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Autore: Lunatica_ro_564    27/11/2016    0 recensioni
"E poi c'è la notte. C'è chi fa l'amore, chi legge un libro e chi resta sveglio a pensare"
È una raccolta di storie scritte o pubblicate alle 4 a.m. perché alle 4 di mattina il mondo ancora dorme ma chi é sveglio oscilla tra 'già' e 'ancora'. Alle 4 di mattina si fanno le migliori conversazioni, si ascoltano le più sincere confessioni e ci si ferma a pensare.
1. sconosciuti
2. vodka alla pesca
3. drug
4. body
5. old life
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: PWP, Tematiche delicate
Capitoli:
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30/08/2016 h 01:38

waiting for the destiny



Era lì, seduto su quel muretto ormai da tanto. Stava aspettando che qualcosa desse una svolta alla sua vita, perché lui proprio non ci riusciva. Forse non ci aveva provato abbastanza, forse non lo voleva abbastanza, ma proprio non riusciva a capire. Tutto ciò era accaduto in poche settimane e lui non aveva nemmeno avuto il tempo di assaporarlo fino in fondo, di gustarlo o di realizzarlo nella sua mente. Quindi, quel fresco pomeriggio di fine settembre si ritrovò sul muretto della stazione a veder quegli sconosciuti sfrecciarli davanti senza curarsi delle sue pene.

Stava aspettando qualcuno, lo sapeva. Era come se lo sentisse.

Si riscosse dai suoi pensieri quando, qualche metro più in là, sentì un botto. Si girò e vide dei fogli sparsi sul marciapiede, delle penne che ancora rotolavano e una ragazza a terra. Era caduta e stava imprecando in maniera colorita contro un passante che non si fermò nemmeno per aiutarla.

Lui sbuffò e si diede la spinta per scendere dal muretto con un salto. Se c'era una cosa che sua madre gli aveva insegnato, era l'essere un gentiluomo. E, anche se era in quello stato proprio per una donna, si decise ad avvicinarsi a quella 'povera' e 'indifesa' ragazzina che richiedeva il suo aiuto.

Iniziò a raccogliere i fogli da terra e le penne che cercavano di scappare. Era un po' difficile dal momento che era appena arrivato un treno e c'era un gran caos. Ragazzi che correvano per non perderlo, uomini in giacca e cravatta che camminavano svelti, donne al cellulare che con i loro tacchi rossi marchiavano i fogli sparsi sul freddo cemento.

Aveva appena salvato un altro foglio dalla furia omicida di un tacco dodici, quando qualcuno gli toccò la spalla. Lui si voltò e si trovò a pochi centimetri da un paio di occhi verdi. Non erano lucenti come il verde dei prati, o intenso come un albero appena fiorito. No, quel verde era una strana sfumatura. Pesante, freddo. Un verde che dà le vertigini. Un verde così profondo che ti rapisce e ti catapulta in un altro universo. Un verde prigioniero, capace di tirarti con sé negli abissi di quella cella. Un baratro di cui non si può vedere il fondo. E lui ci era caduto dentro senza aver avuto il tempo di fermarsi. Dopotutto, le cose belle accadono all'improvviso.

"Ridammi le storie" era un tono severo e distaccato, abituato a dare ordini. Ma si poteva ancora sentire quella dolce nota di una dolce femminile.

"Cos...?" stava iniziando la domanda il ragazzo, ma lei lo fermò. "I fogli, le carte, quelle pagine o come le vuoi chiamare che le chiami! Dammele, sono già in ritardo". Così dicendo gli strappo dalle mani le 'storie' e si alzò. Solo così la poté vedere meglio.

Aveva i capelli rossi. Le scendevano morbidi sulla schiena, e creavano un netto contrasto con il cappotto nero. La maglia nera. I pantaloni neri. E gli anfibi neri. Sì, era abbastanza vivace il suo modo di vestire. Inoltre portava una sacca su una spalla da cui fuoriuscivano libri e fogli senza un ordine apparente. Questo gli fece uno strano effetto. Era come se la sua voglia di scoprire il mondo potesse uscire come quei fogli.

Si alzò anche lui con gli ultimi fogli in mano e glieli porse chiedendo "Come ti chiami?".

La ragazza alzò lo sguardo e ancora una volta il pozzo nero lo avvolse e ci ricadde. E ci ricadde altre mille volte. "Non sono affari tuoi" rispose acida e allungò la mano per prendere ciò che restava delle ultime pagine. Però il ragazzo fu più veloce e alzò il braccio, impedendole così di prendere le ultime cose che la trattenevano ancora inchiodata in quella stazione.

L'espressione che comparve sul volto della ragazza fu di pura indignazione. "Come osi..." ma anche lei fu interrotta. "Dimmi il tuo nome. Voglio solo sapere il tuo nome." Un sorrisetto furbo comparve sul volto del ragazzo, al che la rossa incrociò le braccia iniziando a perdere la pazienza. "Prima tu".

Era una sfida e lui la colse al volo.

"Sono Lazharus, ma puoi chiamarmi Zharus". "Non ti chiamerò in nessun modo. Io sono Saorise, ma tu non puoi chiamarmi Rise". L'acidità usciva da tutti i pori e si poteva percepire nell'aria quella strana sensazione che stesse per succedere qualcosa.

"Okay, ora puoi riprenderti le tue storie" rispose Lazharus, porgendole un solo foglio di tutti quelli che aveva in mano. Questo gesto non fu molto gradito dalla ragazza. "Dovresti darmi anche gli altri, sai?"

"No, penso che non lo farò."

Rise ci pensò un po' su, poi disse "Okay" e si girò come per andarsene.

Lazharus rimase pietrificato al suo posto. Non sapeva cosa fare. Girò appena la testa per accertarsi che la ragazza se ne fosse andata per davvero. I capelli rossi erano mossi dal vento e quegli anfibi neri calpestavano il cemento decisi e senza rimorsi.

Non avendo altra scelta s'incamminò dalla direzione opposta presa dalla rossa. Saorise pensò. Era un nome strano, ma gli piaceva. Si mise le cuffie nelle orecchie, ma non fece nemmeno in tempo a scegliere quale canzone ascoltare che si bloccò di colpo per non urtare qualcuno che gli si era parato dinnanzi: era Rise.

Si tolse le cuffie e subito la ragazza iniziò a sommergerlo di parole. Lui ormai aveva perso il filo e fece l'unica cosa che gli passò per la mente per zittirla.

L'attirò a sé e in un lampo le loro labbra si unirono. Un contatto lieve, semplice, ma scatenò nel ragazzo milioni di emozioni.

Era la prima ragazza che baciava dopo esser stato sentimentalmente distrutto da colei che credeva di amare. E gli piaceva. Anche se fu per pochi istanti, quel bacio rubato fu il bacio più bello che lui avesse mai potuto dare in tutta la sua intera esistenza.

Saorise dischiuse le labbra e Lazharus sarebbe stato più che felice di approfondire il bacio, ma un dolore lancinante lo costrinse ad allontanarsi dalla ragazza. Gli aveva tirato così forte il labbro che gli stava uscendo sangue.

Passò la lingua sulla ferita e sentì il sapore metallico del sangue in bocca. "Mi hai morso!" affermò sorpreso Lazharus. "Si, l'ho fatto" rispose tranquilla Saorise, poi continuò "Ora mi daresti le mie storie?".

Il ragazzo piegò la testa di lato e la osservò meglio "Ti va di prendere un gelato?" propose.

Saorise parve visibilmente stupita da quell'invito. E da quell'atto di gentilezza nacque tutto. I due ragazzi non potevano saperlo, ma in quell'istante scattò qualcosa in entrambi. E mai avrebbero potuto avere indietro la loro vecchia vita.

Scelsero di andare in una gelateria poco distante dalla stazione. Durante il breve tragitto non smisero un attimo di parlare. Oltre le apparenze di un ragazzo con mille pensieri nella testa e di una ragazza con mille demoni nel cuore si celavano due adolescenti pieni di sogni e desideri.

Arrivarono alla gelateria troppo presto e anche con i gelati in mano continuavano a discutere e a litigare, per poi rappacificarsi e passare ad un altro discorso sul quale si trovavano in disaccordo.

Il tramonto li trovò sulla spiaggia a camminare con i piedi nella sabbia e con il gelato ormai sciolto nell'altra. Avevano riso molto e si erano avvicinati. Molto.

Si sederono sulla sabbia fredda e umida e contemplarono il riflesso spettrale della luna sul mare, increspata dalle onde che s'infrangevano sulla battigia. Il suono che provocavano era dolce e rilassante. Era come una ninna nanna che cullava i due giovani spiriti e li trasportava in mondi nuovi e ancora sconosciuti.

"Sono stata bene oggi. Grazie della compagnia" disse ad un tratto Saorise.

"Ora potrei leggere le tue storie?" chiese divertito il ragazzo che per tutto quel tempo aveva tenuto i fogli al sicuro nel suo zaino.

"Assolutamente no! Ridammele!" scherzò Rise, allungando una mano verso lo zaino blu. Il ragazzo le prese il braccio e la fece cadere su di sé. Ormai i loro visi erano a pochi centimetri di distanza. Solo un altro pochino e per la seconda volta le loro labbra si sarebbero congiunte in una danza che seguiva la musica dettata dai loro battiti accelerati. Solo un altro istante e... Rise si fermò di colpo spalancando gli occhi: era terrorizzata.

"Rise tutto...?" ma non finì la frase che la ragazza lo fermò con uno sguardo d'ammonimento.

Lentamente si alzò dal corpo del ragazzo e quest'ultimo fece lo stesso. Si guardarono e la giovane volse il suo sguardo su un punto indistinto nella sabbia dove poco prima c'era stata la sua mano. La fioca luce della luna non permetteva una buona visuale, ma quando Lazharus strinse un po' di più gli occhi, capì la cause del terrore sui lineamenti di Rise.

Per terra, sotto la sabbia, sporche di rosso si intravedevano due dita di una mano. Umana. Non si muovevano e Lazharus non seppe ben dire se questo era un segno positivo o negativo.

Rise si riscosse e fece per avvicinarsi al punto nella sabbia, ma il ragazzo, come per istinto le bloccò il braccio. Con lo sguardo la pregò di non andare, ma lei si liberò delicatamente dalla stretta e si avvicinò ancora di più. Prima di abbassarsi accanto alle dita dedicò un ultimo sguardo al ragazzo.

Scostò un poco la sabbia e vide che la mano non era mozzata, ma aveva un braccio che proseguiva fino ad un busto e poi una testa, ancora sotto la sabbia. A quel punto Lazharus si fece forza e si avviò verso il punto in cui supponeva ci dovesse essere una testa.

Soffiò sulla sabbia e quella si mosse appena. Già si poteva intravedere la pelle pallida del cadavere. Quindi prese un bel respiro e tolse la sabbia da quel punto. Lo spettacolo che si presentò loro fu la cosa più orripilante e riprovevole che loro avessero mai avuto la sfortuna di vedere.

La testa si staccava dal busto di pochi centimetri. Era stata tagliata di netto, recisa da un assassino che non aveva avuto pietà. Il volto era tumefatto, pieno di lividi e graffi, e dallo zigomo destro mancava un pezzo di carne. Ma c'era un dettaglio che inorridì i giovani e si sarebbe sempre presentato in tutti i loro incubi nel futuro.

L'occhio destro era vitreo, come se fosse stato di ghiaccio ed emanava uno stato di angoscia diventato palpabile nell'aria. Dove ci sarebbe dovuto essere l'occhio sinistro c'era una cavità vuota, sporca di sangue e sabbia.

I due ragazzi erano paralizzati, impietriti dalla scena che avevano difronte. Solo dopo parecchi minuti di silenzio Lazharus prese parola "Dobbiamo andarcene". Presero le borse e corsero fino ad arrivare nella piazza principale. Era gremita di gente allegra che suonava o cantava. E loro, con i vestiti sporchi di sabbia mista al sangue di uno sconosciuto erano dei dettagli che rovinavano un bellissimo quadro di felicità.

Nessuno si curava delle loro facce sconvolte, così presi dalla frenesia di una festa e dall'egoistica speranza di non dover mai fare i conti con la realtà.

I due erano disorientati da tutto quel baccano, dal trovarsi in un luogo così affollato e non aver qualcuno a cui chiedere aiuto.

Lazharus prese la mano di Saorise e la trascinò fuori da quella bolla di allegria. La prima cosa che gli venne in mente fu chiamare la polizia. Lo fece e aspetto che qualcuno gli rispondesse. Cercò di fornire più dettagli possibili, ma la sua bocca si fermava a metà delle frasi, non sapendo come descrivere quell'orrore.

Furono subito raggiunti da due agenti che li portarono al confine della spiaggia. Volevano informazioni più attendibili.

Seguendo le indicazioni di Saorise trovarono il corpo senza vita dell'uomo. Si, non si erano inventati niente. Non era solo un brutto sogno. Era la realtà. E Lazharus preferì non essere mai andato in quella stazione. La prospettiva che aveva quella mattina di stare sul letto a deprimersi non sembrò più così pessima.

I suoi problemi sembrarono così piccoli rispetto a ciò che aveva davanti.

Quella spiaggia fu subito riempita da divise blu che isolarono la scena del crimine e fecero allontanare tutti nel raggio di chilometri. Volevano trattenerli ancora un po' e così fu. Offrirono loro bevande calde e cibo, ma nessuno dei due riuscì a mandar giù qualcosa. L'immagine della testa recisa di netto era ancora vivida nella loro mente.

Mentre un uomo di mezza età con la divisa blu chiedeva ai due come fossero arrivati in quel luogo e cosa ci facessero, altri due poliziotti trasportavano su una barella un corpo avvolto da un lenzuolo candido. Passarono proprio davanti ai loro occhi e Saorise si girò di spalle e vomitò anche l'anima sulle scarpe lucide del poliziotto, mentre Lazharus le sussurrava parole incoraggianti e le manteneva i capelli su.

Poco dopo chiesero loro dove dovessero accompagnarli e Lazharus comunicò il suo indirizzo, poiché la ragazza ancora non riusciva a parlare.

La macchina della polizia si fermò sotto un condominio di circa cinque piani e scesero lentamente. Durante tutto il tragitto nessuno aveva osato aprire la bocca. I poliziotti gli raccomandarono di restare disponibili per qualsiasi evenienza e ripartirono, non prima di aver lanciato un'occhiata preoccupata alla ragazza che si manteneva al braccio del ragazzo.

Salirono le scale a fatica e quando Lazharus dovette staccarsi dal dolce calore di Rise, questa si sedette sui gradini: le sue gambe non riuscivano a mantenere il suo peso.

Il ragazzo la prese mettendo un braccio sotto le ginocchia e uno intorno alla schiena. Entrarono nell'appartamento e chiuse la porta con un piede.

Adagiò la ragazza sul letto e le portò un bicchiere d'acqua.

Saorise si alzò e si fece indicare il bagno, non prima che Lazharus avesse preso da un cassetto una sua maglia e degli asciugamani puliti.

Lazharus si girò verso il suo appartamento e, nonostante la situazione non fosse la migliore per portare una ragazza in casa, si mise le mani nei capelli dal disordine che c'era. Saorise aveva gli occhi chiusi quando era entrata, ma quando sarebbe uscita dal bagno sarebbe stata più sveglia. Così iniziò a prendere le cose sparse sulla scrivania e buttarle nell'armadio. Afferrò i vestiti non piegati sulla sedia e li poggiò senza ripensamenti in un'altra stanza che non aveva mai usato.

E fece tutto prima che Saorise uscisse dal bagno. Sentì l'acqua della doccia aprirsi e capì di avere altro tempo. Si tolse i vestiti e li gettò nel cestino. Non aveva voglia di rimettersi quelle cose.

Poi prese il pantalone del pigiama dal cassetto del comodino e una maglia bianca da un altro. Infine s'infilò nel letto per aspettare Saorise.

Questa uscì dopo poco.

I capelli rossi erano bagnati, ma conservavano pur sempre la loro bellezza, come i suoi occhi, che scrutarono la stanza in cerca di un posto dove dormire.

Quando vide Lazharus nel letto scelse che sarebbe stato anche suo, il letto. Si avvicinò e solo allora il ragazzo si accorse che non indossava pantaloni, ma solo la maglietta che le aveva prestato lui e, sperava lui, dell'intimo da sotto.

Scostò la coperta e vi s'infilò sotto, stringendosi di più verso Lazharus, che in tutto quel tempo era rimasto fermo non capendo bene la sua funzione in quel letto. Intanto la ragazza afferrò il suo braccio e lo strinse a sé.

Sarebbe stato un gesto molto apprezzato dal ragazzo, in quanto dolce e carino, ma il destino volle che la ragazza non indossasse il reggiseno e che la maglietta fosse molto sottile. Lazharus avrebbe voluto staccarsi perché altrimenti la sua eccitazione sarebbe parsa evidente anche a Saorise, ma ciò non fu possibile dal gemito di protesta uscito proprio dalla bocca di quest'ultima.

Saorise si avvicinò ancora un poco e incrociò le sue gambe con quelle del ragazzo. Girò piano la testa e i loro sguardi s'incatenarono l'uno all'altro. Un turbine di emozioni li travolse e nulla poté impedire alla ragazza di sporgersi un pochino e incastrare sulle labbra del ragazzo, completamente in balia di lei.

Fu un bacio dolce che stava per trasformarsi in qualcosa di più, ma Saorise si staccò e posò la testa sul petto del ragazzo. Sentiva i battiti accelerati che andavano calmandosi. Era rilassante.

E Lazharus sentì il dolce profumo di vaniglia che emanavano i capelli rossi di quella fragile ragazza che aveva nel letto. Alzò il braccio e lo avvolse intorno al piccolo corpicino su di lui. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal profumo che gli inebriava la mente. Mentre ripercorreva con la mente ciò che gli era accaduto quel giorno si ritrovò a pensare al suo vecchio amore e a quante cose gli aveva insegnato.

Quanti incontri che si possono fare quando pensi che tutto sia perduto...

  
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