In
futuro, solo poche immagini sarebbero rimaste impresse nella sua mente
come il marchio su una bestia. Sempre le stesse avrebbero popolato i
suoi incubi, come
ricordi
lontani. Scalini di pietra, sporchi, logorati, imbanditi di fratture,
l’ansia opprimente che le
chiudeva la gola, soffocandola, provocandole un
potente conato di vomito. La penombra gelida, priva di pace, spezzata
da una
sola luce in un antro distante dalle scale.
Sotterraneo, questo aveva pensato
in un primo momento, ma con molta probabilità si
sbagliava e, volendo essere
sinceri, non si era soffermata a lungo a capire dove fosse,
piuttosto perché.
Forse era solo un altro piano dell’edificio, ricavato
così in profondità che nessun suono, anima o
respiro, sarebbe mai risalito.
Il
lettino già sistemato, al centro di quella camera infernale,
i macchinari
palpitanti che lo circondavano a pochi metri di distanza,
l’infermiera che
attendeva pacata, inespressiva, che si avvicinò non appena
vide gli ospiti, che
aiutava il giovane medico e il gigante a tenerla ferma, stenderla su
quel
lettino candido, rigido, spoglio, che li aiutava a bloccarle polsi,
caviglie e
spalle con cinghie di cuoio. E invano si dimenava, invano urlava,
provava a
liberarsi da una morsa disumana, implorava, invano.
Fin
da bambina la sua più grande paura erano stati i suoi sogni.
Su lenzuola
pulite, scoprì che c’era una paura ancor
più grande e lacrime acide di quella
paura le bruciavano il volto.
Alla
fine, pregò. Pregò qualsiasi dio esistente, se
qualcuno esisteva, di non
abbandonarla a quel destino, e a quella preghiera sussurrata con tutta
l’anima si
aggrappò, finché il dolore non la costrinse ad
abbandonare la presa,
squassandole il corpo intero.
Ancora
cosciente, non riuscì a ritrovare quella invocazione
disperata per avvinghiarcisi
nuovamente.
…
somministrare un
secondo trattamento... voltaggio più alto...
Oh,
quella voce. Quella stramaledettissima voce odiosa.
Se
un dio esisteva, non l’avrebbe salvata, no, avrebbe fatto
marcire lui
all’inferno per l’eternità, anche solo
per quella seconda scarica.
Ma,
di tutto ciò che accadde, in futuro, lei conservò
solo poche immagini.
Scalini
di pietra sporchi e rovinati, l’ansia talmente opprimente da
provocarle un
conato di vomito, l’immobilità, il dolore. Un
atroce dolore in tutto il corpo.
E
sì, si ritrovò a pensare molto tempo dopo,
l’odore di bruciato lo sentiva.
Quell’odore
avrebbe popolato i suoi peggiori incubi, quel dolore sarebbe stato la
sua paura
più grande.
-Perché non si
sveglia?-
-Si sveglierà-
-Ma perché non si è
ancora svegliata?-
-Si sveglierà,
vedrai-
Ma
questa, più che una rassicurazione, sembrava una speranza.
Infine,
la vista. Sollevò le palpebre, abituò gli occhi
alla luce tenue, inspirò, posò
lo sguardo sui due uomini che la scrutavano, in attesa, mise a fuoco e
urlò.
Arretrò
con uno scatto, raggomitolandosi contro la testiera del letto, le
braccia tese
in avanti a farsi scudo contro i due estranei.
-Chi
siete?- strillò, gli occhi sbarrati e il respiro rapido.
Quello
più giovane fece un passo verso di lei, chiamandola per nome
con dolcezza,
nonostante la voce roca.
-Come
conosci il mio nome? Do.. dove sono?-
L’altro,
più avanti negli anni e con qualche centimetro di girovita
più del necessario, sospirò,
abbandonandosi pesantemente contro lo schienale della sedia su cui
stava
seduto. –Ti
avevo avvisato che poteva
accadere-
Il
più giovane chiamò ancora il suo nome, ora
più allarmato, avanzando di un altro
passo.
Lei
scattò in piedi, liberandosi delle coperte e precipitandosi
alla porta, la
spalancò, corse scalza sul legno del pavimento,
arrivò all’ingresso, si
precipitò fuori. E si fermò.
Sbalordita,
fu tentata di sorridere. Quanto avrebbe amato una visione del genere,
se solo
avesse ricordato come ci era arrivata. La luce che filtrava tra
migliaia di
foglie verdi, appollaiate su rami sottili, accarezzate dal vento, la
terra che
le solleticava i piedi nudi, miglia e miglia colorate solo di arbusti e
fronde.
-Belle-
si voltò a quel sussurro, fissando lo sguardo in quello
colmo di apprensione
del giovane. –Cos’è
l’ultima cosa che
ricordi?-
-Ero
a casa.. mia madre.. lei aveva appena comprato uno specchio-
Maurice
annuì, sorridente. Osservandola, seduta con le gambe
incrociate e i capelli
disordinati, si chiese se fosse stato davvero un male ciò
che era accaduto.
Conosceva Belle da poco, ma nei suoi occhi c’era sempre stato
quel vortice
caotico di tristezza e ineluttabilità, mentre ora gli
sembrava così serena.
Adam
gli aveva raccontato del patto e della strega, dei sogni in cui si era
finto
Leon, del fratello che era tornato a prenderla e poi
quell’ultimo sogno, più
per il bisogno di rivelare tutto a qualcuno che per il desiderio di
metterlo al
corrente dell’intera vicenda, ma lui aveva ascoltato ogni
parola, pazientando
durante i silenzi, in attesa che riprendesse a parlare. E aveva inteso
più di
quello che Adam lasciava trapelare dalle parole: sperava con tutto il
cuore che
lei recuperasse la memoria, che si ricordasse di lui,
per questo lo aveva avvisato ripetutamente, mettendolo in
guardia sulla possibilità che lei non conservasse alcun
ricordo, com’era
accaduto a molti dei pazienti di Delacroix.
Le
era rimasto accanto, giorno e notte, vegliando su di lei, aveva donato
la sua
vita, riducendola a sette miseri giorni per poterla portare via da quel
posto,
aveva viaggiato per settimane in cerca di un aiuto, convinto che,
altrimenti,
lei sarebbe morta.
Teneva
a lei, più di quanto potesse un uomo e più di
quanto una bestia possa
dimostrare, ma, nonostante questo, lui sperava ciò che per
Belle era la cosa
migliore.
Nonostante
questo, sperava che Belle non recuperasse mai più i suoi
ricordi.
Adam
sarebbe diventato una bestia nel corpo e nella mente, ma Belle poteva
ancora
tenersi stretta la serenità che ora, solo ora da settimane,
scorgeva sul suo
viso.
-E
quell’uomo.. Adam.. mi ha salvata.. dopo avermi tenuta
prigioniera?- rise
appena, scuotendo il capo.
-Non
so se sia più assurdo quello che mi racconti o che io ti
stia a sentire-
Doveva,
però, sapere la verità. Non avrebbe ricordato
Adam, ma avrebbe ricordato il suo
gesto.
-Perché
mi ha salvata?-
-Perché
ti ama-
Belle
voltò il viso, seguendo con lo sguardo i movimenti di Adam,
nella stanza
accanto.
-E
io lo amavo?-
-Non
lo so, ragazzina, ma oramai importa davvero? Ora che il suo tempo sta
per
scadere?-
-Che
intendi?-
-Gli
restano solo due giorni. Tornerà ad essere una bestia e
questa volta sarà per
sempre-
Continuò
ad indugiare con lo sguardo sulla figura dell’uomo, senza in
realtà pensare a
nulla, semplicemente studiandone il volto, soffermandosi sui movimenti,
sui
gesti.
Le
aveva salvato la vita e non ricordava nulla di lui.
Una
bestia..
No,
neppure quegli occhi talmente carichi
di un sentimento che non riusciva a definire, neppure quelli
risvegliavano la
sua memoria.
Allora
perché il solo saperlo lì, il solo poterlo
vedere, poter essere sicura che lui
fosse a pochi metri da lei le donava una pace calda e rincuorante?
Si
voltò, incrociando un accenno di sorriso e tornò
a guardare davanti a sé.
-Per
avermi aiutata- continuò, sedendosi sul gradino del misero
portico di legno
antistante la casa.
Annuì
leggermente, senza posare gli occhi su di lei, che abbassò i
propri,
torturandosi le mani.
-Maurice..
– prese fiato –Maurice mi ha detto che sai dei miei
sogni-
Questa
volta sollevò lo sguardo, trovando il suo, agitato e
preoccupato.
-Te
l’ho detto io?-
Non
aspettò una risposta. –È
che.. non l’ho
mai detto a nessuno.. non l’avevo
mai
detto a nessuno e.. –
-Non
me l’hai detto-
Non
a me. L’hai detto
a Leon, non a me.
-Come?-
-L’ho
scoperto-
-E
non credi che io sia pazza?-
-No,
non lo credo-
Scrutò
attentamente i suoi occhi, cercandovi, forse, proprio quei ricordi che
lei non
poteva più trovare.
-Perché
mi hai aiutata, Adam?-
-Perché
non potevo fare altrimenti-
Tornò
a dirigere lo sguardo davanti a sé, senza aggiungere altro e
lei fece lo
stesso, lasciando che il silenzio si propagasse quieto per i minuti che
seguirono.
-Mi
dispiace- disse d’un tratto, attanagliata davvero da quel
sentimento.
-Per
cosa?-
-Perché
non mi ricordo di te-
-Leon!- chiamava a
gran voce, fin quasi a sgolarsi. –Leon!-
Ma l’uomo che aveva
davanti non aveva volto e lei disperava.
-Non riesco a
vederti- diceva, la voce rotta, ma l’uomo rimaneva immobile,
impassibile,
spento.
-Non riesco a
vederti- ripeté in un sussurro, cercando di riprendere il
fiato perso durante
la corsa. –Non
riesco a vederti-
E, ancora, correva,
con i muscoli urlanti, fitte dolorose al fianco, i polmoni brucianti, i
passi
rimbombanti nella testa, inspiegabilmente inseguita
dall’oscurità in una caccia
senza fine.
Si
alzò, cercandola nella modesta casa che avevano scelto come
rifugio temporaneo,
prima di uscire fuori. La trovò là, in piedi a
qualche metro di distanza dal
portico, sotto la fitta pioggia primaverile, il capo rivolto in alto e
le
braccia strette attorno al corpo, come riparo dal freddo della notte.
-Belle-
la chiamò piano, quando le fu vicino.
La
vestaglia da notte impregnata d’acqua le aderiva al corpo e i
riccioli scuri si
erano appesantiti sulle spalle e attorno al viso.
Abbassò
il capo e sbatté le palpebre più volte, cercando
di vedere oltre la pioggia.
Perché
era lì? Da quanto tempo se ne stava sotto l’acqua?
-Cosa
stai facendo?-
-Ho
fatto un sogno orribile- disse -Ti
cercavo, ma non riuscivo a vederti-
-Cercavi
me?-
Scosse
il capo, scrollando i capelli impregnati di pioggia.
–No, un uomo di nome Leon-
Adam
trattenne il fiato, irrigidendosi.
–Era
uno di quei sogni?-
Scosse
di nuovo la testa, abbattuta.
Represse
un singhiozzo e strinse ancora di più le braccia attorno al
corpo.
Adam
fece un altro passo verso di lei, osservandola corrucciato.
-Stai
piangendo?-
-No!-
disse subito, concitata, pulendosi con gesti frenetici le guance che
subito si
coprirono nuovamente di pioggia e lacrime.
Le
scostò le mani dal volto, cercando di capire il motivo del
suo stato d’animo,
nonostante lei evitasse il suo sguardo.
-Perché
piangi?-
-Perché
è una sensazione così brutta- sussurrò
così a bassa voce che quasi credette di
esserselo immaginato.
-Quale
sensazione?-
-Io..-
sollevò gli occhi e la mano sul suo volto. Esitò,
prima di poggiare le dita
sulla sua pelle, la fronte corrugata, seguì il profilo della
fronte, del naso,
delle guance, come già aveva fatto in sogno.
–La
tua voce.. io so di averla già sentita, i tuoi occhi mi sono
così familiari, ma
non riesco a ricordarmi di te.. è come sentire una canzone e
sapere di
conoscerla, ma non riuscire a ricordarne il titolo e io mi sforzo e
continuo a
pensare, a cercare di ricordare, ma.. è inutile-
-Una
bestia? Nel
senso di un animale?- aveva chiesto a Maurice, quel giorno.
-Nel senso di una
bestia senza ragione né anima- le aveva risposto lui.
Poche
ore. Avrebbe voluto che recuperasse la memoria, avrebbe voluto darle
tempo per
riacquistare i ricordi, aiutandola a ricordare, ma
non aveva tempo.
Poche
ore. Forse non avrebbe ricordato mai più e lui non aveva
abbastanza tempo.
Gli
serviva dannatamente, il tempo, e lui non ne aveva più.
Le
afferrò il polso. Fermò la sua mano.
Lui
sarebbe tornato ad essere una bestia e lei sarebbe tornata dalla sua
famiglia,
alla sua vita.
E
allora, forse, sarebbe stato meglio che non ricordasse nulla.
Fece
un passo indietro, lasciando la presa.
Aveva
la possibilità di cancellare tutto. Ogni errore, ogni parola
detta con rabbia,
ogni inganno, ogni segreto passato.
Guardò
quegli occhi spalancati, l’ espressione stupita.
Gli
era stata concessa un’ ulteriore possibilità. Per
salvarla.
Arretrò
ancora.
Per
salvarla da lui.
-Non
sforzarti più di ricordare-
E
la sua voce era dura, fredda.
-Ma..-
-Non
riesci a ricordare perché ti farebbe male-
Gli
faceva terribilmente male. Mollare la presa, pronunciare quelle parole,
lasciarla
andare. Di nuovo. Per sempre.
-Non
ricordi nulla perché hai sperato così
ardentemente di dimenticare tutto che,
appena ha potuto, la tua mente ha cancellato ogni cosa. Non ricordi
nulla
perché non erano altro che ricordi di un mostro che ti ha
fatto soffrire,
ricordi di giorni infernali, di una persona che ti ha strappato via
dalla tua
famiglia, che ha minacciato tuo fratello, che ha minacciato te, rinchiudendoti nelle segrete. Non
ricordi nulla perché non vuoi ricordare-
Era
questo il motivo, no? Dopotutto, per quale ragione avrebbe dovuto voler
recuperare tutti quei tristi ricordi?
Perché
non voleva ricordare?
-E
allora smettila di provarci, smetti di cercare di ricordare qualcosa,
qualsiasi
cosa e torna a casa-
Là,
forse, sarai
felice.
Ma
lei rimaneva immobile, continuava a scrutarlo, per nulla scossa dalle
sue
parole.
Ancora
una volta, si era dichiarato un mostro e, ancora una volta, lei non lo
scorgeva.
Tuttavia
ora, resa insicura dall’oblio nella sua mente, tentennava,
esitava, incerta su
cosa pensare, se credergli.
-Maurice..-
-Maurice
mente! Sei scappata via da me, prima di ritrovarti di nuovo qui, non te
ne
chiedi il motivo? Volevi fuggire, andare il più possibile
lontano da me-
-No,
io..-
Lei
cosa? Adam non sembrava un mostro, ma poteva esserne sicura? Nel suo
sogno
stava scappando.. che la sua memoria stesse riaffiorando e la stesse
mettendo
in guardia da lui?
Ma
allora perché la voleva allontanare? Perché
appariva così abbattuto, così
sconfitto?
Sospirò,
abbassando il capo e massaggiandosi la fronte.
-Torna
a dormire, Belle, ma dammi retta, appena ne hai l’ occasione,
torna a casa-
Ma
lei restava immobile, continuava a guardarlo, continuava a non
credergli.
E
pensare che le aveva detto solo la verità nuda e cruda.
Ma
lui non aveva tempo.
-Vattene!-
urlò.
Lei
sobbalzò, spalancando gli occhi.
E
lei poteva ancora tornare al punto di partenza, come se nulla fosse mai
successo.
-Vattene!-
urlò ancora.
E
lei scappò in casa.
Tra
poche ore, d’altronde, neanche lui avrebbe più
ricordato nulla di lei.
Angolo
autrice: *evita disinvoltamente di far notare il laaargo
ritardo con cui
ormai aggiorna
e afferma*: una svolta inaspettata. Aggiungo un'unica cosa: E
ora?
Un grazie di cuore a tutti i carissimi lettori che seguono la storia di
Belle.