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Autore: Rohhh    24/10/2016    1 recensioni
A chi non è mai capitato di sentirsi troppo diverso da qualcuno e non provare ad andare oltre quelle apparenze? Ashley ha 21 anni, è una studentessa universitaria seria e posata, ha due sorellastre e una madre che sente troppo diversa da lei. In vacanza dal padre conosce Matt, il figlio della sua nuova compagna, ribelle e criptico, lui con la propria madre ci parla appena. Quell'incontro cambierà il modo di vedere le cose di entrambi e farà capire loro che non è mai troppo tardi per recuperare un rapporto o per stringerne di nuovi con chi non ci aspettavamo.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 33

 

Quando Ashley si risvegliò la mattina dopo, al suono della sveglia, Matt non c'era più.

I suoi occhi appena aperti vagarono per qualche secondo lungo quella parte di letto vuoto e vi si soffermarono come se avessero bisogno di rendersene conto, di realizzare che fosse tutto vero e non frutto della sua immaginazione o di un sogno.

Era proprio così, lui non c'era, se n'era andato.

L'aveva lasciata.

In realtà, Ashley non ne fu meravigliata o quanto meno non avrebbe dovuto esserlo, era prevedibile, anzi, scontato era il termine più adatto.

Era stata lei stessa a chiedergli quell'ultima notte insieme prima che fosse finita tra loro, l'aveva accettato e ne aveva preso coscienza senza opporsi e lui non aveva fatto altro che agire secondo quel loro accordo, secondo una logica schiacciante e ineccepibile, così come doveva andare.

Allora cos'era quella sensazione che aveva cominciato ad attanagliarle il petto?

Amarezza? Tristezza?

O forse delusione?

Si sollevò dal cuscino e si strinse il lenzuolo al petto, rimanendo seduta e spaesata sopra quel letto troppo disfatto.

La verità era che, per quanto si fosse convinta di essersi rassegnata alla dura realtà e anzi, al contrario, ritenesse quella scelta l'unica saggia e razionale per loro, troppo giovani e troppo impegnati per potersi impantanare in una logorante storia a distanza, una piccolissima, sperduta e recondita parte del suo cuore non si era mai arresa, aveva sperato fino alla fine, fino all'ultimo secondo, fino all'immagine di quel letto vuoto che lui le avesse detto che potevano farcela, che non dovevano per forza lasciarsi, che ci sarebbe stato un modo, anche un solo dannato modo perchè non dovesse finire con loro due che si separavano nelle rispettive città.

Per questo aveva rimandato fino all'ultimo di affrontare quel discorso, di prepararsi per partire. Pensava di aver accettato la situazione con maturità ma in realtà non l'aveva fatto per niente. Segretamente, e forse un po' anche inconsciamente, aveva continuato a crederci in un finale differente, in quel colpo di scena tanto agognato che sembra insperato ma che alla fine arriva puntuale a risollevare le sorti di ciò che sembrava perso.

Ma come le era saltato in mente di pensare che si trovasse in una favola o in uno di quei film dove tutto magicamente va a posto e qualunque difficoltà svanisce come d'incanto?

Adesso quella speranza, quella voce dentro di lei, si era infranta, era morta per mano della sua stessa passività, per aver infilato sempre la testa sotto la sabbia e fatto finta che i problemi si risolvessero da soli e per l'incapacità di prendere l'iniziativa e lottare per chi amava e per la sua felicità.

Adesso era finita, davvero.

Una povera illusa, ecco come si sentiva e anche una stupida, perchè aveva aspettato che fosse lui a ribaltare le carte in tavola, a decidere per entrambi un destino diverso senza agire e mettersi in gioco in prima persona.

La paura di osare, di rischiare e di buttare fuori ciò che provava l'aveva fregata, aveva avuto la meglio come faceva di solito e per quanto durante quella vacanza avesse capito che fosse la sua nemica più acerrima e stava tentando di sconfiggerla, ancora una volta le aveva dimostrato che la strada da percorrere era lunga e piena di ostacoli.

Con alle spalle già una storia a distanza fallita aveva avuto il terrore di ripetere quell'esperienza, soprattutto adesso che si trattava di un ragazzo troppo importante per lei e per cui provava dei sentimenti così sconosciuti e forti da non meritare di essere calpestati e ridotti come tutti gli altri. Per di più si sentiva inadeguata, aveva sempre vissuto tra la sua piccola città, l'università e la città di suo padre per le vacanze e si era sempre crogiolata in quella sicurezza e normalità, il mondo fuori, al di là di ciò che conosceva, la spaventava e forse solo adesso ne stava prendendo coscienza.

Non aveva viaggiato più di tanto, non guidava e non aveva nemmeno idea di come raggiungere la città di Matt, dieci volte più grande della sua, e di certo non poteva chiedergli ogni volta che fosse lui ad accollarsi tutti i sacrifici, anche lui doveva studiare, lavorare con suo padre e coltivare i suoi interessi, come la musica. Di sicuro sarebbero stati costretti a passare lunghi periodi senza vedersi e Matt era un tipo troppo interessante, carismatico e bello per passare inosservato, aveva tante ragazze che gli ronzavano intorno e spesso si era chiesta per quanto tempo, a dispetto dell'amore, può resistere un ragazzo lontano dalla sua fidanzata e circondato da tutte quelle tentazioni.

Non avrebbe sopportato la gelosia, il pensiero di essere dimenticata, sostituita, che il loro rapporto si potesse sgretolare e che l'odio e i rimorsi avrebbero distrutto e sporcato quel legame speciale.

Tutto quello l'aveva bloccata, resa insicura e condotta dove si trovava ora, sola e disperata.

Il coraggio che sentiva di aver trovato per ricucire il rapporto con sua madre o per affrontare il suo amico Tyler le era mancato per Matt, proprio per quel ragazzo così diverso da lei, che aveva messo a nudo i suoi punti più deboli e le aveva spalancato gli occhi su tante scomode verità e che amava ma evidentemente non fino al punto da farle tentare quel salto nel vuoto.

Strinse forte i pugni, tormentando la stoffa del lenzuolo, e si ripiegò su sé stessa, come se sulla schiena portasse di colpo il peso dei suoi errori.

Capire di aver sbagliato era già qualcosa, ma non sarebbe stato sufficiente, purtroppo.

Lentamente scivolò verso il bordo del letto e poggiò i piedi sul pavimento.

La sveglia cominciò a suonare per la seconda volta, visto che l'aveva ignorata prima, presa da quei pensieri, e il suono martellante stavolta la colpì fastidioso, con uno scatto si allungò scompostamente sul comodino e la zittì.

Si guardò intorno e notò la valigia vuota e il cumulo di vestiti che giacevano ancora disordinati, così come li aveva lasciati. Li fissò assorta, ricordando la scena della sera precedente e rivedendo per un attimo lei abbracciata a Matt, per terra.

Scosse la testa per liberarsi di quell'immagine e raccattò i vestiti che lui aveva sparso in giro, un po' qua e un po' là, per la foga, quando l'aveva spogliata quella notte e l'ennesimo colpo al cuore la fece trasalire.

Si rivestì e uscì in corridoio: avrebbe dovuto dirigersi giù in cucina, ma le sue gambe si mossero come comandate da una forza a cui non poteva opporsi e la condussero verso la stanza di Matt.

Forse c'era una possibilità, forse poteva ancora rimediare alla sua vigliaccheria e prendersi il rischio di qualcosa per una sola fottuta volta.

Le sue deboli aspettative vennero deluse non appena si avvicinò all'entrata della camera.

La porta era socchiusa e si intravedeva una certa penombra all'interno, la aprì di più e vide il letto perfettamente rifatto e il basso di Matt che vi poggiava sopra. Non doveva averci dormito dopo la notte passata con lei e il tempo in quella stanza pareva essersi fermato al giorno prima.

Niente era stato spostato, i libri sulla scrivania, i fogli con i testi delle canzoni, tutta la sua strumentazione per suonare e persino la finestra era socchiusa, come se nessuno si fosse curato di aprire le imposte per fare entrare la luce del sole che splendeva quella mattina.

Tutto faceva supporre che Matt non avesse fatto ritorno nella sua camera.

Ma dov'era allora?

Ashley non voleva arrendersi, non ora, sembrava aver ritrovato tutta la grinta che le era mancata fino ad allora, sperò solo che non fosse troppo tardi e si precipitò di sotto, col fiatone per l'ansia.

Vagò per le stanze, per il giardino, cercò in ogni angolo ma di lui non trovò traccia, finchè rimase da controllare solo la cucina, la sua ultima speranza, vi si avvicinò con esitazione per la paura di rimanere delusa, poi con uno scatto deciso vi fece ingresso.

Due paia di occhi si volsero, sorpresi, verso di lei, ma non erano quelli che stava cercando.

Lui non era a casa, era scappato, probabilmente per non doverla incrociare più, il mondo le crollò addosso tutto in una volta, non aveva più alternative adesso e anche quell'ultima illusione si spense per sempre. Rimase immobile come una statua di ghiaccio, senza più luce negli occhi.

Monica e Gregory guardarono la ragazza che era entrata all'improvviso nella stanza, facendoli sussultare e notarono subito il suo turbamento.

«Tesoro, cercavi qualcosa?» chiese teneramente Monica, con aria preoccupata.

Si era accorta dell'assenza di suo figlio, non aveva idea di dove si fosse cacciato quell'incosciente e tratteneva a stento una certa agitazione. Poteva solo immaginare il dolore che stesse provando adesso quella ragazza.

«No» rispose Ashley, pallida come un fantasma.

«Vieni Ashley, siediti con noi, la colazione è pronta» provò a invitarla suo padre, ma la ragazza scosse subito la testa con fermezza.

«Devo fare una cosa prima, arrivo tra poco» dichiarò fredda, poi sparì, lasciando la coppia a scambiarsi delle eloquenti occhiate sconsolate, che parlavano da sé.

Ashley ripercorse in salita e a testa bassa le stesse scale che solo poco prima aveva sceso di corsa, spinta da un'ondata di forza e speranza che si era esaurita presto, come il bagliore di un lampo.

Salì con andatura regolare e decisa gradino dopo gradino.

Non c'era più molto da fare, provò a dare la colpa ancora una volta al destino che, così come li aveva fatti incontrare per una strana casualità, adesso li separava, ma quell'alibi cominciava a non essere più tanto solido.

'Vuol dire che era destino che andasse così', era la frase che si diceva di solito quando qualcosa non seguiva i piani o li deludeva e lei stessa ne aveva più volte fatto uso, ma stavolta l'unica da biasimare era sé stessa e ne era del tutto consapevole.

Era troppo comodo accusare il destino quando non si aveva la volontà di addossarsi le proprie responsabilità, le mancanze, o la paura di cambiare le cose, era la scusa più comune e più confortante per sentirsi a posto con sé stessi e immuni da qualunque critica, ma in quel caso non reggeva più.

Rimaneva poco da fare e lo sapeva.

Entrò nella camera di Matt e frugò freneticamente sulla sua scrivania, sollevando fogli e altre cianfrusaglie sparse lì sopra a casaccio, l'ordine non era esattamente una virtù del ragazzo.

Finalmente riuscì vittoriosa nel suo intento, estraendo da sotto un libro una penna, poi aprì un quaderno a caso e dall'ultima pagina strappò un pezzo di carta. Si chinò quanto bastava per poterci scrivere sopra e velocemente fece scorrere la punta della penna sul foglietto bianco, lasciandoci impresse poche parole.

Una volta finito lo rilesse con gli occhi appena lucidi, poi lo piegò in due senza pensarci troppo e lo posizionò tra le corde del basso di Matt, dove era certa che lui non avrebbe potuto non notarlo.

Indietreggiò, restando un minuto immobile a fissare quella stanza per l'ultima volta, ricordando ogni singolo momento passato con lui, poi abbassò lo sguardo sospirando e uscì, socchiudendo la porta così come l'aveva trovata.

Rientrò in camera sua, il tempo ormai stringeva e doveva fare in fretta, non c'era più spazio per i sospiri, per le lacrime, per i nodi alla gola e per i ripensamenti.

Fissò le sue cose sul pavimento, si gettò in ginocchio e cominciò rapidamente a infilare tutto in valigia con poca cura, interessata solo a farle entrare più in fretta possibile e liberarsi di quell'incombenza fastidiosa.

Tirò un sospiro di sollievo e si passò una mano sulla fronte soddisfatta solo dopo aver richiuso la zip con un po' di sforzo, visto che la valigia pareva più gonfia rispetto al suo arrivo a causa del modo goffo e frettoloso in cui aveva piegato i i vestiti.

Raccolse i suoi libri, che giacevano ancora aperti sulla scrivania e il suo astuccio e li ripose in un borsone, eliminando anche quel problema.

In preda a quell'iperattività improvvisa, si voltò verso il letto e decise di sfogarsi anche su di lui. Osservò le lenzuola spiegazzate che ancora portavano i segni della loro passione e per un momento la sua espressione si tramutò in malinconica, ma si ridestò in fretta e senza più remore le tolse via dal materasso così come fece con la federa del cuscino per poi accantonarle appallottolate in un angolo, con l'intenzione di portarle sotto e metterle in lavatrice.

Doveva sparire qualsiasi cosa che portasse il ricordo di loro da quella stanza e, seguendo quel proposito, estrasse dall'armadio delle lenzuola pulite e rifece il letto di sana pianta.

Quando ebbe finito si abbassò e immerse la testa nel cuscino: non portava più l'odore di nessuno di loro due, ma solo un profumo di fresco e di pulito le invase le narici.

Fu soddisfatta, tutto stava diventando asettico e stava ritornando come il primo giorno, quando la loro relazione non esisteva, ed era giusto che fosse così.

Mancava solo un'ultima cosa all'appello.

Prese i suoi vestiti, dei jeans e una maglietta a maniche corte e corse in bagno.

Si spogliò e con una certa urgenza direzionò il getto dell'acqua sulla sua pelle, senza nemmeno attendere che fosse diventata calda. Il freddo iniziale la fece sussultare e intirizzirsi appena, ma durò giusto qualche secondo.

Afferrò il bagnoschiuma e cominciò a versarlo sulle sue mani per poi frizionare tutto il suo corpo con energia.

Doveva togliere a tutti i costi l'odore di Matt dalla sua pelle, non poteva portarlo con sé a casa, doveva sparire e subito e quella che doveva essere una semplice doccia assunse per lei un significato più simbolico.

Le sue mani strofinarono la pelle senza tregua e con un'intensità e un trasporto tale che in alcuni punti le unghie lasciarono dei temporanei segni rossi al loro passaggio, che spiccavano sulla sua carnagione chiara. Non sentirlo più addosso a lei, eliminare qualunque segno del contatto fisico tra i loro corpi diventò un bisogno spasmodico e vitale e il suo respiro cominciò a farsi più pesante anche per ciò che tutto quello rappresentava.

Non poteva toglierselo dalla testa, sarebbe stato impossibile e al momento non era capace neanche di immaginare quando e addirittura se sarebbe mai successo, bruciava tutto ancora troppo intensamente per poter razionalmente pensare a quell'eventualità e lei era umana e soffriva, lo stava scoprendo a sue spese quanto dolore poteva causare una delusione d'amore così potente per la prima volta e quella era la fase peggiore da affrontare, quando si crede di non potersi più rialzare.

Se era impossibile allontanarlo dai suoi pensieri, poteva almeno cancellarlo dalla sua pelle e illudersi che andasse già meglio.

Si calmò solo quando il profumo vanigliato del bagnoschiuma fu l'unico odore che percepì intorno a lei, ritornò a respirare normalmente e i suoi movimenti si fecero più dolci e rallentarono fino ad arrestarsi.

Sciacquò il viso con l'acqua fredda, vi passò più volte le mani per svegliarsi e si vestì, per poi guardarsi allo specchio per accertarsi di apparire quanto meno decente e non una condannata a morte. Nonostante delle occhiaie spaventose e il viso un po' più smunto a causa di ciò che stava patendo, ritenne che potesse andare e si avviò di sotto.

 

Gregory si sentiva ribollire dall'agitazione, non riusciva a togliersi dalla mente il viso triste della figlia, pallido e sconsolato ed era veramente preoccupato per lei e per le conseguenze di quel malessere. Per di più stava per tornare a casa e non avrebbe potuto accertarsi di persona delle sue condizioni e l'unica cosa che lo teneva relativamente tranquillo era saperla nelle amorevoli mani della sua ex moglie, che sarebbe stata in grado di consolarla e di starle accanto più di come avrebbe potuto fare lui. Era pur sempre sua madre ed una donna e certe dinamiche le capiva di sicuro meglio di lui.

Nonostante tutte le buone intenzioni e i discorsi già affrontati con Monica, non potè fare a meno di pensare che se Ashley stava così era anche colpa di Matt e, da buon padre protettivo, provò la voglia di dargli un bel ceffone per aver calpestato i sentimenti di sua figlia, anche se, in realtà, lui non sapeva esattamente come fossero andate le cose tra quei due ragazzi.

L'unica cosa che comprendeva era che aveva una figlia ridotta a uno straccio e di lui, invece, non c'era nessuna traccia, era sparito senza nemmeno salutarla un'ultima volta e lo interpretò come un gesto di totale indifferenza e menefreghismo.

Se solo avesse saputo quanto si stava sbagliando e quanto a sua volta lui era ridotto in pezzi di certo avrebbe cambiato idea sul volerlo picchiare.

«Però tuo figlio sarebbe anche potuto rimanere a casa per salutare Ashley, non capisco cosa aveva di tanto urgente da fare!» non si trattenne dal dire a Monica, prima di accingersi a prepararsi per accompagnare la ragazza a casa.

Monica lo guardò accigliata, aveva tenuto suo figlio tra le braccia e completamente distrutto solo pochi giorni prima e non le andava che Gregory lo pensasse sereno a divertirsi in giro.

«Guarda che Matt sta soffrendo esattamente come Ashley, sono sicura che se non è qui ci sarà un valido motivo e poi avranno già avuto modo di salutarsi ampiamente, suppongo» lo informò senza esitazione e con un tono abbastanza sostenuto.

Gregory aggrottò le sopracciglia a quell'allusione strana «Che vuoi dire, scusa?» le domandò.

«Forse è meglio che tu non lo sappia, fidati! - la faccia di Gregory cambiò colore quando capì a cosa stava facendo riferimento la sua compagna e si rifiutò di crederlo, aprì la bocca per ribattere qualcosa, ma Monica lo zittì con un tempismo perfetto – e poi avevamo promesso di non intrometterci nelle loro scelte e di non far sì che avessero conseguenze anche su di noi, quindi per favore, calmati. Ashley non è la prima né l'ultima ragazza a subire una delusione, le passerà, ne sono sicura, si cresce anche così» disse, carezzandogli una spalla per tranquillizzarlo.

Gregory sbuffò, sconfitto, poi si allontanò e si diresse al piano di sopra.

«Io comunque questi giovani di oggi non li capisco» borbottò, sembrando molto più vecchio dei suoi quarantasette anni.

Monica sorrise, poi però abbassò gli occhi.

Si sforzava di apparire indifferente alla cosa, ma anche lei ci era rimasta molto male che alla fine quei due avessero deciso di separarsi, anche se all'inizio il loro rapporto non era stato dei migliori, col passare dei giorni si era affezionata tanto ad Ashley e la vedeva davvero bene accanto a suo figlio. Un po' di amarezza la provava anche lei, soprattutto nel vederli entrambi soffrire in quel modo. Ripensò alla promessa di aiutare i due ragazzi a non rinunciare fatta al suo ex, Nathan, quel giorno assurdo in cui era piombato in casa sua e pensò con rammarico di non esserci riuscita a mantenerla.

Nemmeno due minuti dopo che Gregory aveva lasciato la cucina, dei passi lenti e delicati richiamarono la sua attenzione.

Era Ashley, già vestita e pronta, la vide prendere l'occorrente per prepararsi dei cereali da mangiare e poi sedersi al tavolo.

Ne prese un paio di cucchiaiate ma il suo stomaco si chiuse presto, intimandole di smetterla o le avrebbe fatto rimettere tutto. Ashley gli ubbidì e Monica la osservò buttare via il residuo e sciacquare la tazza.

Fece finta di nulla per non stressarla e infierire oltre, poi le si avvicinò e le accarezzò una guancia.

«E così oggi ci salutiamo» iniziò, sorridendole debolmente.

Ashley ricambiò con un sorriso altrettanto poco convincente, poi annuì.

«Mi raccomando, prenditi cura di te Ashley, e non fare stare in pensiero tuo padre, altrimenti poi dovrò sopportarmelo io – esclamò in tono buffo, strappandole una risata, finalmente – e poi voglio vederti in forma quando ci rivedremo a Natale, prometti che verrai a trovarci?» le chiese, portandole le mani sulle spalle.

«Sì, penso di poter fare un salto» rispose Ashley.

Monica poi la fissò più intensamente, sapeva di doverle ancora dire qualcosa.

«Ascolta Ashley, so che mi sono comportata da vera stronza con te i primi tempi e mi dispiace tantissimo, ma ho scoperto una ragazza stupenda in te e mi sono davvero affezionata come se tu fossi mia figlia. Hai fatto tanto per me e soprattutto per Matt e ti ringrazio per essertene preso cura e per essergli stata vicina in alcuni momenti difficili. Se adesso io e lui ci parliamo di nuovo dopo anni è anche grazie a te e questo ha significato tanto» le rivelò, fallendo nel nascondere la commozione mentre parlava.

«Non devi ringraziarmi, mi mancherai anche tu e adesso che ti ho conosciuta sono sicura che mio padre ha accanto la persona che merita e che lo rende felice e questo mi fa stare tranquilla. Sono stata bene qui con te, Monica» le disse, a quelle parole la donna la cinse in un tenero abbraccio ed Ashley si lasciò andare, forse era proprio quello di cui aveva bisogno in quel momento e la strinse ancora più forte, poggiando la testa sulla sua spalla e chiudendo gli occhi.

«Tesoro, mi dispiace per Matt, sono dispiaciuta per la sua assenza e non ho idea di dove sia, ma so che non l'ha fatto perchè di te non gli importa, probabilmente non se l'è sentita di vederti andare via, sai, lui è abbastanza sensibile agli addii anche se non lo dà a vedere» sentì di doverle dire Monica, mentre le accarezzava i capelli rossi.

Non poteva tacere su suo figlio perchè sapeva quanto dolore avesse sopportato, anche in passato, nel vedere persone a lui care uscire dalla porta e andarsene, lasciandolo solo e confuso.

Ashley rabbrividì al pensiero che Matt stesse soffrendo, poi sciolse l'abbraccio e guardò Monica in volto.

«Lo so, Matt non ha nessuna colpa, e poi ne abbiamo parlato e abbiamo fatto le nostre scelte. Non ho niente di cui rimproverarlo» concluse.

Monica le carezzò i capelli un'ultima volta, poi lasciò che la ragazza andasse a salutare il padre.

Gregory prese tra le mani il viso sciupato di sua figlia, una stretta al petto si irradiò immediatamente.

Gli occhi grandi e belli di Ashley, che la ragazza aveva ereditato dalla sua ex moglie, apparivano meno luminosi del solito e spenti, ma per lui rimanevano comunque i più eccezionali del mondo anche così. Li osservò inumidirsi appena quando portò la sua valigia accanto alla porta, pronta per uscire.

Stava davvero per terminare quella vacanza che le aveva scombussolato la vita in tanti modi diversi che mai avrebbe immaginato al suo arrivo.

Al di là di quella porta l'avrebbe attesa la sua vita, quella nuova, piena di incognite, di tristezza ma anche di gioie. La voce soave e familiare di Nancy al telefono poco prima l'aveva fatta emozionare e il pensiero che l'avrebbe rivista tra poco, insieme alle sue sorelle era uno spiraglio di sole in quell'oscurità che era adesso la sua anima.

Per il resto non aveva idea di come si sarebbe sentita o di come avrebbe fatto per sopravvivere. Probabilmente avrebbe vissuto giorno per giorno, sperando che la mancanza di Matt le sarebbe pesata sempre meno. Era tutto così surreale che ancora stentava a crederci.

Gregory l'abbracciò forte «Ricordati che puoi venire a trovarmi quando vuoi, ok? Mi mancherai, piccola mia, cerca di non abbatterti troppo, ok?» le disse semplicemente.

«Certo papà, anche tu mi mancherai» sussurrò la ragazza.

Ashley sapeva che con suo padre era solo un arrivederci, lui non la stava abbandonando, era così ogni anno e anche se faceva sempre una certa impressione separarsi dopo più di un mese, in un certo senso sapeva che per lei ci sarebbe sempre stato, anche se lontano. Faceva di sicuro meno male di un addio.

Dopo quei saluti, Ashley uscì fuori, il sole la riscaldò e si voltò a guardare la casa prima di lasciarsela alle spalle.

Gregory cominciò a mettere il suo bagaglio in auto e lei stava sistemando il borsone coi suoi libri, quando Monica la informò che una ragazza la cercava.

Ashley rimase stupita, aveva salutato già tutti nei giorni scorsi, Annie, Dorothy, i suoi amici e quelli con cui aveva legato di più del gruppo di Matt. Davvero non riusciva a capire di chi potesse trattarsi.

Si avviò verso il cancello perplessa, ma di certo la meraviglia superò qualsiasi livello quando si trovò davanti una massa di capelli lunghi e corvini.

Jenny stava lì, davanti al cancello, con un'aria inquieta e le mani che giocavano nervosamente con un portachiavi.

Si morse il labbro prima di parlare, mentre Ashley era rimasta senza fiato.

Insomma, cosa poteva mai volere Jenny da lei, a un minuto dalla sua partenza?

«Scusami Ashley se ti disturbo proprio ora – cominciò a farfugliare, senza il coraggio di guardarla negli occhi – ma volevo solo dirti che, beh, secondo me siete due idioti!» urlò l'ultima frase con convinzione, tutta rossa in viso per l'ardore con cui aveva appena parlato.

Ashley sbarrò gli occhi, sia per le sue parole, che per il modo in cui le aveva pronunciate.

«Di che stai parlando?» le chiese accigliata e anche piuttosto infastidita da quella sua accusa, così, di punto in bianco e senza un'apparente motivazione.

Jenny sbuffò in modo forse un po' troppo eccessivo, la pazienza non era mai stata il suo punto forte, in particolar modo quando si trovava in situazioni che la facevano stare a disagio, ma aveva deciso coscientemente di fare quell'improvvisata e ormai ci era dentro.

Mandy le aveva riferito che Matt e Ashley avevano deciso di lasciarsi a causa della distanza. In un altro periodo avrebbe esultato a una notizia del genere e si sarebbe subito catapultata a cercare di sedurre Matt per consolarlo, ma le cose erano cambiate, adesso non le interessava rimanere intrappolata in un amore non corrisposto, né accontentarsi di una notte di sesso, adesso si stava prendendo cura di sé stessa e solo quello contava.

Non seppe dire bene perchè, ma in certo senso si sentì in dovere di fare qualcosa per quei due, per equilibrare il karma dopo tutto il male che aveva provocato loro.

Si tirò i capelli liscissimi e lucidi indietro, la sua folta chioma ondeggiò e si sistemò perfetta a metà della sua schiena.

«Ma di voi, di te e Matt, ecco di chi sto parlando, cos'è questa storia che vi state lasciando?» le domandò, sotto gli occhi sempre più attoniti di Ashley.

Jenny che si lamentava perchè Matt, che fino a poco tempo prima era l'oggetto dei suoi desideri, si stava separando da un'altra, era davvero bizzarro. Quella ragazza aveva subito un cambiamento davvero ammirabile e tuttavia non riuscì a capire dove volesse andare a parare.

«Sto tornando a casa mia e tra pochi giorni anche lui farà ritorno alla sua città, abbiamo solo scelto ciò che era più giusto, e poi tecnicamente non siamo mai stati insieme come una vera coppia» aggiunse, amaramente, abbassando lo sguardo.

La voce stridula di Jenny glielo fece rialzare di scatto.

«Ah, ma che stronzata! - esclamò in maniera colorita, com'era nel suo stile – sarebbe solo questo il problema? Ho rinunciato a Matt perchè ho capito tardi che non gli piacevo e tu che puoi averlo che fai? Te lo fai scappare così? Guarda che non ci sto!» sbottò al pari di una bambina capricciosa.

Ashley era indecisa se apprezzare quel suo interesse o cominciare a infastidirsi. Si stava già facendo tardi e non voleva più perdere tempo. Ogni minuto che rimaneva ancora lì le faceva sempre più male.

«Beh, la decisione l'abbiamo presa entrambi, non solo io e va bene così, è carino da parte tua preoccuparti, ma credimi, è tempo perso ormai, adesso ti saluto Jenny» le spiegò calma, voltandosi per ritornare vicino all'auto.

Jenny strinse i pugni e battè un piede a terra con stizza, mentre osservava Ashley di spalle.

«Ma lo capisci che lui ti ama, l'ha detto a me quella sera della festa! - le gridò dietro, facendola arrestare di botto – ti amava già allora, ero mezza nuda davanti a lui e non mi ha toccato con un dito perchè per lui esistevi solo tu, esisti solo tu!» disse tutto d'un fiato, ansimando sconvolta, perchè parlare di quella brutta serata le faceva rivivere un ricordo oscuro della sua vita.

Ashley spalancò gli occhi, rimanendo di spalle, un tremore la scosse al pensiero che Matt avesse detto davvero quelle parole a Jenny. In fondo che motivo aveva lei di mentire, di dover raccontare una balla che si ritorceva contro di lei e la umiliava.

A lei però non le aveva mai dette, forse non ne aveva avuto mai la forza perchè sapeva che l'epilogo non sarebbe cambiato, così come, in fondo, aveva fatto anche lei.

Esisteva solo lei per Matt, così aveva detto Jenny.

Si voltò a guardarla per rendersi conto se stesse dicendo una cavolata qualunque, ma i suoi occhi verdi la fissavano terribilmente seri e non parevano avere voglia di scherzare, chissà quanto le stava costando stare lì e rivelarle tutti quei particolari.

Fece di nuovo dei passi verso di lei e addolcì la sua espressione.

«Ti ringrazio davvero Jenny per quello che mi hai detto, ma in ogni caso ormai è andata così, le parole non cambieranno questo» le sorrise, poi la salutò, lasciandola immobile e sconcertata dietro il cancello e si incamminò verso suo padre.

«Non vi capisco, che stupidi!» la udì borbottare in lontananza, e non riuscì a darle tutti i torti.

 

Matt spense sulla sabbia un'altra sigaretta, l'ennesima.

Aveva ormai perso il conto di quante ne avesse fumate senza sosta da quando si era accampato lì in spiaggia, fin dal primo mattino.

Era troppo nervoso e si sentiva a pezzi, aveva un mal di testa allucinante e non aveva mangiato nulla, si portò le mani sulla fronte e si strinse i capelli, rimanendo fermo con i gomiti poggiati sulle ginocchia.

Aveva lasciato Ashley sola su quel letto dopo averci fatto l'amore per l'ultima volta, comportandosi come un perfetto pezzo di merda, solo perchè non aveva avuto il coraggio di guardarla mentre se ne andava via da quella casa, mentre lo abbandonava.

Odiava vedere le persone che lo abbandonavano, era qualcosa che l'aveva segnato fin da piccolo e di cui non riusciva a sbarazzarsi. Aveva preferito lasciarla così, in silenzio e risparmiarsi quelle sceneggiate patetiche, i baci, gli abbracci, le frasi di circostanza.

Le aveva dato un bacio leggero sulle labbra e poi era sparito, osservandola per l'ultima volta così bella mentre dormiva.

E l'immagine del suo viso, disteso e ignaro del suo abbandono lo stava tormentando da quando si era rifugiato lì, in spiaggia, da solo, non passava minuto che non la rivedesse e non si schifasse di sé stesso.

Un vigliacco fino in fondo, quello era stato e nient'altro.

Incapace di dirle che l'amava, incapace di fermarla, incapace di impedirle di andare via e di garantirle che in un modo o in un altro potevano stare insieme, che la voleva nella sua vita, che potevano essere una coppia, così come erano stati anche se non se l'erano mai detti.

Ma spesso certe cose bisognava avere le palle di dirle quando era il momento giusto, non bastava affidarsi ai gesti, sperare che l'altro capisse, certe cose andavano dette chiare e limpide e lui questo non l'aveva fatto, come un povero cretino.

Si meritava di soffrire così adesso, aveva lasciato andare la cosa più preziosa che avesse trovato e il peggio era che l'aveva fatto coscientemente e volontariamente e per quanto nobili fossero stati i suoi propositi, non darle distrazione, non intralciare il suo futuro, non sconvolgerle la quotidianità, non poteva evitare di sentirsi un vigliacco.

Guardò l'orario, erano già le 10 e a quest'ora Ashley doveva essere già in viaggio, era già lontana, non era più lì.

Non era più sua.

Quel pensiero lo sconvolse, si gettò indietro sdraiato sulla sabbia, incurante di sporcarsi o del sole che gli trafiggeva gli occhi e glieli faceva bruciare senza pietà.

Non era niente paragonato alle fitte che sentiva nel petto.

Qualche chiamata senza risposta di sua madre lampeggiava sul display del suo cellulare, ma non aveva voglia di richiamare, non voleva sentire, né parlare con nessuno.

Solo il mare aveva scelto come compagno discreto della sua disperazione, quell'enorme distesa azzurra che tante volte, fin da quando era bambino, era stato testimone delle sue tristezze e delusioni, che sapeva ascoltare e calmare col suono dolce delle onde, col suo inarrestabile andirivieni sulla sabbia.

Era lì che andava quando stava male, quando qualcosa lo assillava o semplicemente quando si sentiva giù e non lo aveva mai deluso.

Non era solo acqua, riusciva a infondere pace e tranquillità nel più tempestoso degli animi e lui lo sapeva bene, ci era cresciuto col mare, ci aveva trascorso l'infanzia e l'adolescenza e ne aveva sofferto quando aveva dovuto lasciarlo per trasferirsi da suo padre.

Era una sensazione che non tutti potevano cogliere, un legame speciale che si instaurava probabilmente solo con chi era nato e vissuto in un posto di mare e nelle cui vene scorreva sangue e acqua salata.

E lui era uno di quelli, eppure in quel momento neppure il mare riusciva a tirarlo sù di morale, poteva solo alleviare il suo dolore ma non cancellarlo.

Qualche ora dopo decise di rientrare, era ora di pranzo e Ashley doveva già essere quasi a casa sua, se non già arrivata.

Aprì la porta con un nodo alla gola perchè sapeva che al di là non ci avrebbe trovato lei, seduta sul divano, o chiusa a studiare come faceva sempre, beccandosi le sue prese in giro. Non avrebbe potuto abbracciarla e baciarla e stare ore e ore a a parlare in terrazzo come loro abitudine, seduti per terra senza bisogno della comodità, accontentandosi di qualche doloretto il giorno dopo piuttosto che rinunciare a stare insieme.

La casa era vuota come immaginava, sua madre era a lavoro e anche Gregory doveva andarci direttamente dopo aver accompagnato Ashley a casa, probabilmente era ancora in viaggio visto che c'erano più di due ore di strada.

Sul tavolo della cucina trovò un biglietto e riconobbe la scrittura di sua madre prima ancora di leggere il messaggio e capire che fosse opera sua.

Gli chiedeva di informarla quando fosse tornato e gli faceva sapere che c'era qualcosa di pronto in frigo e che doveva mangiarlo.

Matt fece come scritto, prese una porzione irrisoria di cibo e la ingurgitò di fretta, senza assaporarla, solo per evitare di svenire per la debolezza.

Quel silenzio surreale lo assordava, cominciò a non sopportarlo così salì in camera, ma per raggiungerla dovette passare dinanzi alla porta di quella di Ashley.

Era chiusa, allungò una mano per afferrare la maniglia e aprirla, ma non appena sentì il freddo del metallo sul suo palmo si bloccò.

Non era pronto per vedere quella stanza vuota e priva degli oggetti e della presenza di Ashley, spoglia e fredda. Ci aveva passato troppi momenti lì dentro in sua compagnia e non ce la faceva, non avrebbe sopportato quell'ulteriore botta.

Velocemente passò oltre e si allontanò da quella porta, per poi entrare nella sua camera e spalancare le imposte ancora chiuse che la rendevano buia e deprimente.

Armeggiò con i suoi vestiti gettati disordinatamente sulla sedia e ne ripiegò qualcuno, poi si sedette sul letto e fece per spostare il basso, quando la sua attenzione fu catturata da qualcosa tra le corde, un foglietto di carta.

Non l'aveva messo lui, ma allora chi era stato?

Un pensiero gli balenò in testa, con la mano tremante lo prese e vide che era piegato in due.

Deglutì nervosamente e lo aprì con cautela, come se avesse paura di sgualcirlo.

Le poche parole che vi lesse gli si conficcarono dentro istantaneamente.

«Perdonami per aver avuto paura di osare» c'era scritto, con inchiostro blu, nessuna firma ma sarebbe stata superflua, era ovvio fosse stata Ashley, la scrittura era la sua, era incerta e irregolare, come se avesse avuto fretta o difficoltà nello scriverla.

Se la immaginò lì dentro, intenta a lasciargli quell'ultima scusa per qualcosa di cui non aveva nessun motivo per farlo.

Non era colpa sua, sarebbe dovuto essere lui a fermarla, a decidere di tentare, di rischiare, ma aveva preferito seguire la ragione piuttosto che il cuore, come era sempre stato abituato a fare.

Sferrò un pugno al muro, pieno di rabbia e frustrazione, rischiando di rompersi qualche osso, e col respiro affannato.

Poi richiuse con delicatezza il foglio e si gettò sul letto senza più forze, a fissare il soffitto apatico, con la mano che stringeva quel piccolo pezzo di carta poggiata sul petto, proprio sopra al suo cuore martoriato, per sentirla ancora un po' vicina a lui, in qualche modo.

 

  
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