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Autore: Sydrah    23/11/2016    7 recensioni
Cos'è l'amore?
Questa fu la stessa domanda che si pose il giornalista Kim Taehyung, alle prese con una nuova rubrica sull'amore.
Nonostante la sua diffidenza verso l'argomento, inizialmente sembrò andare tutto liscio, fino all'incontro con un idol piuttosto arrogante: Park Jimin.
Il loro primo incontro non fu dei migliori, e Taehyung rimase piuttosto deluso dallo scoprire che il cantante non era per nulla la persona che credeva egli fosse.
Ma chi è veramente, allora, Park Jimin? E per quale motivo mostra così tanto astio verso il giovane giornalista?
Ma soprattutto, riuscirà Taehyung a scoprire cos'è veramente l'amore?
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Kim Taehyung/ V, Park Jimin, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Il giorno dopo ricaddi nuovamente nella solita routine. 
Sveglia alle 6 e mezza, in ufficio alle 8. Lavoro lavoro lavoro, pausa pranzo e lavoro lavoro lavoro  e a casa alle 8 di sera.
Cena a base di ramen in scatola, di cui ero ormai diventato un cuoco provetto, e letto.
Così fu per una settimana, ed in quel periodo non ebbi più notizie di Jimin.
Passai ogni sera a scrivere messaggi per poi cancellarli, troppo imbarazzato dalle mie speranze e sentimenti.
Le notti insonni erano ormai il mio più fedele amico, durante le quali il mio cervello si sbizzarriva nel torturarmi e farmi soffrire.
Ma forse era così che doveva andare, forse quando ci si avvicina troppo alle emozioni ci si fa male e basta.
Avrei voluto gridare al mio cuore di stare zitto, di ricucirsi, che non ero un ragazzino stupido, ma che ero un uomo e gli uomini non soffrono.
Già, gli uomini non soffrono, non mostrano emozioni, non piangono in pubblico.
Gli uomini ingoiano il dolore, vanno a lavorare e portano i soldi a casa, come mio padre faceva.
Gli uomini non si innamorano di altri uomini, soprattutto, e non potevo fare a meno di aver paura per questo ultimo punto.
La sensazione di essere così dannatamente sbagliato in una società che giudica ad occhi chiusi, le parole che si propagano nell’aria, creando un turbine di disprezzo che travolge l’anima.
Non importava quanto i miei amici provassero a rassicurarmi che no, non ero io il problema, non potevo fare a meno di incolparmi anche sta volta per tutti i gli errori che stavo facendo.
Era, dopotutto, da sempre colpa mia.
Era colpa mia se mio padre era mancato, mia madre me lo ripeteva sempre, tra un bicchiere di un liquore scadente e l'altro, e di conseguenza era colpa mia se mia madre mi aveva abbandonato, lasciandomi a me stesso: un ragazzino ancora troppo giovane che si era ritrovato a dover affrontare il mondo degli adulti senza neanche un'appogio.
Ed, infine, era colpa mia se ero gay.
Era colpa mia, e faceva male saperlo.
~~~~~~
 
Passò un altro giorno, e stavo dirigendomi in banca a depositare la solita somma di soldi nel conto di mia madre.
Come al solito avevo ricevuto il messaggio di mattina presto:
 
DA: Mamma
E’ oggi.
 
Nulla di nulla, due parole e un punto. Nessuna emoticon, nessun saluto, nessun ‘come stai?’ ma ormai sapevo che era così, non mi aspettavo più nulla da una persona come lei. E' proprio vero che esistono persone che non dovrebbero mai ricevere una responsabilità tanto importante quanto quella di diventare genitori, e lei ne era l'esempio vivente, ma in fondo non potevo fare altro che compatirla. Probabilmente anche lei era stata schiacciata dal peso della vita e, incapace di affrontarla, aveva preso la decisione di distruggersi e di  portare a fondo anche tutte le cose e le persone che le stavano intorno, come una bomba che esplode.
La coda alla banca era snervante, ma in quel breve arco di tempo mi resi conto che forse, tra i due, sarei dovuto essere io quello coraggioso, prendendo le mie azioni in mano e decidendo di affrontare ciò che per anni avevo preferito nascondere nell'angolo più segreto del mio armadio.
Avrei dovuto incontrare mia madre.
Per questo, uscito dalla struttura, di diressi a passi pesanti verso quella che per lunghi anni avevo definito casa.
Quelle quattro pareti che una volta mi erano sembrate lontanamente accoglienti e rassicuranti, quella flebile felicità che viene col sapere di avere qualcosa a cui far ritorno.
Ogni passo era come un pugno allo stomaco, ogni mattonella fin troppo familiare, flash di vecchi ricordi in cui un bambino sereno correva, i suoi piedi battevano con sicurezza su ognuna di esse, per poi inciamparsi su quella alla sinistra della strada, che da sempre era stata leggermente più rialzata rispetto alle sue compagne. Lo stesso bambino che un istante prima era felice, ora per terra, le sue piccole mani sporche di pennarelli stringevano disperatamente il suo esile ginocchio scalfito, grosse lacrime sulle guance, ma allora una mano amica c’era.
Una mano che afferrò la mia con sicurezza e delicatezza, issandomi nuovamente sulle mie gambe, per poi mettere un piccolo cerottino sulla ferita.
Un ragazzino, dolce come la cioccolata e  gentile come una leggera brezza marina. Tutto dimenticato, ma le sensazioni che la sua compagnia mi trasmetteva erano intagliante nella mia memoria, proprio come le lettere che degli innamorati scavano nella corteccia di uno sventurato albero.
Di fianco a me ora c’era un muro, quello che diventava sempre la preda preferita dai teppisti e writers del mio vicinato, quello dove ogni giorno comparivano frasi e disegni nuovi.
Infatti, molti erano stati ricoperti da altri strati di vernice spray, ma non potei fare a meno di passare le dita su una frase in particolare che riuscii ancora a riconoscere:
 
‘Col tempo migliora’
 
-leggeva, scritto con caratteri grossolani e poco curati, e oh, quanto avrei voluto che quella frase avesse un fondo di verità.
In lontananza potevo ormai vedere il grigio rovinato della vernice dell’esterno della casa, e la mia mente recepì finalmente cosa stavo effettivamente facendo.
Era tutto esattamente come l’avevo lasciato: le finestre ancora da lucidare, la porta da ridipingere ed il giardino da curare, era tutto uguale, ed il peso dei ricordi diventò troppo grave.
Alzai la mano tremante verso la porta, la stessa mano che era stata afferrata con delicatezza da un amico, la stessa mano che era stata respinta da un padre freddo, la stessa mano che si era posta davanti al mio viso, in gesto di protezione verso l’ira di mia madre, la stessa mano che era sempre stata ghiacciata, perché nessuna forma di affetto era durata abbastanza a lungo da poterla ormai riscaldare.
Il legno che colpì le mie nocche mi parve sicuramente più duro di quello che doveva essere, e il minuto che trascorse eterno.
Una minuta figura, consumata dall’età e da una vita infelice, aprì stancamente il portone, per poi immobilizzarsi completamente quando sollevò gli occhi sulla mia figura.
Se la casa era identica a come l’avevo lasciata non potevo dire lo stesso di quella donna che avevo davanti, quella dorna che a stento riuscii a riconoscere.
Il viso era scarno, attraversato da rughe troppo profonde per la sua età, le occhiaie prominenti, gli occhi gonfi e rossi per la mancanza di sonno, completamente spenti, e i capelli ingrigiti.
Mi fissò, con la bocca appena dischiusa, e io mi persi nell’osservarla, nel cercare quella persona che un tempo era stata il mio incubo, il mostro di cui avevo paura, ma non potevo vedere altro che una figura distrutta.
Sentii già le lacrime iniziare a bruciare nei miei occhi, ma no. No
Ero un uomo, non dovevo.
 
-“Hey” la mia voce uscì come un misero sospiro, il mio cuore batteva all’impazzata, insicuro di cosa provare verso il fantasma del passato che avevo davanti.
Lei non rispose, aprii solo di più la porta, per permettermi di entrare.
Anni di sentimenti repressi mi caddero addosso.
Anni in cui avevo rimosso completamente tutto, e quel tutto era tornato a galla in un singolo istante.
Lei si diresse verso il salotto, sapevo già la strada, e per un attimo mi parve che le strette pareti del corridoio volessero soffocarmi.
 
-“Cosa…cosa ci fai qui?” disse mentre cercava di ripulire il piccolo tavolino situato davanti al solito usurato divano marrone, che era costellato da diverse bottiglie vuote e pacchi di ramen istantaneo. Da qualcuno avevo pur dovuto prendere, e un piccolo accenno di sorriso si fece largo sul mio viso al pensiero.
Mi sedetti sul divano, sguardo fisso sulle mie mani.
 
-“Non lo so. Avevo pensato di passare a salutare…E’ passato tanto tempo…”
 
-“Già”
 
-“Hmm…Oggi ho effettuato il pagamento”
 
-“Oh, g-grazie” alzando lo sguardo vidi quanto anche lei fosse disturbata dalla situazione, la sua piccola figura pareva quasi sprofondare nella poltrona di fronte a me.
 
-“Come...Come stai Taehyung?” Aggiunse dopo poco, e con quella frase sentii i nudo all’interno di me sciogliersi.
I nostri sguardi si incontrarono, pieni di tristezza, rimorso, vergogna e insicurezza, e fu prima che il mio cervello riprese correttamente a funzionare che mi catapultai verso quella figura, e le stesse mani che una volta si erano protette da lei si ritrovarono a stringerla e avvolgerla, e le sue più piccole si aggrapparono con disperazione al fronte della mia maglia.
La sentii singhiozzare, ripetermi ‘mi dispiace’ come un mantra sul mio collo, la sua voce spezzata.
 
-“Mi dispiace Tae, mi dispiace. Ho sbagliato tutto, tutto. Mi dispiace. Lo so che non cambierà nulla, ma mi dispiace così tanto” Troppe emozioni mi attraversarono: disgusto, perché nonostante il suo dispiacersi non si era preoccupata mai di me, e compassione, per come si era ridotta.
Ma soprattutto comprensione.
Non ero sicuro che sarei mai stato in grado di perdonarle tutto, no, ma finalmente avevo capito.
Ogni umano è tale, e gli umani sbagliano, e più sbagliano più si vergognano dei proprio errori, e per scappare da essi, per cancellarli, per non doverli affrontare, decidono di continuare a sbagliare perché è più facile.
 Perché a quel punto sei tu che ferisci, e non gli altri che feriscono te e allora fa meno paura. Ma poi sbagliare diventa una cosa quotidiana, e si rimane intrappolati in un circolo vizioso che ci fa sembrare sempre più spaventoso il cercare di rimettere tutto a posto, e si arriva ad un punto, quando si distrugge tutto, che nulla più importa perché si ha la consapevolezza di aver perso già tutto, e che anche le piccole cose che avevi le hai frantumate tu stesso fra le mani.
E lei avevo distrutto tutto, proprio come me.
Dopotutto eravamo davvero simili, due disastri in un mondo inadatto, due ferite profonde nell’umanità, continuamente sanguinanti.
Quindi sì, la capivo, e sentii che anche le sue mani erano fredde.
Sperai che la vita fosse come la matematica, dove due meno moltiplicati fanno un più, sperai che la negatività si trasformasse in positività, e sperai che una fonte fredda riuscisse a riscaldarne una altrettanto fredda.
Ma probabilmente non era più possibile riparare il passato, però nessuno aveva mai detto che non fosse possibile costruire un nuovo futuro.
 
Non appena ci calmammo un attimo quella donna, mia madre, mi propose di prendere un tazza di te, e io accettai senza esitazione.
Passammo il pomeriggio a parlare e parlare, ci raccontammo come avevamo passato tutti gli anni precedenti, e poi lei continuò a chiedermi scusa per tutto ciò che aveva fatto. Io le sorrisi, e fu uno dei primi sorrisi sinceri che avevo mai rivolto a mia madre.
Mia madre…era davvero possibile poter ricostruire un rapporto con lei? Ero spaventato, ma oggi avevo capito che mai nella vita bisogna farsi trascinare nel limbo dalla paura, quindi sì ero pronto, e non avevo più paura di essere ferito.
‘Col tempo migliora’, pensai, e forse quella scritta aveva proprio ragione, perché il tempo laddove non può guarire le ferite le fa diventare più superficiali, lasciando tante piccole cicatrici, ma dopo tutto è questa che è la vita: un’opera d’arte imperfetta e colma di cicatrici.
Andammo avanti a parlare fino a sera, quando poi mi riaccompagnò nuovamente alla porta, il cui legno era sicuramente meno duro e spaventoso di prima.
 
-“Taehyung” Iniziò “Voglio rivederti di nuovo”
 
-“Certo” sorrisi ancora, e il mio cuore era più in pace di quanto non lo fosse stato da tanto tempo
 
-“Ah, ancora una cosa” disse prima di chiudere la porta, e io la guardai incuriosito.
 
-“Sono fiera di te”
E le cicatrici si fecero meno marcate di prima
 
~~~~~~~~
 
Le notti della settimana successiva furono più serene.
Un grande problema ed ostacolo nella mia vita si era fatto meno doloroso.
Ma la mia spensieratezza sarebbe durata ancora poco, dal momento che durante una domenica sera mi arrivò un messaggio inaspettato.
Appena lessi il mittente il mio cuore inizió a palpitare.
 
DA: Park Jimin
'Sei libero?'
 
Tutto lì, un misero messaggio che però fece nascere in me tante, troppe aspettative
 
'Si. Perché?'
 
Passó  a malapena un minuto prima che lo schermo del mio cellulare si illuminasse di nuovo.
 
'Incontriamoci a Myeongdong tra 20 minuti. Ti aspetto.'
 
I 5 minuti successivi li passai a fissare lo schermo e quel 'ti aspetto'.
Mi aspettava.
Mi avrebbe aspettato. 
Stava aspettandomi per uscire insieme.
Solo io e lui. 
Tra tutte le persone stava aspettando proprio me.
Tra tutte le persone con sui poteva uscire aveva scelto me.
E io non potevo fare attendere Park Jimin!
Saltai giù dal letto e rientrai in crisi perché non avevo la minima idea di come avrei dovuto vestirmi, ma essendo che era già tardi cambiai la camicia con una felpa nera con le maniche bianche ed indossai dei jeans scuri.
Cercai anche di truccarmi un  poco, ma più che altro mi ficcai la matita nell'occhio e incominciai a lacrimare. 
Appena riuscii a combinare qualcosa di decente presi le chiavi e corsi subito fuori di casa.
Riuscii a prendere il pullman e nell'arco di 10 minuti arrivai a destinazione.
Mi misi ad aspettare vicino ad un lampione e iniziai a pensare che forse non si sarebbe presentato e che era tutto uno scherzo.
Il pensiero di essere stato ingannato così facilmente mi mortificò, e stavo quasi per andarmene, imbarazzato da me stesso,  ma poi sentii una mano toccarmi delicatamente la spalla.

-"Scusa l'attesa, ma non potevo rimanere in mezzo alla strada per aspettarti altrimenti avrei attirato troppe attenzioni. Ormai neanche più nascondere il viso inganna le persone". Portava infatti degli occhiali da sole scuri e una maschera che gli copriva la bocca, e anche stavolta il cappuccio della felpa era tirato sú, nascondendo i capelli e una parte del viso.
Doveva essere proprio dura la vita di un idol.
Io gli sorrisi, perché sapevo che altrimenti la mia voce mi avrebbe tradito.
Strano, fino ad un paio di mesi prima non avrei mai e poi mai pensato che saremmo finiti ad uscire insieme  (come amici, badate bene, anche se il mio cuore la pensava diversamente).
Che ci facevamo lì  dopotutto? Perché era cambiato così tanto?
Pensandoci, il cambiamento non era neanche stato troppo radicale, ma lento e tranquillo, come delle gentili onde che bagnano la riva.

-"Perchè mi hai chiesto di vederci?" Gli chiesi in po' insicuro.

-"Per vederti...no? Sbrigati, voglio portarti in un posto!"

Ci spostando in una strada parallela meno frequentata, dove c'era meno gente e più silenzio.
Lungo la via erano disposti diversi banchetti di cibo, oggettistica e quant'altro, tutti molto colorati.
Entrammo in  un piccolo locale, dove c'era una signora non più giovanissima ma comunque con dei lineamenti delicati, i suoi capelli corvini erano legati in una coda alta, le radici un po' ingrigite.
Era bella, nonostante le occhiaie che le adornavano gli occhi e le fini rughe sulla fronte.
Ci sorrise, i suoi occhi si illuminarono di una vitalità tale che tutti i pensieri precedenti riguardo alla sua età furono dimenticati.

-"Bentornato! Vedo che hai portato compagnia" Mi guardò con un'espressione talmente dolce che sembrava quasi che mi conoscesse e, in parte, anche che mi compatisse.

-"Tae, lei è  mia madre, Minhye" subito mi inchinai, sorpreso dell'improvvisa rivelazione (perché quando mai ti capita nella vita che un idol ti presenta a sua madre??”

-"Piacere di conoscerla"

-"Tranquillo figliolo, non c'è bisogno di tutte queste formalità, dopotutto eri parte della f-" 

-"Omma! Ho fame, anzi, abbiamo fame. Potresti portarci qualcosa da mangiare per favore?"  Sembrò  leggermente offesa per il fatto che l'avesse interrotta, ma allo stesso tempo ci lanció un sorriso che per un millesimo di secondo mi parve malizioso, entrando poi nelle cucine dicendo sottovoce qualcosa di molto simile a 'Aishh! Questi giovanotti'
Appena la tenda che separava le due stanze si chiuse mi voltai verso di lui, bisbigliando-urlando

-"Mi hai portato da tua madre?! Perché?! Potevi avvertirmi, mi sarei conciato meglio!"

-"Calmo calmo!" Si mise a ridere -"Ti ho portato qui perché la cucina di casa è  sempre la migliore. E poi non c'era bisogno di acconciarti meglio, dopotutto..." Non finí  la frase, si bloccó, quasi come se avesse realizzato che quella parola era stata di troppo.

-"Dopotutto?" Spinsi, curioso di sapere cosa c'era dietro.
Lui sorrise di nuovo, ora di nuovo rilassato.

-"Nulla nulla. Dopotutto non avresti potuto conciarti meglio" disse in tono di sfida, probabilmente per cercare di schernirmi.

-"Ah! Tu credi? Sappi che il favoloso Kim Taehyung, qui presente al tuo fianco, ha una bellezza nascosta inimmaginabile. Non è  colpa mia se il mio armadio la pensa diversamente. Tch" ci mettemmo a ridere entrambi, come se tutte le semi rivalità che c'erano state prima non fossero mai esistite, come se ci conoscessimo da una vita e come se fossimo nati per questo: ridere, scherzare e stare insieme. 

-"Oh, guarda, non ho dubbi" la sua bocca rimase aperta per un attimo, come se volesse aggiungere qualcos'altro anche questa volta, ma un secondo dopo la serrò nuovamente, un sorriso soddisfatto e sereno sul  viso.
Per un istante rimanemmo in silenzio, ma non fu imbarazzante e né  mi sentii fuori posto e a disagio.
Era tutto così surreale.

-"Perchè hai scelto di fare l'idol?" Il suo sorriso si mischió ad un'espressione di leggera malinconia e nostalgia.

-"Una cara persona, quando ero piccolo, mi diceva sempre che avevo una bella voce, e che probabilmente sarei diventato un bravissimo cantante. E quindi ci ho provato" annuii.

-"Deve essere proprio stata una persona importante se ti sei davvero spinto a tanto per un singolo complimento"
 
-"Già. Piuttosto importante, per un bambino di pochi anni" rimasi un attimo interdetto. Cosa voleva dire?
Gli stavo per porgere questa domanda quando sua madre ci portò due ciotole di sundubu jjigae fumanti, e il profumo che emanavano mi distrasse.
Iniziammo a mangiare, spinti da Minhye che, come ogni madre sul pianeta, disse il solito 'mangiate in fretta che si raffredda!'.
Dopo aver ripulito la ciotola e parlato per ancora un po' di tempo salutammo sua madre, che mi chiese di tornare presto, e ci dirigemmo nuovamente all'esterno dove la notte era ormai calata da tempo.
Presi una bella boccata d'aria colpendomi lo stomaco felicemente. 

-"Grazie mille per la cena, però la prossima volta permettimi di pagare ti prego!"

-"Tae. Era mia madre, sarebbe stato il colmo se ti avessi fatto pagare…E poi è  un'appuntamneto, non te lo avrei permesso neanche se fossimo andati da qualche altra parte"
Appuntamento? Quello era un appuntamento?! Sentii l'ormai familiare calore su tutto il mio viso e collo, e il ritmo del mio cuore perdere un colpo, per poi recuperarlo accelerando.
Non dissi nulla, abbassai lo sguardo sorridendo.
Dolce.
Era dolce la sensazione di essere innamorati, lasciandosi trasportate dall'emozione, spaventati di perdersi troppo in esse ma allo stesso tempo felici di farlo.
Accogliente.
Accogliente era la sua presenza, il suo calore, la sua figura. Accogliente come una casa a cui sai di poter far ritorno, accogliente come solo il suo sorriso poteva esserlo.
Ma amaro.
Amara la paura che tutto quello non potesse essere ricambiato, che quella casa accogliente non fosse, dopotutto, per entrambi.

-"Grazie per essere venuto oggi" la sua voce ruppe il silenzio, melodiosa come al solito. Io annuii.

-"Ti riporto a casa, si sta facendo tardi e so che tu inizi lavoro molto presto"

-"Parla quello che si deve svegliare alle 5 ogni mattina" cercai di scherzare

-"Ma i bambini devono andare a dormire presto"

-"Stai zitto che sarai solo di un paio di mesi più grande di me" sbuffai, facendo il finto offeso

-"E con ciò? Porta rispetto, ragazzino!" feci finta di ignorarlo, tappandomi le orecchie

-"Aishhh! Come ti permetti" sentii le sue mani sul mio addome, e solo dopo un misero istante capii che omMIODDIO MI STAVA FACENDO IL SOLLETICO.
Cercai di muovermi disperatamente per sfuggire alle sue infide ma morbide e calde mani, ma dopo poco mi mancó il respiro, il solletico stava avendo la meglio su di me.
Le sue braccia finirono per sostenermi, rendendolo capace di infierire ancora di più e permettendogli di proseguire la sua opera, e il fatto che percepii i suoi (probabilmente 50) bicipiti addirittura attraverso la stoffa della giacca non migliorò minimamente le mie condizioni.
Finii per scivolare per terra, e a quel punto il suo attacco si placó e potei riprendere fiato, asciugando le lacrime ai lati degli occhi.
 
-"Come si dice?" Chiese con un tono vittorioso.

-"Scusa, hyung"

-"Così va meglio" Mi porse la sua mano per aiutarmi ad alzarmi, e per un attimo rimasi a fissarla, prima di afferrarla gentilmente.
Sentii la sua presa stringersi e un attimo dopo ero nuovamente in piedi, le nostre mani ancora unite.
Era una bella sensazione (familiare, forse).

-"Hai le mani fredde" ‘le ho sempre fredde’, avrei voluto rispondergli

-"Uhm si, scusa" Cercai di ritirarla, ma la sua presa si intensificò, e smisi di cercare di liberarmi.
Mise le nostre mani nella tasca della sua giacca, sorridendomi, e l'azione mi scaldó il cuore.
 
-“Non permetterò mai più alle tue mani di essere fredde in mia presenza” e con quella semplice frase fu come se firmammo una promessa silenziosa, una promessa ancora incerta, ma era pur sempre qualcosa, e forse, forse, avrei scoperto un calore mai provato prima, da quel momento.
Riprendemmo a parlare, più a bassa voce, dopotutto eravamo più vicini ora.
Avevo letto uno studio sulla prossemica, una volta all'università, secondo cui le persone tendono a mettere delle distanze tra loro.
Più le lasciamo venire vicino a noi più significa che siamo a nostro agio con loro, e tendiamo allora ad abbassare le nostre barriere difensive e a non temere la  loro vicinanza. 
Questo perché le azioni parlano sempre prima delle parole.
Avevo letto che più le persone parlano a bassa voce più significa che i cuori sono in sintonia, e non si sente il bisogno di urlare per raggiungere quello dell'altra persona, perché sappiamo che è  proprio lì, di fianco a noi, attento ad ogni singola lettera bisbigliata dolcemente tra un battito e l’altro.
Dolce. Confermo. Non troppo amaro.
Dolce perché le azioni stavano iniziando a parlare, dolce perché quei discorsi  scambiati a bassa voce, in una serata dove il freddo era placato dall’amore, avevano un grande valore.
Dolce perché i riflettori non erano ancora puntati su di noi.

~~~~~~

Passarono altri giorni, e a lavoro Namjoon mi diede un'altro compito, nuovamente come una sorta di assistente per un servizio su un nuovo gruppo emergente, i “Got7”.
A condurre l'intervista sarebbe stato un mio collega, Jongdae, mentre io avrei solo dovuto scrivere appunti e registrare il tutto.
Per questo motivo alle 5 del pomeriggio mi ritrovai, insieme al mio compagno, in anticipo all'agenzia che scoprii essere la stessa di Jimin.
Il mondo era seriamente piccolo.
Era un'intervista piuttosto standard, dopo una delle loro esibizioni.
Gli chiedemmo ciò che pensavano di essa, se erano soddisfatti, di cosa pensavano delle fan, domande in generale sul loro lavoro per poi passare a qualcosa di più 'privato', per esempio le loro famiglie o le solite domande 'se fossi una ragazza, con chi usciresti del tuo gruppo'.
Duró  una mezz'oretta massimo, e mentre Jongdae continuó a discutere un attimo con loro ed il loro manager io decisi di allontanarmi per dirigermi alle macchinette, bisognoso di un bicchiere di caffè, anche se di qualità scadente.

-"Chi non muore si rivede. Che ci fai qui?" Al suono dell'ormai più che familiare voce mi voltai, e mi pentii subito di averlo fatto.
Fui accolto dall'immagine di un Jimin in abiti sportivi, anzi, analizziamo più nel dettaglio, l'immagine di un Jimin fin troppo svestito, che indossava una misera maglia smanicata che lasciava scoperte tutte le sue costole e faceva intravedere una piccola parte dei suoi pettorali, un’ampia parte della sua pelle in bella vista (decisamente bella).
Per non parlare del fatto che fosse bianca, e che lui fosse sudato, ergo la stoffa era aderente al suo corpo, sottolineando le rientranze delle linee dei suoi addominali. I capelli erano tirati all'indietro, scoprendo la sua fronte, sulla quale si erano formate alcune gocce di sudore, che percorsero i lati del suo viso, scendendo in modo dannatamente sexy e fin troppo lento sul suo collo e clavicole per poi scivolare sotto la scollatura della maglia.
Non ero mai stato più sveglio in vita mia, al diamine il caffè, avrei preferito mille volte bere un sorso di Park Jimin. 
Mi diedi uno schiaffo mentale, imbarazzato dai miei stessi pensieri poco pudici, ma anche imbarazzato di essere imbarazzato di tali pensieri.
Ero un uomo per l'amor del cielo, un uomo alto e vaccinato, eppure mi stavo comportando con una scolaretta alle prese con la sua prima cotta.
Probabilmente notò  il mio sguardo su di lui, o forse fu perché non risposi subito, oppure addirittura entrambe le cose, ma il maledetto si mise a ridere, rompendo ancora di più il mio cuore, calpestando ogni mio sentimento.
Ero perso. Definitivo. Non c'era una singola virgola di lui che non fosse perfetta ed una singola cellula in me che non fosse innamorata di lui, e mi sentii talmente fortunato del fatto che gli fossi stato vicino un paio di giorni prima, potendogli stringere la mano e accettare il calore del suo corpo, che arrossii di nuovo.
Jimin. Ero vicino a lui. A lui che era così perfetto e bello e talentuoso e splendido, e lui tra tutti aveva scelto di uscire con me e stringere la mia di mano.
Io che non ero nessuno. Un ragazzo tra 7 miliardi di popolazione mondiale- un ragazzo come molti- un volto sconosciuto, e lui.

-"Smettila di fissarmi" disse quando smise di ridere, e per un attimo mi sembrò imbarazzato  e insicuro, un impercettibile alone di rosa adornava le sue guance, era completamente diverso dalla sua personalità sul palco -"Chiudi la bocca e asciuga la bava" Continuó cercando di usare un tono malizioso, ma capii subito che la prima parte della frase corrispondeva alla faccia che nascondeva sotto la maschera da idol.
Comunque questa constatazione non bastò per farmi sentire meno imbarazzato.
Distolsi lo sguardo e presi il mio bicchiere di caffè, mormorai un 'lavoro' per rispondere alla sua domanda.
Lui si avvicinò, poggiandosi contro la macchinetta.
Eravamo vicini, troppo per essere in pubblico, e spaventato mi guardai un attimo intorno, notando che c'erano già un paio di occhi puntati su di noi.
Non era giusto, non andava bene, dovevamo allontanarci.
Vidi in un angolo due ragazze, probabilmente dello staff dirsi qualcosa all'orecchio. 
No, no, no.
Perché la gente deve sempre parlare? Dovevamo-

-"Hei, guardami. Va tutto bene. Non guardare loro, guarda me"

Mi tranquillizzai, perdendo i miei occhi nei suoi, caldi come lui, come la sua personalità, profondi e misteriosi, ma anche familiari. Troppo familiari.

-"Stasera, Incontriamoci di nuovo" sembrava nuovamente insicuro, indeciso e anche un po' spaventato "Ti vengo a prendere"

Fu tutto ciò che riuscimmo a dirci, anzi, che riuscì a dirmi prima che arrivó Jongdae, con cui dovetti andarmene.
Poggiai una mano sul mio cuore per cercare di calmarlo.
Un'altro appuntamento.
~~~~~~~
 
 
WOOOOOPS! Buon pomeriggio  a  tuttiiiiiiiii. SCUSATE IL RITARDO, ma la scorsa settimana è stata dannatamente piena di robe.
Allorahh!! Prima di tutto un’enorme ringraziamento a tutti, perché woah! Tutti i capitoli che ho postato hanno ricevuto ormai più di 100 visualizzazioni, ed il primo quasi 300, e per me è già tantissimo ;w; quindi grazie mille a tutti coloro che stanno sopportando la mia dislessia enghhhhhhhhh.
Questo capitolo era praticamente inesistente alla prima stesura, nel senso che ho aggiunto una parte nuova, quindi Yey! La storia sarà un poco più lunga rispetto a quello che avevo previsto (Tipo 7 o massimo 8 capitoli, dipende se aggiungerò altre parti ^^)
Dunque, grazie a coloro che hanno atteso il nuovo capitolo e continuano a leggere la mia storia ;w;
Grazie a Joker Park, shirylen, Momo_Amaya, _FrogInMyHeart_, Rozalin Kyuoko e Ilovemyxiu per aver recensito.
Grazie a edsmile, Hayley_chan, lose your mind, Mrs_Ackerman, slashell e tALIXIA per averla seguita.
Grazie a Kelly22, naomilove e silviettina9999 per averla preferita.
Sono davvero felicissima ;w;
Sentitevi davvero liberi di recensire e dire la vostra (mi importa un sacco).
 
-(PS: Per chi potrebbe essere interessato anche a seguire le mie ipotetiche storie future, ho già in mente un’idea per una Taegi e una Jikook~ quidni yey, ditemi se potrebbero interessarvi ^^)
Alla prossima
Sydrah~
  
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