Absence-that
common cure of love
Capitolo quarto: Slightly out of focus
«I don't know if we each have a
destiny, or if we're all just floating around accidental-like on a
breeze, but I
think maybe it's both. Maybe both is happening at the same time[1]».
Robert Zameckis, Forrest Gump
Christopher
Price era un uomo di larghe vedute e dalla mente straordinariamente
brillante.
Aveva un’opinione su tutto e idee ben radicate, difficilmente
influenzabili.
Prima di giungere a una conclusione analizzava la faccenda da ogni
angolazione,
prestava ascolto a ogni interessato per non lasciarsi condizionare da
una sola
parte in causa e soprattutto non credeva mai a ciò che
leggeva. O almeno, prima
di dare una notizia per certa, si premurava di attingere da
più fonti.
Per
questo motivo, consultava sempre tre giornali alla mattina durante
colazione.
Normalmente quando Victoria era presente, ne sfogliava uno alla volta
per
evitare di infastidirla occupando tutto lo spazio con i suoi
quotidiani.
Quando, invece, si trovava a fare colazione da solo, si sentiva libero
di
sbizzarrirsi.
Così
quella mattina, aveva sparso diversi fogli per tutto il tavolo da
pranzo, in
particolare attorno al suo posto apparecchiato.
Di
fronte a sé aveva il “Daily Telegraph”
di stampo conservatore, a sinistra il “The
Guardian” filo-laburista, e a
destra il “Financial
Time” per
tenersi aggiornato sugli eventi della City.
Finalmente
poteva sfogliare i suoi giornali in santa pace, senza temere di
prendersi
qualche ceramica in testa.
La
vita lontano da Victoria era estremamente piacevole, quieta.
Christopher
cominciava davvero ad abituarsi alla tranquillità che
aleggiava in casa:
nessuna scenata isterica, niente sguardi al vetriolo e soprattutto
nessun uomo
che gironzolava per le stanze credendo di passare inosservato.
Non
capiva come non avesse potuto pensarci prima: case separate. Non era
necessario
vivere a chilometri di distanza; per mantenere le apparenze di un
matrimonio
felice sarebbe bastato prendere un bell’appartamento e
dividerlo in due.
Sembrava
la scelta più logica per evitare di continuare a torturarsi
a vicenda.
L’avrebbe
certamente proposto a sua moglie al suo ritorno. Nel frattempo, aveva
tutta
l’intenzione di godersi i suoi giorni di libertà,
a partire dalla colazione.
A
conti fatti, tutto era perfetto: Victoria dall’altra parte
dell’oceano, il
gatto disperso da qualche parte nell’appartamento, Tachery
troppo occupato con
Robyn.
Non
avrebbe permesso a niente e a nessuno di rovinargli quel momento
sacrosanto,
anche perché non sapeva se e quando la sua consorte sarebbe
riapparsa e doveva
approfittarne finché poteva.
Ignorò,
quindi, l’insistente presenza di Eloise che se ne stava ritta
dietro di lui
come una sentinella. Normalmente la ragazza dopo aver servito la
colazione, si
rintanava in cucina per organizzare la sua giornata di lavoro. Era
chiaro che
quel giorno avesse bisogno di qualcosa.
E
Christopher era ben disposto a concedergliela, non
appena avesse finito la sua colazione intoccabile.
Avvertiva
l’impazienza di Eloise alle sue spalle, il respiro nervoso,
il piede che
batteva a intervalli regolari sul pavimento.
Poteva
quasi vederla torturarsi le mani dietro alla schiena, lanciare occhiate
a lui
in attesa del momento giusto, guardarsi intorno per distrarsi.
Tutta
quell’agitazione lo pressava almeno quanto gli occhi
minacciosi di Morgana.
Doveva immaginare che, tolto il gatto, tolta sua moglie, qualcosa lo
avrebbe
comunque disturbato e messo sull’attenti.
Eloise
era un’ottima cameriera. Professionale e soprattutto
discreta, il che non
guastava quando si aveva a che fare con Victoria e con un matrimonio di
facciata.
Nonostante
la giovane età riusciva a gestire la casa con estrema
facilità e sembrava anche
piuttosto contenta di lavorare per loro.
Christopher
passava la maggior parte del tempo in azienda, spesso rientrava tardi
ed era
davvero piacevole trovare tutto perfettamente sistemato per il suo
ritorno,
senza ulteriori scocciature. Eloise aveva imparato le sue abitudini e
riusciva
a districarsi tra i suoi impegni e orari impossibili senza mai
sbagliare un
colpo.
Con
Victoria aveva poi compiuto un vero miracolo. Christopher non aveva mai
sentito
sua moglie lamentarsi della cameriera, cosa non poco impressionante
dato che la
donna normalmente ne aveva una per tutti.
Eloise
era sveglia e sapeva rendersi utile. Non era mai un peso, quasi non la
si
notava nell’appartamento: stava al suo posto e svolgeva le
sue mansioni, a
volte anticipando perfino le richieste.
Victoria
la adorava e la trattava piuttosto bene considerato il soggetto.
E
chiunque fosse in grado di tenere a bada la sua consorte, acquisiva
posizioni
nella lista delle preferenze di Christopher.
«Eloise,
ti serve qualcosa?» le chiese, cercando di mantenere una
certa calma nella
voce. Prima risolveva la faccenda, prima poteva ritornare ai suoi
interessi.
La
ragazza fece un passo avanti e si portò nel campo visivo del
suo datore di
lavoro «Finisca la colazione con calma, signor Price. Le
ruberò più tardi
cinque minuti, se ha tempo» rispose cortesemente.
«Temo
di dover scappare tra poco. Dimmi pure adesso» la
incitò.
«Ecco,
mi chiedevo se potessi assentarmi dal lavoro per qualche
tempo» azzardò la
cameriera.
«Per
quanto?»
«Tre
settimane» confessò lei abbassando lo sguardo in
attesa di una reazione.
Quella
richiesta lasciò attonito l’uomo: Eloise non era
una scansafatiche, non era nel
suo stile premere per avere più tempo libero, quindi si
meritava anche un po’
di vacanze extra, ma tre settimane sembravano esagerate!
Christopher
non poté comunque ribattere. La ragazza si era accorta di
aver avanzato una
pretesa assurda e si affrettò a spiegare il motivo di tanta
urgenza.
«Si
tratta di un corso di aggiornamento per cui sono stata selezionata.
Avevo fatto
domanda qualche settimana fa e mi hanno presa. Si terrà a
Ripon, al Swinton
Park.
Non ho ancora accettato,
ovviamente aspettavo di avere il suo consenso. Ma è
un’occasione molto
importante per me, farebbe un’ottima figura sul mio
curriculum».
«Ho
alloggiato al Swinton Park una volta. È un
bell’albergo. Un po’ troppo pomposo
per i miei gusti, ma rimane un posto di tutto rispetto. Avrai molto da
imparare
da un hotel del genere. Ti sarà più utile
un’esperienza come quella per i tuoi
piani futuri, piuttosto che un impiego qui da noi»
considerò Christopher «Non
ho nulla in contrario. Capita in un buon momento: la signora
è via e chissà
quando tornerà. Ci sono solo io cui badare e posso fare a
meno di te»
acconsentì con un mezzo sorriso «Devi solo
chiedere il permesso alla signora
Wheeler, accertarti che non abbia bisogno del tuo aiuto per le prossime
settimane».
«L’avevo
già informata. Mi ha detto che non ha nessun problema se le
trovo una sostituta
temporanea».
«Mi
sembra giusto» annuì Christopher
«Immagino che dovrai darti da fare in fretta:
non si trovano cameriere a ogni angolo, non più».
«In
realtà ho già in mente una candidata. Non mi va
di mettervi in casa delle
sconosciute. Conosco questa ragazza da molto tempo e mi fido».
«E
io mi fido del tuo giudizio» la rassicurò
Christopher «Ora, ti prego, posso
finire la mia colazione senza
essere
disturbato?» gliel’aveva domandato con cortesia, ma
il sottointeso era palese: voleva
semplicemente starsene da solo.
Eloise
lo ringraziò con un cenno del capo e si dileguò.
Christopher
tirò un sospiro di sollievo e finalmente si
dedicò alla sua lettura mattutina.
Aveva appena preso la tazzina del caffè per il manico,
quando l’orologio sulla
parete segnò le otto e mezza, annunciando che era ormai ora
di andare al
lavoro.
L’uomo
sbuffò contrariato. Trangugiò in fretta il suo
caffè e ripiegò i giornali
riponendoli nella cartella.
Nonostante
fosse il capo e potesse fare più o meno come gli pareva, non
era proprio nella
sua natura arrivare in ritardo. Non si presentava mai nel suo ufficio
dopo le
nove, appena una mezz’ora più tardi rispetto ai
suoi dipendenti. E normalmente
se ne andava quando era passato da un pezzo l’orario di
chiusura.
Indossò
il cappotto e la sciarpa. Controllò allo specchio
all’ingresso di essere in
ordine e uscì. L’aria di metà ottobre
cancellò ogni traccia di sonnolenza
rimasta. A Londra l’inverno si affacciava sempre troppo in
anticipo per i suoi
gusti.
Normalmente
Christopher usava i mezzi pubblici per spostarsi, soprattutto di
mattina
presto: la metropolitana eludeva il traffico della superficie e gli
permetteva
di godersi una piccola passeggiata prima di cominciare la giornata
lavorativa.
Sempre
più sentiva il bisogno dell’aria fredda per
svegliarsi e di prendersi momenti
di calma per riflettere in tranquillità.
Mount
Street era una via nel centro di Mayfair, quartiere residenziale spesso
affollato dai turisti per i suoi negozi di lusso, ma di certo non
trafficato
quanto la Tottenham o un’altra delle strade principali.
L’uomo
percorse Grosvenor Square, scivolò accanto
all’Ambasciata Italiana, e tirò
dritto fino alla fermata di Bond Street dove
s’infilò sul primo treno della Central Line
diretto a Bank. Sbucò in piena City,
frenetica e chiassosa come amava essere durante le ore lavorative.
Una
fiumana di gente si apprestava ad attraversare la strada sotto lo
sguardo fiero
della statua di Arthur Wellesley duca di Wellinghton, posizionata di
fronte al
Royal Exchange, un lussuoso centro commerciale frequentato fin troppo
spesso da
Victoria e dalla sua carta di credito. Se la donna capitava nei paraggi
della
City, era molto più probabile che andasse a far visita a
Hermès piuttosto che a
suo marito.
Christopher
vi era entrato qualche volta per dei pranzi di lavoro, ma in generale
preferiva
posti più defilati e soprattutto meno turistici.
Svoltò
a sinistra, in una stradina secondaria per poi spuntare in una spaziosa
via a
senso unico. Esattamente sull’altro lato, si stagliava la
sede dell’azienda.
Christopher
come ogni mattina, si fermò a contemplare
l’insegna sulla facciata. Nonostante
fosse passato parecchio tempo, lo metteva ancora a disagio gestire
un’azienda
che portava un nome non suo.
La
sicurezza all’ingresso lo lasciò passare senza
tante storie. Ormai non era più
necessario che mostrasse la sua tessera di riconoscimento, ma
c’era stato un
periodo, all’inizio, in cui la guardia proprio non voleva
saperne di ricordarsi
il suo volto.
Una
volta raggiunto il suo ufficio, appese in modo ordinato cappotto e
sciarpa
all’appendiabiti e appoggiò la cartella sulla
scrivania.
Guardò
oltre la vetrata, giù in picchiata verso i tetti delle case
e dei palazzi di
Londra. L’edificio in cui si trovava era parecchio alto e
offriva una vista
suggestiva della città che si stava svegliando.
Anche
Christopher occupava una posizione molto alta, ma quella consapevolezza
non lo
confortava affatto, anzi lo tormentava.
Perché
nonostante i suoi meriti, nonostante le sue capacità, le
motivazioni che lo
collocavano così al di sopra degli altri si riducevano
sempre a un’unica
squallida verità: aveva sposato la figlia del capo.
«Tu
sei completamente fuori di testa».
Non
era proprio la reazione che Eloise si sarebbe aspettava dalla sua dolce
cuginetta.
«Pensavo
ti facesse piacere avere un lavoro per qualche settimana. Almeno
potresti
aiutarmi a pagare le bollette».
«Alla
faccia della solidarietà tra parenti».
«Ti
permetto di vivere qui senza pagare l’affitto, ma da quando
sei arrivata i
consumi sono decisamente aumentati. Sarebbe carino se
contribuissi» considerò
Eloise, mentre metteva una valigia sul letto.
«Non
ho nessuna intenzione di fare da serva a due viziati che non sanno
nemmeno
preparare la tavola da soli».
«Lucy!»
la rimproverò la cugina «Io non faccio la
serva».
«Non
so nemmeno perché perdi tempo in quella casa. Tu vuoi
dirigere un ristorante,
non diventare una badante».
«Perché
in un normale bar non mi pagherebbero neanche un terzo di quello che mi
danno i
Price» replicò Eloise «Almeno ho qualche
speranza di aprire il mio locale prima
dei cinquanta».
«Certo
e con quale esperienza?» le chiese Lucy scettica.
Eloise
arricciò le labbra e lasciò la presa sui maglioni
che caddero nella valigia
«Victoria Lyndon Price è meglio di qualsiasi
gavetta. E poi non mi occupo di
sistemare i letti o spazzare per terra. Scelgo il menù con
la cuoca ogni giorno,
rifornisco la dispensa e seleziono i vini per la cantina. Organizzo i
turni
delle pulizie, se qualcosa si rompe mi assicuro che venga riparato.
Praticamente gestisco già un ristorante privato»
osservò mentre continuava a
piegare i suoi indumenti «E aiuto anche la signora Price a
organizzare le sue
cene e i suoi eventi per la beneficienza. Fidati, sto facendo fin
troppa
pratica».
Lucy
si sedette sul letto e molleggiò sul materasso, annoiata e
poco impressionata
«Va bene, è tutto molto bello per te. Ma io studio
fotografia».
«In
una scuola costosa».
«Ho
vinto la borsa di studio».
«E
che mi dici delle altre spese? Londra è cara».
«Non
fingere che sia per il mio bene!» la rimproverò
Lucy scocciata «Lo stai solo
facendo per te stessa. Non capisco neanche perché! Non hai
qualcun altro cui
chiederlo? Avrai conosciuto qualcuno alla scuola professionale, mi
auguro» la
punzecchiò.
«Lavorano
già tutti a tempo pieno. Sei molto più libera tu
con il tuo corso di
fotografia» spiegò Eloise «Soprattutto
non posso mettere in casa la prima che
capita. Deve essere qualcuno di cui mi fidi. Immaginati se qualcosa
venisse
rubato: i Price vorrebbero la mia testa su una picca».
«Adesso
sì che mi stai convincendo» commentò
sarcastica la cugina.
Eloise
sbuffò e lanciò con stizza una gonna nella
valigia «Fa’ come vuoi»
s’imbronciò
«Se mai avrai bisogno di un piacere, mi ricorderò
di questo giorno» alzò il
mento orgogliosamente e marciò fuori dalla camera da letto.
Lucy
scosse la testa e fissò pensierosa il bagaglio della cugina
ancora aperto sul
letto. Avvertì un leggero senso di colpa stringerle lo
stomaco, ma si premurò
di scacciarlo subito. Per una volta non doveva permettere al suo buon
cuore di
avere il sopravvento. Aveva pur il diritto di rifiutare una proposta
simile.
Dopotutto
i suoi interessi a Londra erano di tutt’altro genere e non
era così sciocca da
farsi scappare un’opportunità come quella.
Da
che ricordasse, aveva sempre avuto un certo fiuto per
l’obiettivo: aveva
iniziato da piccola con la polaroid di suo nonno ed era poi passata a
macchine
sempre più professionali, raffinando la sua tecnica e la sua
abilità.
Una
volta conclusa la scuola superiore, aveva fatto domanda alla Tish
e all’ICP a
New York, ma non era stata
accettata. Stessa sorte per il corso alla Brown.
Alla
fine si era dovuta accontentare dell’università
pubblica del Rhode Island, dove
non aveva studiato solo fotografia ma in generale le arti figurative.
Al
termine del suo percorso aveva mandato ancora richieste
d’iscrizioni nelle
scuole più prestigiose nella speranza di venire presa per un
master.
Si
era trovata ormai sul punto di rassegnarsi quando inaspettatamente la
Southbank
di Londra le aveva risposto informandola non solo di averla accettata,
ma di
averla addirittura inserita nel programma di finanziamento per gli
studenti
stranieri.
Sua
madre si era mostrata piuttosto contraria all’idea di
lasciarla trasferirsi da
sola in una città metropolitana dall’altra parte
dell’oceano. La situazione si
era velocemente risolta con una telefonata ai cugini inglesi: Eloise si
era
offerta di ospitarla nel suo appartamento, risparmiandole la pena di
abitare in
un alloggio studentesco.
La
casa di Eloise era abbastanza grande per permettere a due persone di
viverci
comodamente. Era situata in un bel quartiere ben collegato con il
centro. Non
ci si poteva di certo lamentare.
Lucy
sapeva che prima o poi avrebbe dovuto contribuire al suo mantenimento,
non
poteva lasciare che sua cugina continuasse a occuparsi
dell’affitto e delle
varie spese.
I
suoi genitori mensilmente caricavano del denaro sul suo conto, ma la
vita
frenetica di Londra ne risucchiava gran parte.
Forse
accettare quell’impiego per tre settimane non era una cattiva
idea,
specialmente se lo stipendio era davvero alto come Eloise decantava. I
lavoretti da fotografa nelle varie festicciole non rendevano
più un granché.
Almeno
in quel modo avrebbe potuto mettere da parte qualche soldo e sentirsi
meno di
peso.
Si
alzò dal letto e uscì dalla camera per
raggiungere sua cugina che se ne stava
piegata sull’angolo cottura, dandole le spalle.
«E
va bene» si arrese Lucy «Va bene, lo
faccio!»
Eloise
lasciò il coltello con cui stava tagliando la verdura e si
girò fingendosi
sorpresa. L’espressione stupita si trasformò
presto in compiaciuta e la giovane
corse ad abbracciare l’altra «Sapevo che alla fine
avresti detto di sì» affermò
sicura.
«Se
qualcosa va male, non me ne prendo la
responsabilità» l’avvisò Lucy
ricambiando
di svogliatamente l’abbraccio.
«Andrà
tutto benissimo» la rassicurò Eloise. La
liberò dalla stretta e iniziò a darle
tutte le informazioni necessarie, mentre tornava a occuparsi della cena
«Cominci alle otto e stacchi alle cinque e mezza/ sei,
dipende da quanto c’è da
fare. Hai un’ora di pausa per il pranzo. A volte i Price mi
chiedono di
rimanere se hanno ospiti per cena, ma Victoria è partita per
Parigi e quando va
in Europa di solito non ritorna per settimane. Se tutto va bene, non la
incrocerai nemmeno».
«Quindi
c’è solo il marito?» chiese in conferma
Lucy.
«Sì.
Per quello ti dico che andrà tutto bene: il signor Price non
ha grosse pretese
e passa la maggior parte del tempo fuori casa»
versò dell’olio nella padella e
si voltò a guardare nuovamente sua cugina «Sei
sicura che non avrai problemi
con la scuola?» le domandò.
«Adesso
te ne preoccupi?» la ribeccò ironica Lucy
«Le lezioni sono incominciate da poco
e posso chiedere gli appunti in giro. I compiti per adesso sono
semplici, posso
svolgerli in poco tempo».
«Fantastico!»
gioì Eloise «Domani allora vieni al lavoro con me,
così ti do un paio di
istruzioni e se riesco ti presento il mio datore di lavoro».
Lucy
non credeva che esistesse ancora gente del genere.
Gente
che preferiva assumere personale di servizio piuttosto che imparare a
scaldare
il latte o a piegare le lenzuola.
Gente
che abitava in case gigantesche solo per il gusto dello sfarzo e non
per vera
necessità.
Solo
a guardare quel palazzo, Lucy si sentiva piccola come una formica. E i
Price
possedevano soltanto un appartamento al terzo piano. No, si corresse,
possedevano tutto il terzo piano e quello bastava e avanzava per
intimidirla.
Eloise
aprì il portone d’ingresso e salutò con
un cenno della mano il portiere seduto
alla sua postazione. L’uomo la riconobbe, ricambiò
il saluto e non fece altri
controlli.
Una
volta che si furono chiuse le porte dell’ascensore, la
giovane riprese a
spiegare alla cugina il lavoro che sarebbe andata a svolgere.
Lucy
memorizzava le informazioni e si ripeteva nelle mente quelle
già acquisite per
non farsi cogliere impreparata.
Un
ingresso, una sala da pranzo, un salone per gli ospiti, un salotto
privato, lo
studio del padrone di casa, la camera personale della signora, una
camera
condivisa che a quanto pareva usavano molto poco, un paio di altre
stanze per
gli ospiti, un numero consistente di bagni e una cucina che collegava
il corpo
principale all’ala della servitù, dove si
trovavano l’alloggio della cuoca, la
dispensa e la cantina.
Betty
Wheeler, in assenza di Eloise, era il capo assoluto. Donna scorbutica
se
istigata, amabile se lasciata in pace. Lucy era una sua subordinata e
non aveva
possibilità di discutere gli ordini impartiti. Di fatto
aveva l’obbligo
imperante di prendere per oro colato tutto ciò che Betty
Wheeler diceva e
comandava. Su questo punto Eloise non aveva ammesso repliche: era un
ottimo
modo per mettersi in pace l’anima e assicurarsi che sua
cugina fosse sempre
controllata.
Vedere
la casa con i propri occhi fu per Lucy un colpo: la descrizione di
Eloise non
rendeva affatto giustizia alla bellezza di quell’appartamento
e soprattutto
alle sue dimensioni. Il tour fu abbastanza a lungo e la ragazza si
trovò
costretta ad annotare le direttive sul suo cellulare per non
dimenticarsele.
La
cuoca apparve molto più gentile di come se l’era
immaginata, le spiegò il suo
metodo di lavoro, com’era organizzata la dispensa e tutto
ciò di cui si doveva
occupare per quanto riguardava la cucina. Mentre lei e Betty facevano
conoscenza, Eloise si era cambiata con la sua divisa e stava sistemando
la
colazione sul vassoio da portare in sala da pranzo.
«Devo
indossare questo?» chiese Lucy.
«Sì»
confermò l’altra «Non sono di tuo
gradimento?» la prese in giro.
«Temevo
di dover mettere una di quelle stupide coroncine»
commentò la bionda tirando un
sospiro di sollievo. Poteva sopportare una polo e un paio di pantaloni,
ma non
si sarebbe mai piegata a un grembiule bianco.
«Ti
viene solo richiesto di presentarti in ordine. Mettiti una camicia, dei
pantaloni, fatti uno chignon e andrà benissimo».
«Non
ti farò sfigurare» la tranquillizzò
«E adesso che si fa?»
«Adesso
vieni con me e ti mostro come disporre il cibo sul tavolo. Quanto tempo
hai
prima che cominci la tua lezione?»
Lucy
diede un’occhiata veloce all’orologio
«Devo scappare tra venti minuti al
massimo».
«Bene,
allora forse riuscirai a incontrare il signor Price. Di solito non fa
mai tardi
per la colazione».
Lucy
trattenne una risata: sembrava che in quella casa tutto fosse
perfettamente
organizzato e misurato. Tutto avveniva sempre alla solita ora, nel
solito modo.
I Price dovevano essere dei fissati. Il marito in particolar modo le
sembrava
un brontolone noioso e precisino, almeno da quanto aveva percepito dai
racconti
di sua cugina.
Eloise
stese una tovaglia bianca sul tavolo e apparecchiò con
tazze, piattini, posate
e bicchieri. Il cibo e le bevande vennero sistemati attorno al posto
del
padrone di casa.
«Normalmente
lascio tutto su quel mobile» disse indicando un largo ripiano
appena sotto lo
specchio «Ma quando il signor Price è da solo
preferisce avere tutto vicino».
Lucy
si avvicinò al tavolo e prese in mano la forchetta
«Costerà una fortuna»
commentò.
«Non
giocarci, è argento» la sgridò Eloise.
Lucy
non se ne stupì. Se la rigirò tra le dita per
osservarla meglio, ma le scappò
via atterrando sul tappetto.
Eloise
la fulminò. Lei sorrise impacciata e si piegò a
raccoglierla.
Udì
una porta aprirsi e subito dopo sua cugina salutò il suo
datore di lavoro con
voce sorpresa e imbarazzata.
Lucy
si mise una mano sulla bocca e ricacciò giù una
risata. Sarebbe stata una scena
piuttosto divertente, sbucare fuori da sotto il tavolo e presentarsi
come la
nuova cameriera.
Si
alzò con uno scatto e la mano tesa «Molto
piacere!» trillò «Lei deve essere il
signor Pri-» la voce le morì in gola e la
forchetta cadde un’altra volta.
Christopher
allargò gli occhi e il suo volto si pietrificò in
una smorfia metà stupita e
metà agitata. Eloise si mise una mano sulla fronte
scandalizzata, ma non poteva
nemmeno immaginare il motivo della reazione del suo capo.
«Signor
Price, questa è mia cugina Lucy. Mi sostituirà
per tutta la durata del mio
corso» disse senza osare incrociare lo sguardo
dell’uomo.
Christopher
registrò le parole di Eloise e collegò tutti i
tasselli.
«Eri
la fotografa» mormorò «Alla festa di
Tachery non eri la barista, eri la
fotografa» concluse.
«Colpevole»
scherzò Lucy «Non ti ho mai detto di essere la
barista».
«Avevo
tirato a indovinare».
Eloise
adesso continuava a spostare gli occhi da sua cugina al padrone di
casa.
Corrugò la fronte e si chiese da dove provenisse quel tono
confidenziale.
«Vi
conoscete?» domanda forse superflua, ma necessaria a colmare
qualche vuoto.
«Ci
siamo incontrati alla festa di quel tale…quello che aveva
bisogno di una fotografa»
raccontò Lucy.
«Sullivan.
Il signor Sullivan» la corresse Eloise a denti stretti.
“Quel tale” non era
proprio il modo più educato per definire il migliore amico
dell’uomo che
firmava l’assegno del suo stipendio.
«Sì,
lo stronzo che ci prova con tutte pur avendo la fidanzata»
recitò Christopher
con un sorrisetto, ricordando il commento di Lucy alla festa.
Eloise
dovette serrare la mandibola per evitare che cadesse a terra per lo
stupore: il
signor Price non aveva mai detto una parolaccia, almeno non in sua
presenza. A
pensarci bene non lo aveva nemmeno mai sentito parlare in maniera un
po’ più
colloquiale, era sempre molto rigoroso anche nel modo di esprimersi.
«Be’»
riprese un po’ di contegno «Stavo mostrando a Lucy
l’appartamento, così per
farla ambientare un po’. La sto istruendo per il lavoro. Sempre che a lei vada ancora bene»
si accertò dato gli ultimi sviluppi.
«Sì,
certo» rispose cordiale lui «Non ho nulla in
contrario», ma nella sua voce
avvertiva una nota inquieta e quasi imbarazzata.
L’orologio
alla parete segnò le otto e un quarto e interruppe il
momento di tensione.
«Devo
scappare o farò tardi a lezione» disse Lucy,
contenta di poter filare via.
«Temo
di dover saltare la colazione, ho una riunione alle nove»
comunicò invece
Christopher nello stesso istante.
Entrambi
si guardarono sconcertati: il loro piano di sfuggire a quella
situazione
scomoda era miseramente fallito.
«Bene,
allora prendiamo l’ascensore insieme» propose
Christopher per educazione,
questa volta mascherando benissimo il suo disagio «Eloise, se
non hai ancora
fatto colazione, serviti pure. E ricordati di chiamare
l’antiquario per il quadro
in salotto: la cornice è completamente rovinata».
La
cameriera annuì e dubbiosa li osservò dirigersi
verso l’uscita e chiudersi la
porta alle spalle.
«Non
avevo idea che mia cugina lavorasse a casa tua» ci tenne a
puntualizzare Lucy,
quando furono da soli, nel vano dell’ascensore.
Non
seppe bene definire il motivo di quella precisazione; dopotutto non era
accaduto niente di strano o di male. Si erano soltanto visti a una
festa,
avevano fumato una sigaretta, nulla di che. Ma lei si era anche
comportata un
pochino da sfacciata invitandolo a ballare senza nemmeno conoscerlo e
non
voleva dare l’impressione che stesse cercando di infilarsi
nella sua vita,
nella sua famiglia tramite Eloise.
«Non
lo metto in dubbio» rispose Christopher sinceramente
«In ogni caso non sarebbe
un problema» la tranquillizzò.
«Se
la cosa t’infastidisce…»
«Dovrebbe?»
fu la replica dell’uomo. La sua reazione iniziale in effetti
non era stata
della più entusiaste.
Christopher
non aveva nulla contro Lucy, semplicemente non si sarebbe mai aspettato
di
vederla in casa sua pronta a sostituire la sua cameriera.
D’altra
parte non poteva neppure dire di essere totalmente a suo agio in sua
presenza.
Non che lei avesse fatto qualcosa di male, ma ripensando al loro primo
incontro
si era reso conto di averle permesso confidenze che normalmente non
concedeva
neanche a persone che conosceva da anni.
Fatto
che lo aveva turbato non poco dato che Christopher Price non era
proprio il
tipo da lasciarsi trascinare dagli altri. La sua indole razionale e
metodica lo
spingeva a mantenere un certo distacco, un certo controllo delle
situazioni.
Lucy
lo aveva decisamente colto di sorpresa e Christopher non si sentiva
incline a
quelle esposizioni.
«Bene,
suppongo che ci rivedremo presto» commentò lui non
appena raggiunsero il piano
terra. Attese che la ragazza scendesse dall’ascensore per poi
imitarla «Buona
giornata, Lucy» la salutò prima di dirigersi verso
il portone e allontanarsi.
«Buona
giornata» ripeté con un filo di voce la giovane
mentre lo guardava andare via.
Uscì
anche lei in strada e notò con dispiacere che la figura
dell’uomo era già
sparita. Si sistemò meglio la borsa sulla spalla e si
avviò alla fermata della
metropolitana.
Se
prima non era comunque molto dell’idea di aiutare Eloise con
il suo lavoro,
adesso avrebbe volentieri rifiutato.
Lei
era una fotografa. Che cosa ne sapeva di come si dirigeva una casa?
Soprattutto
se la casa apparteneva a quell’uomo tanto affascinante quanto
sfuggente, capace
di metterla in agitazione con un’occhiata.
Le
sembrava di vedere i contorni della sua vita completamente sfocati: la
sua
avventura a Londra non stava andando come aveva programmato e quella
appariva
proprio come una battuta d’arresto. Temeva di allontanarsi
troppo dal suo
obiettivo, perdersi in problemi non suoi.
Anche
se, a pensarci bene, nemmeno lei conosceva esattamente il suo
obiettivo.
Prendere il master in fotografia era un inizio, ma non aveva la
più pallida
idea di quello che avrebbe fatto dopo.
Era
diventata una foglia trascinata dal vento, sballottata qua e
là dalle
circostanze, costretta a vacillare nelle sue stesse convinzioni.
In
casa Price non avrebbe certo trovato quello che stava cercando.
Ma
allora il suo posto qual era?
Il
mio spazio:
Qualcuno
si ricorda ancora di me?
In
realtà questo capitolo (e altri tre) sono pronti da un
po’ di tempo, ma non ho
più aggiornato perché onestamente sentivo di aver
perso la direzione della
storia. Alla fine mi sono detta che era inutile tenerli nel computer a
fare la
muffa, quindi eccomi tornata. Sicuramente tutti voi siete giudici
migliori di
quanto lo sia io, spero davvero che mi lascerete un commentino con le
vostre
impressioni così in caso saprò come aggiustare il
tiro.
Per
quanto riguarda la questione della “cameriera”
capisco che possa sembrare un po’
anacronistica, ma ci sono ancora famiglie abbienti che si avvalgono di
figure
professionali per gestire la casa.
Slightly
out of focus (Leggermente
fuori fuoco) è
il titolo del reportage
del fotografo Robert Capa, basato sul suo lavoro sulla Seconda Guerra
mondiale.
Per
adesso vi auguro una buona serata e spero di sentire presto le vostre
opinioni.
Ringrazio
tantissimo chi ha recensito e inserito la storia tra le
seguite/preferite/ricordate.
Sissi
Bennett
[1] Non so se ognuno di noi ha
un destino o se tutti noi
fluttuiamo in giro come spinti da una brezza, penso che forse si tratti
di entrambe le
cose. Forse entrambe accadono nello stesso momento.