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Autore: Dilo_Dile2000    20/10/2016    3 recensioni
Cosa spinge una giovane a fuggire dalla propria famiglia e da coloro che ama? Perché vuole spingersi fino a Gondor quando potrebbe salpare per Aman ed evitare il più grande conflitto della Terra di Mezzo? Questa è la storia di Melyanna, del suo passato, dei suoi dolori e di ciò che l'ha trasformata da ragazza a guerriera. Per questa storia seguirò principalmente il libro, tranne in alcune parti che sarà indispensabile trarre qualcosa dal film.
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DAL XXII CAPITOLO:
"-Se la guerra terminerà in favore del bene, allora vi rincontrerete sulle bianche spiagge del Reame Beato. Ma se la missione fallisse e tu dovessi trovare la morte...- Un brivido mi corre lungo la schiena -Qualsiasi siano i sentimenti che prova per te, forse solo al di là del mare potrebbe trovare requie alle sue pene.-"
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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SILENZIO
 

Lascio cadere gli stivali fangosi e la casacca sporca sul tappeto, appoggio le armi sulla scrivania e mi getto sul letto; affondo il viso in uno dei tanti cuscini appoggiati contro la testata, inspirando a fondo il profumo ancora fresco del sapone. Sciolgo con lentezza le trecce, passando ogni tanto le dita sulla cicatrice, e snodo i lacci della blusa intrisa di sangue e sudore.

Tre settimane di caccia sono state estenuanti: interi giorni di marcia, lotte continue contro Orchi in fuga, nidi di ragni da distruggere e solo poche ore di riposo. Il Capitano ha saputo gestire al meglio tutte le truppe, ma l'efficienza della missione è dovuta in gran parte all'esperienza dei guerrieri che vi hanno partecipato: il re ha infatti deciso di congedare per qualche tempo i soldati più giovani, in modo che possano riprendersi dal trauma della battaglia. È stato un errore farli combattere alle pendici di Erebor, un errore imprevedibile e inevitabile: nessuno si aspettava uno scontro armato così violento quel giorno, e mio padre, con il consiglio del Capitano delle Guardie, ha deciso di farsi scortare dai combattenti da poco usciti dall'addestramento in modo che imparassero a gestire una situazione di tensione. Purtroppo niente è andato come previsto e, nonostante i rinforzi giunti dal bosco, molti Elfi, poco più che ragazzi, hanno perso la vita, e il cuore di mio padre è diventato ancora più cupo.

Chiudo gli occhi e sospiro, ormai abbandonato all'idea di dormire con indosso i vestiti e senza fare il bagno, e quasi subito il piacevole tepore del sonno mi avvolge; ma, prima di assopirmi, sento bussare, anche se i colpi sul legno sono quasi impercettibili. Mi alzo, trattenendo a stento un'imprecazione, e cammino barcollando verso l'ingresso.

-Lingwe.- Esclamo stupito aprendo la porta: la giovane e minuta guaritrice alza il viso per guardarmi: il suo volto delicato e i capelli scuri sono appena illuminati da un cerino che porta in mano.

-Perdonatemi, mio principe.- Si scusa evitando i miei occhi. -Non volevo disturbarvi mentre stavate...- Il suo sguardo si sposta sul mio petto scoperto e arrossisce vistosamente.

-Non preoccuparti, non stavo per fare il bagno.- Rispondo sbadigliando e affrettandomi a richiudere la blusa. -Cosa posso fare per te?-

-Come sapete io e Melyanna ci stiamo prendendo cura di Aglar. Si sta riprendendo in fretta, ma raramente lei è uscita dall'infermeria da quando siete partito. Ha mangiato e dormito quel tanto che le è bastato per continuare a lavorare. Non sapevo che fare, ho pensato di dirvelo...- Sospiro appoggiandomi allo stipite della porta.

-Hai fatto bene.- Concludo ricomponendomi. -Portami da lei.- La giovane annuisce e mi precede lungo il corridoio: cammina velocemente e quasi faccio fatica a starle dietro con i miei passi lenti e stanchi.

Prima di entrare nell'infermeria, si volta verso di me e posa l'indice sulle labbra, in segno di silenzio; la grande stanza è fiocamente rischiarata dai candelabri appesi al muro; quasi tutti i letti sono occupati dai feriti della battaglia, alcuni appena visibili sotto le coperte, altri che si lamentano nel sonno.

Lingwe mi indica un giaciglio in fondo alla camerata che, dai capelli rossi sparsi sul cuscino, riconosco come quello di Aglar. Ci avviciniamo in silenzio e noto, di fianco a lui, una figura rannicchiata su una sedia e con la testa appoggiata sulle ginocchia: Melyanna. Gli occhi sono chiusi, le lunghe ciglia chiare lasciano sottili ombre sulle guance e la debole luce fa brillare le sue labbra, ma le sopracciglia sono contratte, gli angoli della bocca abbassati e il respiro troppo veloce.

-Come sta Aglar?- Le domando guardando il giovane dormire: il lenzuolo è stato spinto in fondo al materasso e le braccia stringono il cuscino. Sopra un piccolo tavolino, qualcuno ha lasciato un mazzetto di fiori di bosco e qualche animaletto di pezza.

-Ha fatto grandi progressi da quando siete partito: riesce quasi a sedersi e parla anche troppo per lo stato in cui si trova. È un ragazzo speciale.- La sua bocca s'incurva appena nell'ultima frase. Nei suoi gesti c'è qualcosa di più della semplice professionalità, lo vedo dal modo in cui gli rimbocca le coperte, dalle sue dita che sfiorano il suo viso, che indugiano tra i suoi capelli.

Sì, è un ragazzo davvero speciale e dovrei essere solo contento se Melyanna lo scegliesse come compagno di vita, eppure... Stringo inconsciamente una mano sulla sua spalla; lei si sveglia di scatto e si guarda intorno, senza però accorgersi di me.

-Lingwe... Perdonami non dovevo addormentarmi.- La sua voce è rotta da pesanti sospiri.

-Non preoccuparti.- La rassicura con un sorriso. -Hai fatto un ottimo lavoro, ti meriti un po' di riposo. Legolas è passato a prenderti.- Si volta verso di me e, anche se al buio non riesco a decifrare il suo sguardo, percepisco una profonda angoscia.

-Ti accompagno nella tua stanza.- Le dico aiutandola a rialzarsi. Non risponde, non annuisce, ma si limita solo a seguirmi fuori dall'infermeria. Alla luce più intensa del corridoio noto sul suo viso quei particolari che mi erano sfuggiti: le ombre scure sotto gli occhi arrossati, la pelle pallida e i capelli poco curati.

-Melyanna... Hai bisogno di mangiare?- Le domando e prendo il suo silenzio come una risposta affermativa. Camminiamo lentamente verso le cucine, i miei passi irregolari, i suoi leggerissimi. Avvicina timidamente una mano alla mia, i dorsi si sfregano impercettibilmente, le dita fredde accarezzano le mie nocche arrossate, prima di stringerle tra le sue. Un contatto leggero a cui mi ero abituato, ma che, adesso, basta a imporporarmi le guance e a farmi tremare le gambe.


 

Melyanna è seduta sul grande tavolo di legno e mi osserva mentre imburro una fetta di pane per poi ricoprirla con la marmellata; appena gliela porgo, l'afferra e comincia a mangiarla con gusto biascicando un grazie nella mia direzione. Mi sistemo accanto a lei, aspettando che finisca.

-Va meglio?- Le domando dopo che ha ingoiato l'ultimo boccone. Annuisce ma non aggiunge altro, fissando lo sguardo sul pavimento. È difficile interpretare i suoi silenzi, talvolta neanche a me è concesso di entrare nei suoi pensieri. Da piccola, quando ancora non conosceva il dolore, si confidava sempre con me anche per le cose all'apparenza meno importanti; ora invece il suo cuore è diventato uno scrigno chiuso e solo pochi possono aprirlo.

-Melyanna?- Mi fissa con i suoi grandi occhi blu, gli stessi occhi che, tanto tempo fa, mi supplicavano di restare insieme a lei. Socchiude appena la bocca e si morde un labbro arrossito dalla marmellata prima di parlare.

-Legolas io...- L'attesa mi sta straziando, il cuore sembra voler esplodere nel vederla così, dolce e impaurita allo stesso tempo. -Voglio tornare a casa, Legolas, a casa mia.-

Il silenzio cala su tutta la cucina, si sente solamente il suo respiro e il battito del mio cuore. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, ma non pensavo che sarebbe stato adesso. Bosco Atro è stata la casa di suo padre, non la sua: lei ama le limpide cascate e il profumo dei fiori, il fruscio delle foglie giovani sugli alberi, la luce delle stelle. Ha imparato a sopportare l'ombra opprimente di questi alberi, a soffocare il dolore con la vita impegnativa del guerriero, ma adesso c'è qualcosa di troppo forte per poter essere ignorato.

-Continuo a vedere la sofferenza di chi ha perso un caro, il tormento dei feriti.- Riprende parlando con voce bassa. -Non passa ora che non ripensi a quel giorno, a quel maledettissimo giorno... Tutta quella morte...- Ammutolisce e i suoi occhi sembrano vuoti; le sue dita percorrono ripetutamente la cicatrice sulla gamba, ormai rimarginata, sotto la stoffa sottile della veste, la ferita che io stesso ho curato.

-Ho bisogno di stare in pace, lontana da tutto questo.- Riprende alzando lentamente lo sguardo su di me. Si aspetta che io parli, ma non posso far altro che osservarla impotente: non posso far niente stavolta, niente di fronte alle sue paure.

-Se ne sei sicura...- Annuisce e cerca di nuovo le mie mani; le stringe debolmente e percepisco le stesse sensazioni di poco fa. -Parleremo con mio padre e farò in modo che tu stia meglio.-

Usciamo dalla cucina e ci dirigiamo verso la sua camera. Sono tentato di stringerla forte a me, di non lasciarla andar via. Dopo tutti questi anni, sembrava quasi che fosse sempre vissuta qui: se non fosse stato per il suo aspetto e il leggero accento nel parlare sarebbe potuta passare per una vera Silvana, e il suo passo deciso e delicato, la sua voce soave mentre cantava, i suoi timidi sorrisi, sono diventati piccoli gesti entrati nella mia quotidianità.

Il legame tra le nostre anime si è rafforzato, il nostro rapporto è diventato ancor più profondo, quasi da non poter essere definito a parole, e per questo la sua partenza sarà ancora più dolorosa. Una profonda tristezza attanaglia il mio cuore, il mio cuore incerto e addolorato.

Entra nella sua stanza e, prima di chiudere la porta, posa un debole bacio sulla mia guancia: mi ritrovo ad accarezzare con le dita il punto in cui le sue labbra si sono posate sulla mia pelle, a cercare di imprimere quella sensazione nella mente. Mi ritrovo a piangere al pensiero che, tra poco tempo, non potrò più averla accanto a me.


 

*

 

La porta cigola leggermente e una giovane ragazza entra nella stanza reggendo tra le mani una scatola di legno.

-Chi sei?- Lei indietreggia, impaurita dal tono aggressivo della mia voce.

-Sire Aragorn mi ha detto che avete bisogno di cure...-

-Non ho bisogno di niente!- La piccola cassa cade dalle sue mani e lei abbassa lo sguardo. La porta si apre di nuovo, stavolta in modo più irruente, e Aragorn prorompe nella stanza; sposta il suo sguardo austero prima su di me e poi, addolcendolo, guarda la giovane intimorita. Si abbassa e, dopo averle ridato la cassetta, la accompagna fuori.

-Si può sapere cosa ti è preso?- Esclama sbattendo la porta. -Sei ferito e hai bisogno di cure, perché non accetti alcun aiuto?- Non rispondo, ma torno concentrarmi sul debole fuoco che brucia nel camino.

Si avvicina a me, non abbastanza per vedermi in viso. -Lascia allora che sia io a curarti se non ti fidi di qualcun altro. Le tue ferite si stanno infettando.- Continua con tono più pacato. Allunga una mano verso il mio petto, sfregiato da una lunga ferita non molto profonda ma che sta assumendo un brutto aspetto; allontano bruscamente il suo braccio da me, voltandomi di schiena.

-Legolas!- Esclama al limite della sopportazione. -Ti stai comportando come un bambino.-

-Non merito...- Sussurro alzando la testa. -Non merito tutta questa premura, dopo quello che le ho fatto.- Davanti ai miei occhi appare di nuovo Melyanna che, con una mano premuta sulla guancia già contusa, mi fissa con le lacrime agli occhi.

-No, non te lo meriti se rifiuti così l'aiuto di chi potrebbe occuparsi di altri feriti invece di un Elfo caparbio come te.- Esclama uscendo con passi pesanti.

Il silenzio cala di nuovo dalla stanza, disturbato appena degli scricchiolii del legno al fuoco e dai rumori provenienti dal piano di sotto. Troppo silenzio, troppo vuoto in me. Il silenzio entra nel mio corpo, mi riempe le orecchie, il petto, il cuore, m'impedisce di respirare. Il silenzio fa riaffiorare i ricordi, straziandomi l'anima, strappandomi lacrime amare. Il silenzio, compagno del dolore, che penetra nella mia carne, che sferza la mia pelle fredda e sporca, che fa tremare le mie mani.

Ho sempre avuto paura del silenzio, la soffocante assenza di rumore mi ha terrorizzato fin da bambino: c'era silenzio quando attendevo il ritorno dei miei genitori dagli scontri, c'era silenzio quando mi portarono da mi padre dopo la morte di mia madre, c'era silenzio quando il dolore s'impadroniva di me. I silenzi delle persone, poi, sono più sconvolgenti della loro rabbia, più potenti delle parole. Gli occhi di Melyanna velati di lacrime, le sue labbra chiuse, hanno sempre avuto i potere di disarmarmi tanta era la disperazione che troppe volte si è tenuta dentro. Gli stessi occhi, che un tempo mi cercavano e sorridevano nel vedermi, ora mi evitano e, quando non lo fanno, mi lanciano sguardi ostili e delusi.

Sfioro con le dita le ferite ancora sanguinanti creando una leggerissima scia rossa tra il petto e la coscia: un tempo sarebbe stata lei a curarmi, ma non desso. Perché dovrebbe aver premura di chi le ha fatto del male?

La porta si apre di nuovo: riconosco i passi stanchi e decisi di Aragorn ed altri ben più leggeri, quasi impercettibili... Mi volto e vedo, oltre la figura possente dell'Uomo, una più piccola ma non meno forte: Melyanna tiene tra le mani la stessa scatola che portava la ragazza, la treccia scomposta adagiata sulla spalla, la blusa e i pantaloni sporchi di sangue e fango, i grandi occhi puntati a terra neanche mi sfiorano.

-Non mi hai lasciato altra scelta.- Prorompe Aragorn avvicinandola a me. -Almeno smetterai di fare il bambino.- Le da una pacca sulla spalla e se ne va, lasciandoci soli. Di nuovo il silenzio ci avvolge isolando i nostri pensieri. Abbasso gli occhi, evitando di guardarla: il livido che le ricopre la guancia destra mi raggela il cuore. Rimane per qualche attimo immobile, poi appoggia la scatola sul tavolo e la apre, estraendo gli strumenti necessari e ordinandoli davanti a lei.

-Dovresti toglierti i pantaloni.- Dice all'improvviso senza staccare gli occhi dal suo lavoro.

-Come?- Mi giro verso di lei, riscosso dai miei pensieri: il cuore batte più forte, forse per la richiesta che mi ha appena fatto o forse per averle rivolto di nuovo la parola.

-I pantaloni.- Riprende, lanciandomi uno sguardo fugace. -Dovresti toglierti i pantaloni, non posso curarti la ferita sulla coscia se li hai addosso.- La sua voce sembra calma ma il tono basso e l'impercettibile tremore delle labbra mi suggeriscono il contrario.

Annuisco e, mentre lei immerge alcune bende in una soluzione di acqua e sale, mi slaccio i pantaloni: li sfilo con lentezza, il sangue sulla stoffa sporca le mie gambe. La ferita, ora più visibile, si rivela più grave di quanto non pensassi: nonostante quella sul petto sembri poco preoccupante, questa è più profonda e la pelle intorno ad essa presenta strane sfumature blu. Lascio cadere l'indumento vicino alla sedia, dove già avevo gettato la camicia, e torno a sedermi: stringo le ginocchia con le mani, gli arti sono più magri e le ossa più sporgenti da quando sono partito. Melyanna non mi guarda, continua a lavorare all'apparenza indisturbata, ma le mie guance avvampano e tutto il mio corpo trema; non dovrei avere vergogna di rimanere nudo davanti ad un guaritore, ma lei...

-Brucerà un po', ma è necessario.- Si inginocchia davanti a me portando le garze bagnate: appena le posa sulle ferite la carne esposta sembra prendere fuoco. Trattengo a stento un grido mordendomi il labbro e chiudo gli occhi, aspettando che il bruciore passi, ma aumenta ad ogni secondo e, inconsciamente, le stringo una mano sulla spalla. Si ferma all'improvviso, un brivido le percorre la schiena fermandosi contro il mio palmo, i suoi occhi, per qualche attimo, si alzano sul mio viso; la fisso per momenti interminabili, osservo ogni singola sfumatura più chiara dell'iride, le lentiggini appena accennate sulle guance, le ciglia ancora umide di lacrime.

Non mi accorgo del tempo che passa, il dolore sembra quasi una debole ombra; le dita di Melyanna, appena ruvide sotto i polpastrelli, sfiorano con delicatezza la mia pelle provocando qualche lieve tremito, le sue mani calde premono leggermente sul mio petto, sulla coscia. Mi perdo in lei, nei suoi gesti gentili, nelle sue labbra socchiuse, e tutto sembra tornare indietro, quando nessun livido le deturpava il volto e solo le carezze lambivano le sue guance.

Torno alla realtà solo quando il suo calore mi abbandona: le ferite sono state disinfettate, cucite e fasciate con bende candide e lei è sul punto di alzarsi. Allungo una mano e la poso sul suo viso, dove l'ho colpita, muovendo appena le dita lungo la tempia e la bocca; abbassa lo sguardo e sospira appena, chiudendo gli occhi, sembra quasi che si spinga contro di me. La vista si appanna, sorrido appena, ma lei scuote la testa e si allontana, lasciandomi con il braccio teso e le lacrime a sostituire il sorriso. La guardo mentre mi riconsegna i vestiti, mentre risistema gli attrezzi nella scatola, mentre apre la porta.

-Melyanna.- Dolce è il suo nome sulle mie labbra bagnate di pianto. Si volta lentamente verso di me rivolgendomi un ultimo struggente sguardo prima di andarsene.

Di nuovo silenzio.


 

***



 

ANGOLO DELL'AUTRICE:
Questa volta sono riuscita a pubblicare in un tempo decente, ma questo capitolo mi ispirava particolarmente ed era da un po' di tempo che non vedevo l'ora di scriverlo. Come nel precedente, la storia è ancora ferma al Fosso di Helm perché ho voluto dare spazio alle emozioni di Melyanna e di Legolas; spero che i capitoli più riflessivi siano comunque graditi.
Appare però la famigerata Lingwe, l'amata di Aglar: per adesso, si sa che è una giovane nobile ma anche un'abile guaritrice, più precisamente quella che si è presa cura di Aglar insieme a Melyanna. Ricambierà l'amore dell'elfo dai capelli rossi?
E poi di nuovo la parte riflessiva e sentimentale, con Legolas torturato dal rimorso e Melyanna che, nonostante tutto, non riesce a stargli lontana.
Ci possono essere alcuni errori a livello di trama, come gli elfi, coetanei di Aglar e Melyanna che ho considerati appena usciti dall'addestramento: qualche capitolo fa avevo commesso un errore riguardo alla loro età, aumentanto di molto gli anni della maggiore età.

Ringrazio elenaricci13 per aver recensito il capitolo precedente e, infine, dedico questo capitolo alla mia carissima amica Antimony, che mi sprona a scrivere e che mi sostiene sempre.

Al prossimo capitolo

Diletta

   
 
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