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Autore: Eleanor_    10/10/2016    2 recensioni
Rose Weasley ha quindici anni, è una Grifondoro ed è la figlia di Ronald Weasley e Hermione Granger. E questo lo sanno tutti.
Ha i capelli rossi, gli occhi azzurri, la passione per i guai e per il Quidditch ereditati dal padre.
Il covo di ricci che si trova in testa, l'astuzia e la bontà d'animo, invece, li ha presi dalla madre.
Ma la somiglianza finisce qua.
Non è intelligente come Hermione, né coraggiosa come Ronald.
Rose Weasley non è sola, per fortuna.
Nella sua situazione si trovano quasi tutti i suoi cugini: lo scapestrato James, innamorato da sempre della bella e malinconica cugina Dominique, che si trova in una situazione complicata; Albus, spirito libero intelligente e decisamente affascinante; la dolce e furba Lily, il fratello Hugo, il freddo e apatico Louis, gli instancabili Fred e Roxanne.
Ognuno di loro sa cosa vuol dire avere il peso di un cognome sulle spalle.
E lo sa, scoprirà Rose, anche il biondissimo Scorpius Malfoy, il misterioso, arrogante e sensibile ragazzo che imparerà a conoscere, per un caso più o meno fortunato.
In breve, Rose Weasley sono io e vi voglio raccontare le nostre storie.
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, Nuovo personaggio, Rose Weasley | Coppie: James Sirius/Dominique, Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Dominique's POV -
Confusion and tears

 
 
Now I'm done believing you
You don't know what I'm feeling
I'm more than what, you made of me
I followed the voice
You gave to me
But now I gotta find my own
You should have listened
-Beyoncè, Listen
 


Ho sempre vissuto una vita agiata. Sono sempre stata viziata da mamma e papà, dai nonni e dagli zii. Non sarò una cima a scuola, ma ho sufficiente in tutte le materie, sempre mantenuto la media dell’A. Non amo leggere, né sono appassionata di teatro o sport.
Non ho particolari aspirazioni nella vita, se non quella di mettere su famiglia.
Sono molto bella, ho un fisico che fa invidia a tutti e dei capelli meravigliosi, ma nulla in zucca.
Questo è il riassunto di ciò che pensano le persone di me. E la cosa, fidatevi, fa molto male.
Se dovessi scrivere una presentazione di me stessa, senza vanità, falsa modestia o egocentrismo, racconterei di com’è la mia vita, non di come sono fatta io. Perché, col passare del tempo e l’aumentare delle voci, mi sono resa conto di credere di essere una persona totalmente diversa da quella che gli altri pensano che io sia.
In poche parole, non sei quello che sembri ma sei quello che non sembri.
Mi chiamo Dominique Danielle Weasley e ho sedici anni.
Sono nata durante una freddissima notte di gennaio, con le gambe attorno al collo di mio fratello Louis. Sono di soli sette minuti e mezzo più grande di lui, eppure tutti mi scambiano per la sua sorella maggiore.
Ho un ottavo di sangue di Veela che scorre dentro le mie vene, il che, a sentire maman, mi conferisce questo “aspetto aggraziato e delicato”. Stronzate.
Le Veela sono quegli… esseri? Chiamiamoli esseri magici, che sembrano donne bellissime, ma in realtà sono sufficienti due parole sbagliate per farle infuriare e trasformarle in orrendi uccelli squamosi. Da brividi. Mia bisnonna era una Veela che incontrò mio bisnonno, un Purosangue francese, nei lontani anni Trenta, quando per fare innamorare una donna bastava cantarle una canzone d’amore e portarla a fare un giro in battello sulla Senna. Doveva essere molto paziente come persona, comunque. Immaginate di non aver pulito il lavello dai peli della barba, quando la vostra moglie Veela ve l’aveva ordinato. Agghiacciante.
Detto ciò, ho parlato abbastanza di me, per ora. Voglio raccontare la mia storia, e come sono arrivata ai sedici anni indenne.
Cinque mesi dopo la mia nascita, anche la sorella del papà, la zia Ginny, ha sfornato il primo piccolo Potter. Tra coccole e grida, giochi e pianti, io e James siamo cresciuti assieme.
Meno di un anno dopo, ecco arrivare la prima della famiglia Weasley-Granger: zia Hermione aveva messo al mondo la piccola Rosie, con i capelli rossi ed enormi occhioni blu.
Tempo sei mesi e nacque il secondogenito della famiglia Potter, Albus Severus, uno spirito libero, intelligente e decisamente bello. E così, fra i due fratelli nacque la classica rivalità per le attenzioni di mamma e papà, per quelle dei nonni e per motivi che io non potrò mai pienamente capire.
Quelli erano anni produttivi, per la famiglia. Avevo già dei cugini maggiori, una sorella di ben cinque anni più grande e un gemello, ma sono tutt’ora convinta che non mi bastassero. Avevo bisogno di amici, che ho trovato in James, Roxanne e Rosie.
Io, Roxanne e Rosie, come d’altronde quest’ultima e Albus, abbiamo sempre avuto quel fantastico rapporto di sorellanza che è possibile creare solo fra persone vicine con l’età.
Con James, invece, le cose sono diventate sempre più intime.
Essendo vicini di casa, ogni pomeriggio, dopo scuola, uscivamo in giardino per giocare a Quidditch, a nascondino o ad acchiapparella. Ogni pomeriggio. E non mancavamo mai un appuntamento, a meno che non fossimo estremamente malati o facesse troppo freddo. Questa routine è andata avanti per anni, con l’aggiungersi di cugini e fratelli sempre più numerosi. Quando Lily e Hugo, i più piccoli, avevano cinque anni e riuscivano a correre senza inciampare sui propri piedi, noi ne avevamo ormai otto ed era arrivato il momento in cui ti senti troppo grande per stare con i “bambini”.
Sta di fatto che abbiamo smesso di uscire in giardino e abbiamo cominciato a rintanarci nella sua soffitta, abbastanza spaziosa e luminosa da poterci ospitare. Ed è andata avanti così, finché non mi sono trasferita a Villa Conchiglia.
Abbiamo passato ore e ore lassù, nascosti da tutto, a leggere libri e riviste, a raccontarci storie, a scherzare e a prendere in giro i compagni di classe babbani.
A undici anni siamo partiti per Hogwarts e le cose hanno cominciato, inevitabilmente, a cambiare.
Evitavamo di dare confidenza a persone che non fossero Roxanne, Fred, Molly, Lucy, Victorie o Teddy. Eravamo spaventati dal mondo esterno, avendo vissuto per anni come in una bolla. Mi ricordo come se fosse ieri che, una volta entrati in Sala Grande prima dello Smistamento, osservando tutti i visi di quelle persone sconosciute, gli presi la mano, la tenni stretta nella mia e gli chiesi: « Raccontami una storia » come facevo sempre quando eravamo distesi in soffitta, all’esterno ruggiva il temporale e io, spaventata a morte, volevo solo addormentarmi.
Lui mi raccontò di un giovane gigante, che era sproporzionato rispetto agli altri della sua specie: aveva la metà dei loro anni ma era alto il doppio, aveva i piedi cinque volte più lunghi e il naso grande quanto le loro facce. Tutti ovviamente lo schernivano perché era diverso e il giovane gigante si intristì a tal punto da volersi buttare in un pozzo per togliersi la vita. Il suo tentativo però fu vano: aveva i piedi troppo grandi per entrarci.
Lo spirito che viveva dentro al pozzo, gli disse: « Ascoltami, giovane gigante: di solito non parlo con le persone, ma vedo che c’è del buono nel tuo cuore. Va’ da coloro che ti hanno preso in giro e fagliela pagare. Non permettere mai a nessuno di metterti i piedi in testa! »
Il giovane gigante, colpito da quelle parole e improvvisamente illuminato da un’idea, tornò nel suo villaggio, dal quale era stato cacciato. Grazie ai suoi piedi giganteschi riuscì a farsi spazio fra la folla, letteralmente camminandogli sopra, e ad arrivare dal capo dei giganti. Colto da un improvviso pizzicore al naso, il giovane gigante gli starnutì dritto in faccia, inondandolo di muco. Il capo dei giganti, schifato e spaventato, lasciò che egli tornasse fra di loro e impedì a chiunque di prenderlo in giro da quel momento in poi.
Il giovane gigante visse una vita lunga e felice, facendosi valere e calpestando chiunque lo prendesse in giro.
Terminata la storia, mi misi a ridere così forte che metà dei ragazzi seduti ai tavoli vicini si voltarono e sussurrarono fra loro. Ma devo dire la verità: non me ne importava nulla, finché stringevo la mano di mio cugino, che con quella storia stupida mi aveva calmata e divertita.
Venimmo smistati entrambi a Grifondoro, così potemmo continuare la nostra vita assieme.
Ogni pomeriggio, verso le cinque, ci incontravamo in Sala Grande per bere il tè e ci raccontavamo le nuove esperienze vissute. Condividevamo ogni lezione, ma non sembrava che stessimo insieme abbastanza tempo. Conoscemmo entrambi dei nuovi amici: lui strinse amicizia con il figlio del professor Paciock, Axel e con Philip Thomas. Io, d’altra parte, conobbi Kayleah, Fae e Ginger.
Uno dei primi giorni di primavera durante il mio terzo anno, successe un fatto che mi fa venire i brividi ogni volta che ci penso.
Mi aggiravo per i corridoi del quarto piano, avendo appena terminato una lezione. Ero da sola e mi stavo dirigendo alla torre dei Grifondoro per prendere un libro dimenticato alla mattina. Stavo salendo le scale che portavano al piano successivo quando un ragazzo, non ricordo quale fosse il suo nome, attirò la mia attenzione con un colpetto di tosse. Mi voltai e lo scrutai. Avrà avuto due anni più di me al massimo, era scuro di capelli, aveva gli occhi tra il verde e il marrone, un sorriso sbilenco e più brufoli che peli di barba. Indossava la divisa dei Corvonero ma ero certa di non averlo mai visto prima. Iniziai ad agitarmi: non vedevo nessuno nei paraggi e dallo sguardo che mi lanciava non sembrava volesse intrattenere una conversazione civile con me. A dirla tutta, non sembrava avere intenzione di parlare.
« Tu sei Dominique Weasley, giusto? » esordì.
« S-sì » balbettai in risposta.
Era davvero brutto. Poteva essere intelligente quanto volete, ma sinceramente sono scettica anche riguardo a questo.
« Sei molto carina » continuò, avvicinandosi.
Mi irrigidii e tentai di valutare tutte le possibilità di fuga che c’erano. Le scale erano ferme e, dietro di me, vi era una porta. Tempo due minuti e avrebbero iniziato a muoversi, non lasciandomi spiragli. Cominciai a indietreggiare.
« Ti ringrazio. Ora devo sbrigarmi, o farò tardi a lezione » mi voltai di scatto e cominciai a salire i gradini. Lui però era più alto di me e, di conseguenza, aveva le gambe più lunghe. Mi raggiunse in due secondi.
« No, dai, non andartene subito » mi prese il braccio e mi costrinse a voltarmi.
Fu in quel momento che intravidi un dipinto, rappresentante un piccolo cavaliere senza il suo grasso pony che, per grazia divina, si trovava fuori dal suo quadro. Gli lanciai uno sguardo supplicante e, tempo dieci secondi, sparì. Distolsi gli occhi da quelli del Corvonero, fissandoli per terra. Cominciò a toccarmi i capelli e io iniziai a spaventarmi seriamente.
Mi allontanai, minacciandolo: « Se non mi lasci in pace, inizierò ad urlare così forte che tutti nel castello verranno a vedere cosa sta succedendo. »
Lato positivo: per un secondo, un lampo di paura balenò nei suoi occhi. Lato negativo: l’avevo detto con una vocina da usignolo ferito, e nemmeno io sarei stata spaventata da me stessa. Fece un ghigno divertito e mi prese il viso tra le mani.
« Me lo dai un bacio? Uno solo » chiese, mellifluo.
Iniziai a respirare forte e tentai di divincolarmi ma lui era troppo grande perché ci riuscissi.
Provai a tirargli un calcio nelle parti bassi ma lui lo scansò. Tentai infine graffiandogli il viso e le mani, ma lui, a parte un segno di fastidio, non parve intenzionato a mollare la presa.
« DOMINIQUE! » sentii un urlo familiare, sollevante e infuriato.
James, nonostante fosse più piccolo e più basso del Corvonero, era altrettanto robusto e muscoloso. Gli assestò un pugno alla mascella così lui mollò la presa sul mio braccio per qualche secondo, ritornandogli il colpo sul naso. Grazie ad un orribile suono di noci spaccate, compresi che il naso di James si era rotto.
Mio cugino lanciò uno sguardo assassino al ragazzo, mentre si preparava a tornargli il pugno dritto sul labbro. “Adesso lo ammazza” pensai. Ma non successe.
Il Corvonero perdeva sangue dal labbro e giurai di aver visto un dente saltargli fuori dalla bocca e semplicemente corse via, urtando James, prima di poter fare altro.
Mi avvicinai a Jamie, spaventata e preoccupata. Fu in quel preciso momento, mentre era dolorante e aveva il naso rotto, quando se l’era rotto per me, che capii di esserne innamorata. Avevo quattordici anni ed ero certa di amarlo. Lo so benissimo che è mio cugino, che condividiamo del sangue e che può essere reputata una cosa profondamente sbagliata e incestuosa, per questo me ne vergognai moltissimo. Più tardi lo accompagnai in infermeria e rimasi con lui tutto il giorno, stringendogli la mano e continuando a ringraziarlo.
Lui mi disse che l’aveva fatto perché nessuno può toccare una donna, e soprattutto nessuno può toccare sua cugina nonché la sua migliore amica.
Non so con quale coraggio ma, quello stesso giorno, gli dissi confessai di provare qualcosa.
La sua risposta, a metà fra il divertito e l’imbarazzato, non potrò mai dimenticarla: « Ma Dominique, noi siamo cugini. »
Scappai dall’infermeria e mi rifiutai di guardarlo negli occhi fino all’arrivo dell’estate.
Durante le vacanze estive, lui conobbe la sua prima ragazza, Angela, una babbana. Fu una storiella estiva effimera ma per me fu devastante. Non mi davo pace e volevo che lui ricambiasse il mio amore. Quell’estate non lo vidi praticamente mai.
Fu durante quel periodo che iniziarono i miei problemi: non mangiavo praticamente mai, e se lo facevo, era controvoglia e andavo in bagno a vomitare; mi vedevo grassa, brutta e inadeguata. Pensavo di aver capito perché non piacessi a James. Riguardando le foto di quell’estate, mi accorgo di quanto scheletrica e sciupata fossi.
Quando ritornammo ad Hogwarts incominciammo a passare nuovamente del tempo assieme, ma i nostri incontri erano diventati sempre più rari e i rapporti freddi.
Fu allora che conobbi Jonathan. Frequentava il quinto anno ed era un Prefetto. Ammetto che prima che mi chiedesse di uscire, non l’avevo mai notato, presa com’ero da James, ma quando capii che gli interessavo, ritrovai un po’ di fiducia in me stessa.
Jonathan è stato il mio primo vero bacio ed ero contenta quando stavo con lui, non pensavo mai a James.
Per un anno le cose andarono a gonfie vele con Jonathan. Cominciai a mangiare di più e più volentieri, e nonostante sia magra anche adesso, non sembravo più uno scheletro vivente.
Un giorno, senza averlo programmato, ci trovammo nella sua stanza e facemmo l’amore per la prima volta.
Capii che lo amavo, un amore diverso da quello provato per mio cugino, certo, ma lo amavo comunque così glielo dissi e lui, guardandomi fisso negli occhi, mi sussurrò con tanta dolcezza da farmi venire i brividi che ricambiava.
Il giorno del mio sedicesimo compleanno, lo scorso gennaio, successe un’altra cosa che sconvolse per sempre il mio rapporto con James.
Io e lui, durante la mia relazione con Jonathan, andavamo molto d’accordo, ridevamo e scherzavamo come avevamo sempre fatto, non menzionando mai più ciò che era successo tempo prima. Non passavamo più tanto tempo insieme come una volta, ma ormai ero convinta che fosse un normale processo di crescita.
Comunque, tornando al mio compleanno, mi trovavo da sola in Sala Comune quando James, apparso dal nulla, mi raggiunse accanto al camino.
Era sera tarda ed ero stanca morta, avendo passato l’intera giornata sommersa da amici e parenti, scartando regali e mangiando. Mio cugino mi abbracciò forte e mi porse un pacco incartato. Lo sgridai dicendogli che non volevo che mi regalasse nulla, ma lui mi assicurò che l’aveva fatto con le sue mani e con piacere.
Tolsi la carta e scoprii un album color cielo. Lo aprii e vi trovai all’interno un sacco di fotografie, che raccontavano la nostra vita da quando eravamo ancora in fasce e arrivando a qualche mese prima, durante la vacanza estiva in Irlanda.
Lo ringraziai con le lacrime agli occhi e prima che potessi dirgli qualcos’altro, mi baciò. Fu diverso dai baci di Jonathan. Conoscevo la sua bocca a memoria, l’avevo baciata così tante volte da riconoscerne sapore e movimenti. Ma la bocca di James era diversa. Era dolce e prometteva altri milioni di baci, era calma e morbida. Mi staccai subito e lo allontanai con una spinta.
Nonostante tutto il tempo in cui avessi atteso quel momento, nonostante volessi che continuasse a baciarmi, mi costrinsi ad ingoiare tutto. D’altronde gli avevo confessato due anni prima quello che provavo e lui mi aveva detto chiaro e tondo che eravamo cugini. Eravamo imparentati. Era impossibile e innaturale.
« Ma che cazzo fai?! » sbraitai, sentendo montare una rabbia incontrollabile.
Lui rimase a bocca aperta per parecchio tempo, senza emettere suoni.
« Non osare mai più toccarmi. Io sto con Jonathan! Sono e sarò sempre solo tua cugina. »
« Dominique… Mi avevi detto che… » tentò di discolparsi.
« È troppo tardi. Hai perso la tua occasione.  Io sono andata avanti. E tu non hai il diritto di baciarmi » cominciai a piangere e tornai nella mia stanza, gettando l’album sotto al mio letto.
Non piansi mai più così tanto, fino ad oggi, quando ho detto a Rose di essere incinta.
Le ultime parole rotte dal pianto che gli dissi, prima di scappare, furono: « Voglio solo che tu la smetta di far parte dalla mia vita. »
Tre mesi dopo, scoprii che si era fidanzato con Beatrix Richards.
Non ci parliamo da allora e ogni volta in cui lo vedo è uno strazio. Vorrei chiedergli scusa, dirgli che ho esagerato e chiedergli se possiamo ritornare tali e quali a quei due ragazzini che in soffitta si scambiavano i segreti. Vorrei dirgli che lo amo come quando avevo quattordici anni, e anche di più. Vorrei dirgli che non ho mai amato Jonathan tanto quanto ho amato lui. Vorrei dirgli di lasciare Beatrix, perché lei non lo merita.
Con gli anni ho imparato ad amarlo e apprezzarlo. Ho imparato a riconoscere che è pieno di difetti, così come è pieno di pregi.
Ho sintetizzato tutta la mia vita fino ad ora e la persona di cui ho parlato di più è stata James. Pensando alla mia vita, parlo di James. Non è incredibile, quanto una persona riesca a condizionare la tua intera esistenza? Quanto si possa pensare ed amare qualcuno?
 
Questo pomeriggio, poco dopo pranzo, ho deciso di chiedere a Jonathan di vederci perché  avevo la necessità di parlargli. Continuavo a vomitare e volevo capire il perché, così, temendo il peggio, ho chiesto a mia sorella, una delle poche persone al mondo di cui mi fido, di inviarmi un test di gravidanza nel modo più discreto possibile. Lei non ha fatto domande, quindi ieri un pacchettino mi è stato recapitato con la posta mattutina.
Avevo troppa paura di ciò che sarebbe potuto succedere perciò, nonostante io e Jonathan ci siamo lasciati da due settimane, volevo che mi stesse vicino dal momento che, fino a prova contraria, lui sarebbe il padre.
Ci siamo incontrati fuori dai Tre Manici. O sarebbe meglio dire che io sono riuscita a bloccarlo fuori dal pub. Gli ho spiegato la situazione nel modo più innocuo e chiaro possibile ma lui ha iniziato a urlare che non ne vuole sapere, che mi ha lasciato per un valido motivo, che non è solo perché sono diventata troppo appiccicosa.
« Non so come dirtelo in modo che non ti arrabbi… » ha meditato, parlandomi freddamente come se mi avesse appena conosciuta e non come fossimo stati insieme per due anni.
« Hai trovato un’altra » ho azzardato, comprendendo che la mia supposizione fosse esatta. Ho barcollato per qualche istante ma poi ho ripreso il pieno controllo di me.
« Non dare la colpa a me. La colpa è solo del tuo comportamento. Sono stato bene, davvero. Ma ultimamente non ne potevo più. »
« Allora sai cosa ti dico, brutta testa di cazzo che non sei altro? Divertiti con chiunque ti sia trovato ma sappi che, se fossi incinta, saresti tu il padre. E tuo figlio crescerebbe senza di te. Pensa a questo mentre starai facendo la bella vita con la tua nuova ragazza » gli ho urlato, senza alcuna voglia di abbassare il tono di voce.
Sono ritornata al castello e, una volta in bagno, con tutto il coraggio che avevo, ho fatto il test. Il risultato rappresentava due lineette. Positivo. Sono incinta. Jonathan è il padre.
I primi pensieri sono stati terribili: non finirò l’ultimo anno ad Hogwarts, non seguirò le mie amiche durante la vacanza dell’ultimo anno, tutti capiranno che sto aspettando un bambino e le voci sul mio conto non faranno altro che aggravarsi ulteriormente.
 
Continuo a piangere accanto a Rosie per una mezz’ora buona, raccontandole meglio che posso della mia discussione di stamattina con Jonathan e lei resta ad ascoltarmi come sempre. Aggiunge anche un paio di belle paroline sul suo conto, il che mi fa sorridere.
Ho deciso che glielo dirò, in qualsiasi caso. Lui è il padre e ha il diritto di sapere di essere tale, ma tento di non pensare a lui.
Mio figlio sarà viziato e diventerà bellissimo, intelligente, prenderà tutti i pregi che abbiamo noi Weasley. E tutto ciò succederà senza che abbia bisogno di un padre, un uomo che per lui non ci sarebbe mai stato lo stesso, un padre che non lo amerà nemmeno la metà di quanto si merita. Crescerà senza una figura paterna, ma probabilmente è meglio che crescere con una persona come Jonathan accanto.
Piango tutte le mie lacrime, sono scossa da singhiozzi fortissimi e anche quando mi assopisco, gli occhi non smettono di bruciare.
Mi appoggio al cuscino, lo stringo con tutta la forza che possiedo e mi sfogo. Urlo, caccio fuori tutto il rancore, tutta la rabbia che accumulo da anni.
Jonathan James i miei genitori le persone che mi parlano alle spalle le critiche le insinuazioni i “non ce la farai” gli insulti le false amicizie le persone che mi hanno usata le apparenze l’anoressia i “no” e i rifiuti le insoddisfazioni escono come un fiume, un fiume fatto di lacrime che si raffreddano sulle mie guance, salate, copiose e trasparenti.
Rose non se ne va mai, anzi viene raggiunta da Kay e Fae, che entrano in stanza e, senza alcun tipo di pressione, rimangono insieme a me. Non dico nulla, non le metto al corrente della situazione perché non ho più voce.
Non mi guardano su mia richiesta, perché sarebbe uno spettacolo troppo penoso. Semplicemente sanno che la loro presenza lì è la cosa a cui tengo di più.
La mattina dopo mi risveglio in posizione fetale, mentre le mie mani sono custodite una fra quelle di Kay, l’altra fra quelle di Fae. Mi alzo a sedere e noto in che posizione scomoda si siano addormentate le mie amiche pur di rimanere con me. Devo essere entrata in un sonno senza sogni verso le due di notte, di conseguenza loro con me, quindi decido di lasciarle dormire fino all’ultimo secondo possibile e intanto vado in bagno. Quando mi scorgo nello specchio, non riesco nemmeno a riconoscermi: ho le guance scavate e gli occhi, infossati, sono gonfi e rossi. Ho una smorfia triste al posto della bocca e i capelli sembrano un nido increspato.
Decido di concedermi una doccia e saltare la colazione. Quando esco dal box con i capelli raccolti in un turbante, mi sento già molto meglio. Prendo in mano il pennello del fondotinta di una delle mie amiche ed eccezionalmente decido di truccarmi per rendermi un po’ più presentabile. Quando termino sembro solo un po’ stanca, non più un mostro biondo.
Le mie amiche stanno ancora dormendo, per cui tento dolcemente di svegliarle. Loro si rizzano a sedere e, capendo che le lezioni cominceranno fra mezz’ora, si attivano subito, anche loro partendo con un pennello e un’abbondante dose di mascara.
Mentre loro si truccano, io mi asciugo i capelli con la bacchetta, nel piccolo bagno che condividiamo. Una volta finito, li pettino fino a renderli lisci come spaghetti, mi siedo sul water e le osservo.
Dopo qualche minuto di silenzio teso, Fae, la più schietta delle due, si sistema la frangetta e mi fissa.
« C’è qualcosa che vuoi dirci? » trilla.
Rimango con la bocca chiusa e il mento inizia a tremare, segno che a momenti ricomincerò a piangere. Cerco di ingoiare il boccone amaro e balbetto, con la voce impastata e roca: « S-s-son-n-no… As-aspetto un bambino da J-j-jonathan. »
Rimangono per qualche secondo disorientate e tentano di metabolizzare la notizia.
Poi, entrambe smettono di fare qualunque cosa stessero facendo e si avvicinano a me. Anzi, non si avvicinano a me, ma alla mia pancia, anche se ancora piatta.
« Ehm ehm » si schiarisce la gola Kay. « Ciao piccolino. »
« O piccolina » la corregge Fae.
« So che probabilmente non mi puoi sentire, » continua l’altra. « Sei ancora inesistente, praticamente. Ma io sono Kay, la migliore amica della tua mamma. E voglio farti sapere che mi prenderò cura di lei per sempre, cosicché tu possa conoscere la Dominique più in forma che c’è. Okay? E prometto che ti comprerò il più bel paio di scarpette che troverò. Perché dovrai essere il bimbo più bello del mondo. »
Quando alza la testa, si scioglie in un tenero sorriso vedendo che sto piangendo di nuovo. Ma stavolta piango di felicità e commozione.
« Gli ormoni » mi giustifico. « Guarda cosa combino. »
Le ragazze mi abbracciano forte e per la prima volta da ventiquattro ore, sento che c’è qualcosa che potrà andare bene, in tutto questo casino.
 
È la fine di novembre e io e Jonathan ancora non ci siamo rivolti la parola. Ho spesso pensato a come avrei detto al mio futuro marito: “sono incinta!”. Sono una persona che ama la teatralità per cui non mi sarei ridotta ad un banale “amore, aspettiamo un bambino!”. Probabilmente gli avrei fatto trovare un paio di scarpette accanto al posto in cui lui, alla sera, posava le sue, appena tornato dal lavoro. Oppure, una volta finita la giornata, avrei appeso un cartellone in camera nostra con frasi tipo Presto saremo in tre o Ciao, futuro papà.
È vero però che nulla funziona mai come si crede, come si prevede o come si organizza. La vita è inaspettata e procede come preferisce lei, non seguendo le nostre richieste.
Purtroppo c’è un problema più grave rispetto ai miei film mentali: fra otto mesi sarò madre e non so come dirlo ai miei parenti. E non ho idea se, con che coraggio e in che modo riuscirò a confessarlo a James.
Tra un mese esatto sarà Natale, il che significa che sarò a casa mia, a festeggiare con i miei parenti e non potrò più nascondere il mio segreto. Devo pensare molto bene a cosa fare, non devo tenermi tutto per me, altrimenti rischio di scoppiare. Inoltre, se i miei dovessero scoprirlo da qualcun altro, sarebbe la fine della mia vita.
A mia sorella dovevo dare una risposta così, pur tremando, le ho scritto un bigliettino il giorno dopo aver scoperto di essere incinta.
Positivo. Ti prego, non dirlo a mamma e papà.
Così, se per sbaglio dovesse finire in altre mani, nessuno saprà di cosa sto parlando.
Victoire non mi ha ancora risposto, ma non me ne preoccupo. Si dovrà ancora riprendere dallo shock di diventare zia prima di poter essere madre. Ma, d’altronde, anche io diventerò prima madre che zia.
 
Il primo di dicembre è stata fissata, alle tre e mezzo, la prima sessione di allenamento fra i cugini e gli amici stretti, così, l’ultimo giorno del mese di novembre, ci incontriamo tutti ai Tre Manici.
Albus e Rosie, i “creatori” del gruppo, ci aspettano con una pergamena e una penna per firmare la lealtà al gruppo. In realtà, quando facciamo il nostro ingresso io e le mie compagne di stanza, accompagnate da Lily, troviamo solo Albus con Jade, l’amica di Rose. I due sembrano nel bel mezzo di un momento piuttosto intimo, immersi in una conversazione a bassa voce, così mi sento un incomodo sgradito a dover annunciare che siamo anche noi .
Chiedo ad Al come mai Rose non c’è e lui alza le spalle.
« Non lo so, ma credo arriverà a momenti »  dice, anche se vedo che non riesce a nascondere il tono irritato.
Jade abbozza un tenero sorriso, ma è visibilmente imbarazzata. Non capisco il perché, dal momento che sono stata io quella a interrompere una discussione privata.
Secondo il passaparola cominciato da Albus, il luogo del nostro incontro è stato cambiato poiché la Testa di Porco ha almeno una decina di orecchie in più rispetto ai Tre Manici. In conclusione, meglio trovarsi in un locale più affollato, in modo che a noi non badino molto.
Quando anche la restante mandria di Weasley & Friends ci raggiunge e Rose ancora non si è fatta viva, Albus, scocciato a morte, ma senza darlo a vedere, comincia a spiegarci in cosa consisteranno i nostri incontri.
Noto solo ora che nemmeno James c’è.
« Seguendo la falsa riga dell’Esercito di Silente, ci incontreremo regolarmente da qui alla fine dell’anno. Il luogo delle sedute sarà la Stanza delle Necessità, al settimo piano. Non so quanti di voi ci siano già stati, ma, per entrarci, basta camminare di fronte al muro per tre volte visualizzando chiaramente ciò che si vuole. Per comunicare la data e l’orario dell’incontro, Rose ha pensato di creare delle spille con lo stemma delle nostre Case: ogni volta in cui verrà programmato un nuovo incontro, lo stemma si trasformerà nel simbolo di Hogwarts, e cercando me o Rose, vi diremo tutto il necessario. Non è uno dei metodi più sicuri che ci siano, ma siamo certi che funzionerà. »
Fa una piccola pausa in cui scruta i volti degli ascoltatori. Albus ha sempre avuto grandi doti oratorie, nel senso che tutti lo ascoltano estasiati e interessati.
Inoltre è un ottimo mediatore: più di una volta, durante un litigio, ha fatto in modo che le due parti risolvessero.
Per quanto riguarda Rosie invece… be’, diciamo solo che lei è molto schietta e non usa giri di parole. Non ha problemi a dire se qualcosa di quello che abbiamo deciso non le va bene e non c’è mai una volta in cui non dica la sua.
Albus continua a parlare per qualche minuto, assicurando che se ci fosse qualcuno che non volesse più iscriversi, non ci sarebbe alcun problema, visto che si ha libera scelta. Dopodiché, ci invita a firmare. Mi accodo per ultima, dietro a Kay e Fae.
Ad Abigail e Lottie non abbiamo proposto di venire agli incontri, semplicemente perché, pur conoscendoci da ormai sei anni, non abbiamo un rapporto di fiducia tale da offrirgli un posto fra noi.
Quando arriva il mio turno di firmare, leggo sulla pergamena il nome che avrà il nostro gruppo: i Guardiani di Hogwarts. Be’, suona bene, direi.
La maggior parte dei ragazzi li conosco: tutti i miei cugini, mio fratello, Jade e altre due amiche di Rose, un’amica di Lily, i fratelli Scamandro, Axel Paciock, le mie due cugine francesi, che non avevo notato prima ma che saluto con un caldo sorriso, una colonna composta da nomi di ragazzi che non conosco, infine, Scorpius Malfoy. La sua è la firma che si trova sopra a quella delle mie amiche, e rimango molto sorpresa di questo fatto. Non mi vanno a genio i figli dei Mangiamorte, anzi, cerco di tenere un atteggiamento molto distaccato e diffidente nei loro confronti.
Se lui è qui, però, un buon motivo ci deve sicuramente essere.
In totale, circa una ventina di ragazzi e ragazze si sono uniti al gruppo.
Pian piano, il pub inizia a svuotarsi dei ragazzi che hanno già firmato.
Quando la Douglas e un ragazzo di colore con un ghigno da piantagrane si stanno dirigendo verso l’uscita, la porta si spalanca e una Rose col fiatone entra di corsa rischiando di andare a sbattere contro un tavolo occupato da due anziani.
Chiede scusa con un sorriso imbarazzato e si fionda da Albus, nello stesso momento in cui Jade si allontana da lui.
Io sono giusto a due metri da loro, così riesco a sentire qualche parola della loro discussione.
« …lo so, lo so, e non è un valido motivo per cui… » sta dicendo Rose, mentre firma la pergamena. Ha i lunghi capelli rossi raccolti in una coda alta che è appoggiata su una spalla, le guance ricoperte di lentiggini sono accaldate.
Mio cugino, al contrario, ha un cipiglio tra lo scocciato e l’arrabbiato. Ha le braccia incrociate al petto e la fissa in silenzio.
« Rosie! » sbotta lui, quando si è stancato di sentirla parlare fino all’apnea. « Ho capito! Hai anche tu la tua vita. Solo che dovevi avvertirmi » la ammonisce.
Lei si tocca uno dei tanti orecchini che porta con la mano sinistra, essendo mancina, gesto che fa sempre quando è nervosa o eccitata.
Albus le fa un mesto sorriso, poi lei lo abbraccia e si volta. Fa un cenno di saluto a tutti i gruppetti di ragazzi che si trovano ancora nel pub e quando mi nota, viene verso di me.
« Ciao Dom! » mi saluta, accarezzandomi un braccio. « Come stai? »
« Non male, Rosie. Sei diversa oggi. Sbaglio? » le sorrido.
« Sono sempre la stessa... Sono felice, penso » dice, come se le facesse uno strano effetto usare quella parola.
« Oggi Chris ha preparato un pic-nic per noi due e mi ha portata a fare una lunga passeggiata » mi racconta, con le sopracciglia aggrottate.
Io la guardo sorridente e penso a quanto ero felice quando Jonathan per la prima volta mi chiese un appuntamento. Prima che me ne renda conto, il mio sorriso si spegne e vengo come riportata indietro da un flashback involontario.
 
Era un freddissimo giorno di metà novembre, un sabato scuro e piovoso, uno di quei giorni in cui faresti di tutto per rimanere a dormire piuttosto che uscire. Ma era anche uno di quei giorni che aspetti con ansia, che vuoi siano perfetti, e poi in realtà si rivelano dei completi disastri. Almeno all’inizio.
Jonathan mi disse che quel giorno avremmo potuto pranzare insieme, per poi scendere a Hogsmeade e passare il pomeriggio là. Accettai volentieri e cominciai già a pensare a come mi sarei potuta vestire e truccare. A causa del mio corpo molto più magro rispetto a sei mesi prima, non mi entrava più la maggior parte dei vestiti. Scelsi di indossare comunque un vestito di lana col collo alto grigio chiaro, un paio di calze e delle ballerine nere.
Scesi in Sala Grande e mi avvicinai al tavolo dei Grifondoro, ma non trovai subito Jonathan.
Mentre parlavo con Ginger Bates, qualcuno mi toccò una spalla e si sedette vicino a me. Era così bello, con quella felpa scura in contrasto con gli occhi chiari, che non capivo come potessi piacergli, ma più tardi, parlandone con le mie amiche, capii che loro la pensavano esattamente all’incontrario.
Finito di pranzare scendemmo in paese e trascorremmo tutto il pomeriggio tra Mielandia, Zonko, l’altra sede dei Tiri Vispi Weasley e Madama Piediburro.
In quest’ultimo locale, lui mi offrì una cioccolata calda con dei buonissimi biscotti al doppio cioccolato. Ero così felice che ne mangiai addirittura due, il che equivaleva a più del mio apporto calorico giornaliero degli ultimi mesi. Tutti odiano quel posto perché lo trovano troppo romantico, appartato e mieloso, ma a me ricorderà per sempre uno dei momenti più belli della mia storia con Jonathan: il mio primo vero bacio.
Con una mossa un po’ scontata e molto da film, dopo aver bevuto un sorso di quell’ottima bevanda, lui mi avvertì che me n’era rimasta un po’ sulla bocca e, prima che potessi ribattere, mi baciò. Fu uno dei più bei baci che mi diede.
Qualche giorno dopo, passò a prendermi dopo l’ultima lezione della giornata e, passeggiando nel giardino, mi chiese di diventare la sua ragazza.
 
Rose sta continuando il suo racconto, nemmeno accorgendosi che io non la sto ascoltando.
« …e poi mi ha baciata » termina.
È tornata molto più ombrosa, come se il ricordo le desse fastidio.
« Sono contenta per te » le dico, con un sorrisetto.
Lei deve notare qualcosa di strano, perché improvvisamente si spegne e mormora angosciata: « Ma che cavolo, io ti parlo di un’uscita con un ragazzo mentre tu hai scoperto di aspettare un bambino e Jonathan Il Gran Coglione Reale se ne frega. Perdonami. »
La guardo immersa nei miei pensieri e la rassicuro che sto davvero bene, e sono davvero felice che lei abbia trovato questo ragazzo.
« Ma… sei sicura che vada tutto bene? » azzardo io, questa volta.
Lei risponde con un vago gesto della mano. « Certamente. »
Mi dice dispiaciuta che se ne deve andare, per un incontro con qualcuno, mi fa promettere che una di quelle sere parliamo per bene e poi scappa via, lanciandomi un bacio.
Non appena Rose esce, per un fantastico, orribile, meraviglioso, ingiusto scherzo del destino, James entra.
Non me ne accorgo subito perché sto raccogliendo la mia borsa e afferrando un biscotto, ma quando mi volto, con la bocca piena, il favoloso frollino al burro tipico dei Tre Manici cade rovinosamente a terra.
Tento di nascondermi meglio che posso sotto il tavolo, fingendo di raccoglierlo, ma peggioro solo la situazione. Lui mi nota immediatamente e si avvicina.
Ora mi alzo. Ora mi alzo. Ora mi alzo e respiro.
Con un’espressione neutra, rimetto il biscotto sul tavolo e faccio per andarmene, ma lui mi blocca la strada nel modo peggiore di tutti: « Ciao Didi. »
Oh Mio Dio.
Resto immobile, ferma, trattengo il respiro. Mi bruciano gli occhi di sguardi che vorrei dedicargli. Mi si asciuga la bocca, piena di parole che vorrei dirgli.
Didi.
Il soprannome che non sento da tre anni, o forse di più.
Quello che lui mi ha dato. Solo lui ha il diritto di chiamarmi così.
Didi. Dominique Danielle. DD.
« Come…? » Non termino la frase perché le parole mi sono rimaste incastrate nelle corde vocali.
Una cosa piccola, stupida e ignorabile come un soprannome mi fa tornare alla mente tanti di quei ricordi da farmi male. All’improvviso un sorriso nostalgico, per fortuna nascosto dai miei capelli, si forma sul mio viso.
Dentro al secondo cassetto dei vestiti, nella mia stanza a Hogwarts, sotto ai maglioni, c’è l’album che James mi ha regalato appena dieci mesi fa. E dentro, a pagina sette, una foto di noi due, scattata con una vecchia Polaroid, distesi nella sua soffitta, con una coperta di lana di quelle fastidiose che ti pizzicano la pelle tirata fin sotto il mento. In basso, una scritta sbilenca, dalla calligrafia piacevole, fatta con un pennarello rosso.
Jemjem e Didi.
Jemjem è il modo in cui lo chiamavo da piccola, quando ti sembra troppo difficile aggiungere una S al nome, ma non è troppo difficile dire Jem due volte.
Il sorriso sparisce dal mio viso.
Non riesco a sostenere lo sguardo penetrante di James che sento sulla mia nuca.
Cammino piano verso l’ingresso e, prima di pentirmene, per l’ennesima volta nei miei sedici anni, esco dal locale affollato.
Le lacrime si raffreddano immediatamente e vengono portate via dal vento di inizio dicembre.
Quando sei incinta piangi un sacco. Be’, in realtà, quando sei incinta e il tuo ragazzo ti ha lasciata, hai quasi diciassette anni e sei al sesto anno di scuola.
Se sei anoressica piangi un sacco. Quando ti costringono a mangiare ma tu non ne vuoi sapere, quando senti che non stai digiunando abbastanza per dimagrire, quando vomiti e quando ti guardi allo specchio.
Quando sei sottovalutata ti viene da piangere. Quando senti le cazzate che dicono sul tuo conto, quando incontri gli sguardi critici delle persone ad ogni angolo.
Quando sei innamorata di una persona, ma hai perso la tua occasione da tempo, quando hai così tanta rabbia dentro da infuriarti con qualcuno che non ha fatto nulla e quando ami, piangi un sacco.
Insomma, facciamola breve: se sei Dominique piangi un sacco.
 



Note sul capitolo:
FINALMENTE ce l'ho fatta a pubblicare. Ebbene sì, la scuola è iniziata e si vede. Non mi dilungo sul perchè del ritardo, chiedo solo umilmente perdono!
Comunque, tornando al capitolo, probabilmente Dominique e Louis non sono gemelli ma mi piace vederli come tali. Insomma, la Rowling ha descritto alcuni personaggi della Nuova Generazione e altri li ha lasciati all’immaginazione, perciò mi prendo la libertà di cambiarli e renderli un po’ più miei. Inoltre, non so se si è ancora capito, Lysander e Lorcan NON sono gemelli. E non sono nati “molto più tardi rispetto alla maggior parte della famiglia Weasley-Potter” come ha detto lei. Lorcan ha l’età di James e Dominique, Lysander ha un anno in meno rispetto a Rose.
Al prossimo capitolo!
  
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