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Autore: Il_Signore_Oscuro    25/11/2016    1 recensioni
Ragnar'ok Wintersworth un giorno sarà l'Eroe di Kvatch, colui che salverà Tamriel dalla minaccia di Mehrunes Dagon, principe daedrico della distruzione, con il fondamentale aiuto di Martin Septim ultimo membro della dinastia del Sangue di Drago. Ma cosa c'è stato prima della storia che tutti noi conosciamo? Chi era Ragnar prima di essere un Eroe? Lasciate che ve lo mostri.
[PAPALE PAPALE: questa storia tratterà delle vicende di Ragnar. Non sarò fedelissimo al gioco ma ne manterrò le linee generali, anche se alcuni avvenimenti saranno cambiati o spostati nel tempo. Non ho altro da dirvi, se non augurarvi una buona lettura!]
BETA READER: ARWYN SHONE.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eroe di Kvatch, Jauffre, Sorpresa, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Chapter sixteen – Blood Eagle.

Era tarda sera quando a Holden, in una piccola locanda nella periferia del villaggio, dodici figure furono viste riunirsi in gran segreto, con guardie armate a sorvegliare l’entrata e pattugliare l’intero perimetro. Questi uomini erano gli Jarl di Skyrim (meno Sigfrid, Jarl di Wintersworth) convenuti in quel luogo, insieme con Lathasa, giunta lì sotto richiesta del suo amato.
C’era Bjorn, detto il Generoso, Jarl della stessa Holden; Soledaj, detta Contessa di spade, Jarl dell’attuale città di Dawnstar; Thor, con il suo martello ammazza-giganti, Jarl di Falkreath; Rollo, santo vivente di Kynareth, Jarl di Morthal; Loki, detto il Corvo, Jarl di Riften; Hodir, detto Occhio-di-nebbia, Jarl di Whiterun; Igor lo zoppo, Jarl di Solitude e infine Harald, tredicesimo discendente di Ysgramor, il sangue di Drago, e Jarl di Windhelm.

Lothbrok arrivò per ultimo, calandosi il cappuccio solo quando varcò le porte della locanda e il fuoco nel camino riscaldò il suo corpo, gelato dal rigido inverno. Harald gli andò incontro, accogliendolo fra le imponenti braccia da guerriero. I suoi occhi ambrati si posavano su di lui con uno sguardo entusiasta, come sollevato da una pena che gli pesava sul cuore chissà da quanto tempo.
-Mio vecchio amico, è dalla battaglia nel Pale che non ci vediamo. Prego, siedi con noi e bevi caldo idromele, affinché possa scaldarti in questa notte.
-E in quelle a venire. – Continuò Loth, concludendo quella che doveva essere una frase di rito.
Gli fu passato un corno da cui bevve un lungo sorso della bevanda, per poi asciugarsi la bocca con il dorso della mano.
-Compagni, fratelli, - cominciò, sedendosi – l’impresa è andata a buon fine: il drago Fafnir giace morto nella sua tana.
-Lode a te, Lothbrok, uccisore del drago! Skol! – Inneggiò Thor, bevendo alla sua salute, imitato poi dagli altri Jarl.
-Grazie, amico mio. Ma ora v’è altro da fare: vi ho convocati qui per parlarvi della difficile situazione in cui versa la mia casa, Wintersworth. Mio padre, lo Jarl Sigfrid, ha ormai perso la ragione: ha sacrificato mia sorella, confinando la sua anima nella spada che porto con me, per ottenere i favori di una divinità oscura. Facendo ciò ha violato le leggi divine e quelle degli uomini. Egli mi da’ la caccia, accusandomi di averlo tradito.
-E ciò corrisponde al vero? – Chiese Loki, con la sua voce gracchiante.
-In realtà sì, almeno ai suoi occhi. Io gli ho sottratto la sua spada – poi si affrettò ad aggiungere – ma l’ho fatto al solo fine di affrontare e uccidere Fafnir, il serpente che vessava le nostre terre ormai da anni.
-Allora perché mai dovremmo dare il nostro sostegno a un ladro e a un traditore?! – Chiese Igor, ricevendo l’approvazione del Corvo.
-Miei Jarl, - intervenne Harald – conosco Lothbrok da quando entrambi eravamo poco più che bambini e vi assicuro: non v’è uomo un con cuore più nobile e coraggioso del suo in tutto il Nirn, possano i miei antenati rinnegarmi se non dico il vero.
L’intervento di Harald sembrò placare gli animi. Ogni persona in quella stanza aveva un profondo rispetto per il discendente di Ysgramor, l’eroe nord che, nell’era Meretica, si era opposto alla tirannia degli elfi della neve.
-Io ti credo Harald, e credo anche a te, Lothbrok. – Disse Soledaj. – Ma intendi forse riunire un esercito e attaccare il tuo stesso villaggio? Uccidere la tua stessa gente? Tutto per deporre tuo padre?
-Quegli uomini sono fedeli a un traditore degli Otto. – Si pronunciò Rollo. – Meritano di cadere con lui.
-Preferirei evitare inutili spargimenti di sangue. – Rispose Lothbrok. – Ma mio padre ha perso la ragione e non esiterà a combatterci fino all’ultimo uomo, la gente di Wintersworth deve a lui la sua fedeltà.
-Se mi è permesso – intervenne Lathasa, - miei signori. La follia di Jarl Sigfrid era in parte dovuta agli influssi della spada, ora che non è più in suo possesso potrebbe essere ritornato in sé.
-Ciò che dice l’elfa ha senso – osservò Soledaj, - se come hai detto lì dentro c’è l’anima di Lady Durendal, è possibile che abbia insidiato la mente di Sigfrid per vendicarsi.
-Può essere… - commentò Lothbrok, - ma, anche se fosse, mio padre non tiene in conto le amicizie o gli antichi legami di sangue, egli combatterà fino all’ultimo uomo. Come possiamo entrare a Wintersworth senza combattere?
-Un modo c’è – disse Bjorn, fino ad allora rimasto ad ascoltare – Harald, amico mio, il momento è arrivato.
Gli occhi dei presenti furono puntati tutti verso lo Jarl di Windhelm.
-Ebbene, se così vogliono gli dei… - prese un respiro, poi continuò – come tutti saprete: dai tempi della grande migrazione da Atmora, la nostra gente non ha più avuto un unico capo a cui fare riferimento ... uno Jarl che si elevasse sopra gli altri, il primo fra gli eguali. Quando Ysgramor guidò i cinquecento compagni qui a Skyrim, dopo la Notte delle Lacrime, si ipotizzò di elevare al rango di sovrano proprio lui. Questo progetto, tuttavia, per un motivo o per un altro, non è stato mai attutato … fino ad ora. – Cavò un oggetto fuori dai risvolti del mantello. – Nella Forgia Celeste i mastri fabbri hanno costruito questa corona uncinata. Essa sarà posta sul capo di uno fra noi, così che quando l’inverno si farà più rigido e le nostre terre saranno minacciate da un comune nemico, un solo uomo possa riunire sotto il suo comando gli Jarl di Skyrim e i loro eserciti: un unico re.
-Un Re dei re. – Sussurrò Lothbrok.
-Se la decisione sarà unanime, gli uomini di Sigfrid riconosceranno un’autorità più alta di quella del loro stesso Jarl e deporranno le armi. – Concluse Bjorn.
-Ma chi, chi fra noi potrà fregiarsi di un tale titolo? – Chiese Hodir, strizzando l’occhio cieco, avvolto da una patina grigia.
Ci fu un vociare concitato, poi fu Lothbrok a prendere la parola.
-Tu, Jarl Harald … tu saresti il più degno fra noi. – Gli altri Jarl mormorarono un assenso.
-Sarebbe un onore, fratello, ma – sospirò – tutti conoscete la mia vera natura, la mia particolare condizione. La mia anima è nelle mani di un signore dei Daedra e la creatura dentro di me prende il sopravvento nelle notti di luna piena. No, non potrei permettere che un uomo con una simile maledizione guidi Skyrim e i suoi Jarl. Propongo Lothbrok come Re dei Re: più di ogni altro in questa stanza, egli si è dimostrato coraggioso, disposto a rischiare la sua stessa vita per il bene e la salvaguardia della sua gente. Egli  ha scelto il bene comune quando avrebbe potuto consumare la sua vendetta personale in segreto.
-Io, io- provò a dire Lothbrok.
-Skol! – Disse Bjorn, levando in alto il suo corno. – Lunga vita a Lothbrok di Wintersworth, primo Re dei Re.
Uno dopo l’altro gli Jarl lo imitarono. Igor e Loki esitarono fino all’ultimo, ma alla fine si piegarono anche loro alla decisione comune.
-E sia… - disse Loth, abbassando lo sguardo e rialzandolo quando la corona uncinata fu posta sul suo capo dallo stesso Harald, - preparate i cavalli. Si va’ a Wintersworth.



Mentre i dodici cavalli galoppavano senza sosta mi fermai ad osservare la bellezza di Skyrim: sino ad allora ero rimasto troppo concentrato sugli avvenimenti che si susseguivano davanti ai miei occhi per porvi attenzione: le cime ineguali, le verdeggianti foreste e le bestie selvatiche celate dietro ogni anfratto. In quel mondo onirico potevo librarmi senza peso, muovermi rapido come il vento e godere del gelo che mi si condensava sulla faccia, senza sentire alcun brivido di freddo.
I cristalli di neve mi traversavano le mani, scorrendo attraverso la carne come fossi fatto d’aria, fumo o qualche altro corpo etereo.
Ero uno spettro, un osservatore non visto di quel mondo passato che, nei ricordi di Durendal, era tornato alla vita e mi avanzava dinanzi senza sosta.
Lathasa, montata sullo stesso cavallo di Lothbrok, si teneva stretta a lui sussurrandogli parole che non avrebbe riservato a nessun altro
-Amore, - disse l’elfa – potrei farlo io, se lo desideri. Non c’è bisogno di caricarti di un simile peso … per quanto tu possa odiarlo rimane sempre tuo padre.
-Quell’uomo non è più niente per me, o almeno vorrei che fosse così. Non sarà facile, ma devo farlo io. Lo devo a mia madre Brunilde e, soprattutto, a mia sorella Durendal. – Disse, posando una mano sull’elsa della spada.
-E se, quando arriverà il momento, dovessi esitare?
-Non vacillerò. Il mio odio prevarica di molto gli ultimi residui d’amore che posso avere nei suoi riguardi.
-E dopo?
-Dopo cosa?
La voce dell’elfa si fece preoccupata.
-Sai cosa intendo: sei il Re dei Re adesso. Come vedranno gli altri Jarl il tuo rapporto con un’elfa della neve? I nostri popoli sono nemici da secoli ormai.
-Di questo non devi preoccuparti. – La rassicurò Lothbrok, con una voce densa di tenerezza. Quasi le sue parole fossero una promessa di eterna protezione.
-Come potrei non preoccuparmi? – Chiese lei, irritata.
-Fidati di me. – Rispose lui, carezzandole la mano che gli stringeva il ventre.
Lei lo guardò, all’inizio sembrò dubbiosa … poi qualcosa nei suoi occhi si scaldò e cedette: un sorriso le distese le pallide labbra.
-Va bene, amore mio – disse, stringendolo più forte a sé – mi fido.

La cavalcata durò fino al mattino, quando nel cielo scuro si imposero i primi raggi del sole nascente. I cavalli giunsero sulla soglia di Wintersworth esausti e boccheggianti, perciò il gruppo scelse di fermarsi per qualche minuto, così da farli riposare.
Il villaggio di Wintersworth era sprovvisto di mura, nonostante fosse relativamente grande. Le sue uniche difese preventive consistevano negli uomini che percorrevano, in una ronda continua, il perimetro delle abitazione periferiche. Quando una delle guardie li vide sbarrò loro la strada. Il suo sguardo ostile, tuttavia, si placò quando riconobbe Jarl Harald, a cui si rivolse non riuscendo a nascondere nella voce un tono di timorosa riverenza.
-Signore, è un onore conoscervi di persona.
-L’onore è mio, soldato. – Rispose lui, con un cenno del capo.
-Per quanto rispetto nutra nei vostri riguardi, signore, debbo chiedervi di allontanarvi da qui: Jarl Sigfrid ha disposto che nessuno possa entrare o uscire dal nostro villaggio, a parte le truppe di ricognizione.
-Per quale ragione, soldato? – Chiese Harald, pur sapendolo perfettamente.
-Suo figlio, Lord Lothbrok, si è macchiato di tradimento e furto ai suoi danni. Sono giorni che vengono inviati uomini alla sua ricerca, gli da’ la caccia senza posa.
-E tu – lo provocò il discendente di Ysgramor, - cosa pensi in merito a tale questione?
Il soldato sembrò in difficoltà di fronte a quella domanda.
-Lungi da me metter bocca sugli ordini del mio signore, ma ritengo che Lord Lothbrok abbia fatto la scelta migliore: il suo furto è stato al solo scopo di uccidere il drago Fafnir. – Si schiarì la voce. – Tuttavia devo fedeltà al mio Jarl e devo eseguire gli ordini, dopotutto sono solo un soldato.
-E se, mettiamola così, dovesse presentarsi un uomo la cui autorità prevarichi di gran lunga quella del tuo Jarl? Un re ad esempio.
-Un re? – Ripeté lui, confuso e incredulo. – È dai tempi di Ysgramor che non si parla di unico sovrano per l’intera Skyrim.
-Fino ad ora. – Intervenne Lothbrok, calandosi il cappuccio e rivelando il suo volto, cinto dalla corona uncinata.
-Milord! Voi-voi-
-Sono il tuo re. - Disse, non troppo convinto. - Comunica ai tuoi pari e ai tuoi superiori la notizia, che nessuno alzi la spada contro di me o uno dei miei compagni.
-Sire, ma io-
-Obbedisci, ragazzo. – Concluse Loth.
Nella sua voce, nel suo incedere attraverso le vie del villaggio, vidi che qualcosa era cambiato in lui. Non era più l’uomo che aveva implorato per la vita di sua sorella, colui che aspirava a meritare il posto di suo padre, no, quello di fronte a me era un re: il Re dei Re.
Né uomo, né donna, né bambino si frappose fra lui e la sua meta: la casa di suo padre, lì dov’era cresciuto, dove gli anni più felici della sua vita era volati via spazzati dal tempo e dalle tragedie che la storia di Skyrim non avrebbe ricordato, ma che per lui erano un continuo memento. In Lothbrok non c’era esigenza di potere, come in Sigfrid. Egli non lo desiderava, glielo lessi negli occhi, ma lo usava soltanto per raggiungere uno scopo.
Quando Lothbrok e i suoi compagni entrarono a corte, furono accolti non da soldati, bensì da mercenari: uomini che per le loro vesti e sembianze dovevano certamente provenire da Yokuda. Seduto sul suo scranno, in fondo alla sala, Jarl Sigfrid: con gli occhi tornati alla loro glaciale freddezza, la postura composta e il cipiglio fiero.
-E così i miei uomini mi hanno tradito, c’era da aspettarselo. Eccolo, il figliol prodigo, che torna a casa con un una corona sul capo. – Mimò un applauso, schernendolo apertamente.
Lothbrok in tutta risposta lanciò per terra la zanna strappata dal drago Fafnir. Sigfrid si passò una nocca lungo il mento, sorridendo compiaciuto.
-E così hai ucciso il serpente, non mi stupisce: la spada che mi hai rubato, con l’aiuto di quella puttana elfica, ha un grande potere.
Lathasa sbuffò stizzita, forse stava riconsiderando l’idea di qualche notte prima: quando non aveva tagliato la gola dello Jarl mentre dormiva.
Lo sguardo di Loth, invece, era cupo: non aveva intenzione di raccogliere le provocazioni di suo padre, non era per quello che era venuto fin lì. Parlò con voce autoritaria, senza far trasparire emozioni: non sembrava quasi più lui.
-Sigfrid di Wintersworth, in qualità di Re dei Re di Skyrim ti spoglio del tuo titolo di Jarl e delle tue proprietà.
-Come al solito: tanta forza nelle parole, ma a fatti? – Lo provocò, per poi dare ai mercenari l’ordine di attaccare.
Il primo che mosse un passo si ritrovò con la testa aperta in due da un’accetta, lanciata dallo Jarl Rollo, che sorrise divertito. Gli altri, dopo un’iniziale timore, si scagliarono contro i nord. Fu una battaglia breve, conclusasi fra il librarsi di lame di Soledaj; la cenere che lasciava al suo passaggio la magia di Lathasa; la carne e le ossa squarciate dall’ascia di Harald e il filo di Durendal, che lì dove calava era accolta dal sangue.
L’ultimo rimasto fu un ragazzino redguard dai capelli ricci, che in un guizzo di buonsenso gettò via la sua arma e si inginocchiò di fronte a Lothbrok, implorando per la sua vita.
-Dimmi, ragazzo, qual è il tuo nome?
-Barbas, s-signore. – Rispose lui, tutto tremante.
-E dimmi, Barbas, che lavoro facevi prima di diventare un mercenario?
-Io-io allevavo cani, cani da pastore.
-E a quale divinità hai votato la tua fedeltà?
-Clavicus Vile, mio signore. Il principe daedrico Clavicus Vile.
-Bene, allora torna ad allevare i tuoi cani e ringrazia il tuo dio per aver avuto salva la vita quest’oggi, adesso sparisci.
-Lo farò, lo farò! Grazie, grazie mio signore, grazie!
Il ragazzo se ne andò, non premurandosi neanche di riprendere la sua spada.
Sigfrid adesso era rimasto da solo, si alzò e andò incontro a suo figlio. Il suo sguardo era fisso nel suo, forse alla ricerca di una qualche debolezza che non trovò.
-Porgimi la tua ascia. – Disse Lothbrok.
Tutti i presenti lo guardarono fisso: “porgimi la tua ascia” era una frase usata per sfidare qualcuno a duello. Il Re dei Re si sfilò l’armatura, rivelando il petto nudo e percorso di cicatrici, e porse Durendal ad Harald, per poi tornare a sostenere lo sguardo impassibile di suo padre.
-Perché non si dica che ti ho sconfitto grazie ad una lama migliore della tua. Deponi le tue armi, combatteremo a mani nude.
-Pessima scelta ragazzo, queste braccia hanno spezzato il collo di guerrieri più forti e valorosi di te. – Commentò Sigfrid, buttando a terra la spada e le sue asce.
-Miei Jarl, che non gli sia fatto alcun male se dovesse riuscire a uccidermi. – Ordinò Loth, sfilandosi la corona dal capo. – Combatti, padre.
Sigfrid non se lo fece ripetere due volte: sferrò un dritto diretto alla faccia, Loth lo deviò con il braccio e alzò la guardia, indietreggiando di qualche passo. Lo Jarl gli fu subito addosso, afferrandolo con una presa e bloccandolo per terra: i suoi muscoli stringevano intorno alla gola, quel vecchio aveva la forza e il vigore di un orso.
-Loth! – Gridò Lathasa, muovendo qualche passo.
-Non intrometterti, ragazza. – Ordinò Harald. – È una questione d’onore.
-Ma lo ucciderà! – Protestò, con le guance rigate.
-Già, e poi toccherà a te, lurida puttanella. – Disse Sigfrid, con un ghigno a distorcergli il volto severo.
Lothbrok, forse sentendo quella minaccia, riunì le sue forze e si levò in piedi, con Sigfrid ancora avvinghiato alla sua gola. Si lasciò cadere in avanti, caricando tutto il suo peso sul corpo dello Jarl che, rimasto senza fiato, allentò un poco la presa. Tanto bastò perché Loth si divincolasse e, bloccati i polsi dell’avversario sotto le ginocchia, iniziò a pestarlo selvaggiamente: i suoi pugni erano scagliati con una furia animale, si schiantavano sulla faccia di Sigfrid  in un tempestare di denti rotti e sangue, che schizzava sul suo volto, sulle nocche e persino sul legno del pavimento.
Quando si fermò un attimo, per riprendere fiato, la faccia dello Jarl era diventata una maschera tumefatta di pelle violacea. Dalla bocca gonfia il vecchio bofonchiò qualcosa, sussultando per quelle che dovevano essere risate.
-Finalmente ti riconosco … sei davvero mio figlio. Adesso uccidimi, avanti.
-Padre, ti sbagli, io sono peggiore di te. – Gli sussurrò, alzandosi e asciugandosi il sudore misto al sangue dalla faccia.
Riprese la corona e, dopo alcuni istanti di silenzio, pronunciò una sentenza, con la stessa voce autoritaria di poco prima.
-Sigfrid di Wintersworth, figlio di Beowulf, sei colpevole dell’assassinio di tua moglie Brunilde e di tua figlia Durendal. Sei colpevole di tradimento e insubordinazione nei confronti del tuo sovrano. Tali crimini sono sufficienti perché tu venga condannato alla decapitazione.
-Non temo la morte, ragazzo. – Rispose lo Jarl, con quello che sarebbe stato il suo ultimo sorriso.
-Fa’ silenzio. – Poi riprese, - tuttavia i tuoi crimini hanno violato non solo la legge degli uomini, ma anche quelle divine. Hai offeso gli Otto, sacrificando la tua stessa prole sull’altare di un’entità maligna. Per queste ragioni, stabilisco che la tua morte sia conseguita tagliando l’aquila di sangue. – Ci fu un verso di incredulità nelle voci degli altri Jarl, solo Lathasa sorrideva, assistendo alla scena con compiacimento. – L’esecuzione avverrà pubblicamente.
-F-figlio, t-tu non puoi. – Protestò Sigfrid, perdendo all’improvviso il suo sangue freddo e la sua sicurezza.
-Sono il tuo Re. – Rispose Lothbrok, lapidario. – Jarl Rollo, Jarl Hodir, portatelo in piazza e legatelo ai due ceppi. Eseguirò io stesso la condanna.
I due obbedirono senza fiatare, seguiti dagli altri Jarl. Solo Harald si trattenne, avvicinandosi all’amico, mentre i lamenti e le urla di Sigfrid si facevano lontane.
-Loth, fratello mio, sei certo di volerlo fare?
-Sì, Harald.
-Lascia almeno che sia qualcun altro a-
-Lo farò io. – Concluse, senza ammettere repliche.
Recuperò da terra la zanna di drago e uscì dalla sala, seguito dall’elfa della neve.

Nella piazza del villaggio, si era radunata una gran folla per assistere alla pubblica esecuzione del loro vecchio Jarl. Il taglio dell’aquila di sangue avveniva molto di rado, poiché era riservato a quegli uomini che si erano macchiati di colpe inenarrabili e che avevano attirato su di sé la collera degli Dei. I polsi di Sigfrid vennero legati ai ceppi, come richiesto, e le gambe tenute ferme con spesse corde, di quelle usate per le vele delle navi. Lothbrok era a petto nudo, intento a prepararsi per quella che sembrava più una cerimonia che un’esecuzione: racchiuse i capelli in una lunga treccia, disegnò tribali sul suo viso e sul torace, usando del sangue d’orso come tintura.
Sotto gli occhi della folla, in un raccolto silenzio, arroventò la lama del pugnale alle braci di un focolare e si avvicinò a suo padre.
-Urlare durante l’aquila di sangue negherebbe alla tua anima di entrare a Sovngrade, Sigfrid di Wintersworth, ma in virtù del nostro legame famigliare eviterò che tu possa correre questo rischio.
Si chinò su di lui, gli cavò fuori la lingua dalla bocca e la tagliò via, gettandola nel fuoco lì vicino. Il moncone sanguinolento fu ciò che si ritirò fra i denti, nelle urla e nei versi incomprensibili dello Jarl.
-Tu, soldato, tienigli chiusa la bocca. – Ordinò Lothbrok, tornando ad arroventare il pugnale.
Quando la lama, dello stesso colore del sole al tramonto, si posò sulle labbra di Sigfrid la carne sfrigolò, giungendo insieme le tenere carni. Distolsi lo sguardo, come molti all’interno della folla.
Quando ebbi di nuovo il coraggio di guardare, la bocca dello Jarl era diventata un groviglio inestricabile di carne bruciata. Gli occhi di Sigfrid adesso erano un pozzo di lacrime e lamenti inespressi, pupille alla sola ricerca della fine di quella pena, alla sola ricerca del vuoto … della morte.

Fu allora che l’aquila di sangue ebbe inizio, accompagnata dal vibrare incessante dei tamburi. Loth squarciò la schiena dello Jarl, tagliando la pelle con la zanna di Fafnir, rivelando agli occhi ossa e carne viva. Se solo avesse potuto, il condannato avrebbe levato urla udibili fin nell’Oblivion, ma quella tortura non era che al suo inizio: una ad una, Lothbrok spezzò le sue costole. A quel rumore secco, come di un ramo rotto sotto un piede, la folla rimaneva sospesa, con il respiro soffocato in gola. Negli occhi scuri del Re dei Re leggevo la fredda crudeltà di suo padre.
Rotta l’ultima delle costole, Lothbrok cavò fuori i polmoni, poi riposti sulle spalle ormai inerti di Sigfrid, ricordava un’aquila con le ali richiuse intorno ai fianchi.
Constatata la morte, Loth sciolse i polsi del cadavere, lasciando che cadesse in terra. La sua schiena aperta, con le ossa spezzate, mi ricordavano un paio d’ali spiegate a percorrere i venti nell’alto dei cieli. “Verrà il giorno in cui l’aquila di sangue spiegherà le sue ali…” mormorai, ricordando la profezia di Durendal; guardai Lathasa, avevo come l’impressione che dentro di sé stesse pronunciando le mie stesse parole.

Con le mani insozzate di rosso, gli occhi tornati al loro sguardo di sempre e inondati dalle lacrime, Lothbrok si rivolse alla sua gente.
-Mio padre ha pagato le sue colpe, adesso la sua anima riposa a Sovngrade. – Abbassò lo sguardo, trattenendo i singhiozzi. – Egli è stato piegato e corrotto dalla sua sete di potere. Io sono diverso da lui, eppure nelle mie vene scorre lo stesso sangue che oggi ho versato. Per evitare che un giorno lo stesso male, la stessa sete possa possedere anche me … io, Lothbrok di Wintersworth, primo Re dei Re di Skyrim, cedo la mia corona ad Harald, Jarl di Windhelm e tredicesimo discendente di Ysgramor, Sangue di Drago. Rinuncio anche al titolo di Jarl di Wintersworth e alle proprietà che ne derivano, cedendo tutto al compagno e amico Bjorn, Jarl di Holden, confidando nella sua saggezza e capacità di giudizio. Andrò via, portando con me i frutti della follia e scelleratezza di mio padre.
Senza proferire un’altra sola parola, Lothbrok depose la corona e cavalcò via, lontano, con Lathasa abbracciata al suo fianco e Durendal nel fodero, baluginante d’una luce rossa, come per dare un ultimo saluto alla sua casa. Così il futuro veniva loro incontro, col sole che tramontava verso ovest.


Note dell’Autore
Ringrazio sin da subito la mia beta Arwyn, la sua conoscenza enciclopedica su Skyrim e il LORE mi hanno permesso di non scrivere certe cagate, oltre poi all’ottimo lavoro di correzione sui dialoghi :3. Qui si chiude il sedicesimo capitolo che, posso dirlo, mi è piaciuto un sacco scriverlo. Magari in certi punti è un po’ troppo rapido, lo ammetto, ma non ci posso fare niente … ero totalmente coinvolto.
Piccola chicca storica: l’aquila di sangue è una tortura menzionata in alcune saghe norrene, tuttavia non si ha la totale certezza sulla reale applicazione di questa pena (personalmente spero di no, dio mio che male avrebbe fatto).

Un abbraccio,
NuandaTSP

 
   
 
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