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Autore: tyger    23/09/2016    1 recensioni
Raccolta di brevi esperimenti nonsense. Perché a volte le storie sono semplicemente storie.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Senza titolo; ovvero, mille e un'attesa


Le vetrine dei negozi di fronte luccicano dei riflessi sfocati dei lampioni.
Si spengono intorno alle sette e mezzo, in questo periodo. La loro luce gialla, insieme calda e aliena per come si getta sull'asfalto sconnesso, colora tutte le mie impressioni.
La prima mattina si porta dietro il freddo appiccicoso di una tristezza strisciante, lo stesso disagio della colazione buttata giù con lo stomaco chiuso, e questa luce che bagna la periferia mentre, dietro le case basse, oltre i campi, il rosso dell'alba - oggi particolarmente intenso - inizia a infettare il cielo.
Tiro fuori le cuffie dallo zaino, le attacco al cellulare, scorro le playlist. Il pullman è già in ritardo di quattordici minuti. Prendo un respiro più profondo all'intro arpeggiata della prima ballata acustica. Scrivo a Elisabetta di tenermi un posto a lezione, nel caso in cui facessi tardi anche oggi. L'irritazione mi serpeggia nello stomaco, pungente ma stanca. Quest'ora della mattina sembra sedare le sensazioni, in qualche modo - tranne alcune; alcune le esalta, come fa il sale.
Allontano il pensiero.
Il proprietario della macelleria davanti alla fermata arriva in macchina, parcheggia sullo spiazzo coperto di ghiaia, scende, chiude l'auto, mette in una tasca della giacca le chiavi e prende quelle del negozio, tira su la saracinesca, apre la porta, entra, accende la luce, richiude. In genere arriva prima la fruttivendola. Gli altri negozi, quando passo da qui, sono sempre chiusi, quindi non ho idea dei loro orari.
Le tre ragazze sedute sul muretto alla mia destra scoppiano a ridere d'improvviso, superando lo sbarramento di decibel della musica nelle mie orecchie. Il mio vicino di casa passa in bici e mi saluta con un cenno della mano. Mi sistemo lo zaino sulle spalle e controllo il display del cellulare: diciotto minuti di ritardo.
Un piccolo morso di apprensione allo stomaco; e non è per il ritardo che accumulerò anche oggi - maledizione, vorrei che lo fosse. Che tutto fosse una lineare corrispondenza, che io riuscissi a spengermi dentro le cose che accadono l'una dopo l'altra. E abbracciare questa debolezza, dentro di me, come prezzo per non essere riuscita a vivere normalmente senza sentirmi soffocare e schiacciare ad ogni ombra. Perderei il conto dei miei crolli letali se ancora credessi che vale la pena tenerne traccia. Lo psicologo continua a darmi appuntamenti, ma radi, perché ha l'agenda piena.
La sagoma arancione dell'autobus si riflette nella vetrina di fronte, tra le luci dei lampioni, e un nodo di brividi mi si stringe tra gli altri, chiudendo il senso di essere qui, anche stamattina, esattamente qui dove sono, mentre senza poterlo impedire faccio lampeggiare lo sguardo oltre i finestrini e intravedo all'interno, poco più di un'ombra ma fin troppo nitido ai miei occhi, in mezzo a tutti i passeggeri che affollano lo stretto spazio, Giulio. Prendo fiato e il respiro mi brucia la strada fino ai polmoni.
Non sono pronta ai suoi occhi che mi cercano, in mezzo alla gente che ci separa, senza farsi vedere, non sfacciati quanto li vorrei - e non dovrei neanche pensarlo - né alla piega che gli prendono gli occhi quando mi sorride sottovoce, con una dolcezza che non gli vedo mai addosso tranne che in quegli attimi che non so mai se sono accaduti davvero, tanto sono fragili, esitazioni di uno sguardo che si trattiene per quella frazione di tempo in più che scava un abisso tra il quotidiano e lo straordinario. O forse, pronta o meno, dovrei solo ammettere, dopo tutti questi altalenanti mesi, che non riesco a dare più importanza a nient'altro, come se nient'altro che questo, nella mia vita e tra i miei desideri, avesse la stessa verità, la stessa necessità d'esistere, nient'altro che questo. E d'altronde nient'altro riesce a sciogliere i coaguli che mi ingolfano il petto, a dissolvere il tempo, nel crudele piacere dell'abbandono.
Ho un sorriso sulle labbra, prepotente, e non ho memoria di come ci sia arrivato; così vorrei che fosse la mia vita, da quando ho capito che non riesco a viverla altrimenti che nella perpetua mancanza d'attenzione, mettendo da parte tutte le idee e i giudizi morali che ho sempre avuto, spenta come una sigaretta contro il posacenere, persa dentro le cose.



 
   
 
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