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Autore: Sissi Bennett    29/09/2016    1 recensioni
«Questa tua costanza è assurda. Perché ti ostini a rimanere fedele a quell’arpia di tua moglie?»
«Parola chiave: mia moglie»
«Il vostro matrimonio è stato praticamente combinato, è una farsa. Tu non sei felice con lei. Che c’è di male a concedersi una piccola distrazione?»
«Chiamami antiquato, ma considero il matrimonio ancora una cosa seria, un atto di responsabilità. Non ho intenzione di rimangiarmi la parola e i miei principi per una distrazione».
«Discorso sensato se fossi innamorato di lei».
«Non sono neanche innamorato di nessun’altra. Non romperò la mia promessa se non ne varrà la pena».
[...]
Victoria e Christopher non erano una coppia atipica, erano proprio mal assortiti. Costretti dalla sorte, puniti dalle circostanze, beffati dal loro stesso egoistico interesse.
Non si amavano e non si erano mai amati.
Christopher provava indifferenza nei confronti di sua moglie, malcelata da una fredda cortesia; Victoria avrebbe voluto attaccare la testa di suo marito al muro come un trofeo di caccia.
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Absence-that common cure of love

 

 

Capitolo quarto: Slightly out of focus

 

«I don't know if we each have a destiny, or if we're all just floating around accidental-like on a breeze, but I think maybe it's both. Maybe both is happening at the same time[1]».

Robert Zameckis, Forrest Gump

 

Christopher Price era un uomo di larghe vedute e dalla mente straordinariamente brillante. Aveva un’opinione su tutto e idee ben radicate, difficilmente influenzabili. Prima di giungere a una conclusione analizzava la faccenda da ogni angolazione, prestava ascolto a ogni interessato per non lasciarsi condizionare da una sola parte in causa e soprattutto non credeva mai a ciò che leggeva. O almeno, prima di dare una notizia per certa, si premurava di attingere da più fonti.

Per questo motivo, consultava sempre tre giornali alla mattina durante colazione. Normalmente quando Victoria era presente, ne sfogliava uno alla volta per evitare di infastidirla occupando tutto lo spazio con i suoi quotidiani. Quando, invece, si trovava a fare colazione da solo, si sentiva libero di sbizzarrirsi.

Così quella mattina, aveva sparso diversi fogli per tutto il tavolo da pranzo, in particolare attorno al suo posto apparecchiato.

Di fronte a sé aveva il “Daily Telegraph” di stampo conservatore, a sinistra il The Guardian” filo-laburista, e a destra il Financial Time” per tenersi aggiornato sugli eventi della City.

Finalmente poteva sfogliare i suoi giornali in santa pace, senza temere di prendersi qualche ceramica in testa.

La vita lontano da Victoria era estremamente piacevole, quieta. Christopher cominciava davvero ad abituarsi alla tranquillità che aleggiava in casa: nessuna scenata isterica, niente sguardi al vetriolo e soprattutto nessun uomo che gironzolava per le stanze credendo di passare inosservato.

Non capiva come non avesse potuto pensarci prima: case separate. Non era necessario vivere a chilometri di distanza; per mantenere le apparenze di un matrimonio felice sarebbe bastato prendere un bell’appartamento e dividerlo in due.

Sembrava la scelta più logica per evitare di continuare a torturarsi a vicenda.

L’avrebbe certamente proposto a sua moglie al suo ritorno. Nel frattempo, aveva tutta l’intenzione di godersi i suoi giorni di libertà, a partire dalla colazione.

A conti fatti, tutto era perfetto: Victoria dall’altra parte dell’oceano, il gatto disperso da qualche parte nell’appartamento, Tachery troppo occupato con Robyn.

Non avrebbe permesso a niente e a nessuno di rovinargli quel momento sacrosanto, anche perché non sapeva se e quando la sua consorte sarebbe riapparsa e doveva approfittarne finché poteva.

Ignorò, quindi, l’insistente presenza di Eloise che se ne stava ritta dietro di lui come una sentinella. Normalmente la ragazza dopo aver servito la colazione, si rintanava in cucina per organizzare la sua giornata di lavoro. Era chiaro che quel giorno avesse bisogno di qualcosa.

E Christopher era ben disposto a concedergliela, non appena avesse finito la sua colazione intoccabile.

Avvertiva l’impazienza di Eloise alle sue spalle, il respiro nervoso, il piede che batteva a intervalli regolari sul pavimento.

Poteva quasi vederla torturarsi le mani dietro alla schiena, lanciare occhiate a lui in attesa del momento giusto, guardarsi intorno per distrarsi.

Tutta quell’agitazione lo pressava almeno quanto gli occhi minacciosi di Morgana. Doveva immaginare che, tolto il gatto, tolta sua moglie, qualcosa lo avrebbe comunque disturbato e messo sull’attenti.

Eloise era un’ottima cameriera. Professionale e soprattutto discreta, il che non guastava quando si aveva a che fare con Victoria e con un matrimonio di facciata.

Nonostante la giovane età riusciva a gestire la casa con estrema facilità e sembrava anche piuttosto contenta di lavorare per loro.

Christopher passava la maggior parte del tempo in azienda, spesso rientrava tardi ed era davvero piacevole trovare tutto perfettamente sistemato per il suo ritorno, senza ulteriori scocciature. Eloise aveva imparato le sue abitudini e riusciva a districarsi tra i suoi impegni e orari impossibili senza mai sbagliare un colpo.

Con Victoria aveva poi compiuto un vero miracolo. Christopher non aveva mai sentito sua moglie lamentarsi della cameriera, cosa non poco impressionante dato che la donna normalmente ne aveva una per tutti.

Eloise era sveglia e sapeva rendersi utile. Non era mai un peso, quasi non la si notava nell’appartamento: stava al suo posto e svolgeva le sue mansioni, a volte anticipando perfino le richieste.

Victoria la adorava e la trattava piuttosto bene considerato il soggetto.

E chiunque fosse in grado di tenere a bada la sua consorte, acquisiva posizioni nella lista delle preferenze di Christopher.

«Eloise, ti serve qualcosa?» le chiese, cercando di mantenere una certa calma nella voce. Prima risolveva la faccenda, prima poteva ritornare ai suoi interessi.

La ragazza fece un passo avanti e si portò nel campo visivo del suo datore di lavoro «Finisca la colazione con calma, signor Price. Le ruberò più tardi cinque minuti, se ha tempo» rispose cortesemente.

«Temo di dover scappare tra poco. Dimmi pure adesso» la incitò.

«Ecco, mi chiedevo se potessi assentarmi dal lavoro per qualche tempo» azzardò la cameriera.

«Per quanto?»

«Tre settimane» confessò lei abbassando lo sguardo in attesa di una reazione.

Quella richiesta lasciò attonito l’uomo: Eloise non era una scansafatiche, non era nel suo stile premere per avere più tempo libero, quindi si meritava anche un po’ di vacanze extra, ma tre settimane sembravano esagerate!

Christopher non poté comunque ribattere. La ragazza si era accorta di aver avanzato una pretesa assurda e si affrettò a spiegare il motivo di tanta urgenza.

«Si tratta di un corso di aggiornamento per cui sono stata selezionata. Avevo fatto domanda qualche settimana fa e mi hanno presa. Si terrà a Ripon, al Swinton Park. Non ho ancora accettato, ovviamente aspettavo di avere il suo consenso. Ma è un’occasione molto importante per me, farebbe un’ottima figura sul mio curriculum».

«Ho alloggiato al Swinton Park una volta. È un bell’albergo. Un po’ troppo pomposo per i miei gusti, ma rimane un posto di tutto rispetto. Avrai molto da imparare da un hotel del genere. Ti sarà più utile un’esperienza come quella per i tuoi piani futuri, piuttosto che un impiego qui da noi» considerò Christopher «Non ho nulla in contrario. Capita in un buon momento: la signora è via e chissà quando tornerà. Ci sono solo io cui badare e posso fare a meno di te» acconsentì con un mezzo sorriso «Devi solo chiedere il permesso alla signora Wheeler, accertarti che non abbia bisogno del tuo aiuto per le prossime settimane».

«L’avevo già informata. Mi ha detto che non ha nessun problema se le trovo una sostituta temporanea».

«Mi sembra giusto» annuì Christopher «Immagino che dovrai darti da fare in fretta: non si trovano cameriere a ogni angolo, non più».

«In realtà ho già in mente una candidata. Non mi va di mettervi in casa delle sconosciute. Conosco questa ragazza da molto tempo e mi fido».

«E io mi fido del tuo giudizio» la rassicurò Christopher «Ora, ti prego, posso finire la mia colazione senza essere disturbato?» gliel’aveva domandato con cortesia, ma il sottointeso era palese: voleva semplicemente starsene da solo.

Eloise lo ringraziò con un cenno del capo e si dileguò.

Christopher tirò un sospiro di sollievo e finalmente si dedicò alla sua lettura mattutina. Aveva appena preso la tazzina del caffè per il manico, quando l’orologio sulla parete segnò le otto e mezza, annunciando che era ormai ora di andare al lavoro.

L’uomo sbuffò contrariato. Trangugiò in fretta il suo caffè e ripiegò i giornali riponendoli nella cartella.

Nonostante fosse il capo e potesse fare più o meno come gli pareva, non era proprio nella sua natura arrivare in ritardo. Non si presentava mai nel suo ufficio dopo le nove, appena una mezz’ora più tardi rispetto ai suoi dipendenti. E normalmente se ne andava quando era passato da un pezzo l’orario di chiusura.

Indossò il cappotto e la sciarpa. Controllò allo specchio all’ingresso di essere in ordine e uscì. L’aria di metà ottobre cancellò ogni traccia di sonnolenza rimasta. A Londra l’inverno si affacciava sempre troppo in anticipo per i suoi gusti.

Normalmente Christopher usava i mezzi pubblici per spostarsi, soprattutto di mattina presto: la metropolitana eludeva il traffico della superficie e gli permetteva di godersi una piccola passeggiata prima di cominciare la giornata lavorativa.

Sempre più sentiva il bisogno dell’aria fredda per svegliarsi e di prendersi momenti di calma per riflettere in tranquillità.

Mount Street era una via nel centro di Mayfair, quartiere residenziale spesso affollato dai turisti per i suoi negozi di lusso, ma di certo non trafficato quanto la Tottenham o un’altra delle strade principali.

L’uomo percorse Grosvenor Square, scivolò accanto all’Ambasciata Italiana, e tirò dritto fino alla fermata di Bond Street dove s’infilò sul primo treno della Central Line diretto a Bank. Sbucò in piena City, frenetica e chiassosa come amava essere durante le ore lavorative.

Una fiumana di gente si apprestava ad attraversare la strada sotto lo sguardo fiero della statua di Arthur Wellesley duca di Wellinghton, posizionata di fronte al Royal Exchange, un lussuoso centro commerciale frequentato fin troppo spesso da Victoria e dalla sua carta di credito. Se la donna capitava nei paraggi della City, era molto più probabile che andasse a far visita a Hermès piuttosto che a suo marito.

Christopher vi era entrato qualche volta per dei pranzi di lavoro, ma in generale preferiva posti più defilati e soprattutto meno turistici.

Svoltò a sinistra, in una stradina secondaria per poi spuntare in una spaziosa via a senso unico. Esattamente sull’altro lato, si stagliava la sede dell’azienda.

Christopher come ogni mattina, si fermò a contemplare l’insegna sulla facciata. Nonostante fosse passato parecchio tempo, lo metteva ancora a disagio gestire un’azienda che portava un nome non suo.

La sicurezza all’ingresso lo lasciò passare senza tante storie. Ormai non era più necessario che mostrasse la sua tessera di riconoscimento, ma c’era stato un periodo, all’inizio, in cui la guardia proprio non voleva saperne di ricordarsi il suo volto.

Una volta raggiunto il suo ufficio, appese in modo ordinato cappotto e sciarpa all’appendiabiti e appoggiò la cartella sulla scrivania.

Guardò oltre la vetrata, giù in picchiata verso i tetti delle case e dei palazzi di Londra. L’edificio in cui si trovava era parecchio alto e offriva una vista suggestiva della città che si stava svegliando.

Anche Christopher occupava una posizione molto alta, ma quella consapevolezza non lo confortava affatto, anzi lo tormentava.

Perché nonostante i suoi meriti, nonostante le sue capacità, le motivazioni che lo collocavano così al di sopra degli altri si riducevano sempre a un’unica squallida verità: aveva sposato la figlia del capo.

 

«Tu sei completamente fuori di testa».

Non era proprio la reazione che Eloise si sarebbe aspettava dalla sua dolce cuginetta.

«Pensavo ti facesse piacere avere un lavoro per qualche settimana. Almeno potresti aiutarmi a pagare le bollette».

«Alla faccia della solidarietà tra parenti».

«Ti permetto di vivere qui senza pagare l’affitto, ma da quando sei arrivata i consumi sono decisamente aumentati. Sarebbe carino se contribuissi» considerò Eloise, mentre metteva una valigia sul letto.

«Non ho nessuna intenzione di fare da serva a due viziati che non sanno nemmeno preparare la tavola da soli».

«Lucy!» la rimproverò la cugina «Io non faccio la serva».

«Non so nemmeno perché perdi tempo in quella casa. Tu vuoi dirigere un ristorante, non diventare una badante».

«Perché in un normale bar non mi pagherebbero neanche un terzo di quello che mi danno i Price» replicò Eloise «Almeno ho qualche speranza di aprire il mio locale prima dei cinquanta».

«Certo e con quale esperienza?» le chiese Lucy scettica.

Eloise arricciò le labbra e lasciò la presa sui maglioni che caddero nella valigia «Victoria Lyndon Price è meglio di qualsiasi gavetta. E poi non mi occupo di sistemare i letti o spazzare per terra. Scelgo il menù con la cuoca ogni giorno, rifornisco la dispensa e seleziono i vini per la cantina. Organizzo i turni delle pulizie, se qualcosa si rompe mi assicuro che venga riparato. Praticamente gestisco già un ristorante privato» osservò mentre continuava a piegare i suoi indumenti «E aiuto anche la signora Price a organizzare le sue cene e i suoi eventi per la beneficienza. Fidati, sto facendo fin troppa pratica».

Lucy si sedette sul letto e molleggiò sul materasso, annoiata e poco impressionata «Va bene, è tutto molto bello per te. Ma io studio fotografia».

«In una scuola costosa».

«Ho vinto la borsa di studio».

«E che mi dici delle altre spese? Londra è cara».

«Non fingere che sia per il mio bene!» la rimproverò Lucy scocciata «Lo stai solo facendo per te stessa. Non capisco neanche perché! Non hai qualcun altro cui chiederlo? Avrai conosciuto qualcuno alla scuola professionale, mi auguro» la punzecchiò.

«Lavorano già tutti a tempo pieno. Sei molto più libera tu con il tuo corso di fotografia» spiegò Eloise «Soprattutto non posso mettere in casa la prima che capita. Deve essere qualcuno di cui mi fidi. Immaginati se qualcosa venisse rubato: i Price vorrebbero la mia testa su una picca».

«Adesso sì che mi stai convincendo» commentò sarcastica la cugina.

Eloise sbuffò e lanciò con stizza una gonna nella valigia «Fa’ come vuoi» s’imbronciò «Se mai avrai bisogno di un piacere, mi ricorderò di questo giorno» alzò il mento orgogliosamente e marciò fuori dalla camera da letto.

Lucy scosse la testa e fissò pensierosa il bagaglio della cugina ancora aperto sul letto. Avvertì un leggero senso di colpa stringerle lo stomaco, ma si premurò di scacciarlo subito. Per una volta non doveva permettere al suo buon cuore di avere il sopravvento. Aveva pur il diritto di rifiutare una proposta simile.

Dopotutto i suoi interessi a Londra erano di tutt’altro genere e non era così sciocca da farsi scappare un’opportunità come quella.

Da che ricordasse, aveva sempre avuto un certo fiuto per l’obiettivo: aveva iniziato da piccola con la polaroid di suo nonno ed era poi passata a macchine sempre più professionali, raffinando la sua tecnica e la sua abilità.

Una volta conclusa la scuola superiore, aveva fatto domanda alla Tish e all’ICP a New York, ma non era stata accettata. Stessa sorte per il corso alla Brown.

Alla fine si era dovuta accontentare dell’università pubblica del Rhode Island, dove non aveva studiato solo fotografia ma in generale le arti figurative.

Al termine del suo percorso aveva mandato ancora richieste d’iscrizioni nelle scuole più prestigiose nella speranza di venire presa per un master.

Si era trovata ormai sul punto di rassegnarsi quando inaspettatamente la Southbank di Londra le aveva risposto informandola non solo di averla accettata, ma di averla addirittura inserita nel programma di finanziamento per gli studenti stranieri.

Sua madre si era mostrata piuttosto contraria all’idea di lasciarla trasferirsi da sola in una città metropolitana dall’altra parte dell’oceano. La situazione si era velocemente risolta con una telefonata ai cugini inglesi: Eloise si era offerta di ospitarla nel suo appartamento, risparmiandole la pena di abitare in un alloggio studentesco.

La casa di Eloise era abbastanza grande per permettere a due persone di viverci comodamente. Era situata in un bel quartiere ben collegato con il centro. Non ci si poteva di certo lamentare.

Lucy sapeva che prima o poi avrebbe dovuto contribuire al suo mantenimento, non poteva lasciare che sua cugina continuasse a occuparsi dell’affitto e delle varie spese.

I suoi genitori mensilmente caricavano del denaro sul suo conto, ma la vita frenetica di Londra ne risucchiava gran parte.

Forse accettare quell’impiego per tre settimane non era una cattiva idea, specialmente se lo stipendio era davvero alto come Eloise decantava. I lavoretti da fotografa nelle varie festicciole non rendevano più un granché.

Almeno in quel modo avrebbe potuto mettere da parte qualche soldo e sentirsi meno di peso.

Si alzò dal letto e uscì dalla camera per raggiungere sua cugina che se ne stava piegata sull’angolo cottura, dandole le spalle.

«E va bene» si arrese Lucy «Va bene, lo faccio!»

Eloise lasciò il coltello con cui stava tagliando la verdura e si girò fingendosi sorpresa. L’espressione stupita si trasformò presto in compiaciuta e la giovane corse ad abbracciare l’altra «Sapevo che alla fine avresti detto di sì» affermò sicura.

«Se qualcosa va male, non me ne prendo la responsabilità» l’avvisò Lucy ricambiando di svogliatamente l’abbraccio.

«Andrà tutto benissimo» la rassicurò Eloise. La liberò dalla stretta e iniziò a darle tutte le informazioni necessarie, mentre tornava a occuparsi della cena «Cominci alle otto e stacchi alle cinque e mezza/ sei, dipende da quanto c’è da fare. Hai un’ora di pausa per il pranzo. A volte i Price mi chiedono di rimanere se hanno ospiti per cena, ma Victoria è partita per Parigi e quando va in Europa di solito non ritorna per settimane. Se tutto va bene, non la incrocerai nemmeno».

«Quindi c’è solo il marito?» chiese in conferma Lucy.

«Sì. Per quello ti dico che andrà tutto bene: il signor Price non ha grosse pretese e passa la maggior parte del tempo fuori casa» versò dell’olio nella padella e si voltò a guardare nuovamente sua cugina «Sei sicura che non avrai problemi con la scuola?» le domandò.

«Adesso te ne preoccupi?» la ribeccò ironica Lucy «Le lezioni sono incominciate da poco e posso chiedere gli appunti in giro. I compiti per adesso sono semplici, posso svolgerli in poco tempo».

«Fantastico!» gioì Eloise «Domani allora vieni al lavoro con me, così ti do un paio di istruzioni e se riesco ti presento il mio datore di lavoro».

 

Lucy non credeva che esistesse ancora gente del genere.

Gente che preferiva assumere personale di servizio piuttosto che imparare a scaldare il latte o a piegare le lenzuola.

Gente che abitava in case gigantesche solo per il gusto dello sfarzo e non per vera necessità.

Solo a guardare quel palazzo, Lucy si sentiva piccola come una formica. E i Price possedevano soltanto un appartamento al terzo piano. No, si corresse, possedevano tutto il terzo piano e quello bastava e avanzava per intimidirla.

Eloise aprì il portone d’ingresso e salutò con un cenno della mano il portiere seduto alla sua postazione. L’uomo la riconobbe, ricambiò il saluto e non fece altri controlli.

Una volta che si furono chiuse le porte dell’ascensore, la giovane riprese a spiegare alla cugina il lavoro che sarebbe andata a svolgere.

Lucy memorizzava le informazioni e si ripeteva nelle mente quelle già acquisite per non farsi cogliere impreparata.

Un ingresso, una sala da pranzo, un salone per gli ospiti, un salotto privato, lo studio del padrone di casa, la camera personale della signora, una camera condivisa che a quanto pareva usavano molto poco, un paio di altre stanze per gli ospiti, un numero consistente di bagni e una cucina che collegava il corpo principale all’ala della servitù, dove si trovavano l’alloggio della cuoca, la dispensa e la cantina.

Betty Wheeler, in assenza di Eloise, era il capo assoluto. Donna scorbutica se istigata, amabile se lasciata in pace. Lucy era una sua subordinata e non aveva possibilità di discutere gli ordini impartiti. Di fatto aveva l’obbligo imperante di prendere per oro colato tutto ciò che Betty Wheeler diceva e comandava. Su questo punto Eloise non aveva ammesso repliche: era un ottimo modo per mettersi in pace l’anima e assicurarsi che sua cugina fosse sempre controllata.

Vedere la casa con i propri occhi fu per Lucy un colpo: la descrizione di Eloise non rendeva affatto giustizia alla bellezza di quell’appartamento e soprattutto alle sue dimensioni. Il tour fu abbastanza a lungo e la ragazza si trovò costretta ad annotare le direttive sul suo cellulare per non dimenticarsele.

La cuoca apparve molto più gentile di come se l’era immaginata, le spiegò il suo metodo di lavoro, com’era organizzata la dispensa e tutto ciò di cui si doveva occupare per quanto riguardava la cucina. Mentre lei e Betty facevano conoscenza, Eloise si era cambiata con la sua divisa e stava sistemando la colazione sul vassoio da portare in sala da pranzo.

«Devo indossare questo?» chiese Lucy.

«Sì» confermò l’altra «Non sono di tuo gradimento?» la prese in giro.

«Temevo di dover mettere una di quelle stupide coroncine» commentò la bionda tirando un sospiro di sollievo. Poteva sopportare una polo e un paio di pantaloni, ma non si sarebbe mai piegata a un grembiule bianco.

«Ti viene solo richiesto di presentarti in ordine. Mettiti una camicia, dei pantaloni, fatti uno chignon e andrà benissimo».

«Non ti farò sfigurare» la tranquillizzò «E adesso che si fa?»

«Adesso vieni con me e ti mostro come disporre il cibo sul tavolo. Quanto tempo hai prima che cominci la tua lezione?»

Lucy diede un’occhiata veloce all’orologio «Devo scappare tra venti minuti al massimo».

«Bene, allora forse riuscirai a incontrare il signor Price. Di solito non fa mai tardi per la colazione».

Lucy trattenne una risata: sembrava che in quella casa tutto fosse perfettamente organizzato e misurato. Tutto avveniva sempre alla solita ora, nel solito modo. I Price dovevano essere dei fissati. Il marito in particolar modo le sembrava un brontolone noioso e precisino, almeno da quanto aveva percepito dai racconti di sua cugina.

Eloise stese una tovaglia bianca sul tavolo e apparecchiò con tazze, piattini, posate e bicchieri. Il cibo e le bevande vennero sistemati attorno al posto del padrone di casa.

«Normalmente lascio tutto su quel mobile» disse indicando un largo ripiano appena sotto lo specchio «Ma quando il signor Price è da solo preferisce avere tutto vicino».

Lucy si avvicinò al tavolo e prese in mano la forchetta «Costerà una fortuna» commentò.

«Non giocarci, è argento» la sgridò Eloise.

Lucy non se ne stupì. Se la rigirò tra le dita per osservarla meglio, ma le scappò via atterrando sul tappetto.

Eloise la fulminò. Lei sorrise impacciata e si piegò a raccoglierla.

Udì una porta aprirsi e subito dopo sua cugina salutò il suo datore di lavoro con voce sorpresa e imbarazzata.

Lucy si mise una mano sulla bocca e ricacciò giù una risata. Sarebbe stata una scena piuttosto divertente, sbucare fuori da sotto il tavolo e presentarsi come la nuova cameriera.

Si alzò con uno scatto e la mano tesa «Molto piacere!» trillò «Lei deve essere il signor Pri-» la voce le morì in gola e la forchetta cadde un’altra volta.

Christopher allargò gli occhi e il suo volto si pietrificò in una smorfia metà stupita e metà agitata. Eloise si mise una mano sulla fronte scandalizzata, ma non poteva nemmeno immaginare il motivo della reazione del suo capo.

«Signor Price, questa è mia cugina Lucy. Mi sostituirà per tutta la durata del mio corso» disse senza osare incrociare lo sguardo dell’uomo.

Christopher registrò le parole di Eloise e collegò tutti i tasselli.

«Eri la fotografa» mormorò «Alla festa di Tachery non eri la barista, eri la fotografa» concluse.

«Colpevole» scherzò Lucy «Non ti ho mai detto di essere la barista».

«Avevo tirato a indovinare».

Eloise adesso continuava a spostare gli occhi da sua cugina al padrone di casa. Corrugò la fronte e si chiese da dove provenisse quel tono confidenziale.

«Vi conoscete?» domanda forse superflua, ma necessaria a colmare qualche vuoto.

«Ci siamo incontrati alla festa di quel tale…quello che aveva bisogno di una fotografa» raccontò Lucy.

«Sullivan. Il signor Sullivan» la corresse Eloise a denti stretti. “Quel tale” non era proprio il modo più educato per definire il migliore amico dell’uomo che firmava l’assegno del suo stipendio.

«Sì, lo stronzo che ci prova con tutte pur avendo la fidanzata» recitò Christopher con un sorrisetto, ricordando il commento di Lucy alla festa.

Eloise dovette serrare la mandibola per evitare che cadesse a terra per lo stupore: il signor Price non aveva mai detto una parolaccia, almeno non in sua presenza. A pensarci bene non lo aveva nemmeno mai sentito parlare in maniera un po’ più colloquiale, era sempre molto rigoroso anche nel modo di esprimersi.

«Be’» riprese un po’ di contegno «Stavo mostrando a Lucy l’appartamento, così per farla ambientare un po’. La sto istruendo per il lavoro. Sempre che a lei vada ancora bene» si accertò dato gli ultimi sviluppi.

«Sì, certo» rispose cordiale lui «Non ho nulla in contrario», ma nella sua voce avvertiva una nota inquieta e quasi imbarazzata.

L’orologio alla parete segnò le otto e un quarto e interruppe il momento di tensione.

«Devo scappare o farò tardi a lezione» disse Lucy, contenta di poter filare via.

«Temo di dover saltare la colazione, ho una riunione alle nove» comunicò invece Christopher nello stesso istante.

Entrambi si guardarono sconcertati: il loro piano di sfuggire a quella situazione scomoda era miseramente fallito.

«Bene, allora prendiamo l’ascensore insieme» propose Christopher per educazione, questa volta mascherando benissimo il suo disagio «Eloise, se non hai ancora fatto colazione, serviti pure. E ricordati di chiamare l’antiquario per il quadro in salotto: la cornice è completamente rovinata».

La cameriera annuì e dubbiosa li osservò dirigersi verso l’uscita e chiudersi la porta alle spalle.

«Non avevo idea che mia cugina lavorasse a casa tua» ci tenne a puntualizzare Lucy, quando furono da soli, nel vano dell’ascensore.

Non seppe bene definire il motivo di quella precisazione; dopotutto non era accaduto niente di strano o di male. Si erano soltanto visti a una festa, avevano fumato una sigaretta, nulla di che. Ma lei si era anche comportata un pochino da sfacciata invitandolo a ballare senza nemmeno conoscerlo e non voleva dare l’impressione che stesse cercando di infilarsi nella sua vita, nella sua famiglia tramite Eloise.

«Non lo metto in dubbio» rispose Christopher sinceramente «In ogni caso non sarebbe un problema» la tranquillizzò.

«Se la cosa t’infastidisce…»

«Dovrebbe?» fu la replica dell’uomo. La sua reazione iniziale in effetti non era stata della più entusiaste.

Christopher non aveva nulla contro Lucy, semplicemente non si sarebbe mai aspettato di vederla in casa sua pronta a sostituire la sua cameriera.

D’altra parte non poteva neppure dire di essere totalmente a suo agio in sua presenza. Non che lei avesse fatto qualcosa di male, ma ripensando al loro primo incontro si era reso conto di averle permesso confidenze che normalmente non concedeva neanche a persone che conosceva da anni.

Fatto che lo aveva turbato non poco dato che Christopher Price non era proprio il tipo da lasciarsi trascinare dagli altri. La sua indole razionale e metodica lo spingeva a mantenere un certo distacco, un certo controllo delle situazioni.

Lucy lo aveva decisamente colto di sorpresa e Christopher non si sentiva incline a quelle esposizioni.

«Bene, suppongo che ci rivedremo presto» commentò lui non appena raggiunsero il piano terra. Attese che la ragazza scendesse dall’ascensore per poi imitarla «Buona giornata, Lucy» la salutò prima di dirigersi verso il portone e allontanarsi.

«Buona giornata» ripeté con un filo di voce la giovane mentre lo guardava andare via.

Uscì anche lei in strada e notò con dispiacere che la figura dell’uomo era già sparita. Si sistemò meglio la borsa sulla spalla e si avviò alla fermata della metropolitana.

Se prima non era comunque molto dell’idea di aiutare Eloise con il suo lavoro, adesso avrebbe volentieri rifiutato.

Lei era una fotografa. Che cosa ne sapeva di come si dirigeva una casa? Soprattutto se la casa apparteneva a quell’uomo tanto affascinante quanto sfuggente, capace di metterla in agitazione con un’occhiata.

Le sembrava di vedere i contorni della sua vita completamente sfocati: la sua avventura a Londra non stava andando come aveva programmato e quella appariva proprio come una battuta d’arresto. Temeva di allontanarsi troppo dal suo obiettivo, perdersi in problemi non suoi.

Anche se, a pensarci bene, nemmeno lei conosceva esattamente il suo obiettivo. Prendere il master in fotografia era un inizio, ma non aveva la più pallida idea di quello che avrebbe fatto dopo.

Era diventata una foglia trascinata dal vento, sballottata qua e là dalle circostanze, costretta a vacillare nelle sue stesse convinzioni.

In casa Price non avrebbe certo trovato quello che stava cercando.

Ma allora il suo posto qual era?

 

Il mio spazio:

Qualcuno si ricorda ancora di me?

In realtà questo capitolo (e altri tre) sono pronti da un po’ di tempo, ma non ho più aggiornato perché onestamente sentivo di aver perso la direzione della storia. Alla fine mi sono detta che era inutile tenerli nel computer a fare la muffa, quindi eccomi tornata. Sicuramente tutti voi siete giudici migliori di quanto lo sia io, spero davvero che mi lascerete un commentino con le vostre impressioni così in caso saprò come aggiustare il tiro.

Per quanto riguarda la questione della “cameriera” capisco che possa sembrare un po’ anacronistica, ma ci sono ancora famiglie abbienti che si avvalgono di figure professionali per gestire la casa.

Slightly out of focus (Leggermente fuori fuoco) è il titolo del reportage del fotografo Robert Capa, basato sul suo lavoro sulla Seconda Guerra mondiale.

Per adesso vi auguro una buona serata e spero di sentire presto le vostre opinioni.

Ringrazio tantissimo chi ha recensito e inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate.

 

Sissi Bennett

 



[1] Non so se ognuno di noi ha un destino o se tutti noi fluttuiamo in giro come spinti da una brezza, penso che forse si tratti di entrambe le cose. Forse entrambe accadono nello stesso momento.

  
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