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Autore: Melody086    30/11/2016    1 recensioni
E se in un altra dimensione dove esiste la magia 5 guerrieri combattono una battaglia contro una specie di grande nuvola nera senza un vero corpo che vuole conquistare quel mondo!?! E se per caso l'entità malvagia riuscisse a uccidere i 5 eroi che però con i loro ultimi sforzi riescono ad imprigionarlo in un altro mondo che guarda caso è propio la Terra e rinchiuderlo in un corpo umano senza che l'entità riesca a comunicarvi? E se un giorno l'entità riuscisse a persuadere l'umano anche se non direttamente che lo intrappolato a unirsi a lui?... E visto che ci siamo se anche i 5 guerrieri, percependo il pericolo, riuscissero a entrare in 5 corpi umani per finire una volta per tutte quello che avevano iniziato? E se per caso i 6 umani scelti fossero quattordicenni?!
Allora le cose si farebbero ancora più interessanti...
Genere: | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non c’erano molte persone al cancello d’istituto: Si era presentata la Mireni con il suo falso sorriso che è costretta a sfoggiare per tutti gli orfanelli che se ne vanno dall’edificio ,la bidella che l’aveva scortata alla porta come se fosse una formalità, ma Sarah sapeva benissimo che l’aveva fatto solo con lei per paura che si dileguasse in tutt’altro posto, e poi non potevano mancare le sue uniche amiche, Lucrezia ed Elisa avevano pregato più volte la Mireni di lasciarle venire a salutarla in quel momento, che soltanto dopo la quarta volta ha ceduto.
La bidella aprì la porta a Sarah mentre la guardava con occhi vigili e sempre in allerta per ogni singolo movimento sospetto della ragazza.
Sarah scendeva gli scalini che dividevano la porta d’ingresso e il piazzale.
 Pensava a come sarebbe diventata la sua vita superato quel cancello arrugginito che delimitava l’orfanatrofio da una casa nuova con persone nuove e nuove abitudini, in poche parole? Cambiare radicalmente il suo modo di fare.
E poi non avrebbe più rivisto le sue amiche, non avrebbe più rivisto i suoi compagni d’istituto e poi non avrebbe rivisto più i suoi professori, poi chi li avrebbe fatti sclerare.
 
Gli scalini erano finiti, Sarah stava attraversando il piazzale.
 
Come si sarebbe dovuta comportare nella sua nuova casa? Sperava solo che non avrebbe dovuto prendere il tè alle cinque e non si sarebbe dovuta vestire con abiti rosa e merlettati che prudono un sacco dappertutto.
Anche se si sarebbe abituata, un giorno, non li avrebbe mai considerati mai “la sua famiglia”, quella se ne era andata troppo tempo fa e quella crepa nel suo cuore si era riempita con odio e disprezzo per quella parola, quelle otto lettere le avevano fatto troppo male nella sua vita e a sette anni si era già convinta che lei non ne avrebbe mai più avuta un’altra.
 
La bidella stava estraendo dalla tasca la chiave del cancello, la stava inserendo nella serratura.
 
In quel momento Sarah realizzò qual era la vera ed enorme difficoltà che doveva considerare all’istante… Come avrebbe fatto a nascondere il suo “problema”?
Nell’orfanotrofio era stato abbastanza semplice, qualche spolveratina qua e là, rimuovi il ghiaccio dalle pareti… Ma ora!
Sarebbe stata riempita d’attenzioni, controllata ventiquattrore su ventiquattro, non sarebbero stati ammessi errori stavolta.
In quel momento indossava i suoi fedelissimi guanti senza dita, l’unica cosa che gli avevano lasciato i suoi genitori quando l’hanno portata all’orfanatrofio, ma quando non si sarebbe controllata, quando lo stress avrebbe preso il sopravvento, se li sarebbe dovuti togliere prima o poi.
Il cancello si aprì cigolando, ora non si poteva più tirare indietro, aveva provato a non fare accadere tutto ciò ma non ci era riuscita, e ora doveva pagarne le conseguenze.
Il tempo di salutare le sue migliori amiche e salì in una macchina dell’ottocento completamente nera con giunture argentate.
“Sembra una macchina funebre” Pensò subito Sarah quando vide il veicolo che l’avrebbe scortata alla sua nuova casa.
Quando si mise comoda nel sedile posteriore prese il suo Mp3 che Lucrezia aveva insistito a cedergli, prese i suoi auricolari bianchi e lì collegò, mise una musica a caso, come le era solito fare e cominciò a guardare il finestrino.
Non aveva mai visto Torino, o qualsiasi altro posto all’infuori della sua misera cittadina.
Le strade erano molto più popolate, piena di turisti e li sembrava anche che splendesse il sole, invece all’orfanatrofio o pioveva o diluviava!
Una quarantina di minuti di viaggio e arrivarono a destinazione.
Quando scese dalla macchina si trovò davanti una villa all’antica fatta di marmo non proprio lucente ma sempre bellissimo, c’era una strana sensazione nell’aria, ma Sarah la ignorò perché era troppo impegnata ad osservare la sua nuova casa.
Sarah si immaginava che sarebbe stata una specie di villone moderno con quaranta pasti al giorno e giocare con dei cavalli da polo, ma… sembrava quasi mal ridotta: c’erano licheni dappertutto, l’erba non era tosata e c’erano pozze di fango sul vialetto.
L’unica cosa che Sarah apprezzava di quel nuovo posto era che non si trovava in città, confinava con una grande foresta di cui era vietato l’accesso con una grande rete di fili di ferro e, alla parte più in alto della recinzione c’erano grossi spilloni che rendevano difficile l’accesso dall’altra parte.
“Difficile, ma non impossibile” pensò Sarah osservando la recinsione quasi inespugnabile.
Il giardino non era molto curato, ma vi si trovavano delle statue da decorazione che raffiguravano dei guerrieri, erano in tutto cinque ed erano fatte di marmo molto più splendente se paragonato a quello della villa.
La porta era immensa e sempre dipinta di bianco come del resto quasi tutta la casa, in alcuni punti si potevano intravedere scritte in latino che Sarah non comprendeva, attraversandola  Sarah riuscì ad accedere all’interno della residenza, le pareti si tingevano di un giallo chiarissimo che si intonava col tappeto bianco che cominciava dalla porta d’ingresso, si estendeva sulle due scalinate che portavano entrambi al secondo piano che era un corridoio che conduceva ad un miliardo di porte.
Sarah era sbalordita ma continuo ad osservare il tutto inespressiva.
- La sua stanza è la terza porta a destra del corridoio a sinistra, del secondo piano-  Cominciò  Jonathan  -Vuole che l’accompagni?-
Sarah si riscosse da quell’enorme villa.
 -No- Disse fredda – riuscirò a trovarla da sola- e si incamminò verso la stanza predefinita.
Sarah si trovava davanti alla sua camera, con il borsone che l’orfanatrofio gli aveva dato preso con tutte e due le mani.
“Fai un respiro profondo ed aprì la porta Sarah” pensò Sarah facendo un respiro profondo.
Prese la maniglia della porta e la diresse verso il pavimento, la portò a se e aprì la porta di scatto.
La stanza era bellissima, le pareti erano di un blu notte che si abbinavano con il tappeto davanti al letto, il pavimento era di piastrelle lucenti bianche su cui ti ci potevi anche specchiare, c’era la scrivania bianca su cui c’erano appoggiati alcuni libri, poi la sedia era foderata di pelle ovviamente blu ed il resto infine era nera, il letto aveva le lenzuola bianche con il copriletto celestino, era a baldacchino e ai lati di quest’ultimo c’era un comodino bianco con sopra una lampada, dall’altra parte del letto a due piazze  c’era l’armadio grande quanto tutta la mia vecchia stanza d’orfanatrofio.
Sarah fece un passo avanti per entrare nella stanza.
“Cavoli se è bella” Pensò Sarah a bocca aperta.
Scosse la testa per ritornare alla sua espressione quotidiana, l’indifferente.
Non poteva permettersi di affezionarsi subito alla nuova casa… o famiglia, almeno finche non gli avrebbe dato un po’ di filo da torciere, lei era fatta così.
“Mi hai scelta, e ora però ne paghi le conseguenze”
Sarah cominciò a sistemare i suoi pochi vestiti nell’armadio, non passò nemmeno un minuto che Jonathan entrò in camera sua
-Vedo che sta già sistemando i suoi vestiti- Disse l’uomo rivolgendo un sorriso a Sarah, ma lei non lo degnò di nemmeno  uno sguardo e rispose con un generico -Già-.
- Noi mangiamo alle sette e mezza precise, le va bene se la vengo a prendere per quell’ora?- Disse l’uomo seguendo il movimento di Sarah di portare i vestiti nell’armadio.
-Potrò avere l’onore di conoscere il mio patrigno dopo?- Disse lei non rispondendo alla domanda del maggiordomo.
L’uomo portò il suo sguardo sul pavimento, imbarazzato.
Per la prima volta Sarah alzò lo sguardo- Come pensavo- Disse quasi come un sussurro poi ricominciò a rimettere i vestiti nell’armadio.
Ci fu un brevissimo silenzio, poi Jonathan, ritrovando le parole disse- Però potrà cenare con i figli adottivi del signore, hanno la sua stessa età- Disse con un pizzico di entusiasmo, ovviamente sempre più entusiasta di Sarah.
A lei, per l’appunto, non gli andava molto a genio l’idea di vivere con altri due ragazzi della sua stessa età, e se sarebbero stati snob e prepotenti come Sarah si era immaginata il padre adottivo?
Mentre Sarah rifletteva sistemando i suoi vestiti, Jonathan la fissava con sguardo serio e preoccupato rivolto alla ragazza che poi si ritrasformò immediatamente nel sorriso a trentadue denti quando Sarah rialzò lo sguardo verso di lui.
-Va bene, ci vediamo quando dovrà scortarmi alla sala da pranzo- Disse Sarah ironica accennando un minuscolo sorriso.
A quelle parole Jonathan se ne andò dalla stanza per così permettere a Sarah di buttarsi sul comodissimo letto.
A Sarah quell’uomo gli incuteva un briciolo di timore, ma scaccio subito quel pensiero e si rilassò per la prima volta in tutta la giornata.
   
 
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