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Autore: Sophja99    16/10/2016    6 recensioni
Sono ormai passati milioni di anni dal Ragnarok, la terribile sciagura che ha provocato la morte di quasi tutti gli dei e le specie viventi e la distruzione del mondo, seguita dalla sua rinascita. Grazie all'unica coppia di superstiti, Lìf e Lìfprasil, la razza umana ha ripreso a popolare la nuova terra. L'umanità ha proseguito nella sua evoluzione e nelle sue scoperte senza l'intercessione dei pochi dei scampati alla catastrofe, da quando questi decisero di tagliare ogni contatto con gli umani e vivere pacificamente ad Asgard. Con il trascorrerere del tempo gli dei, il Ragnarok e tutto ciò ad essi collegato divennero leggenda e furono quasi dimenticati. Villaggi vennero costruiti, regni fondati e gli uomini continuarono il loro cammino nell'abbandono totale.
È in questo mondo ostile e feroce che cresce e lotta per la sopravvivenza Silye Dahl, abile e indipendente ladra. A diciassette anni ha già perso entrambi i genitori e la speranza di avere una vita meno dura e solitaria della sua. Eppure, basta un giorno e un brusco incontro per mettere in discussione ogni sua certezza e farle credere che forse il suo ruolo nel mondo non è solo quello di una semplice ladruncola.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo cinque

Gelo

 

Le ore passavano, mentre la neve creava strati sempre più alti man mano che il suolo attecchiva. Ormai la mano che teneva pogiata a terra era completamente sommersa e sapeva che, se avesse provato a muoverla, le dita avrebbero a stento risposto ai comandi. Nonostante indossasse dei guanti che lasciavano scoperte le dita, era certa che questi non sarebbero serviti a nulla.

Un forte tremore iniziò a scuoterla, partendo dal braccio, fino ad arrivarle in ogni parte del corpo. Anche il ragazzo era ricoperto di neve come lei, ma non lo vedeva tremare o stentare qualche tipo di insofferenza.

Come se non bastasse, il sole stava calando e un gelido e forte vento si alzò sferzando impetuosamente i loro corpi, man mano il pomeriggio inoltrato cedeva spazio alla sera. Venne travolta da brividi violenti, che cercò di trattenere e dissimulare con un'espressione indifferente e tenace. Non si sarebbe arresa. Avrebbe preferito morire di freddo ed essere sepolta sotto la neve che dargliela vinta.

Ora lo strato di neve era aumentato e le ricopriva tutto il polso, ma il giovane non sembrava minimamente affetto dal freddo, né preoccupato per le condizioni in cui lei versava, che andavano peggiorando di minuto in minuto. Silye cominciò ad abbassare la mano con il coltello, su cui si era depositata e andata a formare una montagnola di neve; sentiva che si era congelata e non riusciva più a tenerla sollevata.

Le forze la stavano gradualmente abbandonando ed era sempre più scossa da fremiti. Con la consapevolezza che non sarebbe riuscita a resistere ancora a lungo, arrivò anche una cieca rabbia verso il ragazzo; perché il gelo e la neve non sembravano sortire alcun effetto su di lui?

«Vidar» disse lui di punto in bianco.

«Cosa?» sussurrò lei, con voce roca.

«Il mio nome» ripeté «è Vidar.»

Come poteva uscirsene così in una tale situazione? La sua mente era attraversata da pensieri sconnessi e insensati, certamente causati dal freddo. Passava da un Ora lo ammazzo a un Come fa ad essere così bello anche quando sta congelando?, da un Quanto vorrei trovarmi davanti ad un bel fuoco, sotto un mucchio di coperte pesanti! ad un Morirò qui.

Cercò di rabbuiarsi e concentrarsi su ciò che era davvero importante: sopravvivere, ma era più forte di lei. I capelli, totalmente bagnati, erano ricoperti dalla neve che si era accumulata sulla sua testa.

Ma come aveva fatto a cacciarsi in quella faccenda? Era tutta colpa di quel Vidar. Doveva ucciderlo, farla finita una volta per tutte, ma, quando tentò di muovere le mani per stringerle intorno al collo del ragazzo, quelle rimasero dov'erano, immobili.

Era davvero finita. Sarebbe rimasta sepolta sotto cumuli di neve e nessuno avrebbe più trovato il corpo di Silye Dahl, nessuno avrebbe avuto l'occasione o il tempo di darle degna sepoltura. Ma, in fondo, a nessuno sarebbe importato della sua morte, perché nessuno la conosceva. Per la prima volta nella sua vita, ebbe paura. Paura di morire sola e dimenticata da tutti. Forse se lo meritava. Aveva scelto una vita di stenti e aveva tagliato ogni contatto con le persone. Se avesse scelto di vivere con sua zia Astrid, questo non sarebbe mai accaduto. L'unico pensiero che avrebbe avuto era di farsi bella per le feste del villaggio e riuscire a trovare un ragazzo da sposare e con cui mettere su famiglia. Avrebbe anche potuto trovare un lavoro, ma di certo non si sarebbe mai ritrovata nella medesima situazione in cui versava ora.

Improvvisamente il tremore che la scuoteva diminuì e le sembrò di essere attraversata da leggere scariche di calore. Forse era la sua mente che in punto di morte le giocava brutti scherzi. Eppure, ricordava che qualcuno una volta le aveva detto che chi stava per morire per assideramento sentiva caldo poco prima di perdere completamente la sensibilità di tutti gli arti del corpo, ma non ricordava chi. Questo era esattamente quello che stava accadendo a lei.

Strizzò le palpabre. Le sentiva pesanti; sicuramente si erano congelate anche quelle. Sapeva che doveva rimanere sveglia, che avrebbe dovuto combattere per rimanere attaccata alla vita, come sicuramente i suoi genitori avrebbero voluto, ma in quel momento sentiva troppo sonno. Era stanca di tutto. Voleva solo addormentarsi e lasciarsi cullare dai soffici fiocchi di neve che cadevano su di lei, ricoprendola. Stavano diventando incredibilmente familiari, quasi piacevoli, come una ninna nanna, di quelle che le madri cantavano ai bambini, ma che lei non aveva mai avuto l'opportunità di ascoltare.

Neanche si accorse di essersi accasciata a terra. Davanti a lei ora c'erano i rami degli alberi che ondeggiavano, ricoperti di bianco, e sopra quelli poteva scorgere le stelle. O erano fiocchi di neve? Non poteva saperlo. L'unica cosa di cui era certa era che tutto era meraviglioso, perfetto. La notte stava già iniziando a calare; non si era accorta di tutte le ore che avevano passato seduti in quel luogo, ma ora non le importava più. Voleva solo chiudere gli occhi. L'unico pensiero che riuscì a fare, mentre questi le si richiudevano lentamente, fu che era felice di morire lì, sotto il cielo stellato e la neve. Era molto più di quanto meritasse.

L'ultima cosa che vide fu il volto oscurato del giovane occupare tutto il suo campo visivo.

 

Era ancora nel bosco, ma stavolta era diverso. La neve era sparita e sembrava che l'inverno avesse lasciato spazio all'improvviso alla primavera. Gli alberi erano pieni di foglie e fiori di ogni colore, tanto che davano l'impressione che sarebbe caduti di lì a poco per tutto il carico che portavano. Sul bosco aleggiava un piacevole profumo che non riusciva bene a definire. Era certa che provenisse dai petali dei fiori, ma non era sicura di quali fossero poiché l'odore cambiava continuamente. Un attimo sapeva di rosa, quello dopo di lavanda, poi orchidea e vaniglia. Non riusciva a spiegarsi come facesse a conoscere quei fiori e a ricondurne gli odori, dato che non li aveva mai visti né sentiti in vita sua. I fiori riuscivano a crescere solo nel periodo primaverile, cioé quello più caldo dell'anno, ma solo per poco perché venivano subito scacciati dall'autunno e dall'avanzare del freddo, ma non ne aveva mai visti in una tale quantità. Il bosco le sembrava sconosciuto e irriconoscibile sotto quelle vesti, ma ricollegò subito quegli alberi così alti a quelli di Hoddmímir. Mosse qualche passo sull'erba fresca e si accorse, da come le strusciava sulle gambe, di stare indossando una veste bianca molto leggera. Era impensabile poter portare qualcosa di tanto sottile anche nelle giornate più calde nella foresta. C'era qualcosa di strano in quella situazione, ma non ebbe tempo di starci a rimurginare, perché sentì qualcosa di simile a un sussurro arrivarle alle orecchie. All'inizio non capì cosa fosse, ma dopo pochi attimi definì quello che una debole voce le stava ripetendo: Vieni. Non sapeva da dove provenisse, né chi fosse stato a parlare, ma i suoi piedi si azionarono senza che lei desse loro il comando. Il suo primo istinto fu quello di ribellarsi, ma poi si lasciò trasportare dalla voce dolce che continuava a invogliarla a seguirla. Non era un ordine, ma un invito. Man mano che avanzava, iniziò a riconoscere la strada che stava facendo e dove essa conduceva: al maestoso albero che sormontava l'intera foresta. Bastò qualche minuto ed esso apparì in tutta la sua imponenza e splendore. Ornato da fiori e germogli era ancora più bello di quanto ricordava che fosse. Con la sua vicinanza, la voce si fece più potente, ma rimase soave e gentile come prima. Era come se l'albero stesso la stesse chiamando. Appena gli si fu accostata, sul tronco apparvero delle linee verdi e gialle che sembravano trasportare liquidi su e giù attraverso il busto, mettendo in contatto le radici con i rami e le foglie. È la forza vitale dell'Yggdrasill disse la voce, nonostante lei non comprese cosa volesse dire quel nome. All'improvviso ai piedi dell'albero, poco distante dal punto in cui le sue grandi radici spuntavano e si rifiondavano nel terreno, il suolo si aprì lentamente, lasciando intravedere una grande buca buia. Affacciati sussurrò la voce. Lei fece come le disse e guardò all'interno. Come vi pose lo sguardo, la cavità si illuminò di una luce dorata e con stupore Silye si accorse che essa proveniva da un libro dalla fodera grigia. Questo si aprì da solo e le mostrò alcune pagine, senza darle la possibilità di vedere cosa vi era scritto. I fogli si fermarono di scatto e una parola brillò fra tutte le altre, in modo che lei potesse leggere perfettamente: Le völve.

Trovalo pronunciò la voce. Trova il libro e scoprirai il tuo passato.

 

Aprì gli occhi di scatto. Si ritrovò davanti il muso di Úlfur, che, come vide che si era svegliata, tirò subito fuori la lingua e iniziò a leccarla. «Basta!» disse, divertita dalle feste del cane e cercando allo stesso tempo di allontanarlo. Poiché Úlfur le aveva lasciato un po' di spazio, Silye poté guardarsi intorno e realizzare dove si trovasse. Vide davanti a sé un allegro fuoco scoppiettare in un camino. Era a casa, al sicuro nella sua familiare capanna. Tentò di alzarsi dal giaciglio su cui era solita dormire, ma il movimento venne ostacolato dai cinque strati di coperte che qualcuno aveva messo sopra di lei per riscaldarla. Stava quasi sudando per tutto il caldo accumulato. Tutt'altra condizione rispetto a quella con cui ricordava di avere perso i sensi. Era stata vicinissima alla morte, lo ricordava benissimo, ma qualcuno l'aveva salvata. Ma chi? Si ricordava di un giovane, Vidar, ma era impensabile che fosse stato lui, nonostante il suo viso fosse stata l'ultima cosa che avesse visto prima di svenire. Non riusciva a credere che quel tizio, lo stesso che l'aveva sfidata ad arrivare ai limiti delle sue capacità e l'aveva guardata con espressioni tanto boriose e sfrontate, l'avesse trasportata lì e trattata con una tale cura. Eppure, non riusciva a pensare a chi altro avrebbe potuto farlo.

Scansò le coperte pesanti e notò che indossava dei vestiti differenti e asciutti rispetto all'abito che si era totalmente inzuppato per la neve. Una semplice maglietta grigia a maniche lunghe e dei pantaloni marrone scuro. Chiunque l'aveva portata là, l'aveva anche cambiata. Involontariamente si ritrovò a pensare che questo lui doveva per forza di cose averla vista nuda. Si riscosse per evitare pensieri tanto imbarazzanti.

Dentro la stanza non c'era nessun altro oltre lei e Úlfur. Forse Vidar, o chi per lui, si era deciso ad andarsene e a lasciarla stare dopo quello che la aveva indotta a fare e a passare. Meglio così. Avrebbe cercato di dimenticare quello strano incontro e quei fatti e sarebbe tornata alla sua vita di sempre, come se non fosse mai accaduto nulla. Un brontolio la riportò alla realtà e si rese conto che proveniva dal suo stomaco. Da quanto tempo non mangiava? L'ultima volta era stata prima di andare a caccia e incontrare quel ragazzo, ma non poteva sapere quanto tempo le fosse servito per riprendersi dal freddo, asciugarsi e svegliarsi. Notò che la luce proveniente dalla piccola finestra a vetri della capanna era tenue. Si affacciò e vide che fuori infuriava una bufera di neve, ma nonostante questa si rese conto che doveva essere l'alba. Fece girare lo sguardo per la stanza e le ricadde in quello che stava cercando: la sua borsa, vicino alle coperte che erano rimaste stese a terra. La prese e la svuotò sul tavolo: vi trovò solo i corpi dei due uccelli. Il pugnale era stato poggiato sulla sedia, vicino alla faretra e l'arco. Chi l'aveva salvata, aveva pensato anche a riportare indietro tutta la sua roba. Si chiese se avrebbe avuto l'occasione di ringraziarlo per quello che aveva fatto, sempre che non si fosse tratto di Vidar. In quel caso l'unico modo con cui l'avrebbe ringraziato sarebbe stato con un bel pugno. Ora, però, l'importante era pulire e cuocere quella succulenta carne. Afferrò il coltello e si mise al lavoro: strappò le penne marroncine del tordo e gli tagliò la testa, asportando esofago e trachea. Quindi, praticò un'incisione poco sotto il petto dell'animale ed esportò tutte le viscere e gli organi principali, infilandovi un dito. Le prime volte in cui il padre le aveva permesso di tentare di ripulire le prede cacciate, aveva quasi vomitato. A forza di farlo, poi, ci prese l'abitudine e divenne un qualcosa di comunissimo, che le provocava sempre una sensazione di ribrezzo, ma che andava fatto comunque.

Lo infilzò in una grande stecca di legno che fissò sopra il camino. Ora non doveva fare altro che controllarlo perché non finisse per bruciarsi e girarlo quando vi era bisogno. Stava finendo di saldarla quando sentì la porta aprirsi, facendo entrare una gelida raffica di vento. D'istinto lanciò uno sguardo sul coltello macchiato del sangue del tordo e lasciato sul tavolo e con uno scatto lo afferrò per difendersi da eventuali ladri o maniaci. Rimase di stucco quando vide spuntarvi Vidar, con in mano un mucchio di rami e legna.

   
 
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