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Autore: semolina    09/11/2016    2 recensioni
Dopo il loro incontro al Mollly's [nella 5x03], tra Sylvie Brett e Antonio Dawson è nato un qualcosa, un legame sottile. Il lavoro li terrà lontani ma non indebolirà ciò che è nato, lo rafforzerà invece rendendoli completamente connessi.
Questa è la prima volta che scrivo una fan fiction,non mi era mai capitato di appassionarmi così tanto alla storia nascente tra due personaggi tanto da far accendere la mia fantasia e "costringermi" a scrivere.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Et voilà, il quarto capitolo è completo. Spero vi piaccia.

 

Erano stati quattro giorni d’inferno per Sylvie; dopo il colloquio con Erin Lindsay non era più riuscita a non pensare alla scomparsa di Antonio; perché fondamentalmente era di questo che si trattava: era scomparso. Lasciando Sylvie in preda al panico. Era consapevole di non avere un ruolo nella vita del detective, non era sua sorella, né tanto meno sua moglie, ma si sentiva ugualmente partecipe del dolore di Gabby. Era perennemente in uno stato di angoscia, si trovava spesso ad asciugarsi le lacrime quando pensava a lui, la paura di non vederlo mai più le attanagliava lo stomaco fino a piegarla in due dalla sofferenza; era triste, inconsolabile, per la maggior parte del tempo, anche i colleghi si erano accorti del suo stato d’animo e dopo i primi momenti, durante i quali avevano provato a consolarla si erano arresi a vederla con il volto pallido e gli occhi arrossati, impotenti. Riusciva ad uscire dal suo triste torpore soltanto quando lavorava; quando la voce metallica all’altoparlante annunciava del lavoro per l’ambulanza 61, facendosi coraggio e una leggera violenza psicologica, svuotava la mente da tutti i pensieri riguardanti Antonio Dawson, riuscendo così a concentrarsi per aiutare le persone in difficoltà, risultando agli occhi della gente professionale, appassionata, gentile e preparata come suo solito. Questo solo fino a quando la porta della caserma si chiudeva dietro di lei, chiudendosi dietro anche tutta la professionalità e l’autocontrollo, sprofondando in uno sconforto così profondo da lasciarla senza forze. Non riusciva a fare nient’altro se non lavorare; in quei quattro giorni non aveva scherzato con i colleghi, non aveva praticamente mai parlato con loro, non era mai andata al Molly’s la sera per svagarsi un po’, non aveva scritto neanche una parola del libro del quale era coautrice con Mouch; niente di niente. Non era nemmeno andata a trovare Gabby, alla quale Boden, visto la situazione, aveva accordato dei giorni di permesso. Non avrebbe saputo cosa dirle e sicuramente sarebbe scoppiata a piangere, rendendo tutto più penoso; dopotutto chi era lei per Antonio?

 

Scese dall’ambulanza e si diresse lentamente verso l’interno della caserma; il suo turno era finito, poteva tornarsene a casa. Silenziosa oltrepassò la sala e andò dritta negli spogliatoi per spogliarsi della divisa, indossare i suoi abiti e andarsene. Aprì la porta e trovò Stella seduta sulla panca, intenta ad allacciarsi le scarpe.

“ Ehi… ciao.” la salutò piano la donna. “ Com’è andata l’ultima chiamata?”

“ Ciao.. Bene. Grazie.”

Si stava già allontanando quando l’altra proseguì:

“ Ehi Sylvie. Vuoi dirmi cos’è che ti turba tanto?”

“ Niente, davvero.” Trattenne il fiato e le le lacrime che già minacciavano di scenderle sul volto.

“ Dev’essere un niente davvero tremendo se ti lascia in questo stato.” Ironizzò Stella.

“ Forse parlarne con qualcuno ti farebbe bene… Non credi?”

“ Non saprei..” le parole uscirono in un sussurro appena udibile “.. da dove iniziare.”

“ Che ne dici di iniziare dal soggetto?” la mora si voltò verso di lei, mettendosi a cavalcioni della panca. “ Antonio.” la anticipò.

Sylvie sgranò gli occhioni azzurri per la sorpresa, guardò il pompiere, ma non riuscì a formulare nessuna frase.

“ Credi che non lo sappia? Mi ero già accorta che c’era qualcosa tra voi quando, quella volta al distretto, lui mi chiese come stavi…” Chiarì pacata.

“ Non c’è niente tra noi, Stella. Cosa ti viene in mente..” Provò a ribattere.

“ Davvero? Ma non siete usciti insieme?”

“ Non…. mi ha soltanto offerto da bere, una volta.” Affermò sconsolata.

Stella capì che stava dicendo la verità, e quanto questa verità la rendesse triste.

“ Ma per te è stato qualcosa di più, giusto? E adesso sei preoccupata...beh, forse preoccupata è un eufemismo..”

Sylvie non rispose. Deglutì, cercando di trattenere il fiume di lacrime e si sedette vicino all’altra.

“ Ehi… Non tenerti tutto dentro.. Parlami… Non ce la faccio a vederti in questo stato!” La donna avvicinò il viso a quello dell’amica, provando a guardarla negli occhi. Le scostò una ciocca ribelle, che era sfuggita alla coda di cavallo, mettendogliela dietro l’orecchio. Sylvie non ce la fece a trattenersi oltre e scoppiò in un pianto disperato ma composto; il volto coperto dalle mani, china sulle ginocchia.

Stella la prese tra le braccia come si fa con i bambini ed iniziò a cullarla dolcemente, lisciandole i capelli con una mano, nel tentativo di calmarla.

“ Tesoro… va tutto bene! è un uomo grande e grosso, vedrai che sta bene..”

La bionda tra un singhiozzo e l’altro le raccontò dei loro due incontri, quello a casa sua e quello nel piccolo market, e cercò di farle capire quanto si sentisse colpevole.

“ Stai scherzando spero?! Non puoi incolparti! Come puoi anche minimamente pensare una cosa del genere?!” Le asciugò le lacrime con una mano, cercando di ricomporla.

“ Ascoltami bene.. Non hai fatto niente di cui incolparti.. Chiaro? E non credere che, siccome non hai legami di parentela con lui, non ti sia concesso essere spaventata, o preoccupata… Capito?!”

“ Ok…” sussurrò piano.

“ Sono sicura che anche Gabby la pensa esattamente come me…” Si alzò dalla panca per andare a prendere un pezzo di carta per darla alla bionda, in modo che potesse asciugarsi meglio la faccia e magari soffiarsi il naso.

“ Adesso ti alzi,” le disse porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi. “ ti cambi, magari ti fai una bella doccia calda e vai da Gabby. Così parlate. E chissà che non abbia già delle buone notizie. Che ne dici?”

Per tutta risposta Sylvie l’abbracciò stretta, lasciando che il gesto parlasse al suo posto.


Seguì i consigli della collega e dopo essersi cambiata uscì, decisa ad andare da Gabriella. Lungo il tragitto però dovette cambiare strada, visto che la B. era chiusa per lavori straordinari, e si ritrovò a vagare per le vie di Chicago, persa. Maledì la sua scarsa conoscenza della città e si concentrò nella guida, guardandosi a destra e a sinistra alla ricerca di un luogo conosciuto in modo da raccapezzarsi. Dopo venti minuti abbondanti, rassegnata, si fermò sul lato della carreggiata; aveva intenzione di utilizzare il gps sul cellulare così da non vagare ancora a casaccio per la città, rischiando di fare troppo tardi. Spense il motore e frugò nella borsa alla ricerca del cellulare; trovatolo, tornò a sedersi composta sul sedile dell’auto. Un’insegna luminosa attirò la sua attenzione. Era l’insegna di un piccolo market, molto simile a quello dove aveva incontrato Antonio qualche settimana prima. Un’idea le attraversò la mente come un fulmine. Cancellò l’indirizzo che aveva appena iniziato a scrivere e ne digitò un altro, una volta caricato il percorso, mise in moto e guidò spedita secondo le indicazioni del navigatore. Si ritrovò davanti al Molly’s, ma non si fermò, non era quella la sua destinazione. Cercò di tornare con la memoria a quel venerdì sera, impegnandosi a ricordare la strada che aveva percorso per arrivare al negozio dove aveva comprato il caffè. Dopo un paio di tentativi lo trovò.

Aprì la porta, il tintinnio dei campanelli le diede il benvenuto, dietro alla cassa vide l’uomo pelato che, stavolta, non la degnò d'uno sguardo. Sollevata, richiuse la porta dietro di sé e si diresse verso lo scaffale del caffè, una volta raggiunto si guardò intorno speranzosa. Rimase per un attimo ferma davanti alla piramide fatta con le scatole di cereali da colazione, con il cuore che batteva forte, nervosa come se stesse per debuttare a Broadway, le mani leggermente sudate. Sbirciò dietro la costruzione di cartone sentendo i suoi battiti cardiaci rimbombarle nel petto. Non c’era niente; e tantomeno nessuno. Sospirò delusa; chissà poi cosa credeva di trovarci là dietro. Si sentì una sciocca. Restò ancora qualche minuto a fissare il vuoto davanti a se, tormentandosi un labbro con i denti. Quando sentì dei rumori alle sue spalle; si voltò piena di aspettativa. Vide però l’uomo pelato che stava rifornendo un ripiano dello scaffale, estraendo da una scatola dei piccoli oggetti rettangolari; camminava lentamente nella sua direzione, borbottando perplesso:

“ Io vorrei sapere che gli danno a ‘sti giovani… questa è già la seconda che becco imbambolata davanti allo scaffale...ma badate che gente!” parlava sottovoce, tra sé e sé, scuotendo la testa rassegnato. Sylvie arrossì di colpo, intuendo di essere il soggetto del suo bofonchiare; poi una lampadina si accese nella sua testa. Fece dei passi in direzione del commesso e titubante cercò di attirarne l’attenzione.

“ Ehm.. mi scusi, posso chiederle se per caso… un uomo… coi capelli scuri..in questi giorni.. magari è passato di qui..” balbettava imbarazzatissima.

“ Ma sentite questa...ma che domande sono?! come se ne venisse solo uno di uomo con i capelli scuri in questo negozio…” Commentò l’uomo irritato, guardandola con disgusto. “ Vorrei  tanto sapere che ci mettono nel caffè oggigiorno!” Esclamò come conclusione, ritirandosi velocemente verso l’entrata del negozio, come se avesse paura di essere contagiato dalla ragazza. Sylvie, confusa, lo osservò mentre si allontanava, tornando al suo posto; non credeva che una semplice domanda, anche se stupida, ammise, e balbettata, potesse scatenare una reazione del genere. Buttò fuori l’aria rassegnata e mosse dei passi in direzione dell’uscita, quando le cadde l’occhio sulle confezioni di caffè. Subito le parole del commesso le risuonarono in testa:
“ Vorrei tanto sapere che ci mettono nel caffè oggigiorno!”

Si avvicinò allo scaffale e si concentrò sui vari pacchetti, studiandoli a fondo, non sapendo neanche esattamente cosa cercasse o sperasse di trovare. Con disappunto non notò niente di particolarmente interessante, fino a che, distrattamente, non spostò la prima confezione della fila. Dietro di essa un piccolo foglietto bianco spuntava timido da sotto un altro pacchetto di caffè.

Guardò quel pezzo di carta come se fosse un forziere pirata pieno di pietre preziose e dobloni d’oro; sentiva una sensazione dolce e calda invaderle tutto il corpo, un timido sorriso allargarsi sulle labbra. Non lo aveva ancora toccato, né tanto meno letto, ma era fermamente convinta che fosse un messaggio lasciato da Antonio; e ciò significava che lui stava bene, era vivo, da qualche parte. E allora perché esitava così? Un maledettissimo dubbio si insinuò nella sua mente:

“ E se fosse soltanto un foglio bianco qualsiasi? oppure uno scontrino dimenticato?o semplicemente una cartaccia?”

Ritirò la mano che aveva allungato per prenderlo verso il proprio corpo, titubante; infine, dandosi della stupida fifona si decise ad afferrarlo. Osservò a lungo le due file di numeri, vergate con una grafia frettolosa sul pezzo di carta. Non le dicevano assolutamente niente, per lei erano solo cifre a caso messe una vicina all’altra per pura combinazione. Provò una delusione cocente, fino a quando non abbassò gli occhi sul fondo del biglietto. Là vide due lettere scritte in maiuscolo:
“AD”.

Esultò mentalmente e percepì una gioia incontenibile farsi largo nel suo petto. Era lui. Era sicuramente stato lui a scrivere quelle cifre, e questo significava che era stato lì, e stava bene. Non riuscendo più a controllarsi scoppiò in una risata liberatoria e strinse forte quel pezzetto di carta tra le dita come se fosse la cosa più importante che esistesse. Calmato lo scoppio di risa, si ricompose e si affrettò ad uscire dal negozio, non prima però di aver salutato l’uomo pelato ed averlo informato di quanto amasse il suo negozio, ricevendo così un’occhiata tra il confuso e il disorientato. Saltò in auto e senza allentare mai la presa sul suo tesoro, si precipitò in direzione del distretto 21.

  
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