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“So if you care to find
me, look to the western sky!
As
somebody told me lately, everyone deserves
the chance to FLY!
And
if I'm flying solo, at least I'm flying
free;
To
those who ground me, take a message back from
me...
...tell
them how I am Defying Gravity!
I'm
flying high, Defying Gravity!”
[Wicked: The Musical. Idina Menzel/Elphaba, Defying Gravity]
Foresta
di Oz.
-
È
l’unica possibilità che abbiamo per riavere Toto.
- disse Mulan, osservando,
insieme a Dorothy e a Ruby, l’intruglio che ribolliva nel
pentolone.
-
Sei
sicura che funzionerà? - chiese Dorothy.
Mulan
aggiunse delle erbe essiccate alla pozione. Alla fine avevano raggiunto
la casa
di Dorothy, nel cuore della foresta, evitando le altre trappole poste
lungo la
via. Delle scimmie volanti di Zelena nessuna traccia. Il luogo era buio
e
silenzioso. L’unica luce veniva dal fuoco sotto il pentolone.
-
La
polvere del sonno l’ha già stesa prima
d’ora. - la rassicurò Ruby.
-
Ho
solo bisogno di un altro ingrediente. Papaveri. - disse Mulan.
– I papaveri uniti
alla pozione renderanno il suo sonno più... duraturo.
-
So
dove trovarli. - Dorothy fece per avviarsi.
-
Vengo
con te. Mulan, tieni il fuoco acceso.
-
Posso farcela da sola!
-
Non ho chiesto il permesso.
Mulan
avrebbe voluto domandare a Ruby se fosse sicura di voler seguire
Dorothy nel
campo di papaveri. Era possibile che lungo il cammino ci fossero, non
solo le
scimmie volanti di Zelena, ma anche qualche altro tranello. E stavolta
Dorothy
avrebbe potuto decidere di lasciare Ruby a districarsi da sola con la
trappola.
Non che fosse un problema per lei... bastava che si trasformasse.
Dorothy
s’incamminò con passo deciso e Ruby la
seguì.
“Vieni
con me.”, le
aveva detto, quando stavano per lasciare
Dunbroch.
“A
cercare lupi mannari?”, le
aveva domandato Mulan, perplessa.
“Aiutare
qualcuno a trovare la sua strada
aiuterà anche te.”
-
Quale strada? - si chiese ora Mulan, ad alta voce, mentre ravvivava il
fuoco. -
Quella che ci ha portato ad Oz, direttamente nel territorio di una
strega
perfida?
Le
risposero solo il vento e una civetta, appollaiata su un ramo. Mulan
fissò il
cielo sgombro di nubi e pieno di stelle. La luna era piena.
-
So
che siete là dietro. - disse, mettendo mano
all’elsa della sua spada. - Potrei
venire a prendervi, ma vi do la possibilità di uscire allo
scoperto da soli.
Aveva
avvertito i rumori furtivi. Non avrebbe saputo dire quanti fossero, ma
dubitava
che li avesse mandati Zelena. In tal caso sarebbero state scimmie
volanti. Le
sue guardie erano sempre a palazzo e Zelena si sentiva troppo al sicuro
grazie
all’accordo che prevedeva la consegna delle scarpette
d’argento.
Mulan
estrasse la spada, puntandola contro i visitatori indesiderati.
Erano
almeno una decina. Tutti uomini robusti e armati, eccetto uno.
L’unico che non
aveva armi era un vecchio con i capelli grigi che sparavano in varie
direzioni
e tra i quali penzolavano delle foglie secche. Aveva un naso lungo e
sottile,
rosso proprio come quello di chi beve parecchio.
-
L’avevo
detto che non dovevamo portarlo con noi. Ha fatto troppo chiasso!
-
Non
preoccuparti, John. È un’amica, non vedi?
-
Io
vedo solo una certa guerriera che un tempo era con noi e poi
è sparita nel
nulla!
-
Robin? - disse Mulan, rinfoderando la spada e ignorando Piccolo John.
L’Allegra
Compagnia era al completo, ma Roland non c’era. E Robin Hood
aveva tutta l’aria
di qualcuno che voleva essere da tutt’altra parte.
Il
ladro venne avanti, sforzandosi di sorridere. Allungò una
mano e lei gliela
strinse. – Lieto di rivederti. Mi dispiace, non intendevo...
ho visto Ruby. Chi
è l’altra ragazza?
-
Dorothy.
È... la paladina della gente di Oz. - tagliò
corto Mulan. - E tu hai trovato un
nuovo ladro per la tua compagnia?
-
Non
sono un ladro, tesorino. Mi chiamo Knubbin e sono un mago. Chiedilo
alla tua
amica. E al suo mantello, se ti va. - rispose il vecchio, raddrizzando
le
spalle. Su una di esse stava appollaiato un corvo con un occhio solo. -
Questo,
invece, è Heathcliff. Ha dei gusti difficili, quindi ti
sconsiglio di
irritarlo.
-
Non sono un’amica dei corvi. - ribatté Mulan,
guardandolo con la fronte
aggrottata. - Non capisco. Credevo fossi a Storybrooke...
-
Sì,
infatti. - confermò Robin, amaramente. - Sono venuto a
cercare mia figlia.
-
Figlia? Quale figlia?
Calò
il silenzio. Gli uomini si occhieggiarono tra loro. Poi fissarono
Mulan. Nei
loro sguardi sostava un misto di perplessità, imbarazzo e
acredine. Era sicura
che la maggior parte dell’Allegra Compagnia non fosse
così contenta di trovarsi
lì, davanti a qualcuno che li aveva piantati in asso.
Qualcuno che aveva anche
rischiato di farli uccidere perché aveva la mente
ottenebrata dai propri
problemi.
Ma
c’era
dell’altro.
Mulan
ricordò la bambina che Zelena aveva con sé quando
era arrivata ad Oz. - Non la
bambina di Zelena...
Nessuno
rispose.
-
Robin?
-
È
molto complicato. - fu la sua risposta.
-
Sì, lo immagino.
-
Non
è come credi. Posso spiegarti tutto, ma mi
servirà un po’ del tuo tempo. E poi
dobbiamo pensare ad un modo per riprendere mia figlia.
Oltretomba. Oggi.
“Stai
bene?”
“Sì,
credo di sì. Io sono... Leila.”
“Vorrei
poterti dire che è un piacere conoscerti.”
“Ma
viste le circostanze non il
caso. Qual è il tuo nome?”
“Non
oso pronunciarlo qui. La Regina non sa chi
sono e solo il mio silenzio può tenere la mia famiglia al
sicuro.”
-
Marian?
Lei
allentò la corda dell’arco, fissandola,
esterrefatta. – Leila?
-
Sì, io... – iniziò Emma, arrancando di
un passo. Il mondo ondeggiò intorno a
lei. – Non mi chiamo Leila. Il mio nome è Emma.
-
Stai indietro! – esclamò Marian, tendendo
nuovamente la corda dell’arco. – Non
ti avvicinare. Nessuno mi assicura che non sei un inganno di Ade.
-
Un
inganno di Ade?
Da
qualche parte, non molto lontano da loro, giunse un suono strano, una
specie di
muggito, seguito da un tonfo. Emma tese le orecchie.
-
Non sono un inganno di Ade... sono morta. –
precisò.
-
Io
sono qui da molto tempo... – disse Marian. Ora aveva
un’aria confusa. – Ma tu
non sei mai stata qui.
-
No. Sono... arrivata da poco.
-
Sei identica a quando ci siamo incontrate in prigione. Questo non
è possibile.
So che è accaduto molto tempo fa...
-
Fidati. Lo è. È solo... molto complicato da
spiegare.
-
Però è vero. Ci siamo già incontrate.
Credevo... credevo fossi solo nella mia
testa. Credevo che Ade mi stesse confondendo la mente!
Il
rumore si ripeté e sembrava più vicino, ora.
Qualunque cosa si muovesse per
quei corridoi, di certo non aveva buone intenzioni.
-
Puoi dirmi che posto è questo? – chiese Emma.
-
È
un labirinto. – rispose Marian. Si decise ad abbassare
l’arco, ma continuava a
rimanere in guardia. I grandi occhi scuri saettarono a destra e a
sinistra. –
Non vuoi sapere che cosa ti aspetta se decidi di... cercare
l’uscita.
-
Beh, io devo uscire... la mia famiglia è qui. Per me.
-
Non puoi esserne certa. Nessun vivo metterebbe mai piede
nell’Oltretomba.
-
Loro sì. Perché non amano darsi per vinti.
– Emma tese una mano verso Marian. –
Dobbiamo andarcene.
-
Non riusciremo ad andarcene! – replicò Marian.
– Il mostro ci prenderà. Io ci
ho provato moltissime volte. E mi ha sempre presa... prima che potessi
arrivare
all’uscita.
-
Ti
ha presa? Ti ha... uccisa? – Emma si appoggiò alla
parete. Era senza fiato,
quasi fosse reduce da una lunga corsa. Non aveva idea di come poteva
sfuggire a
qualunque cosa ci fosse in quel labirinto.
-
Uccisa... non è il termine più appropriato. Ma
sì... se ti prende, ti fa a
pezzi. – Marian rimise la freccia nella faretra che portava
con sé. – E poi
torni al punto di partenza. Qui.
-
Beh, se ci proviamo in due... forse abbiamo qualche
possibilità in più.
-
No. Non ne abbiamo. Sei pazza. E sei ferita.
-
Sì, anche questo è vero. Sai
dov’è l’uscita, no? L’hai
trovata.
-
Certo, ma lui è molto più veloce di te! E
inoltre... l’ultima volta che ti ho
seguita, tu e quell’uomo, quello con la mano finta, volevate
portarmi in un
altro mondo... e poi mi sono ritrovata qui!
-
Marian... mi dispiace, volevo solo salvarti la vita.
-
Siamo scappate da quella prigione, quindi...
Un
altro tonfo. Il verso della creatura era il ruggito di un mostro
affamato. Emma
si chiese quante volte Marian avesse tentato di scappare e quante volte
fosse
stata acciuffata e sbranata.
-
Portami verso l’uscita. – disse Emma.
Marian
scosse vigorosamente la testa.
-
Non abbiamo scelta! Non possiamo restare quaggiù. Dobbiamo
combatterlo.
Il
mostro gridò di nuovo, furibondo. Un altro tonfo. Qualcosa
si schiantò e si
ruppe.
Marian
prese la mano di Emma e si misero a correre. La trascinò in
fondo al corridoio
e girò a sinistra. Emma arrancò insieme a lei,
sforzandosi di ignorare i dolori
lancinanti. La gamba aveva ripreso a sanguinare.
Alla
fine del primo corridoio, c’era la statua di un uomo in
ginocchio, con una mano
nei capelli ricciuti e un paio di ali che gli spuntavano dalla schiena.
Le ali
erano rivolte verso terra. Ai lati della statua, c’erano le
facce di due demoni
muniti di corna ricurve. Le loro bocche erano aperte ed Emma le vide
illuminarsi di un bagliore rossastro. Marian la tirò verso
di sé, perché uscisse
dalla traiettoria dei fulmini che saettarono fuori da quelle bocche,
alla
ricerca di un bersaglio.
Marian
svoltò a destra, poi di nuovo a sinistra. I corridoi
sembravano tutti uguali. Poi
imboccarono un passaggio ad arco che le condusse in una camera
circolare. Emma
calpestò un oggetto, che si rivelò essere un osso
umano. C’erano... parecchie
ossa umane, in quella stanza. Ossa umane, brandelli di abiti, i resti
di
un’armatura gettata in un angolo, l’elmo, la cotta
di maniglia e i gambali.
-
Ci
siamo quasi. – disse Marian, respirando a fatica. Il luogo
proseguiva in una
galleria oscura, simile a quella che Emma aveva percorso per arrivare
là.
Dietro
di loro, proruppe un altro muggito inferocito, seguito dal rumore di
zoccoli. Dall’ombra
iniziò ad emergere qualcosa di enorme, con occhi che
bruciavano come torce.
-
Te
l’avevo detto. Non ce la possiamo fare. È molto
più forte di noi! – gridò
Marian. Estrasse comunque una freccia dalla sua faretra.
-
Corri.
-
Cosa?!
-
Corri. Esci da qui. Ci penso io a lui.
-
Ma
ti farà a pezzi, Leila... Emma.
-
Forse. Ma almeno potrai uscire. Trova la mia famiglia. Trova mia
madre...
Biancaneve. – Emma la prese per le spalle, scuotendola
perché l’ascoltasse. – Τrova
lei, trova Lily...
-
E
poi?
Emma
rifletté un istante prima di parlare. Nella sua mente si
succedette una moltitudine
di pensieri e ognuno di essi aveva senso. Al tempo stesso sembrava che
nessuno
di essi l’avesse. - E poi dì loro di andarsene.
Dì loro di tornare a casa.
Marian
udì l’ennesimo ruggito del mostro e
capì di non poter replicare a ciò che Emma
le aveva appena detto. Si introdusse nella galleria, proprio quando
l’abitante
del labirinto mise piede nella camera circolare.
Regina.
Mio Dio, non le ho detto di Regina.
Emma
strabuzzò gli occhi.
L’essere
che le aveva inseguite aveva petto e braccia umane. Le mani si aprivano
e si
chiudevano, ansiose di accaparrarsi la preda. Lo sguardo era feroce e
selvaggio.
Ma dalla vita in giù la sua umanità terminava e
cedeva il posto alla bestia. Le
gambe erano possenti e ricoperte da una fitta peluria nera. Non aveva i
piedi,
ma un paio di zoccoli. Inoltre la testa era quella di un toro. Le nari
si
allargarono, annusando l’aria e poi emisero uno sbuffo
rumoroso. Aprì la bocca
e lei vide che aveva due file di denti aguzzi pronti ad azzannare e a
farla a
pezzi.
Emma
fece un passo indietro, parandosi davanti alla galleria che aveva
inghiottito
Marian.
Il
Minotauro sfregò gli zoccoli sulle mattonelle del pavimento
e caricò a testa
bassa.
- Se
non sbaglio, siamo già passati di qui prima. –
disse Killian, spazientito. –
Non c’è traccia di Emma.
-
E
noi passeremo un’altra volta, Capitan Mascara. –
rispose Regina. – Forse
qualcosa ci è sfuggito, forse troveremo delle tracce
fresche.
-
Ricordatemi perché mi sono unito a voi, Maestà.
-
E tu
ricordami perché ho accettato che mi seguissi. –
Regina gli puntò contro
l’indice. Sapeva benissimo di essere già passata
di là. Le sembrava di
conoscere quel bosco come le sue tasche. Ogni sentiero, ogni albero. E
non
c’era nessuno. Nemmeno un’anima vagante che potesse
dar loro una mano. Era
esasperata. David era al cimitero con la moglie. Lily era da qualche
altra parte
in città con Malefica. Non osava chiedersi dove fosse o cosa
stesse tramando
Τremotino.
E
a
lei era toccato Uncino. Henry aveva insistito per venire con loro.
-
Mamma!
– gridò Henry.
Regina
si girò e si accorse che, mentre lei discuteva con il
pirata, suo figlio era
andato avanti.
-
Vieni a vedere!
Lo
raggiunsero in fretta e videro che stava osservando delle piante verdi
che
crescevano ai piedi di un salice.
Le
foglie erano sporche di sangue. Ed era sangue fresco. C’era
sangue anche
sull’erba.
-
Non
toccarlo, Henry – disse Regina, afferrando suo figlio per la
giacca.
-
Ma
potrebbe essere della mamma! Potrebbe essere qui intorno.
Uncino
toccò le foglie, sporcandosi la punta delle dita. - Il
ragazzo ha ragione. È
fresco. Emma!
Il
pirata si mise a correre su per un pendio erboso, stando attento a dove
metteva
i piedi. Trovò altre tracce sull’erba, sulla
corteccia di alcuni alberi. Τrovò
anche un pezzo di stoffa dal colore indefinito. Lo prese, chiedendosi
se
appartenesse ad Emma.
Henry
e Regina lo seguivano a ruota. Lui distanziò rapidamente la
madre, provando a
stare al passo con Killian, ma il pirata correva alla cieca, incapace
di stabilire
in quale direzione dovesse effettivamente andare.
-
Emma!
Henry
inciampò in una radice sporgente, cadde tra le foglie,
sbucciandosi il palmo
della mano destra. Maledisse quel posto fra sé e
sé. Maledisse il fatto di non
avere la penna. Forse avrebbe potuto usarla per trovare sua madre.
Uncino
era andato avanti e stava gridando ancora il nome di Emma.
-
Ehi...
Henry
spostò la testa verso destra e vide una figura acquattata
dietro al grosso tronco
di una vecchia quercia.
-
Mamma...?
– iniziò. Ma si accorse subito che la donna non
era sua madre. Aveva una fitta
massa di capelli neri e tutti in disordine. Vestiva come una popolana,
con un
mantello color porpora agganciato alla base del collo e una veste
grigia e
polverosa sotto di esso. La faccia scura era sporca di fuliggine e gli
occhi
erano segnati da ombre violacee. Aveva con sé un arco e una
faretra.
-
Non sono Emma. Ma l’ho incontrata. – disse,
appoggiandosi all’albero per
alzarsi. Zoppicava e aveva le mani graffiate. – Mi chiamo
Marian...
-
L’hai vista? Dov’è?
-
Henry! – Regina raggiunse suo figlio e si chinò
per aiutarlo, scostandogli i
capelli dalla fronte. – Stai bene? Dov’è
andato Uncino?
Allora
notò la donna.
Regina
sgranò gli occhi.
Marian
prese la prima cosa che le capitò a tiro e la
scagliò contro di lei.
La
pietra colpì Regina di striscio alla tempia, facendola
finire con un ginocchio
a terra e dando il tempo a Marian di recuperare il suo arco e incoccare
una
freccia.
-
No! – Henry si mise in mezzo. – No, aspetta, non lo
fare.
-
È
la Regina Cattiva. Lei mi ha uccisa!
-
Lei è mia madre.
Uncino
tornò indietro, correndo. Fissò la scena pieno di
sconcerto. – Marian? Che cosa
sta succedendo? Vi prego, fermatevi.
-
Anche tu sei qui? – esclamò Marian.
-
Già, questo mondo è piccolo, milady. Mettete
giù l’arco. Non è come credete.
-
Ah, no?!
Regina
tenne una mano premuta contro la tempia. Un terribile fischio le aveva
invaso
le orecchie e il mondo aveva iniziato a inclinarsi da un lato.
Marian.
È la moglie di Robin. La vera moglie di
Robin.
-
Non è più quella persona. – intervenne
Henry. – Non è più la Regina Cattiva.
Marian
scosse la testa, ma esitò. La mano che teneva la corda
dell’arco tesa stava
tremando. La nube di confusione che le occupava la mente non le
permetteva di
riordinare i pensieri e i ricordi. Sapeva che la Regina
l’aveva uccisa. Lo
ricordava. Ricordava le sue ultime parole. Ricordava il soldato che
appiccava
il fuoco. Il crepitare delle fiamme. La sofferenza... la sofferenza che
era
sembrata durare un’eternità.
E
poi ricordava Emma. Emma che la liberava. L’uomo con la mano
finta. Volevano
portarla in un altro posto, lontano dalla sua famiglia, da suo marito e
da suo
figlio. Poi qualcuno l’aveva colpita alla testa.
Era
come se anche la sua mente si fosse trasformata in un labirinto. Era
come se
fosse morta due volte.
-
Ascoltate
il ragazzo. È suo figlio. Ve lo assicuro. – disse
Uncino, muovendo un passo
verso di lei. – Regina non vi farà alcun male.
Vedete... è passato molto tempo
da allora. Le cose sono cambiate per tutti. Credetemi.
-
Che cosa ci fa nell’Oltretomba. Non è morta, vero?
-
No. Nessuno di noi è morto. Siamo qui per Emma. E se voi
l’avete vista, allora
potete aiutarci.
-
Non potete essere tutti così giovani...
-
Possiamo spiegarvi anche questo. Ma solo se accettate di venire con
noi.
Continuò
a tenere la freccia puntata su Regina.
-
Vi
avrebbe già uccisa, se fosse la stessa donna. –
continuò Uncino. – Sa usare la
magia. Ve ne siete dimenticata?
Marian
si decise ad abbassare l’arco. Lasciò cadere la
freccia, ma si mantenne a distanza
di sicurezza.
-
Mamma? Va tutto bene? – domandò Henry. –
Sei ferita...
-
Non è niente. – mormorò Regina.
– Sto... bene.
-
Dobbiamo andare via. – disse Marian, in fretta, parlando a
Killian. – L’entrata
della caverna non è lontana.
-
Quale caverna? – chiese lui.
-
Andiamo via, vi prego. C’è un mostro...
Regina
usò la magia per portare tutti lontano da lì.
Scomparvero, dissolvendosi in una
nuvola di fumo violaceo.
Foresta
di Oz.
Mulan
mise mano alla spada quando sentì i passi e vide arrivare
Ruby in forma di lupo
e Dorothy con il mantello rosso tra le mani.
-
Che cos’è successo? - chiese.
-
Zelena. - rispose Dorothy. - E le sue scimmiette volanti.
Mulan
la osservò mentre distendeva il mantello magico e lo gettava
sopra al lupo, i
cui occhi gialli splendevano nell’oscurità. Ruby
recuperò le sembianze umane e
si scostò il cappuccio dalla testa. Si rialzò,
respirando con affanno.
-
Stai
bene? - domandò a Dorothy.
Lei
non rispose e a Mulan parve che si fosse irrigidita, come se ci fosse
qualcosa
che la preoccupasse. E non erano le scimmie volanti della strega
perfida.
-
Dorothy?
-
Sì. - si decise a rispondere. - Sto bene. Sono solo stanca.
Saranno stati i
papaveri.
Ruby
si rabbuiò.
-
Chi
è lui? Che ci fa qui?, domandò Dorothy, scorgendo
Robin.
-
Lui è Robin. È... - Stava per dire che era un
amico, ma non lo disse. - Una
vecchia conoscenza. Abbiamo viaggiato insieme per un po’. E
Zelena deve restituirgli
qualcosa.
-
Cioè?
-
Mia figlia.
-
La
bambina di Zelena è figlia tua? - Dorothy
appoggiò una mano sulla balestra, come
se si sospettasse che Robin si stesse per trasformare in una pelosa
scimmia
volante.
-
Zelena lo ha ingannato. - intervenne Mulan.
Robin
raccontò loro di come Zelena si fosse finta Marian, sua
moglie. Di come fosse
vissuta con lui e Roland per settimane e della nascita della bambina.
-
Zelena
lascia dietro di sé una scia di desolazione, a quanto pare.
E si preoccupa di
prolungare la sua stirpe... - commentò Dorothy, acidamente.
-
Mia
figlia non c’entra nulla. È innocente. Voglio solo
riportarla a casa con me. E
se possibile... liberarmi di Zelena.
-
Abbiamo una soluzione. - Dorothy sfilò il papavero dalla
cintura di Ruby. Lei
sembrava stranamente confusa, con gli occhi troppo brillanti e le
guance un po’
arrossate, sebbene non facesse così freddo.
Mulan
prese il papavero. - L’ingrediente per la pozione che la
manderà nel mondo dei
sogni.
-
La
maledizione del sonno? - commentò Robin.
-
E
chi la sveglierà, dato che non ha un vero amore? –
gli fece notare Mulan.
-
Non sarà così facile.
-
Faremo
del nostro meglio. - replicò Dorothy, come se Robin avesse
appena detto una
grossa idiozia. - Ed ora scusatemi, vado a... stendermi un momento.
Oltretomba.
-
La
casa dei nonni? – esclamò Henry.
-
Beh, dato che tutto ciò che avevamo a Storybrooke, sembra
avere un
corrispettivo qui... ho pensato che l’avesse anche la casa
degli Azzurri. –
disse Regina.
Tutti
i mobili erano coperti da teli bianchi, come se i legittimi proprietari
avessero abbandonato il posto da tempo. Il pavimento era polveroso e
mangiato
dai tarli. I vetri delle finestre erano opachi e senza tende.
Regina
prese una foto, appoggiata su un comodino. Era una delle foto che gli
Azzurri
conservavano nella loro vera casa. In essa Mary Margaret e David
sorridevano
all’obiettivo, lui tenendo un braccio sulle spalle della
moglie.
-
O
più che altro... questo posto sta aspettando che loro
muoiano e si
trasferiscano. – Regina rimise la foto dove l’aveva
trovata.
Sta
aspettando tutti noi. Neanche tra mille anni,
quando l’inferno gelerà, andrò a vivere
con gli Azzurri, pensò.
Con gli Azzurri e circondata da tutti i
suoi conti in sospeso. Nemmeno se avesse vissuto un secolo sarebbe
riuscita a
sistemarli.
“Sei
stata troppo cattiva. Per troppo tempo.”, le
aveva detto sua madre. Quando? Un’eternità
fa, forse.
Dov’era
sua madre? Era sparita, ma dov’era andata?
L’avevano gettata nel Τartaro?
“So
che la Regina ha amato molto quando era
solo una ragazza innocente... ha amato molto ed ora il suo primo grande
amore
vorrebbe vederla.”
In
casa degli Azzurri c’erano Lily e Malefica, che erano intente
a rovistare in
giro, alla ricerca di qualcosa che potesse condurle da Emma.
-
Che ci fa lei qui? – domandò Lily, vedendo Marian,
che si era accasciata su una
delle poltrone, stringendosi nella mantella, come se avesse freddo.
-
Si
chiama Marian. L’abbiamo trovata nel bosco. Ha incontrato
Emma. – precisò
Killian.
-
L’ha vista? Dove? Come sta?
Marian
alzò gli occhi stanchi su di lei. – Sei... tu sei
Lily?
-
Sì. Sono io. Che cosa ti ha detto Emma? Dove possiamo
trovarla? – Lily si
inginocchiò davanti a Marian. Il ciondolo che portava al
collo dondolò e la
moglie di Robin Hood lo fissò per qualche momento.
-
Lei mi ha salv... aiutata ad uscire dal labirinto. È rimasta
indietro perché io
potessi scappare e portarvi un messaggio. – disse Marian.
Sembrava un po’ più
rinfrancata ora.
-
Quale messaggio?
Marian
diede un’occhiata a Regina.
-
Potete parlare liberamene, milady. – la incoraggiò
Killian. – Nessuno vi farà
del male.
-
Sì, noi vogliamo sapere come possiamo arrivare ad Emma.
– aggiunse Henry. - Lo
vogliamo tutti.
-
Lei non desidera questo. – rispose Marian.
Per
un secondo, Regina pensò che la donna si stesse rivolgendo a
lei. Che stesse
parlando alla sua assassina.
“Lei
non desidera questo.”
-
Come? – fece Lily.
-
Emma. Non vi vuole qui. Dice che dovete andarvene. Dovete tornare a
casa.
Foresta
di Oz.
-
Ho
dato la pozione del sonno anche a Dorothy. Robin e i suoi uomini ne
hanno un
po’ e Knubbin ha protetto l’accampamento con un
incantesimo. Attacchiamo
all’alba. - disse Mulan.
-
Bene.
- rispose Ruby.
-
Bene. - ripeté Mulan, imitando il suo tono meditabondo. -
Non mi pare un grido
di battaglia molto convincente.
Ruby
non rispose. Era da quando era tornata dal campo di papaveri che si
comportava
in modo strano. Non era sembrata partecipe a nessuna conversazione. Ora
se ne stava
in silenzio, con la testa bassa e le mani in grembo, a tormentarsi le
unghie.
Non molto distanti brillavano le luci dell’accampamento di
Robin Hood. Mulan
vedeva le ombre di alcuni uomini messi di guardia lungo il perimetro.
La luna
piena veleggiava nel cielo, tra i rami spogli.
Mulan
sedette vicino a lei. - Ruby, che cosa succede?
“Mi
dispiace.”
“Per
cosa?”
“Per
averti chiamata lupacchiotta. Se avessi
saputo...”
“No,
non importa. In realtà mi piace.”
-
Ruby?
-
Mentre
camminavamo, io... ecco, Dorothy... mi ha chiesto che cosa sto cercando
davvero. Ed io... le ho detto che non sono sicura di saperlo.
“Però
credo sia giusto che anche tu abbia un
soprannome.”
“Davvero?”
“Mmm.”
Non era rimasta troppo tempo a pensarci.
“Che ne dici di Kansas?”
Dorothy
rise di gusto. “D’accordo, lupacchiotta.
E Kansas sia.”
-
Ed
è così? – domandò Mulan,
aggrottando un sopracciglio.
“Attenta.”,
disse Dorothy, mettendole una mano
sul braccio prima che potesse chinarsi e raccogliere uno dei papaveri.
“Basta
una semplice annusata e finisci addormentata come un sasso.”
Si
piegò e lo raccolse lei stessa.
“Grazie...”
Dorothy
le offrì il fiore e Ruby lo prese...
-
Io
penso... – ricominciò Ruby, insicura. –
Penso... forse stavo cercando proprio
qualcuno come lei.
Mulan
non parve nemmeno sorpresa. Sorrise.
-
Lo
so che ci siamo appena conosciute. – continuò
Ruby, sulla difensiva. – Ma...
non mi sono mai sentita così prima d’ora.
-
Beh... è fantastico. – commentò Mulan.
– Quindi, quale sarebbe il problema?
Ruby
si rabbuiò di nuovo. - Hai visto anche tu come mi ha
guardata quando mi sono trasformata.
Non è
riuscita a dire niente.
E
le ho anche rivelato di aver ucciso Peter!
-
Forse perché prova le stesse cose che provi tu. –
osservò Mulan. - E non sapeva
come dirlo.
-
La
verità è che tutto ciò la spaventa. La
situazione è troppo complicata per lei.
-
Dorothy... non ha paura di te. Non ha paura nemmeno di Zelena, come
può avere
paura di un licantropo?
Ruby
scosse il capo.
-
Ruby...
non fare il mio stesso errore. Non aspettare troppo per dire a qualcuno
quello
che provi...
Dall’accampamento
vennero delle grida.
-
Cos’è stato? – chiese Ruby.
-
Guai.
Mulan
corse all’accampamento dell’Allegra Compagnia, con
la spada in pugno. Ruby la
seguì.
Un
gruppetto di persone si era assiepato intorno ad una figura, che se ne
stava accasciata
per terra, ma con le mani sollevate. Alcuni ladri avevano estratto le
armi.
Robin si fece largo tra la folla per vedere.
-
Cosa
succede? – domandò Mulan, spingendo via alcuni
uomini.
-
È
entrato nell’accampamento di nascosto. – disse
Piccolo John, puntando il
proprio pugnale sul tizio in ginocchio.
-
In
realtà, sono entrato con le mani alzate. Non sono un nemico.
Mi chiamo Fiyero.
Mi manda Glinda, la Strega del Sud.
Robin
illuminò il viso dell’uomo con una torcia. Era
robusto e aveva la pelle nera
ricoperta di tatuaggi a forma di diamante. Le uniche armi erano i
pugnali
infilati negli stivali con gli speroni. La giubba rossa era di ottima
fattura e
al collo pendeva una collana annodata intorno ad un ciondolo, una
piccola ampolla
che racchiudeva...
-
Magia.
– disse Knubbin. Indicò il collo di Fiyero con il
nodoso dito indice. – Il
ciondolo che ha al collo contiene un incantesimo decisamene potente.
John
allungò una mano per strapparglielo, ma Robin lo
fermò.
-
Non è per voi. – spiegò Fiyero.
– Sarebbe per Zelena. Sono dalla vostra parte.
-
Fiyero. – disse il ladro. – Avete detto che vi
manda Glinda. Che cosa ci fate
nel mio accampamento?
-
Sto cercando Dorothy. Ho un messaggio per lei. Se solo mi permetteste
di infilare
una mano nella tasca della giacca, ve lo mostrerei, Robin Hood.
– Fiyero
sorrise. I denti bianchi risaltarono in contrasto con il colore della
sua
pelle. Guardava Robin dritto negli occhi, senza curarsi di tutte le
armi puntate
contro di lui. Sembrava quasi a suo agio, in mezzo a possibili
aggressori.
-
Come fate a sapere come mi chiamo? – chiese Robin, guardingo.
-
Glinda vi ha visto arrivare. Voi e la vostra... poco accogliente
compagnia. Purtroppo
non porto delle buone notizie.
Robin
abbassò un poco la guardia. - Qual è il
messaggio?
Fiyero
mise una mano in una tasca interna della giubba e tirò fuori
un rotolo di
pergamena. Era chiuso con un sigillo rosso.
-
Potrebbe
essere un tranello di quella strega. Parlo di Zelena. – fece
Piccolo John,
afferrando il braccio di Robin prima che potesse prenderlo.
-
Non ho nulla a che fare con Zelena. Ma il messaggio può
essere letto solo da
Dorothy. La magia di Glinda lo protegge.
Mulan
strappò la pergamena di mano a Fiyero senza troppi
complimenti e la srotolò in
fretta. – Non vedo niente, in effetti.
-
Vado a chiamare Dorothy. – disse Ruby, allontanandosi.
-
Inizia col dirci qual è il messaggio. – riprese
Robin, accovacciandosi davanti
a Fiyero. - Zelena ha mia figlia. Voglio sapere ogni cosa.
Oltretomba.
Emma
rinvenne mentre due uomini la depositavano su una piattaforma.
Le
doleva tutto il corpo. Le sembrava impossibile persino sollevare le
palpebre
per guardarsi intorno.
-
Bene, bene. – disse una voce maschile e canzonatoria.
– Sento che oggi sarà una
di quelle giornate... estremamente divertenti. Lasciateci.
Rumori
di passi.
Emma
aprì leggermente gli occhi e vide un paio di lucide scarpe
nere, la stoffa dei
pantaloni scuri, dal taglio elegante.
-
Dove sono? – mormorò, provando a tirarsi su. Le
luci che illuminavano
l’ambiente erano deboli, ma a lei parve di essere in una
caverna dal soffitto
altissimo. Sentiva il rumore dell’acqua che scorreva.
Notò una poltrona rossa e
un paio di sgabelli.
-
Te
l’ho già detto quando ci siamo parlati la prima
volta. O forse non eri attenta?
Sei... nel mio regno. È un onore. Molti eroi sono passati da
queste parti, da
quando esisto. Cioè da... migliaia di anni.
“Sono
il padrone di casa, Emma. Adesso sei nel
mio regno. È un piacere. Ci incontreremo presto. Spero che
il posto ti piaccia.”
La
risata era la stessa. Sprezzante. Piena di arroganza. Con un che di
repellente.
Emma
si sdraiò sul dorso e guardò il padrone di casa.
Aveva l’aspetto di un uomo
alto, con addosso un completo scuro ed elegante, i capelli corti, di un
biondo
rossiccio.
-
Hai dato del filo da torcere al Minotauro. Ti ha fatta a pezzi soltanto
una
volta. E... l’altra prigioniera è scappata.
– disse. Si inginocchiò vicino a
lei e allungando una mano. Premette su una ferita aperta che aveva sul
collo.
Emma strinse i denti, soffocando un gemito. – Beh, scappata
dal labirinto, non
certo dal mio regno. E meno male, perché odio quando
quell’orologio si mette a
ticchettare. Preferisco la musica classica. Paganini, mai ascoltato?
-
Qualsiasi
cosa... tu abbia in mente... non funzionerà. –
disse Emma.
-
Oh, invece sì. Perché io... sono Ade. Il Signore
degli Inferi. – annunciò lui, alitandole
in faccia. Non premette più sulle ferite, ma si
limitò a sfiorare quella che
aveva sulla fronte con la punta dell’indice.
Il
dolore le esplose nella testa come un tuono fragoroso e poi si
dipanò in tutto
il suo corpo, raggiungendo ogni anfratto ed inondandolo come nero fumo.
Lei
urlò.
-
E
sai, Emma... – Si chinò di più,
soffiandole in un orecchio. - Il Minotauro era
solo un assaggio. Era affamato. Dovevo dargli qualcosa. Qualcosa di...
diverso
dal solito. Secondo me, gli sei piaciuta.
Emma
non riuscì a rispondergli.
Ade
la torturò ancora e ancora. Giocava con le sue ferite e con
il suo dolore, girandole
intorno come avrebbe potuto girare intorno ad un animale che stava
provando ad
addomesticare. Scandiva il tutto con le sue risate e, a volte,
canticchiava
persino.
-
Alzati, ora. – ordinò, alla fine.
Non
aveva idea di come sarebbe riuscita ad alzarsi. Non c’era un
punto del suo
corpo che non le facesse male.
-
Alzati. – ripeté.
Emma
si mise in ginocchio e, con un enorme sforzo, si alzò in
piedi, fissando Ade in
faccia. Lui la osservò, soddisfatto.
Poi
allungò una mano verso la sua gola. Emma si tirò
indietro, ma la magia del Signore
degli Inferi la afferrò comunque e la costrinse ad
avvicinarsi. Ade la prese
per il collo e la trascinò con sé. Emma
lottò contro la sua presa d’acciaio e
scalciò
furiosamente, ma lui sorrise, divertito.
-
Sei
leggera come una piuma. – disse Ade. – Sai, io...
so essere anche un uomo
gentile. E generoso. Dipende da come l’ospite si comporta.
Emma
lo fissò con astio.
-
Ti
do la possibilità di uscire da qui. Non sarà poi
così difficile. – Si leccò le
labbra, quasi stesse assaporando il suo piano. Sulla guancia aveva uno
sbuffo
del suo sangue. - Io dico sempre che la vita è fatta di
scelte... e tu potrai
scegliere.
-
Non... farò niente... – grugnì Emma.
-
Questo è tutto da vedere. Ognuno di noi ha dei limiti,
Salvatrice. Anche tu. –
Parlava conferendo alle parole un’inflessione strana,
musicale. – Tra poco li
conoscerai.
Foresta
di Oz.
-
Non riesco a capire. – disse Mulan. – Che senso ha?
Perché
attaccare il Quadling?
Fiyero
ora stava in piedi in mezzo a loro e aveva nascosto l’ampolla
che portava al collo nella giubba rossa. Il messaggio di Glinda era
postato su
un ciocco di legno, il sigillo rosso infranto. Sulla pergamena
scivolavano i
riflessi arancioni del fuoco acceso al centro
dell’accampamento dell’Allegra
Compagnia. Quel riverbero ricordava al principe le fiamme che avevano
divorato
numerose case del villaggio nel Quadling, il regno del Sud. Il fuoco
che aveva divorato
delle persone. Decine di uomini e donne, che erano morti gridando.
– Glinda è stata
da lei per cercare un accordo. Forse si è sentita provocata.
-
Zelena è folle. – rispose Robin, con sicurezza.
– Sta
perdendo completamente la ragione. Dobbiamo agire prima che faccia del
male
anche a mia figlia.
-
Credete che possa arrivare a far del male ad una bambina? –
domandò Fiyero.
Robin
strinse le labbra. Nessuno rispose.
In
quel momento, Ruby arrivò, correndo. – Dorothy non
c’è.
-
Come sarebbe... non c’è? –
esclamò Mulan.
-
La casa è vuota. Ha preso le armi, la pozione del sonno
e... se n’è andata. L’ho cercata nei
dintorni, ma non ci sono tracce! – Ruby
teneva in mano un pezzo di stoffa. Il ricamo a quadri era quello del
vestito di
Dorothy.
-
Non sarà andata da sola da Zelena! – disse Fiyero,
sbarrando gli occhi.
-
Sarebbe assurdo. Non ce la farà mai da sola! –
rispose
Mulan. – Era d’accordo con il nostro piano.
-
Evidentemente non lo era, tesorino. O qualcosa, nel
frattempo, è cambiato. – aggiunse Knubbin,
infilandosi fra due uomini. Il suo
corvo sbatté le ali, nervoso. - Mi auguro che abbiate un
piano di riserva.
-
Devo avvertire Glinda. – annunciò Fiyero.
-
Io raduno i miei uomini. – disse Robin. – Spero
solo che
non sia già troppo tardi.
Dopo
aver consegnato il messaggio di Glinda, il principe Fiyero ripercorse
la strada
che l’aveva condotto alla dimora di Dorothy, con il cuore
pesante e un vago
presentimento che gli animava la mente.
L’attacco
a sorpresa nel Quadling aveva sconvolto Glinda. Aveva sconvolto lei e
le sue
sorelle, Nessarose, la Strega dell’Est, e Locasta, la Strega
del Nord. Il
villaggio nel Quadling era ancora in fiamme. Erano morte decine di
persone,
uomini e donne, persino bambini, alcuni colti nel sonno dal fuoco e
altri
uccisi dagli uomini in armatura o dilaniati dalle scimmie volanti.
Tutti gli
abitanti avevano visto la Strega a cavallo della sua scopa, avevano
udito la
sua perfida risata, mentre l’esercito colpiva senza
pietà. Gli uomini erano
ricoperti da armature nere e portavano al collo una pietra verde
incastonata in
un ciondolo, molto simile a quella che Glinda aveva dato a Zelena molti
anni
prima.
Eppure
Fiyero aveva l’impressione che quell’attacco fosse
di una crudeltà inaudita.
Zelena era perfida, terrorizzava Oz, era potente e nessuno aveva il
coraggio di
affrontarla direttamente. Tuttavia una simile azione a lui pareva
insensata.
Aveva visto Zelena una sola volta e, nonostante la furia che aveva
riversato su
Glinda, sembrava si preoccupasse soprattutto della bambina che aveva
portato
con sé dall’altro mondo. Non aveva più
la pelle verde. I suoi capelli erano
come fiamme e gli occhi erano schegge di un azzurro tempestoso. La sua
era una
bellezza selvaggia, al contrario di quella più dolce e
rassicurante di Glinda.
“Ho
sbagliato e me ne pento, ma tu non puoi
continuare a terrorizzare questa gente. Hai una figlia, adesso. Devi
pensare a
lei.”
“Ed
è quello che intendo fare, se non mi
metterete i bastoni fra le ruote!”
E
che ne era di Dorothy? Davvero voleva affrontare la Strega Perfida da
sola?
Era
ancora in balia di quei pensieri quando udì la risata della
Strega e,
rapidamente, si mise al riparo, celandosi dietro ad un albero. Prese
una
freccia dalla propria faretra e fissò il cielo scuro, tra i
rami spogli.
Zelena
tagliò il firmamento e la grande luna piena volando sulla
sua scopa. Disegnò un
cerchio immaginario tra le stelle e rise di nuovo, per poi sparire
verso ovest,
dove risplendevano le luci verdi della Città di Smeraldo.
Fiyero
restò a guardarla, sconcertato.
La
Strega dell’Ovest poteva aver appena commesso una strage, ma
sembrava
divertirsi un mondo. Il principe aveva riconosciuto subito la sua
risata e, al
tempo stesso, l’aveva percepita in modo diverso. Non era la
risata di una
strega perfida. Era una risata giovane e persino spensierata. Gli
ricordò la
risata delle sue sorellastre, mentre giocavano nel giardino della loro
casa.
Lui imparava a tendere la corda di un arco e a fabbricare frecce, loro,
invece,
giocavano a rincorrersi, con i capelli al vento. Lui era guardato con
sospetto
per via della sua pelle nera, loro con ammirazione perché
erano belle ed erano
sempre sorridenti. Lui era isolato perché, anche se
riconosciuto dall’uomo che
aveva sposato sua madre, era figlio di un forestiero giunto da terre
molto
lontane e che poi era sparito nel nulla.
Fiyero
mise via la freccia e riprese il cammino, sempre scrutando il cielo.
____________________
Angolo
autrice:
Ciao
a tutti voi lettori ;)
Qualche
precisazione, giusto per capirci.
Fiyero
è un personaggio del musical “Wicked”.
Ma i ricordi di Fiyero sulle sue sorellastre
sono una mia invenzione.
Il
Quadling è il territorio di Glinda, quindi il Sud.
Nel
musical, Elphaba è interpretata da Idina Menzel, che canta
anche la canzone Defying Gravity,
citata all’inizio del
capitolo, appunto.