Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: _LilianRiddle_    01/11/2016    2 recensioni
Erica annuì, spostando lo sguardo sul campo di girasoli tutto intorno a loro.
Anche Vita si lasciò distrarre da fiori che raccontavano molto più di lei, di una bellezza che non le sarebbe mai appartenuta, che apparteneva solo alle cose fragili.
- Sono così belli – disse, una mano a sorreggerle il mento, proprio dove prima altre mani le scaldavano il viso.
- Quali ti piacciono di più?
- Quelli che si nascondono sotto i fiori gialli come il sole. Quelli che sembrano una goccia di sangue in un mare di luce.
- I papaveri?
- Si chiamano così?
- Sì. Ti sono sempre piaciuti.
- Davvero?
- Sì, a me piacciono i girasoli.
- Quali sono i girasoli?
- Quelli lì gialli. Quelli che si lanciano nel mare e sembra che lo abbraccino.
- Son più belli i papaveri.
- Questo discorso lo avremo affrontato mille volte.
- Non me ne ricordo neanche una.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
-Capitolo 5.5-
 
 
 
- Mi piace questa, Erica.
- Ma ce ne sono di molto più nuove, Vita. Questa casa ha sicuramente bisogno di una ristrutturazione.
- Non m’importa. Questa sarà casa nostra. Nessun’altra potrebbe esserlo.
Erica pensava che fossi una testona.
Non smentisti mai questa descrizione di te.
- Con che soldi pensi di poterla ristrutturare?
- Con i nostri, Erica. Sai che possiamo permettercela.
Due giorni dopo, tu ed Erica vi trasferiste nella grande casa in riva al mare che avevate comprato.
La grande veranda circondata dalle colonne aveva bisogno di essere riverniciata, la cucina doveva essere rifatta e nella casa non c’era nessuna biblioteca, cosa che a tuo dire era assolutamente impensabile.
Vi metteste al lavoro, comprando materiali e assumendo operai che trasformassero la grande casa in riva al mare nella casa che avevate sempre sognato.
Era lontana dall’università, per arrivarci dovevate per forza prendere la macchina.
Erica aveva brontolato, all’inizio.
Così tu l’avevi portata nella veranda davanti al mare e le avevi mostrato il campo di girasoli che si vedeva da lì.
- Prima o poi il mare mangerà tutta la sabbia fino a che non arriverà ai girasoli. Allora, i girasoli impareranno a nuotare e il mare si riempirà di giallo. – le dicesti.
- Vita, ma li hai visti i papaveri sotto i girasoli?
- Sì.
- Dici che dovranno imparare a nuotare anche loro, per sopravvivere all’abbraccio del mare?
- I papaveri non hanno bisogno di nuotare.
- Perché?
- Perché i girasoli hanno imparato a proteggere i papaveri.
- Mi sa che avevi ragione, Vita.
- Riguardo cosa?
- Non potremmo vivere da nessun’altra parte.
 
Una mattina, nella casa che avevate da poco messo a posto, Vita ti aveva detto che si drogava.
Che non poteva fare a meno di farlo.
- Da quanto va avanti?
- Da un po’.
- “Da un po’” non è una risposta sufficiente, Vita.
Lei scosse la testa, tu aggrottasti le sopracciglia.
- Di che cosa ti fai?
- LSD, solitamente. Ho provato anche altro, ma… sì, LSD.
Eri rimasta immobile, cercando di conciliare l’immagine malata di una drogata con quella bellissima della ragazza di fronte a te.
- Prima o poi dovrai dirmi qualcosa, Erica.
Ma tu la guardavi muovere le labbra senza che le sue parole arrivassero al tuo cervello.
Credevi di averle detto tutto quello che dovevi dirle.
Lei aveva risposto a tutte le tue domande e tu sentivi di non avere più parole.
Riuscivi solo a guardarla, cercando d’imprimerti ogni suo più piccolo dettaglio dentro di te.
Cercavi di collegare i suoi comportamenti, cercavi di trovare un senso a tutto questo, cercavi di non guardarla negli occhi.
Poi ti alzasti.
E te ne andasti senza voltarti indietro.
Quando ritornasti a casa, lei non c’era più.
Ti chiudesti in casa per giorni, ora che l’università era finita potevi farlo.
Cercavi di studiare o di distrarti in qualunque altro modo ti venisse in mente.
Una mattina qualcuno bussò alla porta della casa sul mare che avevate comprato.
Ti ritrovasti davanti Vita, con gli occhi scavati e le occhiaie.
Magra come non l’avevi mai vista.
Ora riconoscevi in lei la drogata, la malattia.
Ti chiedevi se la persona che avevi conosciuto tu e questa Vita fossero la stessa persona e, nel caso, come poter conciliare le due cose.
- Ciao, Erica.
- Ciao, Vita.
- Mi fai entrare?
- Ho da fare, scusa.
Lei cercò il tuo sguardo, senza trovarlo.
Sospirò.
- Va bene, sì. Volevo solo dirti che sto partendo. Me ne vado.
- Dove?
Ti era uscito dalle labbra prima che potessi bloccarlo.
- Lontano, forse ritorno in città. Penso di aver bisogno di aiuto.
Non rispondesti a quella frase, con la paura di dirle qualcosa che ti avrebbe scoperta troppo.
Ma quel giorno voleva parlare lei.
- Mi dispiace tanto, Erica, davvero. Io… ho dei problemi che ho evitato per tanto tempo, dei problemi seri. Avrei dovuto parlartene, ho cercato tante volte di tirarmi fuori le parole, ma non ci sono mai riuscita. Perché, in fondo, sapevo che non volevo parlarti di questo. Ora i miei problemi sono scoppiati tutti insieme e io dovrò trovare il modo di sistemarmi, da sola. Senza cercare le risposte in te.
Però io ti amo, ti amo come non amavo da tanto tempo e come non amerò più, probabilmente.
Non ti dico dove sto andando.
Sappi che è un posto in cui starò bene.
Ma se mi cercherai, se vorrai cercarmi, ti prego, quando mi troverai, non farmi domande. Lascia che sia io a cercare di ricordarmi chi sei. Io non mi ricorderò di te, ma tu raccontami la nostra storia.  –
La sua voce si spense in un sussurro.
Tu allungasti la mano e le sfiorasti il viso, scostandole una ciocca di capelli.
La baciasti lievemente sulle labbra, chiudendo gli occhi, immaginando che non fosse un addio.
- Sei come il mare e i girasoli. – ti sussurrò sulla bocca Vita.
- Sei come i papaveri e la pioggia. – le rispondesti tu, chiudendo la porta.
 
Passarono gli anni e tu credesti di averla dimenticata.
Ti laureasti in legge, andasti a lavorare in uno studio di avvocati.
Eri brava nel tuo lavoro, molto.
Poi, come sempre accade quando la vita si mette d’impegno per tenere unite due persone, la ritrovasti.
Nel reparto psichiatrico di un ospedale qualunque, della città in cui entrambe avevate studiato e riso e amato.
All’inizio non volevi davvero credere che fosse lei.
Preferivi immaginare che fosse qualcuno col suo nome.
Poi entrasti nella stanza e la guardasti negli occhi.
Erano vuoti, ma erano inevitabilmente i suoi.
Ti facesti spiegare dai dottori che cosa fosse successo, perché fosse lì.
Tutto quello che sapevano era che l’aveva trovata che respirava appena il suo psicoterapeuta, andato a controllare nell’appartamento di Vita, preoccupato per la mancata risposta alle sue telefonate.
Da allora, non se ne era più andata dall’ospedale.
E non aveva mai parlato con nessuno.
Entrasti nella sua camera assolata lievemente, per non disturbarla.
Ma il medico si accorse subito che qualcosa stava cambiando.
Perché appena il suo sguardo vuoto si focalizzò su di te, Vita trasse un respiro profondo.
Un solo, semplice, respiro.
Eppure tutto.
Qualcosa le era sparito dal petto, un peso, e lei poteva ritornare a respirare nuovamente.
Tu non le ponesti domande.
Ricordavi ancora quello che ti aveva chiesto.
Non ponesti domande e chiedesti quando sarebbe uscita da quel reparto.
In quel momento arrivò sua madre, che ti guardò come sapendo chi fossi.
- Alla fine l’hai trovata. – ti disse con un sorriso triste.
Vita sorrideva allo stesso modo.
- Quando posso portarla via? – fu l’unica cosa che ti sentisti di chiedere.
La donna si fece portare dei fogli.
- Ti stava aspettando.
Non riuscisti a chiedere che cosa comportasse quella frase.
Così firmasti tutte le carte che c’erano da firmare per portarla via da lì, via con te.
Una volta tornate a casa, in quella casa al mare che avevate preso in un impeto di amore folle, ti chiedesti come saresti sopravvissuta a tutto il vuoto che vedevi nei suoi occhi.
Era così spenta che ti chiedevi se ci fosse ancora qualcosa della ragazza che avevi conosciuto.
Diventò presto una routine, prendersi cura di lei.
Ti alzavi la mattina e aspettavi che si svegliasse, per portarle la colazione.
Poi le facevi fare la doccia, la facevi camminare, le leggevi i libri che aveva lasciato in quella casa tanto tempo prima.
Neanche tu avevi avuto il coraggio di rimanere a vivere lì.
Avevi dovuto scegliere, così avevi chiuso tutto nella naftalina e avevi lasciato quella casa com’era l’ultima volta che ci eri entrata.
Un po’ come con i ricordi di lei.
Ma adesso che l’avevi trovata, non c’era altro posto in cui la sua mente sarebbe potuta guarire.
 
I medici parlavano di un grave trauma psicologico, di un’amnesia dovuta ad un forte dolore psicosomatico.
La mente cercava di proteggersi dai suoi stessi ricordi.
Per compensare, il corpo aveva smesso totalmente di agire.
Vita si era ritrovata chiusa nella scatola che era la sua mente distrutta.
In sette anni di lontananza da Erica, Vita ne aveva passati tre in ospedale, il resto sotto la supervisione di uno psicoterapeuta che diceva che rispondeva bene alle cure, prima che la trovasse in fin di vita nel suo piccolo monolocale.
Ma tu sapevi perfettamente quanto Vita fosse brava a mentire, come riuscisse a distrarti abbastanza dai suoi problemi da permetterle di vincere anche la sorveglianza più accanita.
Era riuscita a fregare anche te, con cui non solo aveva una relazione, ma con la quale viveva anche insieme.
Se Vita non voleva che qualcuno sapesse del suo dolore, nessuno sarebbe riuscito a scoprirlo.
Non che tu non conoscessi tutti i suoi trucchi.
Avevi letto i segni molto prima che tutto venisse fuori, che tutto vi precipitasse addosso con la sua forza distruttrice.
Eppure, avevi deciso di ignorare gli avvertimenti, di lasciar perdere, di crogiolarti nel suo sorriso distratto e nel suo sguardo perso.
Fin quando era con te, ti dicevi, sarebbe andato tutto bene.
Ma lei si dimenticava ogni volta un po’ di più, perdendo pezzi di sé stessa e lasciandoli lì, senza più cercare di raccogliersi, di sistemarsi.
Tu l’avevi notato, ma, ancora una volta, avevi preferito lasciar perdere.
A volte ti chiedevi se le cose sarebbero andate in modo diverso, se tu avessi lottato per lei, se avessi davvero provato a tenerla con te.
Eppure credevi in un destino, in un qualcosa che rendesse l’esistenza proprio com’era e che faceva accadere le cose perché così doveva essere, perché così era destinato.
Non avevi perso la tua fiducia nel destino neanche quando ti eri innamorata di una ragazza chiamata Vita.
 
***
 
Erica era andata via.
Era uscita dalla porta piangendo e non si era fatta vedere per tutto il giorno.
Vita si diceva che non poteva andare molto lontano, perché non c’era nulla intorno a loro.
Poi si chiese se la vecchia cabriolet che aveva intravisto nel garage fosse funzionante.
In quel caso, Erica sarebbe potuta andare ovunque e lei sarebbe rimasta sola.
Aveva bisogno che Erica tornasse da lei.
Era riuscita a chiederle di ritrovarla, quando era andata via la prima volta.
Ora che l’aveva davvero ritrovata, non aveva fatto in tempo a chiederle di tornare.
Doveva solo aspettare e sperare che avesse imparato a tenere le persone nella sua vita.
Lei aveva smesso di scappare.
Si costrinse a rimanere in casa, a non andare a cercarla e a lasciarle tutto lo spazio che voleva.
Riuscì a convincersi che fosse la cosa migliore da fare per le conseguenti due ore, ma quando l’orologio della sala batté mezzanotte, decise che sarebbe morta di ansia se non fosse andata a cercare Erica.
Non c’erano luci, oltre a quelle della veranda di casa loro, così nel cielo le stelle potevano riempire gli occhi di tutti coloro che alzavano gli occhi su di loro.
Vita trattenne la meraviglia e il vago terrore che già s’impadroniva della sua mente distratta e si costrinse a distogliere lo sguardo e a seguire il profilo dei girasoli e del mare finché non individuò quello di Erica, seduta in riva al mare, l’acqua che le lambiva le gambe.
Vita le si sedette accanto.
Si perse a guardare il cielo, respirando l’odore del mare.
Trattenne il respiro quando si rese conto che non c’era più un orizzonte e che davanti a lei si stendeva una distesa di stelle e di mare.
Un mare di stelle.
- Chissà dov’è finita tutta la spiaggia che c’era prima. – disse Erica in un sussurro.
Vita girò il volto verso Erica, che però guardava ancora il mare.
Non riuscì a distogliere lo sguardo da lei.
- Il mare se l’è mangiata, temo. – disse.
- Aveva fame?
- Forse voleva raggiungere i girasoli.
- Perché sono belli?
- Perché sono più belli dei papaveri.
Anche Erica voltò il viso verso Vita.
- C’è bellezza ovunque, Erica.
Era ancora lei, era ancora lì.
Erica aveva imparato a tenerla con sé, in tutti quegli anni lontana da lei.
E Vita aveva imparato a non scappare.
Erano cambiate tante cose.
- Vita, sai qual è la mia storia preferita?
- Penso di sì, Erica.
Erica annuì, sorridendole.
Anche Vita sorrise.
- Quella dei girasoli e dei papaveri.


 
Fine?


 
Piccolo, minuscolo angolo di un'autrice prolissa.
La storia è finita.
Questa storia, incredibilmente, è finita.
Volevo ringraziare nuovamente le persone che ho già ringraziato in precedenza e che, ognuna a modo loro, mi sono state sempre accanto.
Il viaggio che ha portato a questo storia è stato lungo e solo loro sanno quanto possa essere difficile uscire da certe situazioni e ritrovarsi completamente un'altra persona.
Inoltre, vorrei anche farmi le mie scuse.
Avevo detto che questa sarebbe stata la mia storia felice e romantica.
Quello che ne è venuto fuori è stata una storia malinconica e torbida.
Forse, non sono fatta per la felicità e il romanticismo.
O forse era questa storia a non essere fatta per qualcosa di così poco realistico.
Grazie ancora,
Lilian <3
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: _LilianRiddle_