CAPITOLO 27
Riuscii a riposare per un poco, nonostante tutto, dopo ciò
che mi era accaduto durante quella giornataccia, e mi risvegliai totalmente
solo quando udii la porta di casa aprirsi, e mia madre che rincasava assieme a
qualcun altro. Dalla voce mi sembrò Roberto.
Restai a letto, dato che non me la sentivo di affrontarli o
di scendere di sotto, troppo ammaccato sia fisicamente che mentalmente per
poter affrontare dignitosamente anche solo una sfida verbale, che però in quel
caso mi appariva già persa in partenza.
Infatti, invece di far scoppiare un caos del genere tutto in
una volta, avrei almeno potuto parlarne ed aprirmi con qualcuno degli abitanti
della mia casa, considerando che non tutti erano cattivi come lo erano altri.
Non sarebbe cambiato nulla, anzi, magari sarebbe solo potuto peggiorare tutto,
ma avrei almeno tentato di comportarmi lealmente, invece di lasciar cadere
all’improvviso intere famiglie nel baratro oscuro in cui ormai si muoveva la
mia vita durante gli ultimi mesi appena trascorsi.
Ancora amareggiato, riconobbi che tutto ciò che era accaduto
durante quella giornata poteva essere interpretabile come la mia più grande e
totale vittoria su Federico e sulle sue prepotenze, ed indirettamente anche su
Livia e le sue coperture, dato che probabilmente la signora doveva essere a
conoscenza della piantagione di marijuana del figlio(sperando però che nessuno
di loro due volesse vendicarsi di nuovo, e in quel momento lo escludevo), ma
ciò avrebbe potuto creare un distacco tra me stesso, mia madre e Roberto, da me
abbandonati dapprima in caserma con un grido, e poi snobbati a casa.
Non sapevo proprio come comportarmi. Per fortuna, furono
proprio loro due a togliermi da quel problema.
Udii i loro passi che si avvicinavano alla mia stanza, dopo
aver risalito le scale, e cercai di restare calmo e di fingere di riposare, ma
la mamma aprì lentamente la porta e, dopo aver dato una sbirciata, la spalancò
ed entrò.
‘’Come stai, Antonio?’’, mi chiese subito mamma Maria, senza
troppe premure e non preoccupandosi se stessi dormendo o no.
Non potendomi sottrarre nuovamente a lei, e sapendo che
dopotutto non potevo evitare per sempre quello scambio di battute, nonostante
non avessi davvero voglia di chiacchierare o di dare spiegazioni di qualsiasi
sorta, mi girai verso la sua bassa figura, notando che Roberto si era fermato
sulla soglia della porta, senza entrare completamente all’interno della mia
camera da letto.
‘’Sono solo un po’ ammaccato, mamma. Se riesco a fare una
buona dormita, poi torno a stare bene’’, le risposi, con la voce pesante ed
impastata dalla recente sonnolenza.
‘’Sicuro che non hai bisogno di essere visitato da un
dottore?’’, tornò a chiedermi il mio genitore, con un tono premuroso e venendo
a sedersi sul mio letto, a qualche centimetro dal mio corpo disteso.
‘’No, no, stai tranquilla’’, la rassicurai, ‘’è tutto a
posto, non ho nulla di rotto. E comunque, come ti ho detto, mi è rimasto
qualche livido ed un po’ d’indolenzitura, e nient’altro’’.
Avevo leggermente mentito, poiché provavo ancora un bel po’
di dolore a tratti, ma ero certo che presto sarebbe passato tutto, entro
qualche giorno.
‘’Doveva proprio finire così?’’, tornò a chiedermi la mamma,
gentilmente e con un tono sommesso, ma meno premuroso di quello utilizzato fino
ad un attimo prima.
Sapendo che era giunto il momento di qualche spiegazione,
sbuffai ed abbassai lo sguardo, sentendo anche gli occhi di un silenziosissimo
Roberto puntati sul mio viso.
‘’Puoi parlarmene, anzi, devi. Devi raccontarci tutto quello
che è accaduto in questi mesi, sia a scuola che a casa, tra te e Federico. Qui
è presente anche Roberto, come avrai notato, e non avere timore di lui; se è
venuto ad ascoltarti è perché ci tiene a te e vuole sapere come sono andate le
cose, e come si sono evolute, visto che da ciò che ci hai detto, quella di poco
fa non è stata la prima violenza da te subita’’.
L’unico mio genitore sempre preoccupato per me m’incalzava
senza tregua, ed immaginavo che presto o tardi non mi sarebbe rimasto altro da
fare che cedere e raccontare tutto, d’altronde non aveva neanche più importanza
non farlo. Ma prima di sciogliermi la lingua, dopo mesi di tormenti di ogni
sorta, mi preoccupai per lei, siccome quel pensiero non mi permetteva di
rilassarmi.
‘’Prima vorrei sapere se, per causa mia, sarai multata o
avrai dei problemi per via degli affitti…’’, le dissi, interiormente
preoccupato, sempre sapendo che avrebbe inteso a cosa mi stessi riferendo. Lei
mi sorrise, sempre seduta vicino a me.
‘’Per fortuna, credo di no. Siamo riusciti a deviare tutta
l’attenzione sul grave fatto accaduto… e non preoccuparti per tutto il resto,
la tua salute è molto più importante. Sul serio, non pensare a nulla, è tutto a
posto, non sono poi così una sprovveduta. Ora, racconta’’, tornò a chiedermi la
mamma, rassicurandomi solo parzialmente.
‘’E… lui dov’è?’’, tornai a chiedere, lanciando un’occhiata
verso Roberto e la porta. L’uomo era impassibile e muto, e neppure quella volta
si degnò di aprire la bocca e di parlarmi. Quel silenzio mi faceva male, e allo
stesso tempo mi turbava.
Non avevo pronunciato il nome del prepotente, ma anche quella
volta immaginavo che entrambi avessero compreso a chi mi stessi riferendo.
‘’Federico è ancora in caserma, con sua madre… ma ti ho detto
che non devi preoccuparti di altro, per ora. Devi solo raccontarci tutto, e non
tenere nulla per te, senza distorcere i fatti. Ci serve ascoltare ciò che è
accaduto senza che ce ne accorgessimo, poiché ci sarà utilissimo…’’.
‘’Sì, lo so. Va bene. E mi scuso per avervi taciuto tutto
quanto, ma lui’’, e continuai a riferirmi a Federico con un semplice lui, ‘’mi
prometteva continuamente botte e ritorsioni, e azioni violente anche contro di
te, mamma. Ora vi racconto tutto, promesso’’.
Dopo il breve preambolo, inspirai e mi feci forza.
Sotto lo sguardo sempre più raddolcito di mia madre e sotto
quello freddo e distante di Roberto, che doveva aver abbandonato moglie e
figlio in caserma pur di ascoltare la mia versione dei fatti senza che nessuno
potesse turbarci, narrai tutto quanto, impiegandoci almeno mezz’ora. Parlai da
solo, senza che nessuno m’interrompesse o mi chiedesse altro o di approfondire,
e non ebbi problemi a ripercorrere tutto ciò che avevo dovuto subire, fin dai
primi giorni dopo l’arrivo del nuovo e prepotente inquilino.
Non nascosi proprio nulla. Finii di parlare proprio nel
momento in cui si udì aprirsi la porta di casa, e qualche parola di mio padre
giunse fino al piano superiore.
A confessione finita, Roberto abbassò lo sguardo e si
dileguò, sempre immerso nel suo mutismo, e mia madre mi sorrise amaramente, e
con le lacrime agli occhi mi sfiorò una guancia e mi mandò un bacetto, così
come faceva quand’ero più piccolo.
‘’Mi spiace per tutto quello che hai dovuto subire, e per di
più a causa mia e del nostro bisogno di denaro. Mi dispiace, per tutto’’, mi
disse, davvero dispiaciuta.
‘’Non è colpa tua, mamma’’, la rassicurai, con la voce
leggermente roca, a furia di parlare senza sosta. Avevo la gola secca, e
necessitavo davvero di un bicchiere d’acqua.
Ad interrompere il nostro breve momento d’intimità, fu
l’ennesima parola pronunciata da mio padre, che giunse fino al piano superiore,
quasi urlata.
Innervosita, mia madre si alzò dal letto e mi fece cenno che
sarebbe andata al piano inferiore, per comprendere che stava succedendo, poiché
l’uomo pareva parecchio agitato. Mentre lei scendeva le scale, decisi che
l’avrei seguita, perlomeno per andare a bere qualcosina.
Ancora non immaginavo che al piano inferiore mi attendevano
tante novità da conoscere.
Non appena giunsi al piano inferiore, trovai mia madre già
alle prese con mio padre, innervosito e scuro dalla rabbia. Lui parlava a voce
alta e le intimava di non aprire la porta, mentre lei insisteva per farlo.
Non appena li raggiunsi, posi fine ai loro litigi premendo a
distanza il tasto a fianco del citofono interno, facendo di fatto scattare la
serratura della porta.
Mio padre mi lanciò un’occhiataccia sorpresa e carica di
nervoso, e poi, riconoscendo la nostra vittoria, si ritrasse alzando le mani e
dirigendosi verso la mia saletta, per poi scomparire al suo interno, mentre la
mamma apriva lentamente l’ingresso, guardando chi fosse il soggetto a cui
l’altro mio genitore voleva impedire l’accesso nella nostra dimora.
Per un attimo, la mia mente fu offuscata dalla tensione che
provavo per il fatto che, ormai, nell’ultimo periodo fosse diventata
consuetudine consolidata di Sergio quella di rintanarsi in modo ancor più
irritante all’interno di quello che un tempo era il mio rifugio dal mondo, e il
mio spazio dedicato alla mia creatività musicale.
Creatività che, tra l’altro, molto probabilmente stava
risentendo di quel lungo e continuo periodo di pausa, ma come tantissime altre
volte ero stato costretto a riconoscere, non avevo molte possibilità di
riappropriarmi dei miei spazi, se mia madre non avrebbe avuto il coraggio di
cacciare l’altro mio genitore da casa, e se avesse continuato a tentennare in
modo così evidente nei suoi confronti.
Misi bruscamente a tacere i miei pensieri non appena fece capolino
il volto di Stefania, arrossato dall’imbarazzo, che chiedeva alla mamma il
permesso di entrare, che gli fu subito concesso.
La ragazza varcò la soglia e mi rivolse un timido saluto, e
anche se non mi era chiaro come avesse fatto ad essere già entrata all’interno
del giardino, lasciai perdere ogni altro mio ragionamento, dato che forse
doveva aver seguito mio padre quando rientrava, magari sorprendendolo nel bel
mezzo del cancelletto.
Che Stefania fosse stata una sorta di perseguitatrice per
lui? Oh, sul momento quasi sorrisi a quel pensiero davvero molto sciocco,
poiché mio padre non mi appariva proprio il tipo giusto da importunare
continuamente. Incuriosito ed innervosito allo stesso tempo per via di quella
ragazza che, a quanto pareva, voleva a tutti costi far presenza in casa mia,
come se non ci fossero già abbastanza problemi da risolvere ed affrontare, feci
finta di nulla e mi diressi lentamente verso la cucina, e la mia tanto
desiderata acqua.
Ma evidentemente quel giorno non dovevo assolutamente essere
lasciato in pace, giacché, mentre soddisfacevo il mio impellente bisogno di
liquidi, mia madre ebbe l’idea di accettare per davvero la presenza di Stefania
e di condurla proprio in cucina.
‘’Vieni, ti do un bicchiere d’acqua. Mi sembri davvero molto
scossa’’, le disse, affiancandomi e prendendo un bicchiere.
‘’Non si scomodi, signora Maria’’, iniziò a dire la
timidissima ragazza, che sempre cercava di non fissare mai lo sguardo su di
noi.
Stefania lì per lì m’incuriosiva sempre più, in primis per il
fatto che non riuscivo a comprendere perché cercasse sempre un dialogo con mio
padre, anche se lui era restio, e ovviamente anche perché ero curioso di
scoprire quale fosse il suo problema, che l’aveva spinta a presentarsi più volte
al nostro portone, considerando che mia madre non era riuscita a scoprire nulla
su di lei, e aleggiava un velo di mistero su tutto quanto, come una leggera
patina di condensa che bisognava far sparire, per poterci vedere in modo più
chiaro.
Alla ragazza comunque fu offerta dell’acqua, e fu invitata ad
accomodarsi un attimo su una sedia, ed io compresi che mia madre aveva
intenzione di indagare sul serio quella volta, e di scoprire cosa volesse da
mio padre, cercando di trattarla cortesemente e di farla sentire a suo agio, oltre
che a trattenerla con qualche gentilezza.
‘’Davvero, devo proprio andare. Scusatemi’’, continuò a
ripetere Stefania, come se fosse andata in fissa, per poi alzarsi dalla sedia.
A quel punto, mia madre, che tanto sciocca non era, fu
costretta a fare il tanto temuto balzo in avanti, pur di non lasciare fuggire
la preda dalla trappola della sua curiosità. Curiosità che, tra l’altro,
spingeva anche me a fare presenza e a restarmene imbambolato in quella cucina
che dava sempre l’impressione di essere stretta e soffocante, quando si sentiva
l’odore di una qualche ipotetica discussione.
‘’Senti, cara Stefania, io non voglio apparire scortese ai
tuoi occhi, ma vorrei solo farti una domanda, visto che questa è già la seconda
volta che vieni a fare una scenata in casa mia, e che te ne vai pronunciando le
tue frasette di rito e col viso in fiamme e in procinto di lasciarsi andare al
pianto. Ecco, volevo chiederti se vuoi qualcosa da noi…’’.
‘’Non le ha raccontato nulla Sergio?’’, chiese a quel punto
la ragazza, apparentemente sorpresa, sempre mantenendo il suo tono rispettoso
ed educato.
‘’No, non mi ha detto nulla a riguardo. Se c’è qualcosa che
possiamo fare per te, diccelo, ma in caso contrario smettila di venire a
turbare la già troppo scarsa tranquillità di questa dimora’’, disse mia madre,
con un tono leggermente seccato. Anche lei voleva giungere al punto, e pure io
naturalmente, anche se lì facevo solo presenza in quel momento.
Stefania sospirò e tornò a sedersi.
‘’Non credo che non le abbia raccontato nulla, altrimenti
sarebbe davvero un gran coniglio. Però, voglio crederle, e, poiché lei me l’ha
chiesto, non ho problemi a raccontarle cosa voglio e cosa mi ha portato qui, a
bussare alla vostra porta, quasi ad elemosinare l’attenzione di Sergio’’,
esordì la ragazza, in modo parecchio sincero ma teso. Noi due presenti
continuammo a guardarla, senza dire nulla.
Mi balzò solo all’occhio che mio padre avesse preferito
nascondersi che affrontare la realtà, lasciandoci di fatto campo libero. Mi
pareva lampante che avesse la coscienza sporca, per via di qualcosa che non
conoscevo ma che mi stavo accingendo ad apprendere, dopo aver atteso tanto
quelle possibili e probabili risposte ai miei interrogativi.
‘’Io… io, ecco, come sapete, mi chiamo Stefania, ed ho
ventidue anni. Da tre di essi frequento l’Università di Bologna, ed è stato
proprio durante i miei primi mesi di frequentazione che ho conosciuto
casualmente Sergio. Non era un mio docente, avendo scelto la facoltà di Medicina,
però ho avuto modo di fare la sua conoscenza una sera, in un bar poco distante
dall’università, dove mi ero fermata a fare un piccolo spuntino, siccome,
purtroppo, non sono affatto brava a cucinare, ed in più ero davvero spaesata.
‘’Ho vissuto nelle periferie di Carpi per tutta la mia vita,
e quando sono finita inglobata dentro al caos della grande Bologna, per via
della mia scelta di studio alla quale tengo molto, mi sono anche ritrovata a
vivere in un minuscolo monolocale, e a dover affrontare ogni giorno tutte le
mie necessità primarie. Insomma, in questo smarrimento iniziale, ho conosciuto…
l’uomo che mi ha cambiato la vita, un po’ in tutti i sensi’’.
‘’Lui… è… il tuo… compagno?’’, chiese mia madre, balbettando.
Io, inarcando un sopracciglio, rimasi in silenzioso ascolto.
‘’Sì… o, almeno, lo è stato. Avevo diciannove anni, ero una
ragazza sola e nella metropoli non conoscevo nessuno. Quando ho avuto la
fortuna d’incontrare un uomo maturo e galante, che mi ha abbordato coi suoi
modi gentili, offrendomi lo spuntino al bar e chiacchierando amabilmente con
me, sfoggiando una grande cultura, ne sono rimasta colpita. Ci siamo promessi
che ci saremo rincontrati, e da lì è iniziato un periodo di galanterie che mi hanno
lasciato senza fiato. Ma sono stata soltanto raggirata, me ne rendo conto solo
ora! Lui ha solo sfruttato la mia ingenuità…’’.
Fece una piccola pausa, iniziando a piangere sommessamente.
‘’Caspiterina…’’, sbottò mia madre, neppure tanto colpita
dalle rivelazioni appena udite, mentre porgeva un fazzolettino di carta alla
ragazza, che pareva davvero intenzionata a raccontarci tutto. Da quando si era
aperta, era stata in grado di affrontare degnamente la sua timidezza, e non
pareva più in nostra soggezione, ma soltanto disperata.
‘’Insomma, abbiamo cominciato a vederci. All’inizio i nostri
incontri parevano quasi casuali, ma sapevamo che in fondo non lo erano, poiché
cercavamo sempre di raggiungere gli stessi luoghi in cui c’incontravamo più di
frequente. Poi, abbiamo cominciato ad uscire assieme alla sera, lui mi ha
raccontato di essere single… e mi aveva mentito… non mi importava la sua età…
anche se aveva quarant’anni in più restava ancora un bell’uomo… i miei ad un
certo punto non hanno più potuto sostenere le mie spese, e se n’è fatto parzialmente
carico lui… ho cominciato a passare il mio tempo libero a casa sua, mi
insegnava tante cose, mi apprezzava, poi…’’.
Con la voce continuamente rotta dai singhiozzi, Stefania fu
costretta a soffermarsi per riempire di nuovo d’aria i suoi polmoni.
‘’Poi mi ha baciato, un giorno, quasi a tradimento. Mi è
piaciuta come cosa, lo ammetto, e ci ho preso gusto. Pensavo che mi amasse.
Insomma, da quel momento è cominciato un periodo in cui vivevamo come una sorta
di coppia clandestina… non ha mai voluto presentarmi a qualcuno, però mi
cercava, mi telefonava, si curava di me come nessun altro stava facendo. Mi
sentivo così sola, e le sue attenzioni colmavano il mio bisogno d’affetto.
Pensavo di amarlo’’.
Mia madre a quel punto era davvero sbigottita, e cercava di
non affrontare gli occhi della ragazza. Anch’io ero a bocca aperta, e pendevo
dalle labbra di Stefania, che aveva una parvenza sempre più disperata. Ma lei
aveva il diritto di venire in casa nostra per sputarci in faccia certe cose in
quel modo?! Non mi era ben chiaro. Ma, d’altronde, eravamo proprio stati noi a
cercare con avidità quelle risposte. In quel momento dovevamo solo
accontentarci.
‘’L’ho amato e lo amo ancora. Nonostante tutto, abbiamo
cominciato ad andare a letto insieme solo sei mesi fa, circa, e non mi vergogno
a dire che gli ho davvero concesso tutto di me, corpo e anima. Sono stata sua.
Ma da quando ha scoperto che…’’.
Altra pausa, mentre le lacrime ormai formavano fiumi lungo le
sue guance.
‘’Hai scoperto che…?’’, la spinse mia madre, quasi
brutalmente.
‘’Il mese scorso, ho scoperto che sono rimasta incinta.
Pensavo che la notizia gli avrebbe fatto piacere, ma quando gli ho detto di
legalizzare il nostro rapporto, e l’ho informato della gravidanza, lui è
sparito ed ha fatto perdere le sue tracce’’.
‘’E’ per questo che è tornato qui, allora!’’, quasi gridò la
mamma.
Non seppi mai se fosse rimasta colpita, o se provasse gelosia
per quella ragazza, ma credo che non gliene sia mai importato più nulla di mio
padre, dopo che l’aveva abbandonata. Invece, io ero allibito, e senza parole.
Non riuscivo neppure più a battere le ciglia, dallo stupore e dal nervoso che
stava generando dentro di me quel racconto.
‘’E’ scappato, ha lasciato tutto… si è assentato pure alcuni
giorni dal suo posto di lavoro, non sapevo più come fare… dovevo assolutamente
ritrovarlo e… quasi facevo appostamenti, quasi… poco tempo fa è tornato a
riprendere a svolgere il suo ruolo, anche se non è ritornato a casa sua, e
allora ne ho approfittato per pedinarlo e seguire la sua macchina e i suoi
spostamenti, e così sono giunta fin qui…’’, continuò a raccontare la ragazza,
che piangeva come una matta davanti ai nostri occhi e pareva non darsi tregua.
Io ero ancora senza parole, non avendo neppure compreso bene
se quella giovane che avevo di fronte fosse in dolce attesa di un mio
fratellastro o meno, ed ero in subbuglio non tanto meno di lei. Mia madre
pareva voler mantenere la calma, nonostante tutto, e non faceva altro che
passare fazzoletti alla nostra ospite in lacrime.
Fu in quel momento tanto delicato che mio padre ebbe l’idea
di uscire dalla sua tana, finalmente, e di affrontare la situazione. Quasi fece
irruzione in cucina, e quando entrò, portando con sé la sua notevole stazza e
il suo solito fare deciso, tutti noi lo guardammo.
‘’Bene, il teatrino è concluso. Grazie per la bella
sceneggiata, Stefania! Ti sei impegnata a dipingermi come un mostro, come un
essere disgustoso, di fronte alla mia famiglia. Adesso però è ora che tu torni
a casa’’, disse, con la sua voce dura e tonante.
La ragazza si alzò in piedi, e gli si avvicinò lentamente.
‘’Non è la tua famiglia, questa…’’, sentii sibilare mia
madre, ma a bassissima voce. Nessuno la udì, a parte me.
‘’Non ti riconosco più, Sergio. Da quando sei fuggito da me,
senza un motivo, non sei più l’uomo affascinante e maturo che mi ha tanto
ricoperta di attenzioni, per quasi tre anni’’, gli disse Stefania, pacatamente.
Mio padre smollò un pugno sul lavabo.
‘’Un motivo c’è, e tu lo sai qual è. Se tu mi vuoi, e mi ami
come dici, fai quello che ti ho detto l’ultima volta che ci siamo parlati, ed
io tornerò com’ero prima; gentile, premuroso e sempre attento a te’’.
‘’Non pensarci neanche, non abortirò mai. Sappilo!’’, sibilò
la ragazza, andando sulla difensiva.
A quel punto, anche mia madre era allibita e senza parole.
Io, ancora ammaccato e dolorante, di fronte a tutte quelle novità e a sentir
parlare d’aborto quasi mi sentii male.
‘’Te l’avevo detto un’infinità di volte, di continuare a
prendere la pillola. Perché hai sospeso tutto senza dirmelo? Credevi di farmi
una sorpresa? Ti sei sbagliata, invece. Ma hai ancora tempo per rimediare il
tuo errore. Hai ancora un mese per farlo’’, aggiunse mio padre, lentamente e
con tanta spietatezza.
Spalancai la bocca, totalmente preso da quel dibattito. Dal
canto loro, i due litiganti parevano essersi eclissati dalla realtà, e non
badavano ai presenti.
‘’L’ho fatto perché io ti amavo. Non sapevo che tu avessi già
un figlio, non me l’avevi detto, ed io credevo…’’.
‘’Tu non credevi niente, stupida ragazzina! Non dovevi
impicciarti di nulla, dovevi solo seguire quello che io ti dicevo di fare! Cosa
vuoi saperne tu di gravidanze, di figli e di vita?’’, ruggì il mio genitore, ed
io in quel momento mi vergognai tantissimo di lui. Come avesse fatto a
mantenere la sua maschera e a fingere con Stefania non lo sapevo, ma in quella
manciata di minuti stava mostrando il suo vero volto.
‘’Ora finalmente capisco. Mi credevi un tuo gioco, ecco
cos’ero per te! Una ragazzina da circuire… dovevo essere una sorta di tuo
passatempo, la tua sgualdrina personale e consenziente’’, disse piano Stefania,
appoggiando poi una sua piccola mano sul tavolo, con poca lucidità.
‘’Io ti amavo, io ti amo ancora…’’.
E così dicendo, tra sé e sé, la ragazza riprese a piangere in
un modo travolgente. I singhiozzi scuotevano il suo corpicino, che in confronto
a quello di mio padre appariva davvero minuto, e s’immerse nuovamente nella sua
più cupa disperazione.
‘’Non fare così, Ste… tutto tornerà come prima, se farai ciò
che ti dico. Io ti amerò di nuovo, ma prima la piccola creatura deve proprio
andarsene. Di figli ne ho già uno, e mi basta e avanza…’’, tornò a dire mio
padre, questa volta con una dolcezza incredibile, avanzando verso la ragazza e
posando le sue manone sulle piccole spalle di lei.
‘’Ho passato la sessantina, ormai. Come credi che io possa
essere un padre presente, per nostro figlio? Non sarei un bravo genitore, anche
perché verrei a mancare molto presto…’’.
‘’Smettila di dire sciocchezze. Le tue sono tutte ironiche
scuse, che stai utilizzando come pretesto per farmi compiere quel gesto estremo
che neanche vuoi comprendere fino in fondo. Quello che porto in grembo è una
vita, ed è mio figlio! Nostro figlio, il frutto del mio primo amore serio!’’,
quasi strillò Stefania, riscuotendosi dal torpore provocatole dal pianto
isterico nel quale era immersa.
I lineamenti di mio padre tornarono improvvisamente a farsi
duri e rigidi, mentre io sospiravo, in modo impercettibilmente colmo di dolore,
perché proprio non ce la facevo più.
In quel momento, in cui potevo godere del piacere di avere tutte
le risposte che mi servivano, e tra l’altro tutto spiegato in modo molto chiaro
dai diretti interessati, avrei tanto desiderato sparire da quel mondo che mi
stava menando fendenti un po’ da tutte le parti. Stavo male sia fisicamente che
mentalmente, e non riuscivo a far altro che sospirare, di tanto in tanto, e
restarmene imbambolato ad ascoltare quella sequenza di frasi che contenevano
tanti sentimenti contrastanti tra loro.
Per un attimo sperai che mia madre sbattesse fuori entrambi.
Era giunto il momento per farlo, le carte erano tutte sul tavolo; ma lei, invece,
non lo fece. Restò immobile ed imbambolata, come me.
‘’Ma quale amore! Ma ti rendi conto di come stai parlando?!
Cos’è l’amore per te, sentiamo? Rose e fiori, bambini a volontà… tutte cose infantili!
Non sei la ragazza che credevo di avere di fronte, furba e scaltra. Sei solo
una giovane donna con la mentalità da bambina!’’, tornò alla carica mio padre,
calcando per bene le sue parole con rabbia. Ormai non palesava neppure più i
suoi sentimenti astiosi.
Spossato e senza forze, quasi mi ritrovai a sorridere di
fronte alla cattiveria realista di mio padre, osservando anche la reazione da
debole della ragazza che mi era di fronte.
Quando mi accorsi di ciò, quasi mi feci schifo, comprendendo
che stavo per sorridere di fronte all’estremo dolore altrui, e all’umiliazione.
Era chiaro e lampante che, così come io ero stato tormentato ed umiliato per
anni, Stefania era rimasta intrappolata nella rete che le aveva teso mio padre,
che logicamente non l’amava, ma che l’aveva utilizzata per il suo personale
piacere e in modo anche palesemente freddo, anche se lei non se n’era neppure
accorta. Forse, la sua giovane età l’aveva resa più vulnerabile alle avance di
un uomo più adulto e infingardo.
Notando il mio primo approccio alle affermazioni di mio
padre, che stava per sfociare in un aperto sorriso, mi venne da chiedermi se in
fondo anche dentro di me vivesse una parte di lui, spregevole e fredda,
disposta a nascondersi dietro a muri di finta bontà e a mostrarsi nei momenti
opportuni, quando si poteva ferire un’altra persona che ci stava
vulnerabilmente davanti.
Oppure, se la mia involontaria reazione fosse stata spinta
dal fatto che ero geloso, geloso di mio padre e di quella ragazza che aspettava
un figlio suo, a quanto pareva, e non riuscivo ancora a comprendere chiaramente
che quel bimbo, che mio padre voleva cestinare come un qualsiasi oggetto
vecchio, era il mio fratellastro, un essere vivente in cui scorreva parte del
mio stesso sangue.
Queste consapevolezze turbavano tantissimo il mio animo già
inquieto.
‘’Io ti amavo, Sergio, io ti amo ancora! Non puoi parlarmi
così, non puoi…’’.
‘’Ora basta! Taci e tornatene a casa. Sistemeremo la
questione e prenderemo una decisione più avanti, ma mi farò vivo io, tu non
tornare più a cercarmi’’, tornò a dire il mio genitore, sempre con aria severa.
Ma a quel punto, in un attimo, Stefania parve esplodere.
Compì quei pochi passi che la separavano da mio padre in meno di un secondo,
poi cominciò a dargli dei piccoli pugni sul petto.
‘’Non puoi trattarmi così! Non sono un tuo oggetto, noi due
non siamo un tuo oggetto di cui ti puoi sbarazzare quando vuoi, per poi
riprenderci. Non perderò il mio bambino e non permetterò che lui non venga al
mondo per colpa di un capriccio di suo padre…’’.
La reazione impazzita e colma di rabbia di Stefania fu messa
a tacere altrettanto in fretta, poiché mio padre le mollò due schiaffi sul
volto a piene mani, facendola bruscamente ritrarre da lui e barcollare.
Mi venne spontaneo coprirmi gli occhi con le mani, mentre mia
madre, che fino a quel momento era rimasta lì imbambolata come me, saltò su
dalla sua sedia e cominciò a borbottare qualcosa, spaventata e innervosita.
‘’Non voglio che queste cose accadano mai più in casa mia! Se
volete parlare del vostro futuro, e azzuffarvi in questo modo, andatevene a
casa vostra! Anzi, andatevene subito, che dovete stare a fare in questa
abitazione?! Fuori di qui!’’, disse infatti mamma Maria, fuori di sé e
innervosita dapprima dalle rivelazioni di Stefania, ed in seguito dagli
atteggiamenti e dalle parole di mio padre, che effettivamente l’avevano fatta
arrabbiare talmente tanto che pure lei sembrava essere diventata una belva.
‘’E tu stai zitta! Cosa vuoi da noi? Se non vuoi ascoltare o
vedere, vattene in un’altra stanza, invece di stare lì ad annusare l’aria come
una cagna…’’.
‘’Ma questa è casa mia! Vattene tu e la tua prepotenza
ignorante e vile!’’.
Mia madre non smollava di un centimetro, neppure di fronte
alla rozzezza prepotente e schifosa di mio padre, e non voleva più sentire
parolacce rivolte contro di lei in casa sua. Ma l’uomo, inferocito come non
mai, spinse da parte Stefania, che gli bloccava il passaggio, e si avventò su
di lei, cercando di smollarle uno di quei ceffoni che fino a quel momento aveva
riservato alla ragazza.
La differenza di forza era chiara, e anche quella violenza
sarebbe stata consumata, se non ci fossi stato io.
Senza che lui se l’aspettasse, Sergio si trovò un mio braccio
a deviare la sua forte mano, mentre cercava di abbattersi su mia madre.
‘’La mamma ha ragione. Devi andartene di qui’’, gli dissi,
incurante del dolore che mi aveva provocato la mia azione repentina, e dello
spavento che stava generando su di me.
L’uomo infatti, furioso, dopo essersi concentrato sulle due
donne, in quel momento stava rivolgendo i suoi occhi solo a me, sempre più
schiumante di rabbia e totalmente fuori controllo.
Mio padre era un uomo prepotente, e talmente tanto vile da
alzare le mani contro due donne inermi, e questo mi bastava a offrirmi la
spinta necessaria per affrontarlo così apertamente, anche se non avevo idea di
come fare a resistere ad un suo attacco. Era molto forte, nonostante l’età, ed
evidentemente sapeva come fare per picchiare in modo doloroso.
Ero consapevole di avere di fronte a me un mostro, un
violento contro le donne, un prepotente che faceva il signorotto in casa
altrui, e la rabbia dentro di me cresceva, senza però avere una valvola di
sfogo. Senza contare che forse le avrei prese pure io. Per la seconda volta in
un giorno.
‘’Ora basta, sono io a dovermene andare. Scusate per il
trambusto’’, disse mestamente Stefania, interrompendo il concitato momento e
tornando in sé. Probabilmente, essendosi resa conto del patatrac creato dalle
sue rivelazioni e dalla sua presenza in casa nostra, la sua timidezza era
tornata a farsi strada e a scacciare quel pizzico di follia da ragazza in preda
agli ormoni che l’aveva portata ad affrontare mio padre lì davanti a noi, quasi
come un’eroina, sfidando la sua violenza per essere poi pubblicamente umiliata.
La giovane prese con sé la sua borsetta, con la quale si era
presentata alla nostra porta, e poi si allontanò a passi veloci e a testa
bassa, mortificata e piangente.
Nessuno la seguì o le disse nulla, e si ribatté la porta
dietro di sé con un tondo sordo. E noi tre, ancora immobili, non c’eravamo
ancora mossi dalla stessa posizione che avevamo assunto una manciata di secondi
prima, quando la rabbia e il nervosismo l’avevano avuta vinta su ogni
razionalità.
Mio padre, con una mano ancora alzata verso di me, assunse
un’espressione corrucciata sul viso, ed increspando le labbra e corrugando la
fronte, quasi come se anche il suo corpo stesse comprendendo ciò che aveva
combinato fino a pochi istanti prima, si affrettò ad abbassare il suo arto,
sbuffando sonoramente e dandoci in fretta le spalle, per tornare nella saletta
del pianoforte senza dire null’altro.
Io e mia madre, improvvisamente soli, ci guardammo, e
riconoscendo un pacato velo di disperazione all’interno dei nostri occhi, ci
stringemmo in un caloroso e muto abbraccio, tacitamente sapendo che in quel
delicato momento dovevamo restare uniti, almeno noi due. Avremmo continuato a
sostenerci a vicenda, così come avevamo sempre fatto, senza lasciare che nulla
potesse mai minare il nostro rapporto.
Questa consapevolezza silenziosa che aleggiava su noi due fu
la nostra salvezza, alla fine.
NOTA DELL’AUTORE
Continuo a ringraziare tantissimo tutti i vari lettori e
recensori. Siete sempre la mia forza!
Grazie di cuore per tutto e a tutti, e buona giornata! A
lunedì prossimo.