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Autore: Sophja99    22/11/2016    6 recensioni
Sono ormai passati milioni di anni dal Ragnarok, la terribile sciagura che ha provocato la morte di quasi tutti gli dei e le specie viventi e la distruzione del mondo, seguita dalla sua rinascita. Grazie all'unica coppia di superstiti, Lìf e Lìfprasil, la razza umana ha ripreso a popolare la nuova terra. L'umanità ha proseguito nella sua evoluzione e nelle sue scoperte senza l'intercessione dei pochi dei scampati alla catastrofe, da quando questi decisero di tagliare ogni contatto con gli umani e vivere pacificamente ad Asgard. Con il trascorrerere del tempo gli dei, il Ragnarok e tutto ciò ad essi collegato divennero leggenda e furono quasi dimenticati. Villaggi vennero costruiti, regni fondati e gli uomini continuarono il loro cammino nell'abbandono totale.
È in questo mondo ostile e feroce che cresce e lotta per la sopravvivenza Silye Dahl, abile e indipendente ladra. A diciassette anni ha già perso entrambi i genitori e la speranza di avere una vita meno dura e solitaria della sua. Eppure, basta un giorno e un brusco incontro per mettere in discussione ogni sua certezza e farle credere che forse il suo ruolo nel mondo non è solo quello di una semplice ladruncola.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo dieci

L'elfo

 

«Aspetta! Vuoi andare dall'Yggdrasill? Adesso?» domandò lei, colta alla sprovvista. Solo qualche ora prima aveva rischiato di morire congelata ed ora Vidar si buttava tranquillamente nel mezzo di una bufera di neve senza farsi nessun problema.

«Certo. Quando, altrimenti?» affermò quasi con disinteresse. Poi sembrò ricordarsi di qualcosa e si fermò. «A proposito, hai detto che il libro era sotto terra?»

Lei passò in rassegna il sogno che aveva avuto e poi annuì con sicurezza.

«Allora ci serviranno delle pale. Il fabbro che prima viveva qui ne aveva un paio?»

Lei gli indicò un baule all'angolo della stanza, dove erano riposti gli attrezzi dell'uomo. Vidar vi rovistò per un po', tirando poi fuori due pale, proprio ciò che cercavano. «Era ben fornito il nostro uomo» scherzò lui, mentre aspettava che anche lei si bardasse prima di porgergliene una.

Come Vidar fece per aprire la porta, Úlfur si tirò su dal giaciglio di Silye su cui si era appisolato e corse da loro. «Lui viene con noi» affermò la ladra in tono perentorio. Il ragazzo scrollò le spalle, facendole intendere che non dava troppo peso alla faccenda. Silye, dopo che Vidar ebbe aperto la porta e fu ben visibile la tempesta di neve, che tuttavia era divenuta più leggera e sopportabile rispetto a quella mattina, si strinse più forte nel pesante mantello, memore dell'orribile esperienza vissuta la sera prima.

Non aveva bisogno della bussola per arrivare all'Yggdrasill, che si trovava esattamente al centro del bosco, come aveva potuto constatare negli anni. Riconobbe la strada solo guardando i tronchi e le forme degli alberi, gli stessi che aveva osservato nel suo sogno e che ora erano ricoperti di un candido bianco al posto dei vivaci colori dei fiori. Impiegarono un quart'ora per giungere all'Yggdrasill, speso in un silenzio tombale, interrotto solo dal rumore del vento che sferzava i loro corpi e i loro indumenti. L'albero si stagliò davanti ai loro occhi, fiero e possente. Nonostante nel suo sogno fosse splendido, ora le sembrò ancora più bello, con i rami ricoperti di neve, che lo faceva apparire più etereo e luminoso.

Ancorò la pala a terra e Vidar si voltò a guardarla, aspettando che lei dicesse qualcosa. Silye interpetò quello sguardo come una tacita domanda sulla posizione del libro. Si concentrò e fece qualche passo verso le enormi radici dell'albero, ripercorrendo le mosse della sé stessa onirica. «Qui» indicò un pezzo di terra proprio ai piedi della grande pianta, lo stesso che nel sogno si era aperto per lasciarle vedere il libro grigio.

Vidar le si avvicinò e fece per iniziare a scavare, quando sentì qualcosa sferzare l'aria a grande rapidità. Si piegò appena in tempo per evitare un dardo che si andò a conficcare a terra, accanto ad una radice. Silye aveva già visto quella freccia prima di allora, nei ricordi di Vidar... Prima che riuscisse a finire di formulare quel pensiero, il ragazzo diede voce alle sue preoccupazioni: «Elfi. Dobbiamo andarcene.» Si rialzò e prendendola per un braccio, si nascosero dietro l'albero più vicino. Silye non riusciva a credere che gli stessi elfi che aveva visto gioire e ridere insieme a Vidar nella visione ora li stessero attaccando. Non li riteneva capaci di ferire un essere umano, ma se erano davvero ostili allora potevano essere pericolosi, date le grandi abilità che avevano ostentato nei ricordi del dio. Potevano essere ovunque e coglierli impreparati in qualsiasi momento.

Poi un pensiero la folgorò. Úlfur! Non era con loro, era rimasto accanto all'albero ad annusare la freccia. Fece per corrergli incontro, ma Vidar la trattenne appena in tempo per fare evitare una freccia che le sfiorò solo per poco l'orecchio.

Una figura calò accanto all'Yggdrasill con un salto aggraziato, tanto che lo fece sembrare più un volo che una caduta. «Come osate danneggiare l'Albero della Vita?» disse con voce cristallina, nonostante il tono rabbioso. Silye si accorse che, sebbene parlasse bene la loro lingua, poteva distinguere un accento che non aveva mia sentito prima di allora. Era solo uno, ma potevano essercene altri appostati sugli alberi. Vedendo le loro pale, doveva aver pensato che il loro intento fosse di rovinare le radici dell'Yggdrasill, quando quella fosse l'ultima cosa che volevano fare. Quello prese un'altra lunga freccia e Silye temette che meditasse di uccidere il cane, ma per sua fortuna non sembrava volerlo fare, anche se si fosse evidentemente già accorto della sua presenza e del fatto che sarebbe potuto apparire un bersaglio facile. Tutta la sua attenzione era concentrata su Silye e Vidar.

Quest'ultimo prese subito la parola. «Non erano queste le nostre intenzioni. Portiamo rispetto per l'Yggdrasill.»

Per un po' non giunse nessuna risposta e Silye si sporse per vedere l'elfo. Questo era rimasto immobile con un'espressione stupita in viso. «An i himnar ar stjǫrna!¹» sussurrò poi in una strana lingua e, una volta svanita la rabbia, la sua voce aveva i tratti di una melodia. «Vidar?» Una delle frecce gli cadde dalle mani ed ora si stava avvicinando a loro.

«Elurín?» disse Vidar, come se stesse vedendo un morto che cammina. «Sei ancora vivo?»

«Solo per fortuna. Quando abbiamo visto il fuoco avanzare, ci siamo rifuggiati nel bosco di Hoddmímir, l'unico luogo scampato al Ragnarok. Eravamo in pochi ad essere sopravvissuti, ma gli altri che erano con me sono stati uccisi dagli umani rigeneratisi dopo la catastrofe. Ci siamo difesi come meglio potevamo per proteggere noi stessi e l'albero e siamo riusciti a scacciarne in tanti, ma ora sono l'unico rimasto» nella sua voce e nel suo viso traboccavano dolore e solitudine.

«Mi dispiace molto, vinir²» rispose il ragazzo, appoggiando una mano sulla spalla dell'elfo e stringendola forte, come a voler trasmettergli un po' della sua forza e dimostrargli la sua compassione.

«Sa naa nain?³» chiese poi Elurín, rivolgendo lo sguardo su Silye, come se si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza.

La ragazza si sentì sotto pressione. Le sembrava quasi di essere un terzo incomodo, comprendendo solo sprazzi della conversazione tra Vidar e l'elfo, ed ora tutta l'attenzione si era spostata improvvisamente su di lei. Vidar lo prese da parte, in modo che lei non potesse ascoltare ciò che aveva da dirgli, quando lei non avrebbe comunque avuto modo di capirlo, dato che non conosceva la lingua dell'elfo.

Sentì una scarica di collera, poiché era stata completamente ignorata e tagliata fuori quando i due stavano evidentemente parlando di lei. Decise di non rimanere con le mani in mano e andò a prendere la sua pala per ricominciare il lavoro da dove era stato interrotto. Calò l'arnese con forza nel terreno e, raccolto un mucchietto di neve, lo tirò da una parte. Non dovette aspettare troppo prima che Vidar finisse di parlare con l'elfo. Una volta terminato il suo discorso, Elurín annuì con fare comprensivo. Si abbracciarono e Silye sentì l'elfo pronunciare: «Aa' stjǫrnor blíkja ar' skriða.⁴»

Quando si separarono, Vidar gli rispose: «Aa' fogr en lle coia orn n' omenta gurtha.⁵»

Silye non poteva afferrare il loro significato, ma dall'espressioni dei due capì che dovevano essere delle frasi di saluto particolarmente solenni.

Si stava accingendo a gettare altra neve mischiata a terra nella montagnola che si era andata a formare, quando Elurín le si avvicinò. «Aa' strykir nora lanne'lle, Istar» disse con rispetto.

La ragazza rimase zitta, con sguardo confuso e affascinato allo stesso tempo. Avrebbe tanto voluto essere in grado di capire quello che le aveva appena detto e rispondere con qualcosa di altrettanto significativo, ma non ne era in grado. Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma non le venne nulla in mente, così la richiuse di scatto. Ora che l'elfo le era venuto più vicino, ebbe la possibilità di guardare meglio il suo aspetto così diafano e selvaggio. Era molto simile agli elfi della sua visione: pelle chiara, argentea, capelli dello stesso colore del riflesso della luna sull'acqua, con diverse ciocche ribelli e disordinate che gli coprivano la fronte e un viso dolce e giovane, per nulla scalfito da anni e anni di vita. Ma ciò che più la sorprese furono gli occhi, che non aveva avuto modo di osservare dal vivo e da vicino nei ricordi di Vidar: un argento incredibilmente puro, trasparente, come se dentro vi si potesse leggere ogni attimo della sua vita passata nel fitto della natura. Occhi che avevano visto, amato e sofferto. Dentro di essi si confondevano cieli stellati e boschi notturni, venti montani e limpide acque.

Continuò ad osservarlo mentre si voltava, riprendeva la freccia che prima aveva lasciato cadere e spariva nel folto della foresta con passo felpato e senza aver emesso il minimo suono.

«Era un mio caro amico» disse poi Vidar, riscuotendosi. «Uno degli elfi con cui condivisi tante giornate come quella che hai visto tra i miei ricordi.»

«Che cosa mi ha detto prima di andarsene?» chiese Silye, certa che lui avesse assistito alla scena.

«Possa il vento gonfiare le tue vele, maga.»

 

 

Note:

¹ Per il cielo e per le stelle! in lingua elfica.

² Amico in lingua elfica.

³ Chi è lei? in lingua elfica

Che sempre le stelle brillino sul tuo cammino in lingua elfica.

Che le foglie del tuo Albero della Vita mai appassiscano in lingua elfica.

Le espressioni elfiche usate sono ispirate a quelle del romanzo Il Signore degli Anelli, di Tolkien. Per creare la lingua elfica, ho usato parole appartenenti a quella norrena.
   
 
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