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Autore: sofismi    17/10/2016    2 recensioni
Sono un'artista, dipingo. Sono sola, sono arrabbiata, o almeno lo ero. Nel momento in cui ne avevo più bisogno è arrivata una persona e ha scombinato l'intero ecosistema, è un male o un bene? Non lo so, so che non dovevano andare così le cose, non a me. Non a me che sono così grigia, e rossa. Lo so che rischiavo di diventare nera, ma ne vale davvero la pena? È giusto soffrire così, adesso? Vorrei arrendermi al nero, perchè allora non ce la faccio? È come se fossi sott'acqua, ma non riesco a capire se sto risalendo in superficie, o se sto inesorabilmente scendendo verso il fondo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo terzo
Non avrei mai pensato di poter avere una reazione del genere così spontanea, ero sempre la prima ad allontanare gli altri, eppure quella mattina l’istinto mi disse di uscire e tentare di fermarlo.
- Resta!- urlai. Probabilmente non se l’aspettava nemmeno lui una reazione così, infondo lo avevo sempre trattato male, sin dal nostro primo incontro. Mentre mi portai le mani alla bocca lui si girò.
Sentii il terrore nei miei occhi: restammo immobili a fissarci, nessuno dei due ebbe il coraggio di muoversi, né tantomeno di dire qualcosa, il tempo si stava prendendo gioco di noi e più ne passava più aumentava l’imbarazzo. Appena arrivai al limite ripresi possesso del mio corpo e della mia mente e tornai dentro. Chiudendomi la porta alle spalle sospirai; perché avevo reagito in quel modo, che cosa mi stava succedendo?
Prevedibilmente bussarono alla porta, ma non aprii. Ero stanca di quella situazione, non mi riconoscevo nelle mie stesse azioni ed era una cosa che mi metteva a disagio. Non avrei permesso a nessuno di avvicinarsi, non gli avrei permesso di farmi del male. Non più.
- Mi dispiace!- sentii urlare dall’altra parte della porta. – Mi sono comportato male, lascia che ti spieghi.- la voce era più fioca.
Non sapevo che fare, probabilmente quel ragazzo aveva bisogno di aiuto, tanto quanto me. Se lui si era dimostrato così gentile e disposto ad aiutarmi perché non avrei dovuto restituirgli il favore? Ero in debito con lui, ma per sdebitarmi avrei per forza dovuto lasciarlo entrare: non solo nel mio studio ma nella mia vita, e io non ero ancora pronta.
- Ti prego, lasciami entrare.- nella sua voce c’era una nota amara di tristezza, era una voce grigia. Al che il mio cuore si sciolse e vidi la mia mano muoversi verso la maniglia senza che io forzassi il movimento. Appena la porta si socchiuse lo vidi lì, in piedi, con lo sguardo di chi era stato in ginocchio per troppo tempo. Mi spostai dall’entrata per farlo passare, e dopo un attimo di esitazione entrò. Ci sedemmo come le due volte precedenti, io sullo sgabello e lui sul divano:
- Non sono stato da nessuna parte in queste tre settimane, ma ero ovunque. Amici, principalmente. Ma mi capita di restare anche per strada, o nei bar, dormo dove capita a prescindere dall’orario. Non ho avuto il successo che meritavo; ho perso tutto.- sembrava una confessione, mista ad uno sfogo, uno di quegli sfoghi di cui hai bisogno quando sei al limite della sopportazione. Quando sei alla linea di confine.
Nonostante apprezzai molto il fatto che si fosse fidato di me a tal punto da raccontarmi, o avere anche solo l’idea di volermi raccontare, certe cose non seppi proprio cosa rispondergli. Alla fine non conosceva nemmeno il mio nome, e io non conoscevo il suo. Pensai che magari quello avrebbe potuto essere un buon inizio, in un momento imbarazzante come quello.
Non volli lasciar passare troppo, il silenzio se no ci avrebbe allontanati ulteriormente:
- Mi chiamo Helena.- dissi soltanto, freddamente.
Per la prima volta da quando ci eravamo seduti incrociò il suo sguardo con il mio, mi parve di scorgere un barlume di speranza il quegli occhi, ma speranza per cosa? Sorrise.
- Felix.- abbassò lo sguardo, ma non smise di sorridere.
- Bene, per oggi penso che il momento delle confessioni sia stato fin troppo intenso, che ne dici?- cercai goffamente di alleggerire l’atmosfera, ma non ottenni i risultati sperati, nonostante la situazione migliorò un poco.
- Aspetta, io conosco solo il tuo nome!-
- Sbagliato: conosci la mia arte, quindi mi conosci anche troppo. E poi sto per portarti a casa mia, Felix, non è abbastanza?- domandai.
- Come scusa?- era visibilmente sconcertato, e lo ero anche io nonostante non lo dessi a vedere. Era una cosa che andava contro ogni mio principio ma il mio intero organismo agì per volontà propria. Non so da dove quell’idea si fece strada nella mia mente, non so da dove partì, fatto sta che una decina di minuti dopo eravamo diretti verso il mio appartamento e l’ansia mi stava corrodendo la cassa toracica, dal lato del cuore.
Casa mia non era nulla di nobile, era disordinata, piena di disegni ovunque e libri, tantissimi libri. Di cui tra l’altro ero molto, molto gelosa. Pensai di doverli mettere tutti a posto una volta arrivati a casa, per paura che si rovinassero, ma non avrei avuto nessun posto dove spostarli e mi rassegnai.
- Non dovrai toccare nulla di quello che c’è in giro, ogni oggetto è esattamente dove deve essere.- mentii spudoratamente, era evidente che il caos regnasse sovrano ma io mi orientavo bene in quel disordine, non avrei mai immaginato il mio appartamento diversamente.
Lui stette zitto, si guardava intorno: i suoi occhi erano luminosi come non li avevo visti mai, e fui segretamente grata di quel complimento silenzioso.
- Sembra un posto magico.- bisbigliò lui. Io intanto stavo cercando dei vestiti e delle coperte da dargli per passare la notte, gli sistemai il divano in modo che ci fosse più spazio e gli porsi le due coperte pesanti che ero riuscita a ripescare nei meandri del mio armadio.
- Non sono troppe?- mi guardò ridendo.
- Non si sa mai.- Essendo io molto freddolosa pensai che avrebbe potuto avere freddo, evidentemente ero troppo previdente.
La serata trascorse tranquilla, i vestiti che gli avevo trovato gli stavano oltremodo larghi ma per ora avrebbe dovuto accontentarsi così. L’indomani sarei andata a comprargli qualcosa di decente da indossare per un colloquio di lavoro, o qualcosa del genere, in modo da aiutarlo a tirarsi su.
La notte invece fu molto più disturbata: avevo in mente l’immagine di lui sul mio divano, e mi sentivo entusiasta. Ero contenta che lui fosse lì, mi sentivo al sicuro con una figura maschile in casa, sentivo che niente di brutto poteva succedere. Ma sapevo anche che i miei incubi quella notte non avrebbero tenuto conto dell’ospite in salotto. Per cui presi delle precauzioni chiudendo la porta della camera e dell’anticamera, mettendoci sotto dei cuscini: in modo da chiudere lo spiraglio; in modo da riuscire a isolarmi; in modo da non fargli sentire le mie urla.
  
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