sempre a metterti nei guai.– le sussurrò all’orecchio.
– Ti sbagli– gli rispose Amalia, diventando concorrente nella tacita sfida dei loro sguardi
- Cosa te lo fa credere?
-Perchè sei tu che mi metti nei guai. Tu, TU sei i miei guai
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 13


La vecchia biblioteca della scuola era decisamente l’ultimo luogo dove Amalia avrebbe voluto trovarsi in quel momento. La sua scarsa propensione al silenzio era uno dei motivi principali assieme al fatto che odiasse ripassare per un test accanto ad altre persone, specialmente se esse avevano l’aria di sapientini appena assemblati che si scrutano attorno per eliminare la possibile concorrenza. Tuttavia, sapeva benissimo che quello era l’unico posto che era quasi del tutto sicura che Alek Bàs non frequentasse e, inoltre, l’ultima F in chimica le aveva decisamente dato la prova che studiare a casa con tutte le distrazioni che la sua stanza comportava non le giovasse.
Sbuffò e sollevò gli occhi dal libro, fissando il suo sguardo su Catherine che, seduta davanti a lei, era intenta a ripetere a bassa voce. Avrebbe voluto distrarre l’amica con l’ennesima pallina di carta, ma pensò che forse l’avrebbe distolta dalla sua concentrazione, come già aveva fatto appena dieci minuti prima. Catherine si era irrigidita e, seppur con un sorriso benigno sulle labbra, le aveva intimato di tacere e così aveva fatto.
Lanciò occhiate all’ambiente che la circondava. Le mura, scolorite e logorate dal tempo, circondavano una stanza rettangolare completamente divisa da file di scaffali stracolmi di libri equidistanti l’uno dall’altro. I tavoli dedicati allo studio erano disposti al lato del bancone della bibliotecaria, appena a fianco dell’ingresso. La polvere sembrava regnare incontrastata sulle mensole e fra le copertine, ricoperte di quella patina grigiastra come se nessuno osasse rimuoverla da secoli. Le finestre erano ampie e davano sul giardino interno dell’istituto, ridotto a un cumulo di foglie secche con sfumature che andavano dall’arancione cupo al rosso scuro. Il cielo di quel pomeriggio di fine autunno era grigio e grossi nuvoloni neri pieni di pioggia si raggruppavano all’orizzonte, dando ad Amalia il presentimento che forse sarebbe stato opportuno rubare uno degli ombrelli riposti nel portaombrelli dell’entrata per sfuggire all’imminente scroscio di pioggia.
“Lo restituirò proprio come ho fatto con gli altri tr…ehm sei” si disse, autoconvincendosi che il suo era un po’ come il comportamento di Robin Hood, che rubava ai ricchi per dare ai meno fortunati. Meno fortunati che nonostante fossero ormai quasi abituati al piovoso tempo irlandese ancora non si ricordavano di mettere l’ombrello in borsa, proprio come lei.
L’aprirsi della porta risvegliò Amalia dai propri pensieri ed i suoi occhi, curiosi, conversero verso l’ingresso. Nel momento stesso in cui si rese conto che il ragazzo appena entrato era Alek Bàs, il suo volto assunse un’espressione corrucciata ed infastidita e la sua mano strinse repentinamente l’evidenziatore fucsia che reggeva.
Alek, divertito dalla reazione che la sua apparizione aveva destato, avanzò a lunghe falcate nella stanza e si diresse verso di lei. Se lo sguardo di Amalia avesse potuto fulminare, i brandelli del corpo elettrificato del ragazzo si sarebbero trovati fumanti sul pavimento già da qualche secondo. Tuttavia, lui sembrò non darci troppo peso e si posizionò esattamente dietro la sedia di Amalia, dandole le spalle e fingendo di rovistare tra i tomi nello scaffale.
Amalia sospirò con stizza, tentando di trovare conforto in Catherine che, per sua sfortuna, era così presa dallo studio che nemmeno aveva notato quell’ultimo avvenimento.
–Cosa diavolo ci fa qui, Alek?– sussurrò Amalia innervosita, sforzandosi di non alzare il tono di voce.
–Potrei farti la stessa domanda; non mi sembri certo un topo di biblioteca che studia qui tutti i pomeriggi. Io le cose false le riconosco, Amalia– ribatté il ragazzo senza girarsi, enfatizzando le ultime parole.
–Molto interessante, vedo che il tuo sesto senso è davvero acuto. Ora, sei fortemente pregato di portare il tuo sedere fuori da qui e lasciarmi studiare in santa pace.
–Credo ti sfugga che questo è un ambiente dedicato agli studenti della Saint Gabriel e, sfortunatamente per te, io sono uno di loro e posso posare il mio sedere dove mi piace e pare
Amalia si morse il labbro per il fastidio che provava nel trovare sempre una risposta pronta da parte di Alek. Era incredibile come riuscisse a tenerle testa anche in un semplice battibecco come quello, dove normalmente Amalia riusciva a sopraffare chiunque con la sua acidità.
–Questo, però, non ti autorizza a infastidirmi come hai fatto l’altro con giorno con la storia di Shannon
–Oh, questa in realtà è la parte migliore – disse urtando con un piede la sedia di Amalia e facendola stridere sul pavimento. In meno di dieci secondi gli occhi di tutti i presenti furono su di lei come spilli e risvegliarono sulle sue guance un intenso rossore. Avrebbe voluto sprofondare dieci metri sotto terra e restare lì fino a che la biblioteca non si fosse completamente svuotata. Dannazione, era almeno la terza volta che Alek le faceva fare una figuraccia passandola quasi del tutto liscia – naso rotto a parte.
–Che diavolo succede…? – la voce di Catherine le arrivò alle orecchie come un’ancora di salvezza.
–Questo cretino non la vuole sapere di lasciarmi in pace
Non appena Catherine vide Alek sgranò gli occhi.
–Sì Cat, non sei l’unica ad essere sorpresa del fatto che un coglione del genere si trovi qui.
Alek, in risposta, tirò un ulteriore calcio alla sedia.
–Vuoi stare fermo?– sibilò Amalia, schivando nuovamente le occhiate di tutti come fossero lame.
–E tu vuoi smettere di fare l’acida?
–Ne ho tutto il motivo di farlo, qui sono io la vittima del tuo comportamento da stalker psicopatico.
Alek rise di gusto. –Credo che non ti sia ben chiara la differenza tra vittima e carnefice, potresti cercarla in uno di questo libri che fingi ti interessino
Amalia fece per ribattere ma restò boccheggiante prima che le parole potessero uscirle dalla bocca.
–Voi due– il tono squillante della bibliotecaria li interruppe. La donna indicò con l’indice smaltato di rosso la porta e fece loro capire in modo non del tutto velato che la loro presenza non era più gradita.
–Mi scusi, non volevo disturbare– tentò di scusarsi Amalia, senza però ottenere alcun successo. La donna, infatti, sembrava guardarla con una maschera di ghiaccio sul volto, non facendo trasparire nessuna emozione che non fosse nervosismo.
–Fuori– proferì, impassibile.
–Ma… – questa volta fu Catherine a parlare, ma nemmeno il suo tono calmo e dolce riuscì a risolvere le cose.
–Non ce l’ho con lei signorina, ma con i suoi due amici. –
Gli occhi della donna si strinsero in due fessure ed Amalia capì che ogni tipo di protesta sarebbe risultata inutile, chiunque fosse stato a farla. Se poi ci avesse provato Alek, sapeva che le cose sarebbero andate di male in peggio, meglio dunque lasciare la stanza il più in fretta possibile e senza rimediare alcun richiamo disciplinare.
Ripose mestamente i libri nella cartella e uscì urtando appositamente Alek con la cartella mentre se la metteva in spalla, suscitando un’espressione ilare da parte quest’ultimo.
Non appena si ritrovò nel corridoio un moto di rabbia la pervase, facendole stringere i pugni fino a che le nocche non le diventarono bianche.
Possibile che quel ragazzo dovesse sempre metterle i bastoni tra le ruote e apparire nei momento meno opportuni?
Una mano le toccò la vita, strappandola dalla sua riflessione. Si voltò di scatto e si ritrovò il volto di Alek a qualche centimetro dal suo.
Sostenne il suo sguardo ed evitò di annegare in quelle iridi color smeraldo con così tanta forza che dovette saldamente piantare i piedi a terra.
–Interessante come passi dall’insultarmi a perderti nei miei occhi in pochi minuti
Amalia ridacchiò. –L’unica cosa che si sta perdendo è decisamente il tuo buon senso e la tua normalità. Provi davvero così tanto gusto a infastidirmi in ogni momento, a pedinarmi o spaventarmi a morte?
Alek alzò un sopracciglio. – Già dal primo giorno ti avevo detto che sei carina quando ti arrabbi, non ti ricordi?
Amalia lo spinse via in un moto di fastidio, dandogli una manata sul petto in modo da frapporre più spazio possibile tra i loro corpi.
–Sei proprio un idiota, Alek– disse, girandosi e prendendo a camminare lungo il corridoio. Ormai le appariva chiaro come il sole che era inutile parlare con lui, non sarebbe mai arrivata a una conclusione. Era fastidioso continuare a fare domande a qualcuno che le ignorava abilmente e rigirava la situazione dalla sua parte, che essa fosse un passaggio in moto o terrorizzare Amalia con frasi enigmatiche.
–E tu sei davvero un Incanto – nello stesso istante in cui udì quelle parole un brivido la scosse, costringendola a smettere di camminare tanta era la sua intensità. Quell’ultima parole le scavò nel cranio e le si impresse a fuoco nella testa, facendole sorgere repentini alcuni interrogativi.
Come diavolo faceva Alek a conoscere il soprannome che la nonna le aveva affibbiato fin da quando era piccola? Era impossibile, non aveva alcun senso. Nessuno oltre lei, Emilie e i suoi genitori lo sapeva e non c’era alcun modo col quale il ragazzo poteva esserne venuto a conoscenza.
Una sensazione opprimente prese a serrarle la gola, facendole provare l’impulso di uscire dall’edificio per respirare a pieni polmoni aria fresca. Nonostante questo bisogno, era come se tutti i suoi muscoli fossero pietrificati e non le fosse possibile nemmeno muoverli di un centimetro.
Sentì Alek muovere rapidi passi nella sua direzione.
–Non avvicinarti.
I passi si arrestarono e Amalia, quasi stupida che Alek l’avesse ascoltata, fu pervasa da un forte sollievo.
–Qualcosa non va, Amalia?– le chiese, sorridendo.
Era così facile tenerla sotto controllo che il ragazzo si compiacque della scaltrezza delle proprie, accuratamente scelte per fare andare Amalia in tilt.
La ragazza inspirò con decisione, non voleva dargli la soddisfazione di vederla andare in crisi. –Finché ti sto di fianco le cose c’è sempre qualcosa che non va.
In quello stesso istante, altri passi rimbombarono per il corridoio. Erano meno veloci rispetto a quelli di Alek ma non per questo più calmi.
–Andiamo – Catherine prese Amalia per mano e la tirò in avanti, fino a raggiungere l’uscita della scuola. Le due si diressero senza dirsi una parola alla fermata dell’autobus e vi arrivarono appena prima che iniziasse a piovere.
Solo quando ebbero entrambe preso posto sui sedili posteriori della vettura Catherine osò rompere il silenzio.
–Non se sia più strano il fatto che Alek Bàs ti abbia chiamato Incanto, facendoti un complimento, oppure il fatto che a te non abbia dispiaciuto.
Amalia arrossì. – Che diavolo ti salta in mente? Non hai sentito come gli ho risposto dopo?– disse quasi saltando in piedi tanta era l’enfasi che mise in quelle parole.
Catherine le rivolse uno sguardo sospettoso e si tirò una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio.
–Amalia sono una ragazza anche io, nel caso in cui te lo sia dimenticata. Anche a me avrebbe dato piacere ricevere un simile commento da un ragazzo, indipendentemente dal fatto che quello fosse Alek Bàs– rispose, non distogliendo gli occhi da Amalia nemmeno per un secondo – inoltre, ormai ti conosco. So che sei fin troppo orgogliosa per ammettere che qualsiasi cosa ti incanti.
Amalia avrebbe voluto urlare. Voleva cancellare quello stupido complimento di Alek dalla sua testa il primo possibile, e Catherine non la stava aiutando di certo a farlo.
La coincidenza che il ragazzo l’avesse chiamata come faceva Emilie era fin troppo inquietante e, d’altra parte, lo era anche il fatto che Alek sapesse il nome della nonna, cosa che Amalia ricordò le aveva confidato tempo in prima durante uno dei loro incontri, se così si potevano chiamare.
Tutto questo metteva assolutamente in secondo piano che Alek avesse fatto un apprezzamento nei suoi confronti, solo che Amalia che non sapeva se era il caso di confidarlo all’amica.
Nel dubbio, non disse nulla e proseguì il resto del viaggio a rispondere a monosillabi alle continue domande di Catherine che, dal canto suo, non sembrava voler mollare la presa sull’argomento.
Una volta arrivata a casa si buttò subito a letto, declinando la cena che Eureka aveva appena preparato.
Si addormentò di botto, senza nemmeno essersi tolta la divisa umida.
Ingenuamente credette che il sonno potesse confortarla, ignorando che da ormai troppo tempo non lo facesse più. 
   
 
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