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Autore: Sophja99    22/10/2016    6 recensioni
Sono ormai passati milioni di anni dal Ragnarok, la terribile sciagura che ha provocato la morte di quasi tutti gli dei e le specie viventi e la distruzione del mondo, seguita dalla sua rinascita. Grazie all'unica coppia di superstiti, Lìf e Lìfprasil, la razza umana ha ripreso a popolare la nuova terra. L'umanità ha proseguito nella sua evoluzione e nelle sue scoperte senza l'intercessione dei pochi dei scampati alla catastrofe, da quando questi decisero di tagliare ogni contatto con gli umani e vivere pacificamente ad Asgard. Con il trascorrerere del tempo gli dei, il Ragnarok e tutto ciò ad essi collegato divennero leggenda e furono quasi dimenticati. Villaggi vennero costruiti, regni fondati e gli uomini continuarono il loro cammino nell'abbandono totale.
È in questo mondo ostile e feroce che cresce e lotta per la sopravvivenza Silye Dahl, abile e indipendente ladra. A diciassette anni ha già perso entrambi i genitori e la speranza di avere una vita meno dura e solitaria della sua. Eppure, basta un giorno e un brusco incontro per mettere in discussione ogni sua certezza e farle credere che forse il suo ruolo nel mondo non è solo quello di una semplice ladruncola.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo sei

L'ospite

 

Il mantello di Vidar era sempre ricoperto di neve, come ricordava di averlo visto prima di perdere i sensi, ma probabilmente ora era dovuto alla tempesta che intravedeva imperversare fuori attraverso la porta.

«Finalmente ti sei svegliata» disse, rivolgendole un sorriso e andando a riporre la legna a terra. «Questa dovrebbe bastare per un po' di giorni.»

«Cosa ci fai qui?» domandò con spregio. «Vattene da casa mia.»

«Chiamarla casa è esagerato» affermò, sarcastico. «Vedo che hai anche cucinato l'uccello. Bene, stavo morendo di fame.»

«Per me puoi anche farlo, non ho problemi. In fondo, è colpa tua se stavo quasi per morire congelata.»

Scosse la testa vigorosamente. «Non darmi tutta la colpa di quello che è successo. Ti saresti potuta tirare subito indietro, ma sei così tenace! Se mi avessi dato ascolto subito, nulla di tutto questo sarebbe mai accaduto.»

Silye non poteva negare che in parte avesse ragione, ma sapeva anche che tutta quella storia era iniziata quando aveva incontrato quel tizio. «Come vuoi. Basta che te ne vai e non metti più piede qui dentro. Sei nel mio territorio ora.»

Lui alzò le mani come a volersi proteggere da lei. «Calmati, lupetta. Ti sto solo aiutando. Potresti mettere via quel coltello e smetterla di puntarmi continuamente? L'ho visto abbastanza per oggi.»

Lei lo abbassò molto lentamente. Non si fidava di lui, ma non credeva che avrebbe voluto farle del male. «D'accordo, finiamo questa storia. Parlami di quello che vuoi e poi lasciami in pace.»

«Finalmente vedo che vuoi collaborare! È stato così difficile e stancante convincerti» affermò, alzando gli occhi al cielo. «Prima però mangiamo qualcosa. Ne avrai bisogno.»

Lei annuì, sebbene fosse l'ultima cosa che avrebbe voluto fare. Aveva troppa fame per ricominciare a battibeccare con lui.

Attesero quasi un'ora seduti per terra davanti al fuoco, in silenzio. Le sembrava di rivivere quel pomeriggio che avevano passato l'uno davanti all'altra, solo che ora Silye evitava di guardarlo e tutta la sua concentrazione era attratta dalla carne che stava girando, sebbene poteva sentire il suo sguardo posato su di lei tutto il tempo. Si chiese il perché; forse la stava studiando, esaminava ogni suo comportamento e atteggiamento. Ma per quale motivo?

«Potresti smetterla di fissarmi? È seccante.»

«Non sto osservando te, ma il cibo. Avrei una certa fame» disse, ma Silye sapeva che stava mentendo. L'aveva visto con la coda dell'occhio e lui non aveva fatto in tempo a voltarsi.

«Ecco qua» disse, togliendo lo spiedo dal camino, e sfilò la carne da esso. Ripulì il pugnale in un panno e lo usò per spezzare la carne in due parti, una per lei e una per Vidar. Gli passò la sua porzione e lui iniziò subito a mangiarla. Lei non poteva nascondere il desiderio che aveva nell'addentare subito quella carne succulenta, ma prima spezzò una coscia e la lasciò a terra per Úlfur. Lui si fiondò sul cibo e lo morse famelico. Silye pensò che gli uomini affamati non erano tanto diversi dagli animali. Sarebbero potuti arrivare ad uccidere un proprio simile e usarlo come pranzo pur di mettere qualcosa tra i denti e nello stomaco. Si focalizzò sulla carne davanti a lei e in poco meno di qualche minuto aveva già mangiato tutto e rosicchiato ogni ossicino. Sospirò, finalmente sazia. Aspettò un altro po' che Vidar finisse e, quando anche lui posò la parte dell'uccello interamente mangiucchiata, lei gli rivolse la parola. «Te lo sei proprio gustato» disse, dando un'occhiata agli avanzi; vi erano rimaste solo le ossa. «Non ringraziarmi per averlo cacciato e per averti permesso di mangiarlo» aggiunse, con una nota palesemente ironica.

«Grazie» bofonchiò l'altro.

«Quindi?» chiese Silye, irritata. «Possiamo arrivare al punto in cui tu mi dici perché sei venuto e di cosa vuoi parlarmi?»

«Sì» affermò Vidar, con un leggero sorriso sulle labbra. «Direi che è ora.»

 

Il giovane rimase seduto sul tavolo, concentrato nel guardare il fuoco e il suo allegro scoppiettìo, mentre Silye si alzò per andare a rimettersi sul suo giaciglio, con le spalle appoggiate al muro. Si disse che lo aveva fatto per stare più comoda, ma la verità era che lei aveva paura di Vidar e di quello che aveva da dirle. Se aveva fatto tutta quella strada per incontrarla, doveva trattarsi di qualcosa di importante.

Lui le dava le spalle, con le gambe posate comodamente sul tavolo. Silye dovette fare un enorme sforzo per non gridargli di togliere i piedi dal ripiano in cui lei mangiava: non voleva iniziare un'altra discussione e perdere altro tempo. Tentò di calmarsi pensando che prima avrebbe parlato, prima se ne sarebbe andato.

«Vuoi sbrigarti?» chiese, stufa di quel silenzio, di quell'attesa e soprattutto di quel Vidar. «Dovrei andare a Vél entro oggi pomeriggio.»

«A rubare?» la sua voce sembrò carica di severità e disappunto, come non la aveva mai sentita prima. Certo, lo conosceva da meno di un giorno, ma fino ad allora lo aveva sempre visto divertito, come se tutto quello per lui fosse solo un dispetto verso di lei. Sentì la rabbia montare, insieme alla confusione. Come faceva a sapere che Silye fosse una ladra e perché usava quel tono da maestro con lei? Lui non sapeva niente, non poteva giudicare la sua vita.

«Qualche problema?» cercò di suonare impassibile davanti al suo atteggiamento sfrontato.

«Hai così tante potenzialità» disse, lasciandola stupita. «Perché sprecarle in derubare gente più povera di te? Magari persone che non devono mantenere solo sé stesse, ma un'intera famiglia.»

«Non lo faccio per piacere o divertimento, ma per necessità» ribatté.

«Si può vivere anche senza ricorrere ad attività così meschine.»

«Sei venuto fin qui solo per farmi la ramanzina? Oppure sei...» d'un tratto smise di parlare, dimenticando subito quello che stava per dire, quando un'ipotesi le si formò nella testa, colpendola come un fulmine. Il cuore perse un battito e si sentì attraversare da una scarica di collera tanto forte da farle fremere le mani. «Sei stato mandato dal re? È così, vero? Per questo sapevi dove trovarmi e cosa faccio. Che stupida che sono stata! Avrei dovuto pensarci prima! Cosa vuole? Uccidere anche me oltre a mio padre?» Nemmeno si accorse di essersi alzata e di avere iniziato a gridare, travolta da ricordi troppo dolorosi da poter sopportare.

Tutto filava. Forse l'avevano controllata per giorni per accertarsi che lei fosse realmente la figlia di Arild ed era poi stato ordinato a Vidar di parlarle, forse per indurla a fidarsi di lui per poi farle ciò che gli era stato comandato nel momento in cui lei sarebbe stata più vulnerabile. Non sapeva nemmeno se quello fosse il suo vero nome o avesse mentito anche su quel punto.

«No! Calmati,» si era girato di scatto e, vedendola così infuriata e fuori di sé, la guardò come se fosse pazza «non mi ha mandato lui! Pensi che se fosse stato così, avrei aspettato così tanto per acquistare un minimo di fiducia da te? Quando stavi per morire assiderata, ti avrei portata dritta da lui, anziché qui. Ho avuto milioni di possibilità per farlo, ma non è successo, perché io non c'entro nulla con lui. Qualunque cosa abbia fatto a te e a tuo padre, io non c'entro.»

Quelle parole riuscirono a farle riacquistare un po' di lucidità, a calmarla e farle scartare quella possibilità. In effetti, non poteva non dargli ragione.

«E allora per cosa sei venuto? Vai dritto al punto.»

«E va bene. Sbrighiamoci, perché mi hai fatto già perdere troppo tempo.» Fece una pausa, come se fosse indeciso su dove partire. «So che talvolta ti accadono cose... strane, giusto?»

Lei incrociò le braccia, già sapendo a cosa si stesse riferendo, ma volerna esserne sicura per non essere presa per matta. «Cosa intendi con strane

«Tipo delle visioni.»

«Non so di cosa tu stia parlando» non voleva affrontare quell'argomento con uno sconosciuto, che oltretutto non sapeva come potesse essere a conoscenza di quel particolare.

«È inutile cercare di mentire o fare l'indifferente. Lo sai benissimo.»

«Forse. Qual è il punto?»

«Io posso insegnarti a controllarle.»

   
 
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