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Autore: Altair13Sirio    01/10/2016    3 recensioni
Sveglia. Corri. Ruba. Mangia. Menti. Dormi.
Ripeti.
Questa è la vita della quattordicenne Riley, scappata di casa a undici anni e diretta verso il Minnesota piena di speranze. Una volta arrivata lì, però, Riley si è resa conto che quel posto che chiamava "casa" non era più tanto accogliente e sicuro per lei, e non volendo arrendersi e tornare indietro, ha deciso di andare avanti e vivere la vita a modo suo.
Così Riley ha deciso di dimenticare il passato e di diventare una persona nuova, una persona che niente ha a che fare con la Riley del passato; quella bambina che adora giocare a hockey, sempre in vena di scherzare, non c'è più. Riley ormai non prova più emozioni, e si limita a vivere per strada come una delinquente, in attesa di qualche evento che dia una svolta alla sua vita.
Allo stesso modo vivono le sue emozioni, che rassegnate, incapaci di togliere dalla testa della ragazza quell'idea che la fece andare via, continuano a occuparsi di lei nella speranza di farle fare le scelte giuste.
Genere: Angst, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Riley Andersen, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Era tardi, quella mattina. Dormendo così tanto, Riley si era costretta a cambiare la sua routine quotidiana, e dopo aver fatto una doccia rinfrescante decise di uscire a fare una passeggiata. La ragazza sapeva che non sarebbe stata solo una passeggiata e quindi si diresse al primo drugstore che si trovò davanti; aveva intenzione di arraffare qualcosa da portare a casa.
Entrò fingendosi una scolaretta che era uscita in anticipo da quella prigione chiamata “scuola” e cercò di dare meno nell’occhio possibile; fece in modo che nessuno potesse vederla mentre sfilava via dagli scaffali ciò che le serviva per nasconderlo poi nel suo fedele zainetto blu che portava sulle spalle. Scusa Andy. Pensava mentre agiva tra gli scaffali del negozio; aveva già infranto la sua promessa, ma nessuno aveva detto che sarebbe riuscita a mantenerla…

Dopo aver tolto dallo scaffale quello che voleva, prendeva un altro prodotto uguale dal retro dello scaffale, fingeva di esaminarlo qualche secondo e poi lo rimetteva a posto, in modo che nessuno notasse che mancasse qualcosa da lì. Continuò così per un po’, prendendo di nascosto snack e bibite, ma anche medicine e cerotti, batterie e tanti altri oggetti che le avrebbero fatto comodo, il tutto senza mai destare alcun sospetto, e quando fu arrivato il momento di lasciare il negozio, la ragazza finse di aver comprato solo un pacchetto di gomme fa masticare.
<< Non dovresti essere a scuola? >> Chiese la donna alla cassa, passando il pacchetto di gomme sul laser. La scrutò con occhi sospettosi, quasi come se sapesse quello che aveva fatto.
Riley sorrise rassicurante muovendo una mano verso destra:<< Il fatto è che oggi siamo usciti da scuola in anticipo, e ho pensato di passare a comprare queste, prima di rincasare… >> Era come una recita; si preparava sempre le battute da dire prima di andare in scena, e al momento della “prima” non sbagliava mai. << Queste cose sono come una droga per me! >> Si finse una ragazza chiacchierona e continuò a parlare delle gomme che aveva comprato, dicendo che una volta le aveva prese tutte a una sua amica e rammentando altri aneddoti mai accaduti; questo era l’approccio che assumeva quando doveva conquistarsi la fiducia di qualcuno come quella donna, che credeva poco a quel visino sorridente e a quelle parole senza freno.
Prima che la donna potesse restituirle il pacchetto di gomme da masticare, Riley si accorse di un dettaglio che aveva ignorato fino a quel momento: il negozio era sorvegliato da telecamere appostate in punti strategici, e avevano ripreso tutto quello che lei aveva fatto. Vide anche un ragazzo giovane e muscoloso alzarsi dal suo sgabello dietro al bancone della cassa, di fronte a uno schermo piatto che mostrava tutte le registrazioni delle telecamere, e avvicinarsi minacciosamente a lei.
Scappa! Fu l’urlo che echeggiò nella sua mente. La ragazza non aspettò nemmeno di ricevere indietro il pacchetto di gomme che aveva dato alla donna e scattò fuori dal drugstore per guadagnare qualche metro di vantaggio; il ragazzo alle sue spalle ebbe uno scatto nettamente più rapido ed efficace del suo, e non ci mise niente a mettersi alle sue spalle una volta fuori dal negozio.
Sul marciapiedi Riley corse a perdifiato, decisa a raggiungere il vicolo che le avrebbe permesso di depistare il suo inseguitore, ma la sfortuna volle che non la facesse franca quel giorno. Non appena si fu voltata per correre dentro al vicolo, il suo zainetto si impigliò a una qualche sporgenza nella parete alla sua destra, e Riley venne tirata indietro da questa. Cadde sulla schiena e lo zaino si aprì riversando tutto il suo contenuto sul marciapiedi: medicinali, attrezzi da lavoro, cibi e bevande, persino un giornale arrotolato. Riley non poté fare niente per nascondere l’umiliazione, ora il suo crimine era esposto davanti a tutti; la gente sfilava guardandola sdegnosa e il ragazzo le rivolgeva uno sguardo impietoso. La ragazza tentò inutilmente di giocarsi la sua ultima carta, quella della ragazza disperata, ma fu tutto inutile.
<< La prego, signore! >> Supplicò lei. << A casa non abbiamo niente da mangiare, ho un fratellino malato e i miei genitori hanno entrambi perso il lavoro… >> Smise di parlare quando si rese conto che quel ragazzo non avrebbe creduto a un’altra parola. Rimase a terra e sospirò amaramente. Dal viso arcigno dell’uomo, lo sguardo di Riley passò a fissarsi sul cielo azzurro sopra di sé, perdendosi nella sua vastità.
Grandioso.
 
*
 
Riley era seduta su una panca di legno molto scomoda, qualunque posizione assumesse le faceva male il fondoschiena. Le avevano portato via tutto, il suo zaino, i pochi soldi che aveva, anche il suo coltellino… Il rumore che faceva la tastiera dello sbirro seduto alla scrivania dall’altro lato della stanza la stava facendo impazzire. Di tanto in tanto, l’uomo le lanciava un’occhiata per controllare che se ne rimanesse buona al suo posto, ma non era molto interessato a casi come quello; lei era una teppistella che era stata beccata a rubare e che era stata portata lì, ma diversamente dal solito, era stata lasciata in compagnia di quell’uomo sudato ad attendere chissà cosa.
<< Quante volte sei stata qui? >> Chiese tutto a un tratto il poliziotto senza alzare lo sguardo dal monitor del suo computer.
Riley lo guardò torva e girò lo sguardo dall’altra parte, come se fosse offesa. Alla sua reazione, il poliziotto rise con gusto.
<< E’ inutile che fai quella faccia. E’ solo colpa tua se sei finita qui oggi! >> Le disse allungando un dito verso di lei, prima di tornarsene a battere alla tastiera. Aveva ragione, ma Riley non voleva ammetterlo, e comunque era troppo concentrata a pensare a come avrebbe potuto scappare da lì, per rispondere in qualche modo all’agente.
Bel lavoro, ci siamo fatti beccare di nuovo!
Duncan sarà furioso quando lo saprà…
Che vuoi che importi di noi a Duncan? Ce ne andremo di qui senza neanche una parola.
State zitti! Riley era davvero stufa di sentire tutte quelle vocine nella sua testa. Erano sempre più insistenti e fastidiose e litigavano sempre, ormai non riusciva a schiarirsi la mente neanche un secondo per colpa loro, e in quel periodo specialmente sembravano impazzite!
<< Ventisette. >> Sentenziò all’improvviso la voce chiara della ragazza. Nella stanza si sentì solo lei, a quel punto anche il ticchettio della tastiera del poliziotto cessò, e l’uomo rimase a fissarla con stupore. Riley alzò lo sguardo a metà tra la sorpresa e la delusione:<< Ventisette arresti, negli ultimi tre anni… >> Mormorò sentendosi male solo a pensarci. Era stata così tante volte in prigione che nessuno avrebbe potuto mai fidarsi di lei. Era diventata una delinquente, e questo non le dava nemmeno fastidio; la sorprendeva, anzi, il fatto che stesse dicendo tutto quello proprio a uno sbirro, una persona che odiava a prescindere! Che le succedeva quel giorno? Era distratta, stanca, e non era mai stata così aperta con qualcuno prima di allora.
Dopo un attimo di sconcerto, il poliziotto tornò a concentrarsi sullo schermo del computer e riprese a battere sulla tastiera. << E così sei familiare a tutto questo… >> Mormorò fingendo di essere interessato. Oppure stava fingendo di non esserlo?
Riley piegò la testa di lato mostrando poco interesse a tutto quello che le capitava. << Più o meno. >>
La porta della stanza si aprì all’improvviso e l’ispettore che si occupava sempre di Riley scrutò l’interno con attenzione, prima di posare lo sguardo sul viso annoiato della ragazza. << Gratton, potresti uscire un minuto? >> Chiese voltandosi verso il collega seduto alla scrivania. Quello sembrò sorpreso, ma si alzò annuendo e lasciò la stanza rivolgendo un ultimo sguardo di saluto a Riley.
Il poliziotto che era appena arrivato prese una sedia e si mise di fronte alla ragazza; si sedette con lo schienale della sedia girato dal lato opposto e vi si appoggiò sopra. << Riley Andersen… Quante volte ti beccherò qui dentro, ancora? >>
<< Avete paura che scappi, tanto da mettermi una guardia nella stanza? >> Chiese lei ignorando totalmente la domanda del poliziotto. Adesso veniva fuori la sua parte aggressiva.
Il poliziotto sorrise, ricordando di quando una volta la ragazza aveva effettivamente cercato di evadere da quella stanza, prima ancora di essere portata alla sua cella. << Ne saresti capace anche se le finestre fossero blindate. >>
Riley non ribatté. La ragazza si limitò a fissarlo con gli occhi ridotti a fessure. Odiava i suoi baffoni bruni, i suoi occhi grandi e gioviali e quel suo tono sempre calmo e pacato.
L’uomo abbassò lo sguardo grattandosi la nuca, capendo che non avrebbe avuto il piacere di intrattenere una conversazione rilassata. << Hai rubato ancora, vero? >> Chiese tornando a fissarla negli occhi. << Quante volte ti avranno beccata a rubare cose inutili? Avevi almeno un motivo valido per farlo? >>
Riley sostenne il suo sguardo severo per tutto il tempo. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla abbassare lo sguardo; lei era più forte di lui e di chiunque altro. Fu forse per questo che l’uomo notò la ferita ancora visibile sulla sua guancia.
<< Questo come te lo sei fatto? >> Chiese allungando una mano e facendole spostare delicatamente il mento per guardare meglio la cicatrice. Riley ringhiò quando il poliziotto le mise la mano sul mento, ma non poté fare altro che stare a guardare.
<< Un deficiente per strada mi ha malmenata… >> Sbottò scuotendo la testa lei, cercando di cacciare la grossa mano scura dell’uomo. << Dovreste dare la caccia a gente come quella, invece che rompere le scatole a me! >> Lo accusò con disprezzo. Quello la fissò per parecchio tempo ignorando il suo attacco, deluso forse, e scosse la testa solo dopo che ebbe pensato a qualcosa nella sua mente ristretta. A un certo punto si alzò guardandola dall’alto verso il basso.
<< Riconosci questa bambina? >> Chiese tirando fuori dalla tasca dei pantaloni una vecchia foto. Il volto sorridente della ragazzina al centro del pezzetto di carta lucida, per un momento, non le disse nulla, ma all’improvviso quel viso le fece paura, e Riley desiderò essere da tutt’altra parte.
<< Perché dovrei? >> Chiese cercando di mantenere il sangue freddo, ma sentendo che qualunque cosa avesse detto avrebbe potuto causarle un mare di guai. Quella era una foto di lei, alcuni anni prima di arrivare lì e cambiare vita, prima di diventare una delinquente e rinnegare tutto quanto del suo passato. Riley sapeva che foto come quella erano ovunque nel paese, e anche in città ne erano arrivate, ma perché tutto a un tratto sembrava che fosse stata riconosciuta? C’era forse qualcosa che aveva dimenticato di nascondere della sua vita? Riley aveva fatto un errore e aveva lasciato tracce di sé lungo il suo cammino?
<< E’ arrivata tre anni fa, assieme a una lettera di due coniugi che dicevano di essere i signori Andersen… >> Cominciò il poliziotto girando la foto e osservandola con nostalgia. << Dicevano che tre anni fa, la loro figlia Riley scappò di casa senza lasciare traccia. Non avevano molte prove allora, né conoscevano le vere motivazioni della ragazza, ma sembrerebbe che la piccola Riley non fosse soddisfatta della sua nuova vita in città, e abbia voluto tornare a casa, nel Minnesota. >> Le rivolse uno sguardo inquisitore, mentre la ragazza cominciava ad agitarsi sulla sua sedia. << Da allora ci sono state molte ricerche in tutto il paese per trovare quella ragazzina, ma nessuno sembra essere riuscito a trovare una pista, nemmeno al vecchio indirizzo della famiglia Andersen… Allora io non ci feci molto caso e gli uomini che vennero a fare le ricerche qui non trovarono nulla di concreto, per questo dopo un po’ tutti ci dimenticammo di quella storia… >>
<< Che cosa vuole da me? >> Chiese minacciosa Riley, cercando di non far vedere il sudore che le colava dalla tempia; era stufa dei racconti da parte di quello sbirro.
Il poliziotto sorrise come se si trovasse davanti una nipotina che non vedeva da tempo. << Stamane è successo quasi per caso che questa foto saltasse fuori da uno schedario. Non appena l’ho vista ho pensato che la bambina in questione somigliasse molto a te, e quando ho letto il suo nome me ne sono quasi convinto. >> Piegò la schiena verso di lei e cercò di sembrare più umano possibile, ma agli occhi della ragazza fallì miseramente; per lei, lui era un mostro. << Ma solo ora mi rendo conto che tu e quella bambina siete due gocce d’acqua, Riley… >> La ragazza trattenne il respiro, preoccupata dalla possibile sentenza dell’uomo. << Allora nessuno ti conosceva, per questo riuscisti a sfuggire alle ricerche. Ora che vivi qui da tre anni e sei diventata una ladra di bibite in lattina, lasciami chiederti: perché sei scappata così di casa? I tuoi genitori non sembrano per niente delle cattive persone, e sono veramente preoccupati per te… >> Mormorò cercando di fare leva sulla sua coscienza. << Cosa ti ha spinto a intraprendere questa vita? >>
Riley si guardò intorno. Quello era un commissariato, era stata in prigione una marea di volte, e nonostante ciò continuava a fare sempre gli stessi errori! Ne era valsa davvero la pena di scappare a quel modo? Non sarebbe forse arrivato il momento di tornare a casa?
Tornare da mamma e papà? Fece una voce nella sua testa. E per fare cosa? Torneremmo in una prigione!
Improvvisamente, Riley sentì una grande rabbia crescere dentro di sé; quella stessa rabbia fredda che aveva serbato per quel ragazzo che l’aveva colpita, quella stessa rabbia nascosta che provava verso i suoi genitori. E quella rabbia venne fuori improvvisamente, quasi senza che la potesse controllare. << Lei non sa niente, e non le permetto di intromettersi nella mia vita in questo modo! >>
Il poliziotto mantenne la calma e scosse la testa, fingendo di non essere interessato alle sue minacce. << Non mi sono intromesso io; i tuoi genitori mi hanno chiesto di cercarti. >> Rispose serenamente. << Riley, lo hanno chiesto a ogni singolo cittadino! Perché non capisci quanto ti vogliono bene? >>
<< NON MI VOGLIONO BENE! >> Scattò furiosa la ragazza irrigidendo le braccia sul posto e graffiandosi i palmi con le unghie. << E io non sono interessata a tornare da loro! Sto bene qui, e non mi lascerò trascinare indietro come una prigioniera! >>
Il poliziotto le rivolse uno sguardo pieno di delusione. Sembrava che avesse abbandonato l’idea di farla ragionare. << I tuoi genitori ti hanno cercata a lungo, e finalmente ti hanno trovata… >> Mormorò forse trattenendo un moto di rabbia. << Dopo che ti avrò portato nella tua cella per aver cercato di derubare quel negozio, io prenderò il telefono e chiamerò la tua famiglia per dar loro questa notizia; finché non saranno arrivati i tuoi genitori, tu non uscirai da questo posto! >>
Riley rimase a bocca spalancata, incredula che l’uomo lo stesse facendo davvero. << Lei non può fare questo… E’ sequestro di persona… >> Cercò di aggrapparsi alla legge – quel poco che ne sapeva – ma si rese conto subito che in quel caso, la legge non era esattamente sua alleata.
<< Sei una ladra! >> Esclamò il poliziotto puntandole un dito contro. << E sei anche una recidiva! E dato che sei scappata di casa, ho tutto il diritto di tenerti in custodia fino all’arrivo dei tuoi genitori! >> Queste furono le sue ultime parole, prima di lasciare la stanza a grandi falcate, chiudendo con impeto la porta.
Riley rimase da sola per alcuni minuti. Non riusciva a credere di essere stata scoperta. Ora scappare sarebbe stato ancora più difficile. Non avrebbe più potuto nascondersi in quella città e in nessun’altra. Se i suoi genitori l’avessero raggiunta, per lei sarebbe finita tutta la libertà di quella vita, sarebbe stata costretta a diventare una ragazzina onesta e il peggio era che non sarebbe mai riuscita a rivedere i suoi amici, le persone che le avevano fatto compagnia in quegli anni. In quel momento, anche vedere Duncan l’avrebbe fatta stare meglio…
La rabbia che era scomparsa durante il monologo del poliziotto e che era stata sostituita dalla paura di essere portata via, tornò a farsi sentire con prepotenza, e Riley cominciò a battere con forza  le mani sulle proprie cosce, urlando:<< CAZZO! CAZZO! CAZZO! CAZZO! CAZZO! CAZZO! CAZZO!!! >>
Tutto quello che avevano fatto era stato vano.
   
 
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