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Autore: Il_Signore_Oscuro    18/11/2016    2 recensioni
Ragnar'ok Wintersworth un giorno sarà l'Eroe di Kvatch, colui che salverà Tamriel dalla minaccia di Mehrunes Dagon, principe daedrico della distruzione, con il fondamentale aiuto di Martin Septim ultimo membro della dinastia del Sangue di Drago. Ma cosa c'è stato prima della storia che tutti noi conosciamo? Chi era Ragnar prima di essere un Eroe? Lasciate che ve lo mostri.
[PAPALE PAPALE: questa storia tratterà delle vicende di Ragnar. Non sarò fedelissimo al gioco ma ne manterrò le linee generali, anche se alcuni avvenimenti saranno cambiati o spostati nel tempo. Non ho altro da dirvi, se non augurarvi una buona lettura!]
BETA READER: ARWYN SHONE.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eroe di Kvatch, Jauffre, Sorpresa, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Chapter fourteen – A tale from ancestors.

Il tamburo batteva a un ritmo regolare, seguito dallo scrosciare di sessanta remi che andavano ad immergersi nelle acque del mare. Dovunque guardassi vedevo l’azzurro del cielo fondersi a quello dell’oceano, lungo la linea dell’orizzonte.
Dov’ero finito? Questo non sembrava un ricordo di Cardys: i colori erano vivi e brillanti, come se li stessi guardando in prima persona, era tutto così reale. Ben presto constatai che, come nelle scene in cui ero trascinato dal diario, nessuno sembrava notare la mia presenza.
La nave su cui mi ero ritrovato era molto diversa da qualunque altra imbarcazione avessi mai visto in precedenza: il ponte era più stretto e lungo; c’era un unico albero con una sola vela, tra l’altro ammainata. La prua in legno era stata intagliata in guisa di un’enorme testa di lupo, ritratta in un’espressione feroce.
All’albero maestro era stato legato un ragazzino di etnia nord, come tutti quelli presenti sulla nave. Aveva gli occhi chiari e gentili, con una stoppa di capelli biondicci, le sue vesti erano logore e maleodoranti. Non si esprimeva tramite parole, ma con versi acuti: il fatto di essere legato non sembrava impensierirlo granché, i suoni che emetteva erano docili ed entusiasti. Le sgraziate fattezze del suo volto, privo di armonia, mi suggerirono che quel bambino doveva soffrire di un qualche male che intaccava il funzionamento della sua mente. Jauffre chiamava le persone come lui “agnelli dei Nove” forse per via della loro ingenuità e il fatto che, per forza di cose, fossero impossibilitati a compiere il male.
Ignoravo le ragioni per cui era stato legato in quel modo, non vedevo quale pericolo potesse costituire una creaturina tanto piccola e indifesa. L’unica persona a cui sembrava importare qualcosa di lui era una ragazza da lineamenti gentili, le labbra piene e gli occhi bruni. Lo imboccava con tozzi di pane secco, bagnati in una zuppa di verdure, pulendolo ad ogni boccone, ricevendone in cambio un sorriso di gratitudine. La donna aveva lunghi capelli corvinitenuti fermi da un diadema in argento: forse era una principessa o qualcosa di simile.
Sul ponte di prua due uomini erano intenti a discutere, sottovoce, per non farsi sentire da altri se non loro stessi. Mi avvicinai, sperando di riuscire ad ascoltare quel che si dicevano.
Per la differenza d’età e le somiglianze nella corporatura supponevo che fossero padre e figlio. Il padre aveva un viso dai contorni squadrati, colmo di cicatrici risalenti a vecchie battaglie, e due occhi gelidi come la neve che copriva i Monti Jerall. Vestiva una corazza di cuoio foderata in pelliccia, dal fianco gli pendeva un’imponente spada con una runa incisa sul pomo. Le sue larghe spalle erano cinte da un manto d’orso bruno.
L’altro indossava un’armatura fatta d’ebano, con i segni e le ammaccature del lungo uso. Era armato con una spada simile a quella del padre, ma più minuta, e senza il carattere runico inciso sul pomo. Il suo mantello era quello di un lupo, con la pelliccia dello stesso colore della notte.
I capelli e la barba corvini, portati entrambi lunghi, erano percorsi da piccole treccine. Il suo volto, sebbene più magro e adulto, era sorprendentemente simile al mio, così come gli occhi, nel taglio e nel colore.
-A breve usciremo dalla zona di bonaccia. – Osservò il padre. – Spiega le vele, quando ti do il segnale.
-Padre, - chiese l’altro con voce grave, - siete proprio sicuro di volerlo fare?
-Ne abbiamo già discusso Lothbrok, - gli rispose, fulminandolo con i suoi occhi di ghiaccio – non cambierò la mia decisione.
Il figlio non sembrava tuttavia intenzionato a desistere, forse mi assomigliava anche nel carattere oltre che nell’aspetto.
-Padre, ascoltami, ho affrontato le prove di Peryite. Il Daedra mi ha donato Spezza-Incantesimo. Potremmo usarlo per-
-Ti aspetti che uno scudo incantato, donatoti dal più debole fra i signori Daedrici, possa anche solo sperare di competere con il fuoco e la furia di Fafnir? Sei molto più sciocco di quanto pensassi. – Lo rimproverò.
-Allora stringi alleanze con gli altri Jarl! La forza congiunta dei nostri villaggi potrebbe liberare le nostre terre dalla creatura che le infesta. Insieme saremmo più forti, perché ti ost-
Un manrovescio del vecchio lo zittì prima che potesse concludere la frase.
-Osi dare ordini a me?! Io sono Sigfrid, Jarl di Wintersworth, portami rispetto ragazzino. Le alleanze con gli altri Jarl si stringono con la forza e la paura, non con la diplomazia. Nessuno porta rispetto ad un uomo che da’ più importanza alle parole, che al suo braccio. Sei sempre stato un debole Lothbrok, ma speravo che gli anni passati a combattere gli elfi ti avessero irrobustito la spina dorsale, o meglio, te l’avessero fatta crescere. – Sputò sul legno del ponte. – Ma vedo che così non è. Ora sparisci dalla mia vista finché non saremo giunti a Yokuda.
“Yokuda?” ripetei, incredulo. Questo ricordo non poteva appartenere ad altri che all’anima contenuta all’interno di Durendal e gli uomini che avevo visto discutere dovevano essere i miei antenati, supponendo che la spada fosse sempre appartenuta alla mia famiglia: ma l’estrema somiglianza con Lothbrok e il fatto che dal sangue dello Jarl fosse plausibile uscisse un uomo come mio padre, beh, non mi lasciavano molti dubbi in merito. L’anima all’interno della spada mi stava mostrando le sue ultime ore di vita.
Mi avvicinai al ragazzino legato all’albero maestro, fissando i suoi occhi chiari: non c’era creatura più dolce e più pura di quella al mondo. Ero quasi spinto dal desiderio di carezzare quel viso, ignaro di ciò che lo aspettava, cosciente che non avrebbe avvertito il mio tocco. “E’ così sei tu colui che mi ha protetto per tutto questo tempo? Sono così felice di poter finalmente vedere il tuo volto, anche se in così tristi circostanze” gli dissi, non ricevendo ovviamente risposta.
Accanto a me, vidi Lothbrok avvicinarsi alla ragazza e parlarle, posando una mano sulla sua spalla.
-Mi spiace, dolce sorella, nostro padre non sente ragioni. – Disse, con tono sinceramente dispiaciuto.
Lei abbassò lo sguardo, delusa e improvvisamente intristita.
-Povero bambino, la sua unica fortuna è non sapere ciò a cui sta andando incontro. – Si chinò per baciarlo sulla fronte. – Gli Otto sono stati caritatevoli con lui in questo senso, spero soltanto che non soffra …
-Lo spero anch’io. – Rispose Lothbrok, rivolgendo un’occhiata rammaricata al piccolo, per poi farsi prendere dalla rabbia e imprecare fra sé e sé. – Idiota! Se solo nostro padre non fosse ossessionato dall’idea di far guerra contro tutto e tutti.
-Dolce fratello, un giorno tu guiderai il nostro villaggio. – Disse la ragazza, rialzandosi e posandogli una mano sotto il mento, perché la guardasse negli occhi. – Sarai il più grande di tutti gli Jarl che Wintersworth abbia mai avuto! – Lo rincuorò lei.
Nell’aria si propagò un filo di vento, proveniente da est: all’inizio era poco più di una brezza leggera, ma ben presto si trasformò in un soffio impetuoso e feroce che smuoveva le onde in furenti cavalloni.
-Spiegate le vele! Tirate via i remi! Presto, presto! – Urlò lo Jarl, gridando ordini a destra e a manca.
La nave sembrò volare sopra il pelo dell’acqua tanto andava veloce, solcando i venti dell’oriente: il tessuto bianco della vela si gonfiava con un rumore secco con le corde che la assicuravano all’albero maestro in un’agonia di lamenti.

Yokuda ci accolse con le sue spiagge dorate. Il clima sarebbe stato piacevole, non fosse stato per i ventacci che tiravano da quelle parti: le acque si erano agitate non appena eravamo giunti in prossimità dell’isola.
Procedendo oltre la riva, Yokuda si estendeva per miglia e miglia in una distesa sconfinata di ruvide steppe.
Gran parte dell’equipaggio era rimasto sulla nave, gli unici ad essere scesi eravamo io, il bambino, lo Jarl e i suoi due figli, insieme a due soldati che trasportavano il ragazzino, prendendolo per le braccia con la gentilezza che si riserva ad un animale da soma. Rimanemmo in attesa per alcuni minuti, finché un uomo non ci venne incontro: aveva la pelle bruciata dal sole d’estate, il volto coperto da un cappuccio grigio e logoro come la sua veste, le mani nascoste in larghe maniche; al suo seguito due guardie armate dalla testa ai piedi: erano di etnia redguard. Indossavano una corazza a piastre, decorata con tessuti di seta variopinta, ricca di ricami e intricati ghirigori. Le loro spade avevano una curiosa forma ricurva, dalla lama piatta ed estesa.
L’incappucciato si presentò:
-Benvenuti, uomini del Nord. – Fece un leggero inchino. - Io sono Lonvan: voce dei fabbri-stregoni di Yokuda. Vi prego di seguirmi.
L’incappucciato ci condusse attraverso la landa desolata, fino a giungere in quella che sembrava una sorta di santuario tribale: quattro menhir descrivevano un quadrato, al centro un imponente palo di legno, ricavato da un tronco, infilato in una grossa bacinella di pietra.
-Jarl Sigfrid di WIntersworth. – Disse l’incappucciato, mentre dietro ogni menhir comparivano uomini vestiti come lui. – Prima di cominciare il rito, dobbiamo invocare il nostro Padre Oscuro, affinché ci conceda l’anima della vittima che sacrificheremo.
-Non mi interessano i vostri dei, stregone, fate in fretta e facciamola finita. – Disse con insofferenza lo Jarl.
Lonvan non badò alla risposta e, insieme con i suoi compagni, intonò:
-Akel, oh, Akel: padre del vuoto e del caos. Concedi a questi tuoi umili e fedeli servitori di serbare  qualche boccone del tuo banchetto, la vittima che offriamo alla tua gloria: di lei prendi le ossa, la carne e il respiro. Lascia a noi la volontà, l’anima e il sangue. Che il suo corpo ceda alla polvere solo quando il rito sarà concluso, con il tuo benestare. Akel, oh, Akel.
Rimasero in silenzio a lungo, immersi in quella grottesca preghiera che ripeterono più volte, all’unisono. Aprirono gli occhi solo quando nel vento si udii un sussurro da far gelare il sangue nelle vene, mi ricordò in qualche modo la sensazione che avevo provato guardando la vecchia casa abbandonata, nel distretto ovest di Cheydinhal.
-Sigfrid di Wintersorth, - disse Lonvan, - il nostro Padre Oscuro ha accolto la tua richiesta. Presenta pure la tua offerta al suo altare.
Lo Jarl fece un cenno alle guardie, le quali, senza esitare un momento, portarono avanti il ragazzino. Il piccolo, forse in un gesto di istintiva paura, cominciò ad agitarsi. Lonvan si chinò su di lui, scoprì le mani rachitiche e nodose, più simili ad artigli che ad arti umani. Lo esaminò con attenzione, tastando ogni parte del suo corpicino.
-Puro come acqua di fonte- disse, commentando con compiacimento.
-Padre, ti prego! Non farlo! – Protestò la figlia dello Jarl, con le lacrime che ormai le riempivano le gote rosate.
-Taci Durendal! – Il mio cuore mancò un colpo. – Continua, stregone.
Mi ripetevo che non poteva essere, no, il sospetto che lentamente cresceva in me non poteva essere fondato. Il fatto che quella ragazza avesse lo stesso nome della spada forse era un caso, doveva essere un caso. Quale padre avrebbe mai fatto una cosa del genere?
-Come dicevo, il ragazzo è puro e innocente. Tuttavia, la sua malattia mentale inficia la sua volontà non rendendolo quindi adatto al rito, Jarl Sigfrid. Suggerisco di offrire un’altra persona al suo posto. – Ci furono istanti di nervoso silenzio. I due fratelli rivolsero sguardi allarmati al loro padre. – La fanciulla, magari. Sì, lei sarebbe perfetta.
-Cosa?! – Urlò Lothbrok, sguainando la spada. – Nessuno si azzardi a toccarla.
Il figlio dello Jarl sarebbe stato pronto a uccidere ognuno dei presenti pur di difendere la sorella, glielo leggevo negli occhi.
-Rinfodera la spada, giovane nord, - disse Lonvan, con un ghigno – la nostra magia è potente.
Lothbrok si voltò verso Sigfrid, senza mettere via l’arma.
-Padre, se ma hai avuto un briciolo di amore verso la tua famiglia o di timore verso gli Dei, ti prego, non lasciarglielo fare.
Durendal non parlava, aveva lo sguardo basso, come un condannato in attesa della scure del boia sulla propria testa. Lo Jarl di Wintersworth rimase in silenzio per alcuni istanti, poi rivolse un ultimo sguardo di ghiaccio a sua figlia, prima di rispondere:
-Procedi, stregone. – E poi, rivolto ai suoi soldati. – Se solo mio figlio muove un muscolo, uccidetelo.
-Non lo permetterò. – Lothbrok rivolse la spada verso suo padre, era pronto ad affrontarlo, togliergli la vita, se necessario.
-Rinfodera la tua lama, tua sorella morirà comunque. – Gli intimò lo Jarl.
-Loth, basta così. – Disse la ragazza, frapponendosi fra i due e prendendo il volto del fratello fra le mani. – Ricorda le mie parole, fratello: verrà il giorno in cui l’aquila di sangue spiegherà le sue ali e io sarò con te. Verrà il giorno in cui il lupo, ferito, riaprirà gli occhi e innalzerà ancora il suo canto alle due lune e agli astri erranti, anche allora io sarò con te, a cingerti il fianco. – Lo baciò sulla fronte. – Ci rivedremo, fratello.
Così, con parole che avevano il sentore di una profezia, la nobile Durendal fu portata al patibolo dai suoi aguzzini, pronta a lasciare questo mondo con tutta la dignità della sua persona.

I fabbri stregoni levarono le mani, simili a rami. Dal cuore della terra una spirale di catene avvolse il corpo di Durendal al palo di legno.
I due redguard dalle lame ricurve portarono un pesante lingotto avvolto in drappi di seta, lo posarono e si disposero ai fianchi di Lonvan. Uno degli incappucciati aprì uno squarcio nei polsi della ragazza: il sangue prese a scorrere, raccolto nella massiccia bacinella di pietra ai suoi piedi.
Il lingotto aveva un colore grigio brillante: sembrava provenire da una stella caduta giù dal firmamento. Mosso da un incantesimo, il lingotto si sollevò in aria e fu avvolto dalle fiamme che si libravano dalle mani degli stregoni: la sua superficie si colorava delle tinte rosso-dorate del tramonto, per poi spegnersi nel colore scuro del sangue. Una strana magia manipolava la forma di quel materiale, assottigliandolo poco a poco, modellandolo, affilandolo: pezzo dopo pezzo, ora dopo ora.
Alla fine fu una lama quella avvolta nel sangue e accesa dal fuoco, un’ultima volta, prima che il rito giungesse al suo termine.
Durendal era livida, il suo corpo aveva perso il colore della vita. Sembrava un cadavere, eppure respirava ancora, tenendo fisso lo sguardo su suo fratello, che da parte sua non lo staccava un attimo: quasi volesse accompagnarla sino alla fine, come se fra i due ci fosse un’invisibile abbraccio con gli occhi, al posto delle braccia, e l’aria al posto del calore dei loro corpi.
L’acciaio rovente fluttuò verso di lei, scivolando lentamente nel suo cuore, fra i morbidi seni, squarciando e bruciando la carne. Non aveva le forze per gridare, il suo fu un lamento flebile e appena udibile da lì.
Così, spada e anima divennero una cosa sola, il Damasco assunse le sfumature dell’acqua e dalla carne squarciata si propagò, attraverso tutta la lunghezza della lama, una venatura centrale, di un rosso scarlatto.
Finalmente il corpo di Durendal si accasciò inerte e ciò che di vivo c’era in lei si riversò nel freddo acciaio della spada.
Gli stregoni avvolsero l’arma  nello stesso drappo che avevano usato per il lingotto e la consegnarono allo Jarl Sigfrid di Wintersworth.
Per la prima volta, in quegli occhi di ghiaccio notai una forma di commozione: in quell’arma egli vedeva una promessa di potere ed eternità. Poco importava se per ottenerla aveva sacrificato il sangue del suo sangue, condannando sua figlia ad un destino peggiore della morte: un’eterna prigionia che non conosceva fuga o evasione.
Lothbrok si era già avviato verso la nave, portando dietro di sé il bambino risparmiato da quell’orribile rituale. Mentre il mio antenato inveiva con maledizioni e vendette verso suo padre e l’intera Yokuda, dava uno sguardo al piccolo, sembrava ammirare la spensieratezza con cui ricercava forme curiose nelle nuvole mosse dai venti nel cielo. Avrebbe voluto essere come lui per qualche istante: tanto innocente da non essere toccato dal male del mondo, quel male che lo circondava e lo avvelenava con oscuri pensieri di morte, parole che gli turbinavano nella mente e che, sentivo, presto avrebbero trovato voce. 


NOTA DELL’AUTORE
Eccoci alla fine del XIV capitolo, piuttosto corto … ma spero che la densità di ciò che è accaduto possa in qualche modo supplire alla brevità. Abbiamo scoperto quale anima si nasconde all’interno di Durendal e ora vedremo come l’antenato di Ragnar, Lothbrok, si vendicherà di suo padre. Per i nomi e certe ambientazioni mi sono ispirato a Vikings, una serie che sto seguendo ultimamente.
Spero vi sia piaciuto :3 alla prossima!

Al solito ringrazio coloro che mi seguono e soprattutto la mia beta Arwyn che mi ha evitato un enooooorme strafalcione xD ah, e ci tiene a sottolineare che LEI LO SAPEVA CHE DENTRO DURENDAL C’ERA L’ANIMA DI UNA DONNA!

Un saluto,
NuandaTSP
   
 
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