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Autore: Il_Signore_Oscuro    21/10/2016    2 recensioni
Ragnar'ok Wintersworth un giorno sarà l'Eroe di Kvatch, colui che salverà Tamriel dalla minaccia di Mehrunes Dagon, principe daedrico della distruzione, con il fondamentale aiuto di Martin Septim ultimo membro della dinastia del Sangue di Drago. Ma cosa c'è stato prima della storia che tutti noi conosciamo? Chi era Ragnar prima di essere un Eroe? Lasciate che ve lo mostri.
[PAPALE PAPALE: questa storia tratterà delle vicende di Ragnar. Non sarò fedelissimo al gioco ma ne manterrò le linee generali, anche se alcuni avvenimenti saranno cambiati o spostati nel tempo. Non ho altro da dirvi, se non augurarvi una buona lettura!]
BETA READER: ARWYN SHONE.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eroe di Kvatch, Jauffre, Sorpresa, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Chapter six – Autumn leaves.

Seduto di fronte al focolare, curai una ferita sul braccio. Il tocco della magia, sulla pelle irritata, mi diede una certa sensazione di sollievo; vidi i lembi di carne richiudersi lentamente, finché della ferita non rimase che una macchia di sangue, poi pulita con uno straccio che mi portavo appresso.
Avevo attraversato buona parte delle Rovine di Woland, facendomi largo fra i piccoli branchi di furfanti che occupavano quel luogo: i furfanti erano creature di bassa statura, perfide, maleodoranti, con la pelle aderente alle ossa. Una minaccia di poco conto, non fosse stato per gli incantesimi del fuoco che sapevano usare con una certa maestria, per mia fortuna avevo scoperto che lo scudo regalatomi da Vitellus era infuso di una magia capace di riflettere gli incantesimi e questo mi aveva già salvato da un paio di brutte scottature. Forte di quella protezione, Durendal fu libera di squarciare le carni di quegli esseri disgustosi, fra sangue e grugniti sofferenti.
I furfanti, però, non costituivano l’unica minaccia di quelle rovine, gli Ayleid che le avevano costruite, nel corso della prima era, le avevano disseminate di un gran numero di trappole. Woland era un intricato susseguirsi di sale e corridoi, dove si affollavano dardi da muro, pannelli in pietra che si alzavano o sprofondavano verso fitte schiere di spuntoni acuminati, comignoli da cui fuoriusciva gas velenoso e altro ancora. Insomma, mi ero dovuto muovere con la massima cautela, soprattutto nei punti più bui, dove la luce dei cristalli, che in genere illuminavano le rovine, non era presente.
Nel mio discendere attraverso le profondità di Woland, non avevo ancora trovato traccia della Pietra del Sigillo, ma in compenso avevo fatto la conoscenza di un avventuriero, coperto dalla testa ai piedi da un’armatura dwemer, intento a riprendere le forze al calore di un piccolo falò di fortuna. I bagliori del fuoco risaltavano sul metallo dorato delle sue armi, creando giochi di luce e ombra di grande effetto e suggestione. Essendo ormai a una decina di metri sottoterra, faceva molto freddo laggiù, e per questo, quando l’avventuriero mi propose di condividere il focolare e il pasto che si accingeva a preparare, accettai di buon grado l’offerta.
Per le consuetudini dell’ospitalità, si tolse l’elmo oblungo che gli copriva interamente il viso, rivelando un volto dal colore verdastro con due piccoli occhi ambrati. Era un orco, o orsimer, non c’erano dubbi (avrei dovuto capirlo già dalla massiccia corporatura, tipica della sua razza).
-Cosa ti porta da queste parti, ragazzo? – Mi chiese, con la voce cavernosa che riecheggiava nella grande sala dove eravamo.
-Sono qui per recuperare un oggetto nascosto in queste rovine, – ammisi, mentre spezzettavo della carne secca nella zuppa, per insaporirla – ma finora non ho avuto fortuna.
-Uhm, forse ho visto l’oggetto che stai cercando. È forse una sfera? Una sfera nera, dello stesso colore della notte?
-Sì, è quella! – Dissi, entusiasta.
-Allora dovrai spingerti più in profondità, oltre il ponte spezzato, ma sappi che la strada è irta di ostacoli.
-Altre trappole?
-Trappole e non solo. – Disse l’orco, sorridendo. – Una creatura custodisce quell’oggetto e stai pure sicuro, amico mio, che lo proteggerà con la sua stessa vita. – Mentre parlava si sfilò lo spallaccio, mostrando un brutto livido impresso sulla pelle verdastra. – Questo è un suo lascito, sono stato costretto a fuggire per aver salva la vita … che disonore. – Abbassò lo sguardo, fissando il fuoco.
-Di che genere di creatura si tratta? – Chiesi, provando inutilmente a immaginare cosa potesse spingere un orco di quella stazza a fuggire con la coda fra le gambe.
-Invero, non ne ho mai viste di simili: la sua pelle ha il colore del fumo e del fuoco, i suoi occhi brillano come braci, sul capo ha due corna puntute e il suo corpo è avvolto da un’armatura che pare fatta di carboni ardenti, così la sua mazza.
Quella descrizione corrispondeva a … no, era impossibile. Quelle creature non erano di questo mondo e potevano restarci solo per poco tempo, se evocate da un mago di un certo livello. L’essere che l’orco aveva descritto corrispondeva a un Dremora, un servo di Mehrunes Dagon, il più terribile fra i signori daedrici: il principe della distruzione.
-Sei davvero sicuro di non esserti sbagliato?! – Gli chiesi, preoccupato.
-Questi occhi non mi hanno mai mentito, giovane nord. – Rispose l’orco, un po’ risentito.
Ci ragionai su’: la presenza di un manufatto proveniente dall’Oblivion, forse poteva spiegare anche la presenza di un Dremora all’interno delle rovine. In ogni caso dovevo recuperare la pietra del sigillo e, per farlo, avrei dovuto sconfiggere quella creatura di cui non avevo che vaghe informazioni. Dovevo giocare d’anticipo, saperne il più possibile.
-La creatura che hai affrontato si chiama Dremora, proviene dall’Oblivion.
-Dall’Oblivion?! Non è possibile! I fuoch-
-Sì, sì, i fuochi del Drago non lo permetterebbero, ma se queste rovine sono molto antiche, è possibile che quel Dremora sia qui da prima che i fuochi fossero accesi, infondo sono creature immortali.
-Malacath ci protegga!
-Ascolta, ho davvero bisogno che tu mi dia qualche informazione su come quest’essere si muove, come combatte e cose così, se usa incantesimi e di che tipo.
Il panico iniziale dell’orco scemò poco a poco e, quando fu nuovamente padrone di sé, mi spiegò
-Da quanto ho potuto notare è dotato di una grande forza fisica, ma non si allontana mai troppo dalla sfera che custodisce.
“Quindi ha scarsa mobilità” pensai, continuando ad ascoltare.
-Non l’ho visto utilizzare incantesimi, combatte più che altro con una mazza, non preoccupandosi di utilizzare alcun tipo di scudo.
-Non indossa un elmo?
-No, combatte a viso scoperto.-
“Bene, questo è un particolare interessante”. Pensai, posando la mano sull’elsa di Durendal.
-ma il resto del suo corpo è protetto dall’armatura, come ti ho già detto. La mia ascia è riuscita appena a scalfirla, prima di finire in pezzi.
-Ti ringrazio, con le informazioni che mi hai dato forse riuscirò a sconfiggere quel Dremora, ti sono debitore. – Dissi, mentre mi rimettevo in piedi, pronto per proseguire.
-Aspetta, ragazzo. – Si alzò anche lui, con una certa fatica per via delle ferite. – Questa è una cosa mai sentita: un umano scende in battaglia quando un orco non osa farlo? Sarei lo zimbello di tutta Orsinium, verrò con te!
-Ma sei ferito e-
-Non m’importa, è solo qualche graffio. Fai strada tu, io ti sto dietro.
Quell’orco era ostinato e anche se mi fu impossibile convincerlo ad aspettare lì dov’era, lo costrinsi quanto meno a lasciare che lo curassi con la magia.

Il viaggio nelle profondità di Woland fu lungo e periglioso: la luce si era fatta più fioca, le trappole erano più numerose e letali e i furfanti avevano lasciato il posto a scheletri e cadaveri ambulanti, dal fetore pestineziale.
Anche se un po’ ammaccati riuscimmo finalmente ad arrivare al ponte spezzato: per l’appunto un lungo ponte di pietra, in cui si susseguivano ghigliottine insozzate di sangue rappreso e ruggine, le lame calavano e si rialzavano a ritmi regolari, con un inquietante sferragliare di ingranaggi in continuo movimento. Una parte del ponte, poi, aveva ceduto e per attraversarlo avremmo dovuto compiere un piccolo salto.
L’orco era accanto a me, al fianco portava un’accetta di ferro, strappata dalle falangi di uno degli scheletri che avevamo abbattuto. Per tutto il percorso avevamo parlato poco, ma avevo una curiosità da soddisfare, una domanda che dopo qualche esitazione gli posi, allontanando il timore di poter sembrare invadente.
-Morg – era questo il nome dell’orco – posso chiederti cosa ti ha spinto ad addentrarti in queste rovine?
Lui sorrise, scoprendo le lunghe zanne che sporgevano oltre il labbro inferiore.
-L’amore, giovane Ragnar’ok. L’amore per una dolce e nobile fanciulla.
-Come si chiama lei? – Chiesi, sorridendo per la tenerezza nella sua voce.
-Lady Rogbut gra-Shurgak, voi umani non potete capire la bellezza di una orsimer. Per noi la bellezza è nella forza e nel carattere e lei è grande e meravigliosa in entrambe. – I suoi occhi d’ambra si fecero umidi. – Appartiene a una famiglia nobile, un povero figlio di nessuno come me non avrebbe avuto alcuna possibilità con una come lei, se non compiendo una grande impresa come pegno d’amore ed è per questo che sono entrato in queste rovine, amico mio. Le porterò la testa di quel demonio, suo padre non potrà che acconsentire al nostro matrimonio. – Sorrise, aveva l’aria sognante.
-Sei molto nobile, sono sicuro che si getterà fra le tue braccia.
-Ragazzo, devi promettermi una cosa: se non dovessi farcela … c’è una lettera che porto sotto l’armatura. Vorrei che la portassi a lei, insieme alla testa di quella creatura e all’anello che mi ha donato il giorno prima della mia partenza.
-Potrai farlo da te, quando avremo finito. – Dissi, con aria decisa.
-Ma se non dovessi farcela … me lo devi promettere.
-Hai la mia parola, Morg.
Ci rimettemmo in cammino attraversando il ponte spezzato, evitare le ghigliottine fu semplice, bastò procedere con calma. Io e Morg ci ritrovammo di fronte a un corridoio che conduceva alla sala più profonda dell’intera rovina di Woland. La luce azzurra dei cristalli illuminava la stanza: una sfera nera fluttuava su di un altare a base circolare, inciso con spirali e rune dal significato sconosciuto. Il Dremora era immobile, a guardia della pietra del sigillo, sembrava non averci notato. Forse quella battaglia poteva finire ancora prima di cominciare.

Morg lanciò la sua accetta, puntando dritto alla testa della creatura, mentre io scagliai una palla di fuoco. Non avevamo considerato la prontezza di riflessi del Dremora: difatti schivò l’arma e si lasciò avvolgere dalle fiamme, che gli lasciarono giusto qualche scottatura appena visibile.
-Mortali! Avete violato un luogo sacro con la vostra sudicia presenza, avrò il vostro sangue, la vostra carne!
La sua voce, tuonata dalle labbra nere, sembrava provenire dal fondo di un abisso: gutturale, profonda e imperiosa. Niente in quell’essere suggeriva una qualche appartenenza al nostro mondo, no, lui era un demone vomitato direttamente dalle lave dell’Oblivion. Non esitò ad attaccarci, passai pugnale e scudo a Morg, perché non restasse disarmato, mentre tenni per me Durendal.
L’orco ingaggiò il Dremora in uno scontro diretto, contenendo la forza spaventosa con cui mulinava la mazza, grazie allo scudo di Vitellus. Quando passò al contrattacco lo assistetti, sferrando un fendente con Durendal: l’attacco su due fronti non disorientò il Dremora e, prontamente, bloccò l’attacco di Morg afferrandogli il polso e parò il mio con la mazza che, con mia sorpresa, resse l’urto, scheggiandosi appena.
Capii che avevo sottovalutato la forza di quella creatura quando con un unico movimento del braccio scagliò Morg dall’altra parte della stanza, facendolo urtare contro una parete. Si concentrò su di me, i suoi occhi spiritati guardavano Durendal e pronunciò la parola “Damasco” in un tremito lieve, che ricordava vagamente la paura.
-Esatto. – Gli dissi, disimpegnando la spada e cacciando un colpo alla spalla che lo fece gemere di dolore.
La lama aveva attraversato l’armatura, lacerando appena la pelle ma, pur essendo solo un graffio, bastò a farlo infuriare.
Colpì Durendal, tenuta in posizione di guardia, disarmandomi come niente e con una sola mano mi sollevò da terra, tenendomi per la gola. Mi mancava l’aria, il bastardo stringeva poco a poco la presa, deciso a uccidermi lentamente.
-Hai osato versare il mio sangue, sciocco mortale! Pagherai il fio con la vita.
Ironicamente fu il suo sadismo a salvarmi, se la sua stretta fosse stata rapida e letale sin da subito, probabilmente sarei morto in quelle rovine. Morg, azzoppato dal volo di prima, era strisciato verso l’altare, ci si era arrampicato e ora teneva fra le mani la pietra del sigillo. Gridò qualcosa al Dremora e poi tutto si susseguì rapidamente, come in un sogno


La creatura mi lascia andare, ho la gola dolorante. Durendal è così vicina, “devo raccoglierla”, il Dremora ha colmato la distanza con Morg in pochi rapidi passi, la mano che tiene la pietra si spezza con un rumore secco, insieme con il resto del braccio. La pietra rotola via.
La creatura lascia cadere la mazza sul pavimento, Durendal è così vicina, le mani del Dremora si serrano sulla testa di Morg, lui è immobile, impotente. Arrivo a Durendal “Posso ancora fermarlo. Devo fermarlo”. Mi alzo in piedi, appena in tempo per vederlo: la testa di Morg va’ in frantumi: una poltiglia di carne, sangue e materia cerebrale. Prima della fine mi sembra pronunci queste parole “Ricorda la promessa”. L’orco affronta la morte senza una lacrima, senza un singhiozzo. Le sue braccia ricadono pesanti lungo i fianchi, il suo corpo si accascia con un tonfo sordo.
I miei occhi … i miei occhi sono in lacrime, le mie gambe si muovono da sole mentre la magia mi pervade le braccia, sta irrobustendo i muscoli, donandogli nuova forza, nuovo vigore. Durendal non è mai stata così leggera fra le mie mani.
Il Dremora mi vede arrivare ma è troppo tardi: la spada sembra avere la mia stessa sete di vendetta, bruciare della mia stessa rabbia quando recide di netto le braccia della creatura, si insinua fra le ginocchia frangendone le giunture, spezzando ossa e cartilagini. Cade in ginocchio, lo prendo per i capelli, finirebbe con il muso per terra se lo lasciassi andare. È in mio potere.


I suoi occhi simili a tizzoni ardenti mi fissavano: mi odiava con tutto l’animo (sempre che ne avesse uno), non poteva accettare di essere ucciso da un essere che lui considerava inferiore. Non mi importava, non mi importava del suo odio, del suo rancore. La sua sete di vendetta non era che una stilla della mia, il suo odio non era che una pallida ombra in confronto alla notte che mi bruciava dentro. “Ricorda la promessa”, la voce di Morg mi risuonò nella testa un’ultima volta, prima che Durendal tagliasse di netto il collo, dividendo il capo dal resto del corpo, che si accasciò riverso sul pavimento. L’espressione del Dremora era rimasta contratta in una smorfia di ira, nemmeno la morte gli aveva dato pace e io … io ne ero immensamente felice.

La magia che aveva reso forti le mie braccia si dissipò, insieme con la mia sete di sangue. Fui avvolto da un senso di torpore, provato e spezzato dal dolore fisco ed emotivo mi sedetti per terra, poggiando la schiena contro l'altare. Piansi, piansi per ore, lasciando che i miei lamenti riempissero quelle rovine senza vita.
Morg era morto, lo conoscevo da poco eppure lo consideravo già un amico. Forse dovevo imparare ad essere più distaccato, a non legarmi così presto alle persone, perché nel mondo in cui vivevo le persone se ne andavano, se ne andavano con una facilità disarmante. Forse il distacco, la solitudine, era il solo modo per non soffrirne.
Mi avvicinai al corpo di Morg, cercando di non guardare ciò che era rimasto della sua testa ed estrassi la lettera che gli avevo promesso di consegnare, in caso non fosse sopravvissuto come nei fatti era accaduto. Aprii il foglio di carta ingiallita e scivolai lo sguardo fra le righe, vergate con mano elegante.

“Caro Amore,
nell’ultimo tramonto di Focolare scrivo questa lettera, con la luce del sole che scivola fra i vetri della mia finestra, sfiorandomi il viso. Domani partirò e intanto mi rigiro fra le dita l’anello che mi hai donato come pegno d’amore, qualche minuto fa, prima di andar via, lasciandomi con un bacio … un bacio che sento ancora sulle labbra. Che sciocco: continuo a sfiorarmele chiudendo gli occhi, immaginando di ripetere quell’istante altre mille volte.
Ti cingevo il fianco, ti stringevo a me, respirando a pieni polmoni il profumo di muschio selvatico che ti riempie la pelle, verde e morbida come una foglia di ginkgo. Sapevo che sarei stato lontano per molto tempo. Tuo padre è un tradizionalista, pretendere un’impresa degna della mano di sua figlia è il minimo, visto e considerato che sono un figlio di nessuno.
Non ti nascondo che ho paura, paura di non ritornare, paura di lasciare questo mondo senza averti visto un’ultima volta, paura della tua assenza nei mesi a venire. Ma cosa sono questi timori paragonati alla grandezza del mio amore per te? Pallide ombre, nient’altro che pallide ombre. I giorni che ci aspettano, l’uno senza l’altra, non sono che istanti fugaci al confronto della vita che passeremo insieme.
Foglie d’autunno riunite alla terra, foglie d’autunno che alimenteranno la vita del nostro seme.
Ora lascio questa penna, ho bisogno di riposare, dormire un po’, prima del viaggio di domani…

Ti amo,
per sempre tuo
Morg


Riposi il foglio nel taschino della mia casacca. Avevo gli occhi rossi, non smettevo di piangere, ma prima o poi anche le lacrime si sarebbero fermate, asciugandosi sul mio viso. Il dolore si sarebbe cicatrizzato: avrebbe lasciato un segno indelebile e forse, con l’andar del tempo, avrebbe fatto un po’ meno male. Avrei mantenuto la mia promessa, a Morg gli dovevo almeno questo, dopo che aveva sacrificato la sua vita per la mia. Non avrei lasciato che le sue parole rimanessero sulla carta, no, sarebbero arrivate agli occhi della sua amata … lei avrebbe saputo: avrebbe saputo quant’era grande il suo amore, che aveva combattuto ed era morto da eroe. Dovevo onorare la sua memoria, ad ogni costo.
Sfilai l’anello dal cadavere dell’orco: v’era incisa una rosa rossa.
Raccolsi la testa del Dremora e la chiusi un sacchetto di iuta, mentre la pietra del sigillo, immobile sul pavimento, la infilai nella mia sacca.
Riposi Durendal e lo scudo dietro la schiena, assicurate dalle cinghie, dopodiché abbandonai quelle rovine, ora così maledettamente silenziose.



Note dell'autore
E così con un pizzico di malinconia e silenzio si conclude questo sesto capitolo. Vi dirò la verità cari lettori, non è stato facile per me. Raramente faccio fuori personaggi che mi piacciono e/o che mi ispirano tenerezza come Morg, ci sono stato male e ha avuto un forte impatto emotivo, rovinando il mio umore per più di qualche ora. Cyrodill però è un posto crudele e un avventuriero dev'essere pronto anche a questo, Rag al solito se l'è cavata (bello essere il protagonista, vero?) e ora se ne torna a Bruma e poi... chissà, lo scoprirete solo leggendo.
Grazie a tutti coloro che mi seguono, spero il capitolo vi sia piaciuto! (E che siate un po' tristi anche voi)

Un abbraccio
NuandaTSP
   
 
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