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Autore: Mary P_Stark    28/10/2016    2 recensioni
Per chi ha letto "Honey" e desidera rimanere immerso nel mondo di Hannah, Nick e famiglia, ecco una serie di OS dedicate ai vari personaggi della storia. Tra nuovi amori, vecchi amici e piacevoli incontri, ecco cos'è avvenuto prima e dopo la storia narrata in "Honey".FA PARTE DELLA SERIE "HONEY'S WORLD".
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Honey's World'
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Una piacevole trasferta – parte 6 –

Febbraio 1976

 

 

 

Non sapeva bene perché ma, quella mattina, si era ritrovata a sfogliare l’album delle fotografie riguardanti il passato Capodanno.

Era stato un momento assai strano, con la sua famiglia e quella di Bart, riunite sotto lo stesso tetto, assieme a mezzo clan dei Brown.

La prozia Shemain aveva stretto la mano a Leonard e gli aveva battuto una mano sulla spalla, quasi dislocandogliela, tanto aveva colpito forte.

Ma non per procurargli dolore. Tutt’altro.

Piuttosto, per fargli capire quanto, l’aver saputo della sua caccia agli assassini del suo figliolo, l’avesse resa orgogliosa di conoscerlo.

Nonostante fosse un inglese e, oddio, nonostante fosse un nobile inglese!

Leonard aveva accettato i ringraziamenti – un po’ meno la pacca – e, per tutta la serata, Shemain aveva parlato con Gwendolin, rammentandole quanto dovesse essere orgogliosa del marito.

La madre di Bart e Andrew aveva preso quel bombardamento ininterrotto di parole – la prozia parlava per sei – con stoicismo, e Bernadette aveva gongolato fiera.

Ancora adesso, Grace non sapeva bene per cosa. Perché Gwendolin aveva resistito? Perché la prozia aveva fatto capire di che pasta erano fatti i Brown? Perché ora non volevano più sparare agli Ingleton in quanto inglesi?

A saperlo!

A ogni buon conto, quando i fatidici fuochi d’artificio erano stati sparati dietro la villa – illuminando a giorno il bosco e facendo brillare la neve – le due famiglie avevano brindato liete.

Il loro fidanzamento repentino era quasi passato sotto silenzio, per un giorno.

Era pur vero che, la mattina del primo di gennaio, sua madre l’aveva svegliata alle sette del mattino con un catalogo di abiti da sposa in mano, e un block notes nell’altra.

Dove, in nome di Dio, dove aveva potuto prendere, un simile catalogo, il primo dell’anno?

Se l’era sempre chiesto, da quel giorno e, nel rammentare alla madre che nulla era stato stabilito, e che non era neppure detto che lei e Bart si sarebbero sposati a breve, l’aveva lasciata fare.

Le era parso subito chiaro quanto, quel giocare alle liste per la sposa, le piacesse.

Non era mai stata una femmina ‘classica’, e lo sapeva bene.

Era stata più un maschiaccio, in verità e, forte della sua costante competizione col fratello, era cresciuta a suon di cazzotti, per così di dire, invece che di pizzi e merletti.

Sapeva sparare bene quanto Edward – il poligono di tiro non aveva segreti, per lei – ed era un’eccellente skipper, se la necessità lo esigeva.

Poteva cambiare una ruota a un’auto senza l’aiuto di un maschio, e sapeva anche cosa c’era sotto il cofano di una macchina.

Per lo meno, in teoria.

Di contro, non era affascinata dalla moda quanto alcune sue amiche, ma non disdegnava un paio di belle scarpe coi tacchi, o un completo da cocktail di Dior.

Afferrato l’ennesimo biscotto al cioccolato mentre scorreva con lo sguardo l’album, un quieto bussare alla porta la riportò al presente.

“Sì, chi è?” disse lei, levando il capo per fissare la porta.

“Sono Becky. Ti cercano al telefono, giù in portineria” le disse la centralinista, addetta a quel genere di mansioni.

Sorpresa, Grace balzò dal letto e si volse per sistemare la scatola dei biscotti, scoprendo costernata che era completamente vuota.

Facendo tanto d’occhi – aveva mangiato più di trenta biscotti al cioccolato, di fila? – la giovane preferì non soffermarsi troppo, per scendere dabbasso assieme a Becky.

Era inutile che la linea rimanesse impegnata per così tanto tempo. Le telefonate che potevano essere passate alle studentesse erano rare, perciò conveniva muoversi.

Afferrata una felpa pesante, vi si immerse prima di uscire nel corridoio – gelido – e, seguendo Becky, discese le scale e raggiunse in fretta l’ufficio della portineria.

Lì, Becky le indicò l’apparecchio e, subito, Grace lo afferrò, dicendo: “Pronto? Chi parla?”

“Buongiorno, ragazza mia! Come va, lì?” esclamò suo padre all’altro capo, pimpante e allegro come sempre.

Sgranando gli occhi, Grace borbottò: “Ehm… bene, papà. Dimmi, cosa succede? Come mai hai chiamato?”

“Ma per fare quattro chiacchiere con te, è ovvio. Manchi da casa da due mesi, ormai, e chiami talmente di rado…”

“Forse perché le chiamate intercontinentali costano una fortuna?” ironizzò lei, ma neppure più di tanto. “Ti ho scritto una lettera anche l’altro giorno. Aspetta che arrivi, no?”

“Non è la stessa cosa” brontolò il padre, scocciato.

“E io non posso occupare questo telefono, se non è strettamente necessario” lo rimbeccò Grace, grata che attorno a lei vi fosse una cabina che attutiva i rumori.

Era il massimo della privacy concessa a chi telefonava da lì.

“Quante storie…” cominciò col dire Oscar, prima che la moglie intervenisse per rimbrottarlo.

“C’è anche la mamma?”

“Già. Mi sta sgridando come stai facendo tu” sbuffò l’uomo, contrariato.

Sorridendo comprensiva, Grace disse più gentilmente: “Papà, capisco che ti manco, ma non posso tenere occupata la linea per troppo tempo. Questo telefono serve solo per le urgenze.”

“Beh, io avevo urgenza di parlarti” sottolineò lui, testardo come un mulo.

“E perché mai?” volle allora sapere lei, cercando di non scoppiare a ridergli in faccia.

“Non voglio che sposi Bart…” buttò lì allora Oscar.

Grace si accigliò immediatamente, a quelle parole, e borbottò: “Ne abbiamo già parlato. Non sarà oggi, o domani, ma sarà. Punto. Lui è il mio uomo, lo amo e tu non potrai fare nulla per togliermelo.”

“Maledizione, coccinella, stammi ad ascoltare… e non interrompermi. Non avevo finito!”

Il fatto che il padre avesse usato il suo nomignolo da bambina la fece desistere dall’attaccarlo… almeno per i successivi due minuti.

Schiarendosi la voce, con in sottofondo i brontolii di Maggie, Oscar borbottò: “Volevo dire… non voglio che sposi Bart senza prima avergli dato i gemelli di famiglia.”

“Papà, avrà i suoi, anche quanto. Tu che dici?”

“Beh, se ti vuole sposare, userà i miei! Punto!” sbottò Oscar.

Pur trovando assurda tutta quella telefonata, Grace si ritrovò a sorridere e, conciliante, disse: “Gliene parlerò, va bene? Ma, se vorrà usare quelli della sua casata, tu starai zitto e glieli lascerai usare. Potrà portarli in seguito, ti pare?”

“Non sarebbe la stessa cosa!” ringhiò Oscar.

“D’accordo, papà, ora metto giù e tu non richiamerai, altrimenti io non verrò a rispondere. Ti chiamerò io quando saprò qualcosa, va bene?” lo mise in guardia Grace, sentendolo smoccolare senza ritegno.

Ridendo, la giovane mise giù la cornetta, uscì dalla gabina e ringraziò le segretarie.

A passo leggero, poi, tornò in camera mezza congelata – come facevano a non rabbrividire, dentro quell’ufficio? – e lì, non appena ebbe chiusa la porta, si portò le mani al ventre e impallidì.

L’attimo successivo, corse in bagno e diede di stomaco, rimettendo i biscotti e tutto ciò che aveva mangiato quel giorno.

Charlotte tornò in camera giusto in tempo per sentirla rimettere anche l’anima e, subito preoccupata, la ragazza si fiondò in bagno, esalando: “Ma che succede?!”

Afferrato un asciugamani per pulirsi la bocca, Grace si volse a mezzo, pallida e incazzata, e borbottò: “Secondo te, che succede?”

Scuotendo una mano nel non dare peso al suo dire, la compagna di stanza si appollaiò sulla cesta dei panni sporchi e disse: “Lo vedo da me che stai per rivoltare il tuo intestino tenue nel water, ma la mia domanda era rivolta al ‘perché’.”

“Sarà perché ho svuotato una scatola di biscotti in venti minuti, o perché ho mangiato messicano a pranzo. Che ne so…” brontolò Grace, rigettando nuovamente.

Con un sospiro, Charlotte le diede una mano coi capelli e, nel frattempo, bagnò un secondo asciugamano perché si tergesse il viso umido di sudore.

Quando quel massacro ebbe termine, e Grace – appollaiata sul pavimento – si pulì il viso sfatto, gracchiò: “Grazie. Questo è amore vero…”

“Lo so, lo so… ma non facciamo troppa pubblicità. Bart potrebbe essere geloso di noi” sorrise comica Charlotte, strizzandole l’occhio.

“Già… se sapesse che abbiamo avuto questo tète-à-tète in bagno, potrebbe risentirsene” ammiccò Grace, massaggiandosi l’addome. “Dio… mi sembrava di morire. Non so davvero che mi sia preso. E dire, che non amo il chili. Eppure ne ho preso un piatto intero. Per non parlare dell’enchilada, e della frittata.”

Charlotte la fissò basita prima di balzare in piedi, controllare lo stipetto del bagno e fissare l’amica con aria torva.

“Beh, che c’è? Hai trovato da mangiare, lì dentro? Non ce l’ho messo io, giuro” si discolpò subito Grace, levando alte le mani.

“La tua scatola di assorbenti, Grace. Non l’hai iniziata.”

Grace sbatté le palpebre nel fissarla dubbiosa, chiedendosi cosa c’entrasse con il suo mal di pancia quando, con un ansito strozzato, cominciò all’improvviso a contare sulle dita delle mani.

Lo fece in modo frenetico, sempre più sincopato, finché Charlotte non la bloccò, mormorando: “Te l’ho detto perché so che, di solito, sei precisa come un orologio svizzero e, sul calendario, hai segnato i giorni d’oro in cui star male…”

Quell’ironia stentata non calmò Grace che, volgendosi a osservare stralunata il piccolo calendario che tenevano in bagno, gracchiò un’imprecazione prima di esalare: “Ohsignoresantocielo!”

“Già, qualcosa del genere” scrollò la testa Charlotte, aiutandola gentilmente a rimettersi in piedi. “Ce la fai? Lo stomaco regge?”

Grace assentì senza riuscire a parlare e, lasciandosi accompagnare in camera dall’amica, si buttò a sedere sul letto come un peso morto.

Trentanove giorni. Come diavolo aveva fatto a non accorgersene?

Semplice. Le sessioni d’esame.

I suoi frequenti appuntamenti con Bart.

Gli impegni nei comitati.

Insomma, la vita frenetica che svolgeva lì al campus.

E quei maledettissimi trentanove giorni.

Undici in più del normale, stando alla sua tabella di marcia sempre precisa come un orologio svizzero, esattamente come aveva detto Charlotte.

“Grace?” mormorò l’amica, sfiorandole una spalla.

Lei sobbalzò, nel panico più completo, e mormorò sconvolta: “Che devo fare?”

“Prima di tutto, respirare. Stavi diventando verde. Secondariamente, devi dirlo a Bart. Terzo, devi andare assolutamente da una ginecologa. Quarto… a Bart piace la Legione Straniera?”

Grace scoppiò a ridere assieme all’amica, sapendo bene a cosa si stesse riferendo.

Per quanto fosse terrorizzata, per quanto l’intera situazione fosse assurda, l’idea di dirlo a suo padre era allucinante e divertente al tempo stesso.

Come l’avrebbe presa, Oscar Brown? Sarebbe partito col primo aereo per strangolare Bart o, peggio, gli avrebbe sparato appresso?

Lo avrebbe costretto con la forza ad andare all’altare? Quello non serviva. Se fosse stato per Bart, si sarebbero già sposati.

Era lei a tentennare, a volere che lui fosse assolutamente sicuro di volerla.

Per questo, si era impegnata tanto perché vedesse i suoi molteplici – e non facili – aspetti.

Per questo, i loro appuntamenti si erano fatti così assidui.

Per questo, forse, ora si trovava nei guai.

Quando lo scoppiò d’ilarità si spense, Grace mormorò: “Devo dirglielo. Subito.”

“Al coprifuoco mancano ancora quattro ore. Hai tutto il tempo” le ricordò Charlotte, sorridendole. "Vuoi che ti accompagni? Giusto per scongiurare che tu svenga lungo la strada?”

“Mmh… sarà meglio di sì. Se mi sentissi di nuovo male, non rantolerei a terra come una tartaruga ribaltata sul carapace.”

“Solo tu puoi trovare delle similitudini simili, Brown” ironizzò Charlotte, levandosi in piedi per prelevare dalle stampelle i loro due cappotti.

***

Quando lo avevano avvisato di una visita, Bart se n’era stupito. Quel giorno, Grace le aveva detto che non sarebbe potuta passare, perché doveva studiare.

Dando per scontato che, la visita, fosse da parte sua.

Diversamente, non aveva idea di chi potesse cercarlo. I suoi amici erano tutti lì allo studentato, perciò…

Non appena mise piede nell’atrio, disponibile per le visite di amici e parenti, Bart si sorprese nel vedere sia Grace che Charlotte.

Era insolito, per non dire rarissimo, che la lontana cugina si presentasse lì assieme a Grace.

Ergo, che stava succedendo?

Avvicinatosi in fretta, Bart si rese finalmente conto del pallore della fidanzata e, turbato, le domandò: “Grace, che succede?”

“E’ la domanda del secolo, oggi” ironizzò lei, sorridendo a Charlotte.

“C’è un posto un po’ più privato in cui parlare?” domandò a quel punto Charlotte, guardandosi intorno.

Troppi occhi e, ahimè, troppe orecchie pronte a cogliere cose non di loro competenza.

“Temo dovremo uscire, visto che non potete entrare nelle zone più interne dello studentato” sospirò Bart, carezzando preoccupato il viso di Grace. “Te la senti?”

“Sì, sì. Usciamo. Ho caldo” assentì lei, avviandosi lesta verso la porta.

Charlotte fece spallucce, come se quel comportamento così strano non la sorprendesse e Bart, non potendo fare altro, corse in camera a recuperare una giacca e infine uscì a sua volta.

Quando si trovarono fuori dallo stabile, Grace guardò un preoccupato Bart negli occhi e, senza preamboli, mormorò: “Mi sa che sono nei guai.”

“In che genere di guai?” replicò lui, ancora confuso.

“Guai grossi. Sono in ritardo” sbuffò lei.

“Ehm… in ritardo per cosa?” borbottò Bart, ancora non comprendendo.

“Mi spiego meglio. Ho un ritardo” sottolineò allora Grace, sperando che capisse. Perché non ci arrivava?

Bart, allora, guardò Charlotte, che ammiccò come a dire ‘dai, è chiaro, no?’ e lui, cominciando a vagliare alle varie ipotesi nella sua mente, giunse a una che lo fece ansare sgomento.

E lo fece impallidire di brutto.

“Okay, ha capito” sintetizzò Charlotte, laconica.

“Ohsignoresantocielo” ansò lui, fissando Grace in cerca di conferme.

“E due. Questo lo ha imparato da te di sicuro” ironizzò la loro amica, dando una pacca sulla spalla a Grace, che assentì.

“Sicuro come l’oro” ammiccò la giovane americana.

“E’ quello che penso?” borbottò allora Bart.

“Cosa pensi?”

“Che… che sei… incinta?” gracchiò lui, trovando la sola idea del tutto destabilizzante.

“Già” mormorò soltanto lei, non sapendo bene che altro aggiungere.

E meno male che voleva dargli il tempo di abituarsi a lei, ai suoi atteggiamenti spesso contraddittori, alla sua famiglia sopra le righe… insomma, al suo mondo!

Bel modo di farlo, gettandogli in faccia una verità del genere!

Bart annuì un paio di volte, muto, si passò le mani tra i capelli e si guardò intorno come alla ricerca del Santo Graal.

Alla fine, però, tornò a guardare Grace, le sorrise ed esclamò: “E’ splendido!”

L’attimo seguente, Bart la strinse così forte da strapparle il respiro e la sollevò da terra per farle fare un mezzo giro, prima di rimetterla a terra.

“Okay, è contento” sentenziò Charlotte, ora sorridendo tutta giuliva.

“Bart, ti senti bene?” esalò Grace, ancora stretta nel suo abbraccio.

“Se mi sento bene? Certo che mi sento bene. Benissimo!” esclamò lui, dandole un bacio sonoro sulla bocca, facendo così ridere Charlotte.

L’attimo seguente, però, frenò il suo entusiasmo e borbottò: “Tuo padre mi ammazzerà, vero? Verrà qui e mi strangolerà… o peggio, mi sparerà.”

Grace e Charlotte si guardarono vicendevolmente prima di scoppiare a ridere e Bart, piuttosto contrariato, dichiarò piccato: “Non c’è niente da ridere, sapete? Vedrà la cosa come un autentico oltraggio, visto che non siamo sposati!”

“Non… non ridiamo per questo…” riuscì in qualche modo a dire Charlotte. “… ridiamo perché l’abbiamo… l’abbiamo pensato anche noi.”

“La cosa non mi fa sentire meglio, credimi” sottolineò Bart prima di sorridere sornione e aggiungere: “Ma la cosa si può risolvere alla svelta, in effetti.”

“Che intendi dire?” asserì Grace, vagamente dubbiosa.

“Prima di tutto, ti accompagnerò da una dottoressa per essere certi che tu sia veramente incinta…” cominciò col dire lui, sorridendo a ogni parola. “… e poi troveremo un prete che ci sposi.”

“Che?!” esclamarono all’unisono le due giovani, basite.

“Sì, lo so, faremo impazzire entrambi i rami della famiglia, ma non voglio che mio figlio cresca al di fuori del matrimonio, perciò ci sposeremo quanto prima. E non diremo nulla a nessuno.”

“Mio padre mi ucciderà… ci ucciderà…” esalò Grace, pur trovando quella faccenda assai divertente.

Non sarebbe stata come una fuga d’amore, ma quasi.

“Ragazzi, ragazzi, calma… non vi eccitate prima del tempo…” cercò di chetarli Charlotte, vedendo come i loro occhi si stessero illuminando di aspettativa. “Non potete scherzare su una cosa simile. Inoltre, se Grace fosse veramente incinta, non potrebbe rimanere allo studentato. Le regole lo vietano.”

“Troverò un appartamento a Cambridge. Non c’è problema” scosse le spalle Bart, noncurante.

“E credi che tuo padre non si accorgerà che non sei più al dormitorio del King’s College? Conosce tutti, lì dentro!” sbottò Charlotte, sperando di riportarli a più miti consigli. “Ragazzi, sono contentissima per voi, ma non potete tagliare fuori le famiglie a questo modo. Sono sicura che, dopo l’iniziale shock, vi daranno una mano. Sarà peggio, se verranno a scoprirlo a cose fatte.”

Sia Grace che Bart la guardarono dubbiosi e Charlotte, ormai certa di averli in pugno, aggiunse: “Magari stiamo favoleggiando per nulla, e Grace non è incinta. Sentite, io mi informo presso la mia ginecologa e prendo appuntamento, così possiamo fare questa benedetta visita e, solo dopo, deciderete sul da farsi. Okay? Niente colpi di testa.”

I due soppesarono le sue parole così attentamente che, per un momento, Charlotte temette di dover ricorrere alla forza bruta, per sottometterli ma, alla fine, entrambi assentirono.

“D’accordo. Datemi un giorno, va bene? Nel frattempo, vedete di non acquistare già i corredini e quant’altro” sospirò lei, correndo via a gambe levate.

Rimasti soli, Bart sorrise a Grace nel darle un bacio sulla fronte e, in un mormorio, le disse: “Se è vero, la tua idea di protrarre all’infinito il fidanzamento, andrà all’aria.”

Storcendo la bocca, la giovane replicò: “Non si trattava di protrarlo all’infinito per un mero capriccio, ma per darti il tempo di conoscermi tutta. So benissimo di essere un concentrato di contraddizioni fatto persona.”

Carezzandole il viso col dorso della mano, Bart allora le disse: “Perché hai così paura che possa cambiare idea, su di te?”

“Forse, perché fino a ora nessuno mi ha trovato così interessante da spendere più di qualche settimana, in mia compagnia” cercò di ironizzare Grace, pur non riuscendovi molto bene.

Sospirando, poi, aggiunse: “Insomma, neppure io mi sono mai messa d’impegno, ammettiamolo, ma con te… con te…”

“Sì?” la sollecitò Bart, sorridendo. Per certe cose, Grace dimostrava una timidezza davvero tenera.

“Con te mi sento spinta a volerti sempre e comunque, e mi sembra di prevaricarti, di non darti mai il tempo per fare le cose come vanno fatte. Ti sto troppo addosso?” domandò dubbiosa.

Bart allora rise, le diede un bacio molto impegnativo e, quando infine si scostò da lei, disse: “Non pensarlo mai, Grace. Amo tutto di te e, anche se non so ancora come preferisci le uova, se sode, o fritte, o alla coque, non mi importa nulla. Quello che conta, lo conosco già.”

“Okay” mormorò lei, un po’ più tranquilla.

“Ah, e adoro come dici ‘okay’, per la cronaca” ammiccò Bart, avvolgendole le spalle con un braccio.

Lei rise e, con Bart al fianco, tornarono verso il suo studentato. Avevano tempo, dopotutto, anche se così poteva non sembrare.

***

Oookay. Ora sapevano.

Quando Bart e Grace erano usciti dallo studio della dottoressa Windam, Charlotte era balzata in piedi dalla poltroncina e, ansiosa, li aveva raggiunti in pochi passi.

Grace l’aveva abbracciata stretta e Bart, con un sorriso un po’ sciocco, aveva assentito alla sua muta domanda.

Sì, aspettavano un bambino, e aveva più o meno tre settimane.

Il punto, ora, erano un altro.

Erano più di quaranta minuti che, tutti assieme, stavano fissando una cabina telefonica poco distante dal Campus, e nessuno si decideva a partire.

A un certo punto, Charlotte estrasse una monetina e disse: “D’accordo. Testa o croce. Per chi chiama per primo. Non spossiamo stare qui tutto il giorno, e Grace deve cominciare a prendere le vitamine.”

Sbuffando, ben sapendo che l’amica aveva ragione, Grace fece per muoversi verso la cabina ma Bart la precedette, lanciandole un sorriso da sopra la spalla.

Entrato che fu, inserì alcune monete, attese che nell’ufficio del padre rispondessero e, quando se lo fece passare, prese un gran respiro e disse: “Ciao, papà.”

“Bartemius… buongiorno. Come mai chiami oggi? Solitamente, ci chiami nel week-end, quando sono a casa… è successo qualcosa a te o a Grace?”

Pur rincuorato dal fatto che il padre avesse pensato anche alla sua fidanzata, Bart mormorò: “Beh, ecco, qualcosa in effetti è successo.”

“Parto per Cambrigde e vi raggiungo” dichiarò lapidario Leonard.

“Ahhh, no, papà. Non è necessario. Vedi, io e Grace stiamo…” tentennò il giovane, non sapendo bene come esprimersi.

“State pensando di convivere? Oddio, non so se tua madre approverebbe. Io non ci vedo nulla di male, e so che alcuni giovani, ora, lo fanno, ma la mamma…” lo bloccò Leonard, mandandolo in tilt.

Se pensa questo della convivenza, cosa penserà del bambino?, pensò tra sé il giovane, imprecando mentalmente.

“No, papà. E’ un’altra cosa. Grace aspetta un bambino. Da me.”

Lo disse di getto, serrando gli occhi quasi a non voler vedere cosa lo circondava, neanche si aspettasse di veder comparire il padre di punto in bianco.

Silenzio.

Silenzio totale.

Poi un ‘oh’ piuttosto sorpreso, cui seguì un ‘cavolo’ assai sentito.

Per il momento, comunque, nessun insulto.

Ciò che venne, anzi, lo sgomentò.

Suo padre emise un risolino e disse: “Suo padre ti ammazzerà. E io dovrò piangere sulla tua tomba, ragazzo.”

“Ma perché date tutti per scontato che Oscar mi ucciderà?” si lagnò Bart, trovando quella cosa abbastanza inquietante.

“Perché io lo farei, se una mia ipotetica figlia fosse stata messa incinta fuori dal matrimonio” tornò serio Leonard, lasciandosi andare a un sospiro lungo e pesante. “Ma non siete stati attenti?”

“Credevamo di sì” sottolineò Bart, disgustato all’idea di ricevere una reprimenda come uno scolaretto. Ma se l’era aspettato, comunque.

“D’accordo… il fatto che siate fidanzati migliora un poco le cose. Non molto, ma un poco” disse a quel punto Leonard, cercando di riordinare le idee. “Immagino che la mamma non lo sappia. Non ho ancora sentito pianti disperati…”

“No. Ho pensato fosse meglio dirlo prima a te” sospirò a sua volta Bart.

“E’ molto in là con la gravidanza?”

“Tre settimane, secondo quel che dice la dottoressa.”

“Bene, non è molto. Si può organizzare qualcosa prima che il tutto appaia evidente, cosa che tua madre troverebbe inaccettabile. I conti li faranno tutti comunque, ma questo è un altro argomento. Ora, dobbiamo pensare a Grace.”

“E quindi?”

“Parlerò con l’Arcivescovo per sveltire un poco le pratiche, e permettervi di sposarvi alla svelta. Di solito, ci vogliono mesi e mesi, perché diano le licenze, ma non possiamo permettercelo” gli spiegò Leonard, pratico e formale.

“In tutta onestà, non mi interessa molto se anche la gente avrà qualcosa da ridire. Voglio solo che Grace abbia quello che vuole” sottolineò Bart, con un certo puntiglio.

“Allora, avresti dovuto evitarle questo imbarazzo, perché sarà lei che ne pagherà lo scotto più alto, figliolo” gli fece notare Leonard, con tono fermo ma senza voler essere crudele. “Voglio agire così per proteggerla.”

“Hai ragione, scusa” mormorò il figlio, sospirando.

“Bart, ascolta, non sono arrabbiato. L’idea mi piace, credimi. Ma questa situazione complica le cose, perciò dovrò muovermi in fretta, anche se non ne apprezzi i motivi. La gente non è interessata al vostro amore, né lo capirebbe, perché è limitata, per la maggiore, ma guarderà solo al fatto che Grace è incinta e non è sposata.”

“D’accordo” assentì Bart, prima di aggiungere: “Davvero, ti va l’idea di diventare nonno?”

“Sì” disse dopo un attimo Leonard. “E ora ti lascio. Devo pensare a come dirlo a tua madre. E’ la cosa che mi terrorizza di più, lo ammetto.”

Ciò detto, chiuse la comunicazione e, quando Bart uscì dalla cabina, disse: “Non è andata neanche male. Organizzerà tutto papà… per evitarti imbarazzi.”

“Oh… beh, grazie” esalò Grace, sfiorandosi l’addome ancora piatto. “Ma siamo sicuri che va bene? Hai una faccia…”

“Mio padre ha solo detto delle cose giuste, perciò mi devo tenere la lavata di testa e pace” scrollò le spalle Bart. “E’ vero, non sono stato protettivo a sufficienza, con te, ma rimedierò. Nessuno potrà mai dire nulla di brutto, su di te.”

“E pensi che mi interessi?” ironizzò Grace, stupendolo un po’. “Bart, asfalterò chiunque abbia qualcosa da dirmi di meno che carino. Impareranno presto che non si parla male di una Brown senza avere un mitragliatore per difendersi… e uno stuolo di marines a fare da corollario.”

Charlotte scoppiò a ridere e Bart, nel darle un bacio, asserì: “Giusto, vero. Dimentico sempre che i Brown non si fanno mettere i piedi in testa da nessuno.”

“Verissimo” assentì lei, pur sorridendo grata. “Comunque, è carino e dolce che tuo padre abbia pensato a me. A suo tempo, lo ringrazierò come merita. Lo farò vincere a scacchi.”

Bart scoppiò a sua volta a ridere, a quel punto e, con lui, si unirono le due giovani.

Forse, dopotutto, non sarebbe andata così male come temevano.

 

 

 

 

Note: Vi avevo promesso Serena, ed ecco che si è palesata... più o meno. ^_^

Che dite, come la prenderà Oscar Brown? Ci sarà veramente il rischio che ammazzi Bart? O saprà sorprenderci? Di sicuro, si farà riconoscere... perché i Brown non passano mai inosservati.

  
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