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Autore: Growl    07/10/2016    3 recensioni
In una classe di venti studenti, le divergenze tra questi portano la preside a fare una scelta rivoluzionaria; dividere gli alunni in quattro Fazioni: La Teocrazia del Sol'Rosa, l'Unione dei Moderati, la Repubblica delle Banane e l'Anarchia della Fattanza. Divisi in gruppi, gli studenti non danno problemi e rimangono tranquilli, e tutti pare andare per il meglio.
Il terzo anno, però, si unisce un nuovo studente al gruppo, Filippo. Con una vita sociale pari a quella di una lucertola nel deserto, una madre estremamente vendicativa e la capacità di tollerare il genere umano ormai persa da tempo, come farà a sopportare i suoi nuovi stravaganti compagni di classe senza contemplare il suicidio? Inoltre, c'è in palio la vincita di una gita in America, e gli studenti sono così ansiosi di "fare esperienze" all'estero da ricorrere ad atti estremi... Non stupitevi se la storia finirà con una tragedia.
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Mi raccomando, ci tengo tanto alla storia, quindi se vi capitasse di leggerla, magari lasciateci anche una piccola recensione? ;P
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi scuso molto per il ritardo, colpa della scuola. Coomunque, per via sempre della scuola e di altri miei impegni, non posso più rispettare la mia originale scaletta di pubblicazione. Invece che ogni sei giorni, pubblicherò ogni otto/nove giorni. Mi dispiace se volevate aggiornamenti più regolari, ma sono sicuro che vi andrà bene lo stesso. Anche ai lettori fantasma che non recensiscono... grazie comunuque.


Vita di Fazioni
in una classe disastrata




Cinquanta sfumature di verde
 
“Ucci ucci, sento odor di fatti con cappucci!”  ripete una voce grave. Sporgo la mia testa dal cestino che uso come riparo e vedo davanti a me un essere alto almeno sei metri, simile ad un orco.
«Dev’essere l’odore delle canne che mi sono fatto ieri!» esclama.
Cavolo, ho sicuramente una fantasia molto fervida se m’immagino cose del genere.
«Non fa niente, tanto non potranno scappare di qui, ho serrato l’entrata del papavero… se non si prenderanno le mie monete ottenute tramite la vendita di sostanze di prima qualità! Ne serve una per ciascuno se vogliono sbloccare la serratura…»
Dopo aver detto ciò, l’orco/Dio Oppio… non so più come definirlo, inizia a contare i suoi soldi, ma si addormenta poco dopo. Deve essere sicuramente l’effetto collaterale delle canne che si è fatto ieri.
Rifletto un secondo su cosa devo fare, e mi rendo finalmente conto da dove la mia mente sta prendendo spunto per questo film mentale che mi sto facendo, chiaramente quella storia del fagiolo magico! Quella dove c’è l’oca che fa le uova d’oro, insomma, è facile da ricordare perché è assurda. Io sono riuscito a renderla ancora più assurda però, ficcandoci i miei amici dell’Anarchia della Fattanza e spargendo la trama con un bel po’ di cannabis qui e lì.
L’eroe della fiaba rubava il denaro all’orco mangiauomini e tornava a casa dalla madre. Forse quello era il metodo con cui sarei riuscito a scappare dai miei incubi/dall’effetto della droga sconosciuta (ricordo infatti che sono stato drogato, sì, meglio non parlarne, sappiamo tutti che gli adolescenti fanno cose stupide, almeno avrò qualcosa da raccontare ai miei nipoti, se non muoio prima di diplomarmi).
Recupero qualche bicchiere e miracolosamente riesco a raggiungere il tavolo. Mentre l’orco russa, la faccio franca e inizio a scappare via con una monetina, che a detta di Oppio funzionerà per scappare da questo posto.
Mentre corro, però, vedo Cosimo, Mario e Pietro che camminano spaesati.
«Fi…Fi…lippo?» balbetta il primo. «Sei… tu?»
Sospiro.
Loro si trovano ovviamente in uno stato indecente.
«H-Hai… visto… Oppio?»
Per qualche secondo ho intenzione di aiutarli, ma non penso che io, sprovvisto di alcuna conoscenza medica, possa capire come farli tornare alla realtà. La quale, tra parentesi, sono sicuro che sia una fantasia. L’ultima volta che ho controllato gli orchi non esistono, i papaveri non sono alti di 150 centimetri, ed è impossibile camminare o costruire case per orchi sulle nuvole. 
Aiutarli sarebbe inutile, probabilmente loro sono solo delle proiezioni mentali delle mie paure e dei traumi che ho subito nelle ultime 72 ore.
Appena mi sveglio andrò da una psicologa per cercare di capire che mi sta accadendo e se devo andare in un manicomio, al quale raccomanderò poi anche mia madre e l’intera classe (ma non so se possono permetterselo) e chiederò anche l’assistenza di un medico per verificare che non ci siano tracce di cocaina, eroina o altre ine nel mio corpo.
«Ragazzi, non voglio rimanere qui un secondo di più.»
Continuo a correre e raggiungo l’entrata. Non c’è ancora nessuna traccia di Roberto e di Vinello… come non c’è nessuna traccia del suo nome… qualcuno mi dirà una buona volta come si chiama?
Una volta raggiunta l’apertura tra le nuvole, noto che al posto del papavero si trova una sorta di tombino, che a mio parere assume un ruolo nuovo, dato che cadere da quassù sicuramente mi porterà alla tomba (da qui il nome tombino). Al centro del tombino si trova una piccola apertura a forma di moneta; dovrò inserirla lì dentro, presumo.
Nel momento in cui provo a scappare da questo inferno (molto divertente, dato che sono sulle nuvole e piuttosto dovrebbe essere un paradiso) qualcuno mi si butta addosso, prendendomi per il bacino, facendomi perdere l’equilibrio e la moneta, che s’infila tra le nuvole e cade giù.
Quando mi alzo, vedo Roberta.
«CHE CAZZO, ROBERTA!»
«Filippo! Divertiti con noi! Hai visto quanta bella roba c’è in casa?»
Mi fissa con quello sguardo tipico della Repubblica.
«No, voglio solo andarmene!»
«Ma dovresti almeno provare con noi qualcosa! Sai, è bello! Molto bello! Resta qui!»
«PERCHE’ FACCIO QUESTO GENERE DI INCUBI, CHE HO FATTO DI MALE!»
«Nulla, nulla… se però non rimani qui farò io del male a te…»
In un attimo di lucidità, metto le mani nel mio zaino (ce l’ho ancora, ve l’eravate scordato?) e prendo il mio pranzo formato da materiali commestibili non ben identificati, e lo lancio il più lontano possibile. Roberta osserva la sua traiettoria parabolica, studiata alla perfezione, dopo che il professore di fisica ci ha fatto una testa grande così almeno qualcosa ho imparato: per ottenere la massima gittata bisogna spingere l’oggetto in modo che abbia un’inclinazione di quarantacinque gradi.
Diciamo che non sono stato perfetto, ma una trentasei gradi li ho presi.
Subito dopo inizio a correre via, verso la casa, ma lontano dalla ragazza.
Per fortuna quando arrivo non mi sta seguendo più e posso felicemente riprendere fiato.
Se ricordo bene, ho ancora qualche possibilità. L’eroe Jack, dopo aver riportato le monete a casa dalla madre, ritorna sulle nuvole perché è un masochista, e incredibilmente trova di nuovo l’orco, solo con un’oca che depone uova d’oro. Magari in qualche modo queste uova mi aiuteranno a scappare, sempre che rimangano uova, sono certo che assumeranno un nuovo aspetto in questo “marijuana themed dream” sempre più dark… ma che dico, sempre più green. Oltretutto il verde è il colore della speranza, e quindi spero che in qualche modo riesca a scappare da questo incubo.
Rientro dal portoneone per arrivare nel saloneone e vedere tanti sediolonioni e altri oggetti con suffissi accrescitivi. Mi guardo attorno per controllare se l’area è libera: non vedo nessun membro dell’Anarchia. Fantastico. Sgattaiolo nella cucina e mi nascondo dentro al cestino di vimini ancora una volta, sperando che questa sia quella buona.
Devo aspettare una decina di minuti, nei quali pianifico strategie di fuga nel caso l’orco o Roberta mi vedano, ma alla fine eccolo ritornare, questa volta in mano un… distributore automatico di grandezza minuscola, simile ad un vocabolario.
«Questo è il mio bellissimo distributore automatico di gomma! Ogni volta che pronuncio la parola espelli…» appena detto questo, apparve una pasticca di chissà quale sostanza sperimentale. «Ahahah, senza queste pasticche non potranno mai scappare dal mio regno!»
Ma ovviamente, dopo averne ingerita una, orco Oppio cadde a terra e in un sonno –spero- molto profondo.
Risalgo sul tavolino, prendo con facilità il distributore di gomma e con un po’ di fatica vado via dalla cucina. C’è però bisogno di ringraziare il gigante verde che ogni volta, come ogni cattivo che si rispetti, dà le indicazioni necessarie al protagonista per farlo vincere.
Ci manca solo il monologo e siamo a posto.
Sudato come mia zia dopo i saldi di inizio gennaio, ritorno al tombino-papavero, ma non sembra esserci alcuna traccia di Roberta. Forse si è messa a sgranocchiare il pranzo di mia madre pensando fosse una roba con della roba, e io non posso darle torto: non si sa mai cosa possa mettere Vera (mia madre) nelle sue ricette.
Purtroppo, proprio mentre sto per dire “Espelli”, arriva Vinello, degno del suo soprannome, con in ciascuna mano due bottiglie di vino, sulla testa un vaso e nei pantaloni altri recipienti con chissà quale tipo di alcolici.
Incredibilmente inciampa (come si può, su una nuvola?) e tutti i liquidi cadono addosso a me ma in particolar modo sul distributore automatico.
«VINELLO!» grido, non avendo ancora sbloccato il suo nome.
Penso ingenuamente che il distributore fosse magico, e quindi pronuncio “espelli” sperando che accada qualcosa… però non succede nulla.
«Le apparecchiature devono essersi danneggiate per colpa del vino..!» esclama lui.
«Come sei perspicace!» gli rispondo a tono. «Ovviamente è colpa tua!»
«Ehi, scusa se ero di fretta! Dovevo portare a Roberta qualcosa da bere, ha ingerito una strana droga e si sente malissimo da almeno un quarto d’ora!»
Lo sapevo.
Comunque, adesso anche il distributore è perso. Ho un’ultima opportunità, che corrisponde all’arpa della fiaba originale. Se non ricordo male, dopo che Jack e la madre diventano supermegaricchissimi per via dell’oca e delle sue uova d’oro, sempre più commestibili di quelle preparate da mia madre, il figlio decide di salire ancora una volta nonostante non gli serva a nulla, e una volta arrivato lì, trova un’inutilissima arpa e l’unica cosa che fa è suonare. Ma mica la lascia, no, la prende e la porta via perché..? Boh. Con tutte quelle uova potevano comprarsi infinite arpe.
Lascio Vinello a leccare le nuvole e il vino caduto, e arrivo in cucina dopo altri cinque minuti di camminata. Mi sto veramente annoiando, spero che tutto finisca il prima possibile.
Questa volta l’orco porta un’ampolla con dentro cristalli bianchi, e sappiamo tutti che non è né zucchero né sale.
«Ucci ucci, sento ancor odor di drogati e di cappucci!.. Non riesco a trovare il mio sacco di monete magiche, e neppure il mio distributore di gomme… ma non importa, questi sei monelli non scapperanno senza la mia polvere bianca magica, che fa scomparire il tombino e li riporta nella foresta! E anche se la prendessero, non conoscerebbero mai la formula per aprire il tappo!... Solo io so che bisogna dire… apriti
Sospiro. Il suo QI certamente non è alto quanto lui.
Dopo le parole dell’orco, il tappo sopra l’ampolla si rimuove automaticamente emettendo un pop molto rumoroso. Poi il Dio Oppio sparge un po’ della polvere magica sul tavolo e inizia ad assaggiarla. Come mi aspettavo, si mette a dormire ancora una volta.
Quando arrivo sulla vetta del tavolo, purtroppo il tappo si è già richiuso. Faccio molta attenzione a non pronunciare la parola apriti, altrimenti il gigante si sveglierà, e diciamocelo, non sono così scemo come Jack.
Arrivato sull’uscio della porta tra la cucina e il saloneone, però, trovo Roberta.
«Filippo! Eccoti qui!»
«Roberta, non è il momento adesso!» le spiego, tenendo bassa la voce.
«Perché non vuoi conoscerci meglio?»
«Fatti un’analisi di coscienza!»
«Sembra che nessuno della classe ti è simpatico!»
«Sembra?! Non è ovvio?»
«Filippo, dai, apriti con noi!»
Quando Roberta finisce la frase, è già troppo tardi. Il tappo si è aperto e l’orco svegliato.
«Ecco chi è stato a rubarmi i miei oggetti preziosi!» tuona.
«Quella voce… la riconoscerei tra mille… è il Dio Oppio!» urla la ragazza.
«Sono contentissimo se vuoi rimanere qui!» le dico, mentre sfreccio via con l’ampolla.
Per qualche secondo vengo preso da una inconsolabile tristezza, ho lasciato Roberta lì nelle mani di quel mostro… ma è tutto inutile! Sicuramente quel mostro non esiste. Continuo a correre, non guardandomi mai indietro. L’Anarchia sicuramente è a posto. Appena vedo il tombino, grido di gioia, e appena arrivato sopra ad esso, ci butto violentemente l’ampolla di vetro, spaccandola ma avendo successo nel spargerci sopra la polvere bianca magica. In meno di cinque secondi, il tombino scompare, e prima che tutto vada a rotoloni regina, inizio a scendere dal papavero gigante. Come farò a tornare a casa? Non lo so, ma almeno mi sono liberato di quel cos-
Mentre rifletto, metto il mio piede destro invece che su una foglia, in aria.
E cado.
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Quando mi sveglio, sono fuori dal vicolo buio, insieme ad Elisa.
«Ciao! Com’è andata?» mi chiede lei.
«Portami in ospedale. Subito.»
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Il calderone bolliva, con dentro chissà quale sostanza. La prossima volta dovevo preparare il miscuglio da sola.
Qualcuno entra dalla porta. Sono le mie compagne.
«Allora, come è andata?» chiedo.
«Benissimo, il test ha funzionato. Anche il nuovo ragazzo ne è stato affetto.» fa una voce.
«Non sospetta di nulla.» continua un’altra.
«Ovvio. Nessuno sospetta di nulla. Io sono pronta con la seconda parte del progetto. Colpiremo la Teocrazia.»
«Di già? Pensavo che dovessimo prepararci di più.»
«Le preparazioni sono finite. E’ ora di dimostrare chi è che comanda.»
«E chi comanda?»
«Noi, ovviamente. La Quinta Fazione. Il Concilio delle Streghe.»
«Per favore. Non questo nome.»
«Ehi! E’ bello! Essere una strega è sempre stato il mio sogno!»


 
Repubblica delle Banane



Paola, Alberto, Claudia, Marco e Carolina

 
   
 
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