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Autore: Stephanie86    15/10/2016    2 recensioni
"La Salvatrice nel mio regno."
Emma trasalì. Un’altra coscienza si accostò alla sua. Ma non era come accostarsi alla mente di Lily, non era come guardare attraverso i suoi occhi. Quella coscienza era incredibilmente vasta. Era prepotente. Ed era potente. Sbirciò e frugò nella sua testa senza troppi riguardi.
"Chi sei? Cosa vuoi?", domandò Emma.
"Sono il padrone di casa, Emma." Di nuovo la risata. Una risata maschile, divertita e sprezzante. "Adesso sei nel mio regno. È un piacere. Ci incontreremo presto. Spero che il posto ti piaccia."

[Seguito della fanfiction The Lost Hero | Swan Queen, Swan Star + altri pairing]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Lily, Regina Mills, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
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3

 

“So if you care to find me, look to the western sky!
As somebody told me lately, everyone deserves the chance to FLY!
And if I'm flying solo, at least I'm flying free;
To those who ground me, take a message back from me...
...tell them how I am Defying Gravity!
I'm flying high, Defying Gravity!”
[Wicked: The Musical. Idina Menzel/Elphaba, Defying Gravity]

 

 

 

Foresta di Oz.

 

- È l’unica possibilità che abbiamo per riavere Toto. - disse Mulan, osservando, insieme a Dorothy e a Ruby, l’intruglio che ribolliva nel pentolone.

- Sei sicura che funzionerà? - chiese Dorothy.

Mulan aggiunse delle erbe essiccate alla pozione. Alla fine avevano raggiunto la casa di Dorothy, nel cuore della foresta, evitando le altre trappole poste lungo la via. Delle scimmie volanti di Zelena nessuna traccia. Il luogo era buio e silenzioso. L’unica luce veniva dal fuoco sotto il pentolone.

- La polvere del sonno l’ha già stesa prima d’ora. - la rassicurò Ruby.

- Ho solo bisogno di un altro ingrediente. Papaveri. - disse Mulan. – I papaveri uniti alla pozione renderanno il suo sonno più... duraturo.

- So dove trovarli. - Dorothy fece per avviarsi.

- Vengo con te. Mulan, tieni il fuoco acceso.

- Posso farcela da sola!

- Non ho chiesto il permesso.

Mulan avrebbe voluto domandare a Ruby se fosse sicura di voler seguire Dorothy nel campo di papaveri. Era possibile che lungo il cammino ci fossero, non solo le scimmie volanti di Zelena, ma anche qualche altro tranello. E stavolta Dorothy avrebbe potuto decidere di lasciare Ruby a districarsi da sola con la trappola. Non che fosse un problema per lei... bastava che si trasformasse.

Dorothy s’incamminò con passo deciso e Ruby la seguì.

“Vieni con me.”, le aveva detto, quando stavano per lasciare Dunbroch.

“A cercare lupi mannari?”, le aveva domandato Mulan, perplessa.

“Aiutare qualcuno a trovare la sua strada aiuterà anche te.”

- Quale strada? - si chiese ora Mulan, ad alta voce, mentre ravvivava il fuoco. - Quella che ci ha portato ad Oz, direttamente nel territorio di una strega perfida?

Le risposero solo il vento e una civetta, appollaiata su un ramo. Mulan fissò il cielo sgombro di nubi e pieno di stelle. La luna era piena.

- So che siete là dietro. - disse, mettendo mano all’elsa della sua spada. - Potrei venire a prendervi, ma vi do la possibilità di uscire allo scoperto da soli.

Aveva avvertito i rumori furtivi. Non avrebbe saputo dire quanti fossero, ma dubitava che li avesse mandati Zelena. In tal caso sarebbero state scimmie volanti. Le sue guardie erano sempre a palazzo e Zelena si sentiva troppo al sicuro grazie all’accordo che prevedeva la consegna delle scarpette d’argento.

Mulan estrasse la spada, puntandola contro i visitatori indesiderati.

Erano almeno una decina. Tutti uomini robusti e armati, eccetto uno. L’unico che non aveva armi era un vecchio con i capelli grigi che sparavano in varie direzioni e tra i quali penzolavano delle foglie secche. Aveva un naso lungo e sottile, rosso proprio come quello di chi beve parecchio.

- L’avevo detto che non dovevamo portarlo con noi. Ha fatto troppo chiasso!

- Non preoccuparti, John. È un’amica, non vedi?

- Io vedo solo una certa guerriera che un tempo era con noi e poi è sparita nel nulla!

- Robin? - disse Mulan, rinfoderando la spada e ignorando Piccolo John. L’Allegra Compagnia era al completo, ma Roland non c’era. E Robin Hood aveva tutta l’aria di qualcuno che voleva essere da tutt’altra parte.

Il ladro venne avanti, sforzandosi di sorridere. Allungò una mano e lei gliela strinse. – Lieto di rivederti. Mi dispiace, non intendevo... ho visto Ruby. Chi è l’altra ragazza?

- Dorothy. È... la paladina della gente di Oz. - tagliò corto Mulan. - E tu hai trovato un nuovo ladro per la tua compagnia?

- Non sono un ladro, tesorino. Mi chiamo Knubbin e sono un mago. Chiedilo alla tua amica. E al suo mantello, se ti va. - rispose il vecchio, raddrizzando le spalle. Su una di esse stava appollaiato un corvo con un occhio solo. - Questo, invece, è Heathcliff. Ha dei gusti difficili, quindi ti sconsiglio di irritarlo.

- Non sono un’amica dei corvi. - ribatté Mulan, guardandolo con la fronte aggrottata. - Non capisco. Credevo fossi a Storybrooke...

- Sì, infatti. - confermò Robin, amaramente. - Sono venuto a cercare mia figlia.

- Figlia? Quale figlia?

Calò il silenzio. Gli uomini si occhieggiarono tra loro. Poi fissarono Mulan. Nei loro sguardi sostava un misto di perplessità, imbarazzo e acredine. Era sicura che la maggior parte dell’Allegra Compagnia non fosse così contenta di trovarsi lì, davanti a qualcuno che li aveva piantati in asso. Qualcuno che aveva anche rischiato di farli uccidere perché aveva la mente ottenebrata dai propri problemi.

Ma c’era dell’altro.

Mulan ricordò la bambina che Zelena aveva con sé quando era arrivata ad Oz. - Non la bambina di Zelena...

Nessuno rispose.

- Robin?

- È molto complicato. - fu la sua risposta.

- Sì, lo immagino.

- Non è come credi. Posso spiegarti tutto, ma mi servirà un po’ del tuo tempo. E poi dobbiamo pensare ad un modo per riprendere mia figlia.

 

 
Oltretomba. Oggi.

 

“Stai bene?”

“Sì, credo di sì. Io sono... Leila.”

“Vorrei poterti dire che è un piacere conoscerti.”

“Ma viste le circostanze non  il caso. Qual è il tuo nome?”

“Non oso pronunciarlo qui. La Regina non sa chi sono e solo il mio silenzio può tenere la mia famiglia al sicuro.”

- Marian?

Lei allentò la corda dell’arco, fissandola, esterrefatta. – Leila?

- Sì, io... – iniziò Emma, arrancando di un passo. Il mondo ondeggiò intorno a lei. – Non mi chiamo Leila. Il mio nome è Emma.

- Stai indietro! – esclamò Marian, tendendo nuovamente la corda dell’arco. – Non ti avvicinare. Nessuno mi assicura che non sei un inganno di Ade.

- Un inganno di Ade?

Da qualche parte, non molto lontano da loro, giunse un suono strano, una specie di muggito, seguito da un tonfo. Emma tese le orecchie.

- Non sono un inganno di Ade... sono morta. – precisò.

- Io sono qui da molto tempo... – disse Marian. Ora aveva un’aria confusa. – Ma tu non sei mai stata qui.

- No. Sono... arrivata da poco.

- Sei identica a quando ci siamo incontrate in prigione. Questo non è possibile. So che è accaduto molto tempo fa...

- Fidati. Lo è. È solo... molto complicato da spiegare.

- Però è vero. Ci siamo già incontrate. Credevo... credevo fossi solo nella mia testa. Credevo che Ade mi stesse confondendo la mente!

Il rumore si ripeté e sembrava più vicino, ora. Qualunque cosa si muovesse per quei corridoi, di certo non aveva buone intenzioni.

- Puoi dirmi che posto è questo? – chiese Emma.

- È un labirinto. – rispose Marian. Si decise ad abbassare l’arco, ma continuava a rimanere in guardia. I grandi occhi scuri saettarono a destra e a sinistra. – Non vuoi sapere che cosa ti aspetta se decidi di... cercare l’uscita.

- Beh, io devo uscire... la mia famiglia è qui. Per me.

- Non puoi esserne certa. Nessun vivo metterebbe mai piede nell’Oltretomba.

- Loro sì. Perché non amano darsi per vinti. – Emma tese una mano verso Marian. – Dobbiamo andarcene.

- Non riusciremo ad andarcene! – replicò Marian. – Il mostro ci prenderà. Io ci ho provato moltissime volte. E mi ha sempre presa... prima che potessi arrivare all’uscita.

- Ti ha presa? Ti ha... uccisa? – Emma si appoggiò alla parete. Era senza fiato, quasi fosse reduce da una lunga corsa. Non aveva idea di come poteva sfuggire a qualunque cosa ci fosse in quel labirinto.

- Uccisa... non è il termine più appropriato. Ma sì... se ti prende, ti fa a pezzi. – Marian rimise la freccia nella faretra che portava con sé. – E poi torni al punto di partenza. Qui.

- Beh, se ci proviamo in due... forse abbiamo qualche possibilità in più.

- No. Non ne abbiamo. Sei pazza. E sei ferita.

- Sì, anche questo è vero. Sai dov’è l’uscita, no? L’hai trovata.

- Certo, ma lui è molto più veloce di te! E inoltre... l’ultima volta che ti ho seguita, tu e quell’uomo, quello con la mano finta, volevate portarmi in un altro mondo... e poi mi sono ritrovata qui!

- Marian... mi dispiace, volevo solo salvarti la vita.

- Siamo scappate da quella prigione, quindi...

Un altro tonfo. Il verso della creatura era il ruggito di un mostro affamato. Emma si chiese quante volte Marian avesse tentato di scappare e quante volte fosse stata acciuffata e sbranata.

- Portami verso l’uscita. – disse Emma.

Marian scosse vigorosamente la testa.

- Non abbiamo scelta! Non possiamo restare quaggiù. Dobbiamo combatterlo.

Il mostro gridò di nuovo, furibondo. Un altro tonfo. Qualcosa si schiantò e si ruppe.

Marian prese la mano di Emma e si misero a correre. La trascinò in fondo al corridoio e girò a sinistra. Emma arrancò insieme a lei, sforzandosi di ignorare i dolori lancinanti. La gamba aveva ripreso a sanguinare.

Alla fine del primo corridoio, c’era la statua di un uomo in ginocchio, con una mano nei capelli ricciuti e un paio di ali che gli spuntavano dalla schiena. Le ali erano rivolte verso terra. Ai lati della statua, c’erano le facce di due demoni muniti di corna ricurve. Le loro bocche erano aperte ed Emma le vide illuminarsi di un bagliore rossastro. Marian la tirò verso di sé, perché uscisse dalla traiettoria dei fulmini che saettarono fuori da quelle bocche, alla ricerca di un bersaglio.

Marian svoltò a destra, poi di nuovo a sinistra. I corridoi sembravano tutti uguali. Poi imboccarono un passaggio ad arco che le condusse in una camera circolare. Emma calpestò un oggetto, che si rivelò essere un osso umano. C’erano... parecchie ossa umane, in quella stanza. Ossa umane, brandelli di abiti, i resti di un’armatura gettata in un angolo, l’elmo, la cotta di maniglia e i gambali.

- Ci siamo quasi. – disse Marian, respirando a fatica. Il luogo proseguiva in una galleria oscura, simile a quella che Emma aveva percorso per arrivare là.

Dietro di loro, proruppe un altro muggito inferocito, seguito dal rumore di zoccoli. Dall’ombra iniziò ad emergere qualcosa di enorme, con occhi che bruciavano come torce.

- Te l’avevo detto. Non ce la possiamo fare. È molto più forte di noi! – gridò Marian. Estrasse comunque una freccia dalla sua faretra.

- Corri.

- Cosa?!

- Corri. Esci da qui. Ci penso io a lui.

- Ma ti farà a pezzi, Leila... Emma.

- Forse. Ma almeno potrai uscire. Trova la mia famiglia. Trova mia madre... Biancaneve. – Emma la prese per le spalle, scuotendola perché l’ascoltasse. – Τrova lei, trova Lily...

- E poi?

Emma rifletté un istante prima di parlare. Nella sua mente si succedette una moltitudine di pensieri e ognuno di essi aveva senso. Al tempo stesso sembrava che nessuno di essi l’avesse. - E poi dì loro di andarsene. Dì loro di tornare a casa.

Marian udì l’ennesimo ruggito del mostro e capì di non poter replicare a ciò che Emma le aveva appena detto. Si introdusse nella galleria, proprio quando l’abitante del labirinto mise piede nella camera circolare.

Regina. Mio Dio, non le ho detto di Regina.

Emma strabuzzò gli occhi.

L’essere che le aveva inseguite aveva petto e braccia umane. Le mani si aprivano e si chiudevano, ansiose di accaparrarsi la preda. Lo sguardo era feroce e selvaggio. Ma dalla vita in giù la sua umanità terminava e cedeva il posto alla bestia. Le gambe erano possenti e ricoperte da una fitta peluria nera. Non aveva i piedi, ma un paio di zoccoli. Inoltre la testa era quella di un toro. Le nari si allargarono, annusando l’aria e poi emisero uno sbuffo rumoroso. Aprì la bocca e lei vide che aveva due file di denti aguzzi pronti ad azzannare e a farla a pezzi.

Emma fece un passo indietro, parandosi davanti alla galleria che aveva inghiottito Marian.

Il Minotauro sfregò gli zoccoli sulle mattonelle del pavimento e caricò a testa bassa.

 

 
- Se non sbaglio, siamo già passati di qui prima. – disse Killian, spazientito. – Non c’è traccia di Emma.

- E noi passeremo un’altra volta, Capitan Mascara. – rispose Regina. – Forse qualcosa ci è sfuggito, forse troveremo delle tracce fresche.

- Ricordatemi perché mi sono unito a voi, Maestà.

- E tu ricordami perché ho accettato che mi seguissi. – Regina gli puntò contro l’indice. Sapeva benissimo di essere già passata di là. Le sembrava di conoscere quel bosco come le sue tasche. Ogni sentiero, ogni albero. E non c’era nessuno. Nemmeno un’anima vagante che potesse dar loro una mano. Era esasperata. David era al cimitero con la moglie. Lily era da qualche altra parte in città con Malefica. Non osava chiedersi dove fosse o cosa stesse tramando Τremotino.

E a lei era toccato Uncino. Henry aveva insistito per venire con loro.

- Mamma! – gridò Henry.

Regina si girò e si accorse che, mentre lei discuteva con il pirata, suo figlio era andato avanti.

- Vieni a vedere!

Lo raggiunsero in fretta e videro che stava osservando delle piante verdi che crescevano ai piedi di un salice.

Le foglie erano sporche di sangue. Ed era sangue fresco. C’era sangue anche sull’erba.

- Non toccarlo, Henry – disse Regina, afferrando suo figlio per la giacca.

- Ma potrebbe essere della mamma! Potrebbe essere qui intorno.

Uncino toccò le foglie, sporcandosi la punta delle dita. - Il ragazzo ha ragione. È fresco. Emma!

Il pirata si mise a correre su per un pendio erboso, stando attento a dove metteva i piedi. Trovò altre tracce sull’erba, sulla corteccia di alcuni alberi. Τrovò anche un pezzo di stoffa dal colore indefinito. Lo prese, chiedendosi se appartenesse ad Emma.

Henry e Regina lo seguivano a ruota. Lui distanziò rapidamente la madre, provando a stare al passo con Killian, ma il pirata correva alla cieca, incapace di stabilire in quale direzione dovesse effettivamente andare.

- Emma!

Henry inciampò in una radice sporgente, cadde tra le foglie, sbucciandosi il palmo della mano destra. Maledisse quel posto fra sé e sé. Maledisse il fatto di non avere la penna. Forse avrebbe potuto usarla per trovare sua madre.

Uncino era andato avanti e stava gridando ancora il nome di Emma.

- Ehi...

Henry spostò la testa verso destra e vide una figura acquattata dietro al grosso tronco di una vecchia quercia.

- Mamma...? – iniziò. Ma si accorse subito che la donna non era sua madre. Aveva una fitta massa di capelli neri e tutti in disordine. Vestiva come una popolana, con un mantello color porpora agganciato alla base del collo e una veste grigia e polverosa sotto di esso. La faccia scura era sporca di fuliggine e gli occhi erano segnati da ombre violacee. Aveva con sé un arco e una faretra.

- Non sono Emma. Ma l’ho incontrata. – disse, appoggiandosi all’albero per alzarsi. Zoppicava e aveva le mani graffiate. – Mi chiamo Marian...  

- L’hai vista? Dov’è?

- Henry! – Regina raggiunse suo figlio e si chinò per aiutarlo, scostandogli i capelli dalla fronte. – Stai bene? Dov’è andato Uncino?

Allora notò la donna.

Regina sgranò gli occhi.  

Marian prese la prima cosa che le capitò a tiro e la scagliò contro di lei.

La pietra colpì Regina di striscio alla tempia, facendola finire con un ginocchio a terra e dando il tempo a Marian di recuperare il suo arco e incoccare una freccia.

- No! – Henry si mise in mezzo. – No, aspetta, non lo fare.

- È la Regina Cattiva. Lei mi ha uccisa!

- Lei è mia madre.

Uncino tornò indietro, correndo. Fissò la scena pieno di sconcerto. – Marian? Che cosa sta succedendo? Vi prego, fermatevi.

- Anche tu sei qui? – esclamò Marian.

- Già, questo mondo è piccolo, milady. Mettete giù l’arco. Non è come credete.

- Ah, no?!

Regina tenne una mano premuta contro la tempia. Un terribile fischio le aveva invaso le orecchie e il mondo aveva iniziato a inclinarsi da un lato.

Marian. È la moglie di Robin. La vera moglie di Robin.

- Non è più quella persona. – intervenne Henry. – Non è più la Regina Cattiva.

Marian scosse la testa, ma esitò. La mano che teneva la corda dell’arco tesa stava tremando. La nube di confusione che le occupava la mente non le permetteva di riordinare i pensieri e i ricordi. Sapeva che la Regina l’aveva uccisa. Lo ricordava. Ricordava le sue ultime parole. Ricordava il soldato che appiccava il fuoco. Il crepitare delle fiamme. La sofferenza... la sofferenza che era sembrata durare un’eternità.

E poi ricordava Emma. Emma che la liberava. L’uomo con la mano finta. Volevano portarla in un altro posto, lontano dalla sua famiglia, da suo marito e da suo figlio. Poi qualcuno l’aveva colpita alla testa.

Era come se anche la sua mente si fosse trasformata in un labirinto. Era come se fosse morta due volte.

- Ascoltate il ragazzo. È suo figlio. Ve lo assicuro. – disse Uncino, muovendo un passo verso di lei. – Regina non vi farà alcun male. Vedete... è passato molto tempo da allora. Le cose sono cambiate per tutti. Credetemi.

- Che cosa ci fa nell’Oltretomba. Non è morta, vero?

- No. Nessuno di noi è morto. Siamo qui per Emma. E se voi l’avete vista, allora potete aiutarci.

- Non potete essere tutti così giovani...

- Possiamo spiegarvi anche questo. Ma solo se accettate di venire con noi.

Continuò a tenere la freccia puntata su Regina.

- Vi avrebbe già uccisa, se fosse la stessa donna. – continuò Uncino. – Sa usare la magia. Ve ne siete dimenticata?

Marian si decise ad abbassare l’arco. Lasciò cadere la freccia, ma si mantenne a distanza di sicurezza.

- Mamma? Va tutto bene? – domandò Henry. – Sei ferita...

- Non è niente. – mormorò Regina. – Sto... bene.

- Dobbiamo andare via. – disse Marian, in fretta, parlando a Killian. – L’entrata della caverna non è lontana.

- Quale caverna? – chiese lui.

- Andiamo via, vi prego. C’è un mostro...

Regina usò la magia per portare tutti lontano da lì. Scomparvero, dissolvendosi in una nuvola di fumo violaceo.

 

 

Foresta di Oz.

 

Mulan mise mano alla spada quando sentì i passi e vide arrivare Ruby in forma di lupo e Dorothy con il mantello rosso tra le mani.

- Che cos’è successo? - chiese.

- Zelena. - rispose Dorothy. - E le sue scimmiette volanti.

Mulan la osservò mentre distendeva il mantello magico e lo gettava sopra al lupo, i cui occhi gialli splendevano nell’oscurità. Ruby recuperò le sembianze umane e si scostò il cappuccio dalla testa. Si rialzò, respirando con affanno.

- Stai bene? - domandò a Dorothy.

Lei non rispose e a Mulan parve che si fosse irrigidita, come se ci fosse qualcosa che la preoccupasse. E non erano le scimmie volanti della strega perfida.

- Dorothy?

- Sì. - si decise a rispondere. - Sto bene. Sono solo stanca. Saranno stati i papaveri.

Ruby si rabbuiò.

- Chi è lui? Che ci fa qui?, domandò Dorothy, scorgendo Robin.

- Lui è Robin. È... - Stava per dire che era un amico, ma non lo disse. - Una vecchia conoscenza. Abbiamo viaggiato insieme per un po’. E Zelena deve restituirgli qualcosa.

- Cioè?

- Mia figlia.

- La bambina di Zelena è figlia tua? - Dorothy appoggiò una mano sulla balestra, come se si sospettasse che Robin si stesse per trasformare in una pelosa scimmia volante.

- Zelena lo ha ingannato. - intervenne Mulan.

Robin raccontò loro di come Zelena si fosse finta Marian, sua moglie. Di come fosse vissuta con lui e Roland per settimane e della nascita della bambina.

- Zelena lascia dietro di sé una scia di desolazione, a quanto pare. E si preoccupa di prolungare la sua stirpe... - commentò Dorothy, acidamente.

- Mia figlia non c’entra nulla. È innocente. Voglio solo riportarla a casa con me. E se possibile... liberarmi di Zelena.

- Abbiamo una soluzione. - Dorothy sfilò il papavero dalla cintura di Ruby. Lei sembrava stranamente confusa, con gli occhi troppo brillanti e le guance un po’ arrossate, sebbene non facesse così freddo.

Mulan prese il papavero. - L’ingrediente per la pozione che la manderà nel mondo dei sogni.

- La maledizione del sonno? - commentò Robin.

- E chi la sveglierà, dato che non ha un vero amore? – gli fece notare Mulan.

- Non sarà così facile.

- Faremo del nostro meglio. - replicò Dorothy, come se Robin avesse appena detto una grossa idiozia. - Ed ora scusatemi, vado a... stendermi un momento.

 

 

Oltretomba.

 

- La casa dei nonni? – esclamò Henry.

- Beh, dato che tutto ciò che avevamo a Storybrooke, sembra avere un corrispettivo qui... ho pensato che l’avesse anche la casa degli Azzurri. – disse Regina.

Tutti i mobili erano coperti da teli bianchi, come se i legittimi proprietari avessero abbandonato il posto da tempo. Il pavimento era polveroso e mangiato dai tarli. I vetri delle finestre erano opachi e senza tende.

Regina prese una foto, appoggiata su un comodino. Era una delle foto che gli Azzurri conservavano nella loro vera casa. In essa Mary Margaret e David sorridevano all’obiettivo, lui tenendo un braccio sulle spalle della moglie.

- O più che altro... questo posto sta aspettando che loro muoiano e si trasferiscano. – Regina rimise la foto dove l’aveva trovata.

Sta aspettando tutti noi. Neanche tra mille anni, quando l’inferno gelerà, andrò a vivere con gli Azzurri, pensò. Con gli Azzurri e circondata da tutti i suoi conti in sospeso. Nemmeno se avesse vissuto un secolo sarebbe riuscita a sistemarli.

“Sei stata troppo cattiva. Per troppo tempo.”, le aveva detto sua madre. Quando? Un’eternità fa, forse.

Dov’era sua madre? Era sparita, ma dov’era andata? L’avevano gettata nel Τartaro?

“So che la Regina ha amato molto quando era solo una ragazza innocente... ha amato molto ed ora il suo primo grande amore vorrebbe vederla.”

In casa degli Azzurri c’erano Lily e Malefica, che erano intente a rovistare in giro, alla ricerca di qualcosa che potesse condurle da Emma.

- Che ci fa lei qui? – domandò Lily, vedendo Marian, che si era accasciata su una delle poltrone, stringendosi nella mantella, come se avesse freddo.

- Si chiama Marian. L’abbiamo trovata nel bosco. Ha incontrato Emma. – precisò Killian.

- L’ha vista? Dove? Come sta?

Marian alzò gli occhi stanchi su di lei. – Sei... tu sei Lily?

- Sì. Sono io. Che cosa ti ha detto Emma? Dove possiamo trovarla? – Lily si inginocchiò davanti a Marian. Il ciondolo che portava al collo dondolò e la moglie di Robin Hood lo fissò per qualche momento.

- Lei mi ha salv... aiutata ad uscire dal labirinto. È rimasta indietro perché io potessi scappare e portarvi un messaggio. – disse Marian. Sembrava un po’ più rinfrancata ora.

- Quale messaggio?

Marian diede un’occhiata a Regina.

- Potete parlare liberamene, milady. – la incoraggiò Killian. – Nessuno vi farà del male.

- Sì, noi vogliamo sapere come possiamo arrivare ad Emma. – aggiunse Henry. - Lo vogliamo tutti.

- Lei non desidera questo. – rispose Marian.

Per un secondo, Regina pensò che la donna si stesse rivolgendo a lei. Che stesse parlando alla sua assassina.

“Lei non desidera questo.”

- Come? – fece Lily.

- Emma. Non vi vuole qui. Dice che dovete andarvene. Dovete tornare a casa.

 

 

Foresta di Oz.

 

- Ho dato la pozione del sonno anche a Dorothy. Robin e i suoi uomini ne hanno un po’ e Knubbin ha protetto l’accampamento con un incantesimo. Attacchiamo all’alba. - disse Mulan.

- Bene. - rispose Ruby.

- Bene. - ripeté Mulan, imitando il suo tono meditabondo. - Non mi pare un grido di battaglia molto convincente.

Ruby non rispose. Era da quando era tornata dal campo di papaveri che si comportava in modo strano. Non era sembrata partecipe a nessuna conversazione. Ora se ne stava in silenzio, con la testa bassa e le mani in grembo, a tormentarsi le unghie. Non molto distanti brillavano le luci dell’accampamento di Robin Hood. Mulan vedeva le ombre di alcuni uomini messi di guardia lungo il perimetro. La luna piena veleggiava nel cielo, tra i rami spogli.

Mulan sedette vicino a lei. - Ruby, che cosa succede?

“Mi dispiace.”

“Per cosa?”

“Per averti chiamata lupacchiotta. Se avessi saputo...”

“No, non importa. In realtà mi piace.”

- Ruby?

- Mentre camminavamo, io... ecco, Dorothy... mi ha chiesto che cosa sto cercando davvero. Ed io... le ho detto che non sono sicura di saperlo.

“Però credo sia giusto che anche tu abbia un soprannome.”

“Davvero?”

“Mmm.” Non era rimasta troppo tempo a pensarci. “Che ne dici di Kansas?”

Dorothy rise di gusto. “D’accordo, lupacchiotta. E Kansas sia.”

- Ed è così? – domandò Mulan, aggrottando un sopracciglio.

“Attenta.”, disse Dorothy, mettendole una mano sul braccio prima che potesse chinarsi e raccogliere uno dei papaveri. “Basta una semplice annusata e finisci addormentata come un sasso.”

Si piegò e lo raccolse lei stessa.

“Grazie...”

Dorothy le offrì il fiore e Ruby lo prese...

- Io penso... – ricominciò Ruby, insicura. – Penso... forse stavo cercando proprio qualcuno come lei.

Mulan non parve nemmeno sorpresa. Sorrise.

- Lo so che ci siamo appena conosciute. – continuò Ruby, sulla difensiva. – Ma... non mi sono mai sentita così prima d’ora.

- Beh... è fantastico. – commentò Mulan. – Quindi, quale sarebbe il problema?

Ruby si rabbuiò di nuovo. - Hai visto anche tu come mi ha guardata quando mi sono trasformata. Non  è riuscita a dire niente.

E le ho anche rivelato di aver ucciso Peter!

- Forse perché prova le stesse cose che provi tu. – osservò Mulan. - E non sapeva come dirlo.

- La verità è che tutto ciò la spaventa. La situazione è troppo complicata per lei.

- Dorothy... non ha paura di te. Non ha paura nemmeno di Zelena, come può avere paura di un licantropo?

Ruby scosse il capo.

- Ruby... non fare il mio stesso errore. Non aspettare troppo per dire a qualcuno quello che provi...

Dall’accampamento vennero delle grida.

- Cos’è stato? – chiese Ruby.

- Guai.

Mulan corse all’accampamento dell’Allegra Compagnia, con la spada in pugno. Ruby la seguì.

Un gruppetto di persone si era assiepato intorno ad una figura, che se ne stava accasciata per terra, ma con le mani sollevate. Alcuni ladri avevano estratto le armi. Robin si fece largo tra la folla per vedere.

- Cosa succede? – domandò Mulan, spingendo via alcuni uomini.

- È entrato nell’accampamento di nascosto. – disse Piccolo John, puntando il proprio pugnale sul tizio in ginocchio.

- In realtà, sono entrato con le mani alzate. Non sono un nemico. Mi chiamo Fiyero. Mi manda Glinda, la Strega del Sud.

Robin illuminò il viso dell’uomo con una torcia. Era robusto e aveva la pelle nera ricoperta di tatuaggi a forma di diamante. Le uniche armi erano i pugnali infilati negli stivali con gli speroni. La giubba rossa era di ottima fattura e al collo pendeva una collana annodata intorno ad un ciondolo, una piccola ampolla che racchiudeva...

- Magia. – disse Knubbin. Indicò il collo di Fiyero con il nodoso dito indice. – Il ciondolo che ha al collo contiene un incantesimo decisamene potente.

John allungò una mano per strapparglielo, ma Robin lo fermò.

- Non è per voi. – spiegò Fiyero. – Sarebbe per Zelena. Sono dalla vostra parte.

- Fiyero. – disse il ladro. – Avete detto che vi manda Glinda. Che cosa ci fate nel mio accampamento?

- Sto cercando Dorothy. Ho un messaggio per lei. Se solo mi permetteste di infilare una mano nella tasca della giacca, ve lo mostrerei, Robin Hood. – Fiyero sorrise. I denti bianchi risaltarono in contrasto con il colore della sua pelle. Guardava Robin dritto negli occhi, senza curarsi di tutte le armi puntate contro di lui. Sembrava quasi a suo agio, in mezzo a possibili aggressori.

- Come fate a sapere come mi chiamo? – chiese Robin, guardingo.

- Glinda vi ha visto arrivare. Voi e la vostra... poco accogliente compagnia. Purtroppo non porto delle buone notizie.

Robin abbassò un poco la guardia. - Qual è il messaggio?

Fiyero mise una mano in una tasca interna della giubba e tirò fuori un rotolo di pergamena. Era chiuso con un sigillo rosso.

- Potrebbe essere un tranello di quella strega. Parlo di Zelena. – fece Piccolo John, afferrando il braccio di Robin prima che potesse prenderlo.

- Non ho nulla a che fare con Zelena. Ma il messaggio può essere letto solo da Dorothy. La magia di Glinda lo protegge.

Mulan strappò la pergamena di mano a Fiyero senza troppi complimenti e la srotolò in fretta. – Non vedo niente, in effetti.

- Vado a chiamare Dorothy. – disse Ruby, allontanandosi.

- Inizia col dirci qual è il messaggio. – riprese Robin, accovacciandosi davanti a Fiyero. - Zelena ha mia figlia. Voglio sapere ogni cosa.

 

 

Oltretomba.

 

Emma rinvenne mentre due uomini la depositavano su una piattaforma.

Le doleva tutto il corpo. Le sembrava impossibile persino sollevare le palpebre per guardarsi intorno.

- Bene, bene. – disse una voce maschile e canzonatoria. – Sento che oggi sarà una di quelle giornate... estremamente divertenti. Lasciateci.

Rumori di passi.

Emma aprì leggermente gli occhi e vide un paio di lucide scarpe nere, la stoffa dei pantaloni scuri, dal taglio elegante.

- Dove sono? – mormorò, provando a tirarsi su. Le luci che illuminavano l’ambiente erano deboli, ma a lei parve di essere in una caverna dal soffitto altissimo. Sentiva il rumore dell’acqua che scorreva. Notò una poltrona rossa e un paio di sgabelli.

- Te l’ho già detto quando ci siamo parlati la prima volta. O forse non eri attenta? Sei... nel mio regno. È un onore. Molti eroi sono passati da queste parti, da quando esisto. Cioè da... migliaia di anni.

“Sono il padrone di casa, Emma. Adesso sei nel mio regno. È un piacere. Ci incontreremo presto. Spero che il posto ti piaccia.”

La risata era la stessa. Sprezzante. Piena di arroganza. Con un che di repellente.

Emma si sdraiò sul dorso e guardò il padrone di casa. Aveva l’aspetto di un uomo alto, con addosso un completo scuro ed elegante, i capelli corti, di un biondo rossiccio.

- Hai dato del filo da torcere al Minotauro. Ti ha fatta a pezzi soltanto una volta. E... l’altra prigioniera è scappata. – disse. Si inginocchiò vicino a lei e allungando una mano. Premette su una ferita aperta che aveva sul collo. Emma strinse i denti, soffocando un gemito. – Beh, scappata dal labirinto, non certo dal mio regno. E meno male, perché odio quando quell’orologio si mette a ticchettare. Preferisco la musica classica. Paganini, mai ascoltato?

- Qualsiasi cosa... tu abbia in mente... non funzionerà. – disse Emma.

- Oh, invece sì. Perché io... sono Ade. Il Signore degli Inferi. – annunciò lui, alitandole in faccia. Non premette più sulle ferite, ma si limitò a sfiorare quella che aveva sulla fronte con la punta dell’indice.

Il dolore le esplose nella testa come un tuono fragoroso e poi si dipanò in tutto il suo corpo, raggiungendo ogni anfratto ed inondandolo come nero fumo.

Lei urlò.

- E sai, Emma... – Si chinò di più, soffiandole in un orecchio. - Il Minotauro era solo un assaggio. Era affamato. Dovevo dargli qualcosa. Qualcosa di... diverso dal solito. Secondo me, gli sei piaciuta.

Emma non riuscì a rispondergli.

Ade la torturò ancora e ancora. Giocava con le sue ferite e con il suo dolore, girandole intorno come avrebbe potuto girare intorno ad un animale che stava provando ad addomesticare. Scandiva il tutto con le sue risate e, a volte, canticchiava persino.

- Alzati, ora. – ordinò, alla fine.

Non aveva idea di come sarebbe riuscita ad alzarsi. Non c’era un punto del suo corpo che non le facesse male.

- Alzati. – ripeté.

Emma si mise in ginocchio e, con un enorme sforzo, si alzò in piedi, fissando Ade in faccia. Lui la osservò, soddisfatto. 

Poi allungò una mano verso la sua gola. Emma si tirò indietro, ma la magia del Signore degli Inferi la afferrò comunque e la costrinse ad avvicinarsi. Ade la prese per il collo e la trascinò con sé. Emma lottò contro la sua presa d’acciaio e scalciò furiosamente, ma lui sorrise, divertito.

- Sei leggera come una piuma. – disse Ade. – Sai, io... so essere anche un uomo gentile. E generoso. Dipende da come l’ospite si comporta.

Emma lo fissò con astio.

- Ti do la possibilità di uscire da qui. Non sarà poi così difficile. – Si leccò le labbra, quasi stesse assaporando il suo piano. Sulla guancia aveva uno sbuffo del suo sangue. - Io dico sempre che la vita è fatta di scelte... e tu potrai scegliere.

- Non... farò niente... – grugnì Emma.

- Questo è tutto da vedere. Ognuno di noi ha dei limiti, Salvatrice. Anche tu. – Parlava conferendo alle parole un’inflessione strana, musicale. – Tra poco li conoscerai.

 

 

Foresta di Oz.

 

- Non riesco a capire. – disse Mulan. – Che senso ha? Perché attaccare il Quadling?

Fiyero ora stava in piedi in mezzo a loro e aveva nascosto l’ampolla che portava al collo nella giubba rossa. Il messaggio di Glinda era postato su un ciocco di legno, il sigillo rosso infranto. Sulla pergamena scivolavano i riflessi arancioni del fuoco acceso al centro dell’accampamento dell’Allegra Compagnia. Quel riverbero ricordava al principe le fiamme che avevano divorato numerose case del villaggio nel Quadling, il regno del Sud. Il fuoco che aveva divorato delle persone. Decine di uomini e donne, che erano morti gridando. – Glinda è stata da lei per cercare un accordo. Forse si è sentita provocata.

- Zelena è folle. – rispose Robin, con sicurezza. – Sta perdendo completamente la ragione. Dobbiamo agire prima che faccia del male anche a mia figlia.

- Credete che possa arrivare a far del male ad una bambina? – domandò Fiyero.

Robin strinse le labbra. Nessuno rispose.

In quel momento, Ruby arrivò, correndo. – Dorothy non c’è.

- Come sarebbe... non c’è? – esclamò Mulan.

- La casa è vuota. Ha preso le armi, la pozione del sonno e... se n’è andata. L’ho cercata nei dintorni, ma non ci sono tracce! – Ruby teneva in mano un pezzo di stoffa. Il ricamo a quadri era quello del vestito di Dorothy.

- Non sarà andata da sola da Zelena! – disse Fiyero, sbarrando gli occhi.

- Sarebbe assurdo. Non ce la farà mai da sola! – rispose Mulan. – Era d’accordo con il nostro piano.

- Evidentemente non lo era, tesorino. O qualcosa, nel frattempo, è cambiato. – aggiunse Knubbin, infilandosi fra due uomini. Il suo corvo sbatté le ali, nervoso. - Mi auguro che abbiate un piano di riserva.

- Devo avvertire Glinda. – annunciò Fiyero.

- Io raduno i miei uomini. – disse Robin. – Spero solo che non sia già troppo tardi.

 

 
Dopo aver consegnato il messaggio di Glinda, il principe Fiyero ripercorse la strada che l’aveva condotto alla dimora di Dorothy, con il cuore pesante e un vago presentimento che gli animava la mente.

L’attacco a sorpresa nel Quadling aveva sconvolto Glinda. Aveva sconvolto lei e le sue sorelle, Nessarose, la Strega dell’Est, e Locasta, la Strega del Nord. Il villaggio nel Quadling era ancora in fiamme. Erano morte decine di persone, uomini e donne, persino bambini, alcuni colti nel sonno dal fuoco e altri uccisi dagli uomini in armatura o dilaniati dalle scimmie volanti. Tutti gli abitanti avevano visto la Strega a cavallo della sua scopa, avevano udito la sua perfida risata, mentre l’esercito colpiva senza pietà. Gli uomini erano ricoperti da armature nere e portavano al collo una pietra verde incastonata in un ciondolo, molto simile a quella che Glinda aveva dato a Zelena molti anni prima.

Eppure Fiyero aveva l’impressione che quell’attacco fosse di una crudeltà inaudita. Zelena era perfida, terrorizzava Oz, era potente e nessuno aveva il coraggio di affrontarla direttamente. Tuttavia una simile azione a lui pareva insensata. Aveva visto Zelena una sola volta e, nonostante la furia che aveva riversato su Glinda, sembrava si preoccupasse soprattutto della bambina che aveva portato con sé dall’altro mondo. Non aveva più la pelle verde. I suoi capelli erano come fiamme e gli occhi erano schegge di un azzurro tempestoso. La sua era una bellezza selvaggia, al contrario di quella più dolce e rassicurante di Glinda.

“Ho sbagliato e me ne pento, ma tu non puoi continuare a terrorizzare questa gente. Hai una figlia, adesso. Devi pensare a lei.”

“Ed è quello che intendo fare, se non mi metterete i bastoni fra le ruote!”

E che ne era di Dorothy? Davvero voleva affrontare la Strega Perfida da sola?

Era ancora in balia di quei pensieri quando udì la risata della Strega e, rapidamente, si mise al riparo, celandosi dietro ad un albero. Prese una freccia dalla propria faretra e fissò il cielo scuro, tra i rami spogli.

Zelena tagliò il firmamento e la grande luna piena volando sulla sua scopa. Disegnò un cerchio immaginario tra le stelle e rise di nuovo, per poi sparire verso ovest, dove risplendevano le luci verdi della Città di Smeraldo.

Fiyero restò a guardarla, sconcertato.

La Strega dell’Ovest poteva aver appena commesso una strage, ma sembrava divertirsi un mondo. Il principe aveva riconosciuto subito la sua risata e, al tempo stesso, l’aveva percepita in modo diverso. Non era la risata di una strega perfida. Era una risata giovane e persino spensierata. Gli ricordò la risata delle sue sorellastre, mentre giocavano nel giardino della loro casa. Lui imparava a tendere la corda di un arco e a fabbricare frecce, loro, invece, giocavano a rincorrersi, con i capelli al vento. Lui era guardato con sospetto per via della sua pelle nera, loro con ammirazione perché erano belle ed erano sempre sorridenti. Lui era isolato perché, anche se riconosciuto dall’uomo che aveva sposato sua madre, era figlio di un forestiero giunto da terre molto lontane e che poi era sparito nel nulla.

Fiyero mise via la freccia e riprese il cammino, sempre scrutando il cielo.

 

____________________

 

 
Angolo autrice:

 

Ciao a tutti voi lettori ;)

 
Qualche precisazione, giusto per capirci.

Fiyero è un personaggio del musical “Wicked”. Ma i ricordi di Fiyero sulle sue sorellastre sono una mia invenzione.

Il Quadling è il territorio di Glinda, quindi il Sud.

Nel musical, Elphaba è interpretata da Idina Menzel, che canta anche la canzone Defying Gravity, citata all’inizio del capitolo, appunto.


   
 
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