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Autore: Laylath    01/10/2016    5 recensioni
(Seguito di Un anno per crescere).
Da quel fatidico anno che unì in maniera indissolubile un gruppo di ragazzi così diversi tra di loro, le stagioni sono passate per ben cinque volte.
In quel piccolo angolo di mondo, così come nella grande città, ciascuno prosegue il suo percorso, tra sorprese, difficoltà, semplice vita quotidiana. Si continua a guardare al futuro, con aspettativa, timore, speranza, ma sempre con la certezza di avere il sostegno l'uno dell'altro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4. Vita cittadina

 


Come la porta si chiuse dietro il docente di diritto civile, la cinquantina di studenti dentro l’aula ad anfiteatro iniziò a parlare animatamente: la maggior parte di loro era scioccata e indispettita nel sapere che buona parte del libro sarebbe stata oggetto della verifica di metà semestre. Era un colpo basso che nessuno si era aspettato e che riusciva parecchio sgradito dato che, anche altri docenti, avevano deciso di infierire particolarmente sugli studenti del secondo anno.
Heymans ascoltò con attenzione le rimostranze del suo vicino di banco, un ragazzo che incontrava spesso, sebbene non seguissero tutti gli stessi corsi. Poteva capire il suo stato d’animo, tuttavia da parte sua non se la sentiva di sciorinare la sequela di maledizioni come invece stava facendo la maggior parte dei suoi compagni: si sarebbe trattato di studiare più a lungo del previsto, ma a ben pensarci se la verifica andava bene voleva dire che all’esame finale il programma sarebbe stato più leggero.
Ma era anche vero che lo studente universitario medio aveva bisogno di alcune valvole di sfogo per riuscire a gestire lo stress degli studi. E dunque molto spesso il tutto si riduceva a un noi contro loro, dove loro erano i docenti, colpevoli di caricarli troppo e di non avere alcuna pietà.
“Ma chi credono che siamo? – concluse il suo compagno – Delle persone con superpoteri? Che abbiamo la capacità di non dormire senza subirne conseguenze? Ci vogliono morti, te lo dico io!”
Prendendo con rabbia i libri, si alzò ed iniziò a scendere gli scalini dell’anfiteatro, unendosi al resto degli studenti che stava guadagnando la via d’uscita. Come quel gruppo rumoroso andò via, l’aula risultò stranamente silenziosa, tanto che il colpo di tosse di uno dei pochi ragazzi rimasti parve addirittura rimbombare, quasi a rendere onore all’acustica.
“Credi che al professore fischieranno le orecchie?” chiese ironicamente Heymans, rivolgendosi al compagno che stava nel banco dietro al suo.
“Per i prossimi giorni di sicuro, almeno fino a quando non passerà la mano a qualche altro docente che deciderà di darci qualche verifica a sorpresa – ribadì l’altro, con una scrollata di spalle – a volte penso che sia davvero un modo per decimarci ed avere meno studenti l’anno prossimo”.
“Da quanto ho sentito durante certi esami, il loro punto di vista è corretto, non si può negare”.
“Da parte tua invece ho sentito parlare di interrogazioni brillanti – sorrise il giovane, tendendo la mano – ci siamo visti sin dall’inizio anno, ma non ci siamo mai presentati: mi chiamo Arthur Doyle”.
“Heymans Breda” strinse la mano il rosso, studiando con attenzione il suo compagno.
A dire il vero lo conosceva di vista e di fama, dato che aveva iniziato a frequentare le lezioni quell’anno: i più beninformati dicevano che si era trasferito dalla capitale assieme alla sua famiglia e dunque attorno a lui c’era grande attenzione. Del resto era una persona che tendeva a spiccare anche fisicamente: alto, slanciato, con i lineamenti delicati ed una zazzera di capelli scuri non indifferente, arrivavano praticamente alle spalle, che avrebbe sicuramente fatto storcere il naso a qualche docente vecchio stile. Gli occhi chiari erano curiosi e attenti, si guardavano continuamente attorno, quasi avessero paura di perdere il minimo dettaglio dell’ambiente attorno a lui.
“Allora, sei di East City?” chiese Arthur, distogliendo Heymans dalla sua analisi ed incitandolo ad andare fuori dall’aula ormai vuota.
“No, sono di un paese così piccolo che manco è segnato nelle carte geografiche principali: devi prenderne una dettagliata del distretto est per vedere quel puntino che sembra quasi una sbavatura della penna. Un quattro ore di treno da qui”.
“Oh wow! Un campagnolo vero e proprio, non l’avrei mai detto”.
“Sappiamo confonderci con la gente comune, incredibile, vero?”
“Vi riesce molto bene, sul serio. Io invece sono un monotono cittadino”.
“Ognuno fa quel che può” commentò sarcasticamente Heymans, trovando piacevole quella conversazione.
“Almeno ogni tanto si incontrano persone interessanti. Ti va di pranzare assieme?”
“Si può fare”.
 
Da quando aveva iniziato a frequentare l’Università l’anno prima, Heymans non aveva stretto molte amicizie, anzi a dire il vero nessuna. Parlava volentieri con i suoi compagni di corso, qualche volta gli era capitato di preparare qualche esame assieme a loro, ma le sue interazioni, escludendo lo studio, non erano andate oltre qualche occasionale chiacchiera o qualche pranzo assieme. Erano cordiali e simpatici conoscenti, ma con nessuno aveva mai preso l’iniziativa per avere un rapporto più stretto. Ovviamente non si trattava di timidezza o paura di non venir accettato, al contrario era parecchio benvoluto tra i suoi coetanei, semplicemente non ne aveva sentito l’esigenza sentendosi già completo dal punto di vista delle amicizie.
Tuttavia quell’anno era differente, almeno nell’ambiente universitario: fino a maggio aveva avuto l’appoggio di Vato ed Elisa che, sebbene frequentassero corsi del tutto diversi, si trovavano all’interno dello stesso complesso universitario: con il primo aveva persino diviso la stanza al pensionato di studenti. Era dunque facile riuscire a vedersi durante gli orari dei pasti o in biblioteca, per non parlare poi delle uscite fuori assieme a Roy. Con quella parte di paese accanto a sé, il rosso non aveva sentito minimamente l’esigenza di interagire con gli altri suoi compagni più del necessario.
Adesso i suoi due amici non c’erano più e ovviamente con Roy non ci si poteva vedere così spesso dati gli impegni di entrambi. E dunque il selettivo Heymans Breda aveva sentito l’esigenza di trovare qualcuno con cui scambiare qualche chiacchiera durante le sue ore passate all’Università.
E Arthur Doyle si stava rivelando la persona giusta.
Al contrario degli altri parlava ben poco dell’Università in generale: gli piaceva concentrarsi maggiormente sui docenti e sui compagni, rivelandosi un ottimo osservatore delle varie personalità. Coglieva i minimi dettagli che gli facevano inquadrare una persona: dai gesti, agli sguardi, al modo di portare i libri: trovava tutti questi aspetti estremamente curiosi e li immagazzinava nella sua memoria che poco aveva da invidiare a quella di Vato. Nonostante fosse nuovo dell’ambiente universitario di East City si era già fatto un’idea più che corretta della maggior parte dei loro compagni di corso.
“A dire il vero trovo te estremamente interessante perché inganni la maggior parte delle persone – ammise Arthur mentre finivano di pranzare alla mensa – a prima vista sembri annoiato… scazzato per usare un termine in voga l’anno scorso nella capitale, invece sei tutt’altro”.
Heymans lo gratificò di un’occhiata penetrante, un po’ turbato dall’essere stato in qualche modo smascherato. Tuttavia non se la prese: era solo un’ulteriore conferma di quanto quel nuovo studente fosse interessante e dunque degno di essere frequentato.
“Tu invece non mi sembri scazzato, tutt’altro – ritorse – allora, come mai la tua famiglia si è trasferita dalla capitale ad East City?”
“Motivi di lavoro da parte del mio vecchio – rispose con semplicità Arthur, accavallando con eleganza le lunghe gambe – è un giudice ed è stato chiamato a seguire alcune cause importanti qui data la sua competenza”.
“Dunque stai seguendo le orme di famiglia”.
“Compiaccio semplicemente mio padre, una facoltà vale l’altra per me. Mi prenderò la laurea in giurisprudenza così sarà felice e non mi romperà le scatole. A casa tra lui autoritario e mia madre tendente a scenate isteriche per qualsiasi cosa mi riguardi è meglio cercare di mantenere il quieto vivere… così ho promesso che ad East City avrei messo la testa a posto”.
“In questo mi ricordi una persona – sogghignò Heymans – scommetto che non hai nessuna intenzione di mettere in atto questa tua promessa”.
Sì, proprio come Jean nella prima parte del suo percorso scolastico: nonostante le promesse di studiare con più impegno e seguire le lezioni, dopo una settimana ricascava sempre nel suo solito vizio, con sommo disappunto di maestra e genitori. Però, al contrario del suo miglior amico, Arthur non aveva nessuna difficoltà con lo studio, semplicemente non gli interessava davvero.
“Per quanto concerne dare gli esami e prendere la laurea ho intenzione di non dimostrarmi troppo capriccioso: in fondo qui i docenti non sembrano male”.
“Ci dobbiamo quindi aspettare qualche provvedimento disciplinare in grande stile?”
“Oh no – scosse il capo il moro con fare amabile – una delle mie ambizioni è fare sempre tutto quanto con la massima discrezione”.
“Non è molto furbo dire questo ad uno degli studenti più benvoluti dai docenti – sorrise sarcasticamente Heymans – non è un po’ mettersi in trappola da solo?”
“Ehi, se non ti va sei liberissimo di non frequentarmi”.
Heymans scosse il capo con soddisfazione: quel ragazzo lo attirava troppo per rinunciare così alla sua conoscenza. Nell’ambiente universitario gli mancava uno stimolo simile e doveva ammettere che, lontano da casa, ogni tanto desiderava un po’ di brio nella sua vita cittadina. Certo, lo studio e gli esami erano interessanti, ma proprio come gli faceva piacere uscire con Roy che, nonostante gli anni, era comunque rimasto una persona ardita, così non gli dispiaceva avere a che fare con un’altra persona che uscisse fuori dall’ordinario.
Vediamo se ne vali davvero la pena, Arthur Doyle.
 
Mentre Heymans faceva quella nuova e strana amicizia, Roy invece continuava nella sua vita d’Accademia, aspettando con ansia la fine di quel percorso di studi per poter finalmente fare un passo in avanti nella sua carriera militare.
Quel mondo gli piaceva, non c’era niente da fare: era il modo perfetto per colmare la sua ambizione e per soddisfare il suo egocentrismo. Non aveva avuto difficoltà a farsi riconoscere come leader già dai suoi compagni di camerata e con il suo fascino era entrato molto il fretta tra le grazie degli insegnanti. Alcuni di loro affermavano che il giovane Mustang aveva già le basi politiche per far carriera tra i ranghi nell’esercito. Mentre la maggior parte dei soldati si limita a seguire un normale iter fatto di promozioni quasi standardizzate nell’arco del tempo, lui invece aveva quella capacità d’iniziativa che l’avrebbe portato a scalare i ranghi con relativa facilità. 
E dunque circolava voce che qualche ufficiale avesse già messo gli occhi su di lui per portarlo nella propria squadra non appena avesse terminato l’Accademia.
In ogni caso quelle erano solo le classiche voci da corridoio a cui Roy dava retta solo per una piccola percentuale: aveva imparato subito che le notizie tendevano ad ampliarsi in maniera esponenziale man mano che passavano da persona a persona, e che un gatto diventava un leone nell’arco di poco tempo.
Sapeva bene di essere superiore alla media e che questo gli avrebbe potuto facilitare la carriera, ma non voleva fare passi falsi, non se lo poteva permettere ora che nemmeno era un soldato a tutti gli effetti.
“Ehi, Mustang! – lo chiamò un suo compagno, mentre camminava nel corridoio dell’Accademia per andare a riportare un libro alla biblioteca – sai che hanno proposto dei corsi supplementari?”
“Corsi supplementari? – si sorprese – ormai abbiamo finito gli esami: non c’è il tempo materiale per fare delle nuove lezioni. A meno che non vogliano fare dei corsi veramente ridotti per poterli finire entro la fine dell’anno”.
“Oh, sono ovviamente facoltativi – disse l’altro con aria cospiratoria – ho visto l’elenco poco fa in segreteria, quando sono andato a consegnare alcuni documenti. Le solite cose specialistiche: elettronica, meccanica e così via… sai, per quelli che faranno parte del genio militare”.
“No, non mi interessano – scrollò le spalle Roy – conosco una persona che sarebbe ben felice di fare un corso di elettronica, ma è un ragazzino di sedici anni e non ce lo vedo a diventare soldato”.
“Elettronica, chi se ne frega! – ridacchiò l’altro – ma ce n’è uno davvero notevole: hai mai pensato di guidare una moto?”
Il moro si fermò nel corridoio per fissare con interesse il suo compagno.
Le moto erano una delle grandi novità degli ultimi anni ed ormai l’esercito stava iniziando ad adottarle con regolarità accanto alle solite auto e ai furgoni. Certo, non erano ancora numerose come gli altri mezzi, ma era innegabile che avessero una loro praticità e soprattutto facevano una gran bella figura.
Roy era rimasto affascinato più volte nel vedere quei bolidi fare delle corse nelle strade militari riservate all’addestramento: quel rombo, quelle forme, quella potenza… non era il solo a ritenere che guidare una di quelle bellezze dovesse essere molto più appagante rispetto alle solite macchine che, ormai, non erano più questa grande novità.
La moto era giovane, era il futuro: era fatta apposta per lui.
“Corso per guidare la moto? – sorrise furbescamente – Questo non me lo voglio proprio perdere”.
“Andiamo a mettere una buona parola per noi in segreteria nel caso sia un corso a numero chiuso? – chiese l’altro, strizzando l’occhio – un patentino per un cavallo d’acciaio è tutto quello che chiedo dalla vita: pare che per i soldati ci siano riduzioni di prezzo per comprarne una”.
Una vera e propria musica per le orecchie di Roy Mustang.
 
“Motocicletta?” Heymans quasi sputò la sua acqua quella sera, durante la solita cena del giovedì, giorno in cui i cadetti dell’Accademia avevano l’uscita libera. A dire il vero quelli dell’ultimo anno potevano godere di questo privilegio ben due volte alla settimana, ma ormai era tradizione consolidata che la cena tra amici fosse di giovedì sera, nel solito ristorante che aveva suggerito loro il signor Fury anni prima, sin da quando Vato ed Elisa avevano inaugurato il loro percorso universitario.
Solito tavolo lasciato riservato per loro, i due amici si erano seduti ed avevano iniziato a discutere di quanto era accaduto loro in queste prime due settimane dal loro rientro in città. Certo era trapelato un iniziale imbarazzo nel constatare come la mancanza di Vato ed Elisa si facesse sentire, ma poi l’entusiasmo l’aveva fatta da padrone ed avevano preso a discorrere.
E l’argomento motocicletta prometteva di essere uno dei più interessanti.
“Mi sono già informato – annuì Roy con entusiasmo, perfettamente a suo agio con la divisa da cadetto – il corso dura fino a novembre e si ottiene un patentino speciale, ben diverso da quello per la macchina. Per chi ha un simile documento ci sono rivenditori che fanno un prezzo di favore: non è una cifra così proibitiva, ho controllato”.
“Aspetta, aspetta, fammi capire… tu vuoi comprarti una moto?”
“Esattamente”.
“Una moto tua personale, non una di quelle in dotazione dell’esercito?”
“Una di quelle mica la potrei portare in paese quando torno, no? Dovrei ottenere sconti anche sul trasporto merci in treno. Sarà…”
“… sarà una catastrofe non appena il capitano Falman saprà di questa tua decisione, credimi – sogghignò Heymans, riprendendosi finalmente dalla sorpresa – tu e una moto: non credo che ci possa essere incubo peggiore per lui”.
“Quell’uomo si dovrebbe dare una calmata: tra due settimane compio vent’anni e sono…”
“… sei il peggiore incubo che gli sia mai capitato, credi a me. Non pensare che per la tua età anagrafica in aumento lui diminuisca la guardia nei tuoi confronti. Anzi penso che appena saprà della moto la raddoppierà”.
“Certo, perché lui è ancora fermo ai cavalli e alle carrozze! Il progresso non sa nemmeno cosa sia”.
“Conflitto generazionale, l’ha detto proprio oggi un mio nuovo compagno di corso”.
“Nuovo?”
“Si è trasferito da Central quest’estate – alzò le spalle Heymans – per via del lavoro del padre. E’ un tipo particolare, secondo me prima o poi dovresti conoscerlo”.
“Una grande novità per te – ammise Roy, fissando l’amico con attenzione – è la prima volta che ti sento parlare in questo modo di qualcuno dei tuoi compagni di corso: iniziavo a pensare che non avessi stretto amicizia con nessuno in tutto questo tempo”.
“Credi pensassi esclusivamente solo a Jean?”
“Non ne sarei rimasto sorpreso”.
Heymans si mise a braccia conserte e si posò contro lo schienale della sedia, permettendosi di riflettere per un minuto buono davanti a quella dichiarazione che gli era stata fatta. Anche Roy aveva seguito la sua stessa linea di pensiero, segno che lo conosceva davvero bene e, soprattutto che quel ragionamento non era del tutto fuori dall’ordinario.
Certo, lui con la storia di Maes sa bene come funzionino queste dinamiche del miglior amico lontano. Cinque anni fa mi sembrava una cosa che non avrebbe mai riguardato me e Jean… però è diverso, completamente diverso.
L’aveva detto a Jean prima di partire: si trattava solo di quei pochi anni di studio e poi sarebbe tornato in paese. La città l’avrebbe rivista solo per alcuni periodi dell’anno, quindi non significava assolutamente una separazione così netta come invece era quella tra Roy ed il suo miglior amico.
“Proprio come tu dicesti che valeva la pena di stringere legame con me e gli altri, cinque anni prima, così ora lo dico io per il mio caso – disse cautamente alla fine, non volendo cadere in nessun trabocchetto – prima all’Università c’erano anche Vato ed Elisa e dunque era normale stare insieme: adesso che sono da solo è stato quasi scontato trovare qualche nuova conoscenza da approfondire, tutto qui”.
“Credi che quest’amicizia durerà solo per il tempo dei tuoi studi qui?”
“E chi lo può dire? E le tue all’Accademia?”
“Sono solo compagni – li liquidò lui con una scrollata di spalle – ci parlo, ci scherzo, faccio con loro le esercitazioni… se li ritroverò più avanti ne sarò felice, ma non sono amici. Per quelli ho già tutto: pochi ma buoni”.
“Stessa cosa per me. Per ora Arthur è solo una conoscenza che promette di essere maggiormente approfondita rispetto agli altri miei compagni di studi, tutto qui. Ma i miei veri legami sono in paese, non penso che ci sia nemmeno bisogno di dirlo”.
I due si guardarono di nuovo negli occhi, quasi si stessero soppesando a vicenda per capire quanto c’era di vero in quello che avevano detto. Sapevano di essere entrambi molto selettivi per quanto concerneva le frequentazioni e dunque ogni novità era da analizzare nelle singole sfaccettature. Il fatto che Heymans avesse tirato fuori dal cilindro questo fantomatico nuovo arrivo non era da prendere alla leggera… una cosa che qualsiasi ragazzo di città avrebbe considerato veramente stupida e priva di senso. Ma provenendo dal paese, da quella realtà chiusa e protetta, a loro sembrava di doversi muovere con i piedi di piombo nei sentieri delle conoscenze e delle amicizie, il tutto per non tradire chi non era lì in quel momento.
“Comunque – disse Roy alla fine – se ne varrà la pena dovrò conoscerlo”.
“Te lo saprò dire nelle prossime settimane – annuì il rosso – torniamo alla motocicletta, ora: non mi dire che hai intenzione di comprarla a breve…”
“Mi conosci troppo bene!” sghignazzò il moro, riprendendo a mangiare come se niente fosse.
Entrambi si lasciarono andare in quella discussione: il problema delle nuove amicizie era stato analizzato e superato. Entrambi sapevano che non era il caso di lasciarsi scappare l’occasione di una conoscenza interessante se ne valeva la pena.
 
Qualche giorno dopo Heymans passeggiava per i corridoi dell’Università assieme ad Arthur, aspettando che iniziasse la lezione successiva. Con curiosità scrutò il suo amico e notò che quella mattina non era del solito umore affabile, tutt’altro: era palese che qualcosa lo turbava.
“Qualcosa non va?” si decise a chiedere dopo qualche minuto.
“Notizie non proprio gradite, tutto qui – rispose laconicamente l’altro – le saprai pure tu nell’arco di qualche giorno, non ti preoccupare”.
“Wow, sembra qualcosa di…”
“Ah, Arthur, eccoti qua”.
Heymans fece in tempo a vedere il viso del moro farsi ancora più serio, prima di girarsi e di vedere uno dei loro responsabili di corso avanzare con accanto un perfetto sconosciuto. Tuttavia non ci voleva molto per capire che era imparentato con il giovane Doyle: stessa corporatura alta e snella, stesso viso affilato.
“Signore…” salutò Arthur con educazione.
“Giudice Doyle, questo giovanotto è Heymans Breda, uno dei più promettenti studenti del nostro corso – presentò nel frattempo il docente – tutti noi abbiamo grandi aspettative su di lui”.
“E’ un piacere conoscerla, signore”.
“Piacere mio, ragazzo – lo salutò sbrigativamente il giudice, gratificandolo tuttavia di un’occhiata penetrante. Poi rivolse l’attenzione al figlio – ero giusto passato a salutare alcuni vecchi amici”.
“O ad informarti di come andavo? – chiese Arthur, sfoggiando un sorriso amabile e allo stesso tempo strafottente – Sei preoccupato che combini qualche guaio?”
Pessima idea venire qui, giudice – pensò Heymans, capendo che il rapporto padre-figlio non doveva essere dei migliori, tutt’altro – non fai altro che indisporlo ulteriormente nei tuoi confronti.
Quell’uomo sulla cinquantina, ben vestito e dall’atteggiamento altero, era chiaramente una personalità ligia fin troppo al dovere: in qualche modo gli ricordava il capitano Falman. Ma mentre il padre di Vato molto spesso si dimostrava capace di dialogare, a prima vista sembrava che il giudice Doyle fosse molto intransigente nei confronti del figlio, ai limiti dell’ossessione.
Decisamente un figlio come Arthur non era quello che si aspettava: non è compassato e docile, tutt’altro.
“Vostro figlio si sta distinguendo negli studi, giudice – rassicurò il docente con aria un po’ imbarazzata – le assicuro che il suo inserimento nel corso non ha avuto nessun problema, al contrario. Heymans, vi trovate bene assieme a lui?”
“Certamente, signore – garantì il rosso – va tutto bene”.
… per adesso…
“Mi fa piacere – annuì l’uomo, sebbene fosse chiaro che non era del tutto convinto – ci vediamo a casa, Junior”.
“Agli ordini, signore…” salutò sarcasticamente Arthur, prendendo per il braccio Heymans ed incitandolo a proseguire.
Solo quando ebbero girato l’angolo quella stretta convulsa finì ed il giovane Doyle parve recuperare un poco di tranquillità, come se il non contatto visivo con il genitore fosse già una boccata d’aria.
“Rapporto pessimo, eh?” commentò Heymans con schiettezza.
“Uno che ti viene a mettere sotto torchio anche all’Università come lo definiresti?”
“Padre apprensivo, forse troppo”.
“Oppressivo, correggi il termine, amico. Sai qual è la fregatura di essere l'unico figlio maschio? Che tutte le sue aspettative sono su di te, a prescindere da quale sia il tuo parere e le tue aspirazioni. Mi controlla da quando ero piccolo, senza darmi tregua”.
“Mi sembrate due persone completamente diverse: se non fosse per la somiglianza fisica non direi mai che siete padre e figlio. Sei una bella rogna per lui, ma non me la sento nemmeno di rimproverarti”.
“Problemi col tuo vecchio?”
“Più gravi dei tuoi, fidati”.
“Non ne vuoi parlare e non ti chiederò altro – annuì Arthur con sensibilità – comunque, volevi le brutte notizie? Eccole… mio padre, a quanto pare, terrà un corso di diritto qui all’Università per questo semestre: un suo amico docente si è preso una pausa per motivi di salute e lui lo sostituisce”.
“Accidenti, tuo padre dev’essere davvero una bella testa per poter sostituire un nostro docente”.
“Prossimo semestre, esame di diritto penale…”
“… bello tosto…”
“… se vai a controllare i testi maggiormente usati per quella materia, vedrai che uno dei più gettonati ha come autore Arthur Doyle”.
“Una vera bomba tuo padre – adesso Heymans non poteva che far trasparire una certa ammirazione per quell’uomo. Per quanto non avesse un buon rapporto col figlio, sicuramente doveva essere un giudice più che valido e un grande conoscitore della materia – non immaginavo fosse così importante”.
“Ora passi dalla sua parte?” gli occhi chiari di Arthur lo squadrarono con diffidenza.
“Ma no, non volevo dire questo – scosse il capo il rosso – riconoscere le doti di una persona non significa per questo sminuirne un’altra”.
“A casa mia non funziona proprio così. Senti, ho proprio voglia di una boccata d’aria: ti va di fare una passeggiata in cortile prima dell’inizio della lezione?”
Heymans annuì con perplessità e seguì il suo amico.
Destino beffardo, eh? Devo sempre incontrare qualcuno che ha delle problematiche col proprio padre.

 
 
 




___________________
Eccoci qua con il nuovo capitolo e con l'introduzione di un nuovo personaggio.
Ovviamente tutti voi avete capito che il nome è ampiamente ispirato all'autore di Sherlock Holmes Arthur Conan Doyle e un motivo c'è, ma si scoprirà più avanti. Ammetto che mentre progettavo la storia non era previsto, è saltato fuori assieme a questo capitolo ma gli ho dato un ruolo non indifferente per una determinata vicenda. Ed inoltre mi piace l'idea di far incontrare ad Heymans qualcuno che vive una situazione conflittuale con il proprio padre, giusto per portarlo ad analizzare quella che è stata la sua vicenda anni prima.
Nel frattempo patpattiamo tutti virtualmente il povero Vincent che presto avrà a che fare con un Roy motorizzato... bontà divina!
  
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