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Autore: Stephanie86    08/12/2016    1 recensioni
"La Salvatrice nel mio regno."
Emma trasalì. Un’altra coscienza si accostò alla sua. Ma non era come accostarsi alla mente di Lily, non era come guardare attraverso i suoi occhi. Quella coscienza era incredibilmente vasta. Era prepotente. Ed era potente. Sbirciò e frugò nella sua testa senza troppi riguardi.
"Chi sei? Cosa vuoi?", domandò Emma.
"Sono il padrone di casa, Emma." Di nuovo la risata. Una risata maschile, divertita e sprezzante. "Adesso sei nel mio regno. È un piacere. Ci incontreremo presto. Spero che il posto ti piaccia."

[Seguito della fanfiction The Lost Hero | Swan Queen, Swan Star + altri pairing]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Lily, Regina Mills, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
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6

 

"L'odio è cieco, la collera sorda,
e colui che vi mesce la vendetta,
corre pericolo di bere una bevanda amara"

[Alexandre Dumas, Il Conte di Montecristo]

 

 

 

 

Foresta Incantata. Più di trent’anni fa.

 

I cavalli si impennarono, impauriti, roteando gli occhi e sbuffando dalle nari. Il cocchiere della Regina ebbe il suo bel daffare con le redini e temette di perdere il controllo degli animali.

“Che cosa succede?”, gridò Regina, sporgendo la testa dal finestrino della carrozza.

“Mi dispiace, Maestà. I cavalli sono terrorizzati.”, si scusò il cocchiere. Gli animali si impuntarono. Per quanto lui li spronasse e cercasse di calmarli, non sembravano intenzionati a fare un solo passo.

La strada davanti a loro si perdeva nel buio di una fitta foresta. Gli alberi erano antichi, alti e solenni come palazzi. I vapori che salivano dal terreno avevano cominciato a turbinare intorno alla diligenza. La luce della luna pareva ancora più chiara e vivida, un fulgore pulsante.

“Datti una mossa, idiota. Così perderemo le tracce di Biancaneve.”, disse Regina.

“Con il dovuto rispetto, Maestà... i cavalli sanno dove ci troviamo. Forse è meglio... se posso suggerirlo, sarebbe meglio tornare dopo il sorgere del sole.” La voce del cocchiere era incerta. Si mordeva le labbra, perché non desiderava morire solo per avere dato un consiglio alla sua Regina. Sperava che il suo tono suonasse il più possibile sottomesso.

“Anch’io so dove ci troviamo, razza di incompetente! La Foresta dei Morti non mi fa alcuna paura! Sprona quei cavalli!” E detto questo si ritirò nuovamente nella carrozza.

Il cocchiere lottò ancora un po’ con le redini, poi riuscì a convincere gli animali ad avanzare. Il sentiero si allargò e prese a scendere. Il soldato che sedeva con la Regina dentro alla carrozza sbirciava continuamente dai finestrini e teneva una mano sull’elsa della spada, timoroso.

Poi una sagoma voluminosa sbarrò loro la strada. Si piantò in mezzo al sentiero, proprio come avrebbe potuto fare un fantasma. Era una figura incappucciata e alta, non sarebbe potuta essere più immobile se fosse stata di pietra.

I cavalli impazzirono. Il cocchiere tirò le redini con forza, ma lui stesso pensò si trattasse di uno spirito e gridò in preda al panico.

“Cosa c’è adesso?!”, domandò Regina.

Con un potente strattone, i cavalli si mossero e presero a galoppare alla cieca. Il cocchiere venne sbalzato di sella.

La carrozza urtò il tronco di un albero e si ribaltò.

 

 
Oltretomba. Oggi.

 

Henry si destò e gli ci vollero un paio di minuti per capire che cosa stesse succedendo, come mai vedesse il mondo capovolto e perché si muovesse pur non toccando l’asfalto.

Qualcuno lo stava trasportando in spalla come un sacco di patate.

- Ehi... – cominciò Henry, ancora stordito dal colpo alla testa. Gli ronzavano terribilmente le orecchie. – Ehi, dove mi stai portando? Chi sei?

L’uomo non rispose. Camminò ancora per un po’, fino a quando non raggiunse il porto di Storybrooke. Lì, salì su un ponticello di legno e poi balzò sul ponte di una nave.

- Credevo ti avessero preso. – disse un’altra voce maschile, che ad Henry sembrò di conoscere.

- No. Gli scherzetti di Ade sortiscono sempre l’effetto desiderato.

Il suo rapitore lo mise giù con poco riguardo e si accosciò davanti a lui. Henry vide le vele arrotolate di una grande nave, l’albero maestro che pendeva, sbilenco. Alcune assi del ponte erano divelte e il legno era graffiato e bucato in più punti.

- La Jolly Roger? – domandò Henry, battendo le palpebre.

- Non la Jolly Roger, moccioso. Ma è comunque una bella nave, non pensi?

Erano in due. Quello che lo aveva tenuto in spalla non l’aveva mai visto prima. Era un uomo alto e castano, con una casacca azzurra e un paio di pantaloni neri infilati in vecchi stivali di cuoio.

L’altro, invece, era uno dei cavalieri di Artù, quello che aveva ballato con Lily e anche con sua madre. Quello che aveva tentato di ucciderla. Percival.

- Dunque è questo il bimbo della Regina. – disse lo sconosciuto, sorridendo furbescamente. – Henry Daniel Mills.

Pronunciò il suo secondo nome, Daniel, dopo una brevissima esitazione.

- Chi sei? Che cosa volete? – domandò Henry.

- Non sa come pulirsi la conoscenza e dà il nome di mio fratello a suo figlio. Patetica. – commentò, parlando più a se stesso che a lui. Si fece passare delle corde. – Vediamo se sei un ragazzino ubbidiente. Dovrai stare fermo mentre ti lego.

“Non sa come pulirsi la conoscenza e dà il nome di mio fratello a suo figlio.”

- Le mie mamme verranno a riprendermi. – disse Henry. – Tutta la mia famiglia verrà. Ve lo assicuro.

- Non vediamo l’ora, ragazzo. – rispose Percival, con quel sorrisetto astuto che ricordava dalla sera del ballo al castello di Artù.

Henry iniziò a dimenarsi non appena l’uomo gli prese i polsi per legarglieli. Allora Percival estrasse un sacchetto di cuoio, sciolse i lacci e versò sulla mano del complice una polverina dorata. Gliela soffiò in faccia e ad Henry si confuse la vista.

- Peccato, non volevo sprecarla.

- Non preoccuparti di questo, William. – Percival guardò la città, chiedendosi quando avrebbe visto arrivare le madri del ragazzino, con tanto di famigliola al seguito.

Non vide nessuna famigliola. Ma lontano, più o meno dalle parti del cimitero, notò il tornado.

Era decisamente un tornado di dimensioni consistenti, nero come le tenebre che aveva dovuto sopportare quando Ade l’aveva sprofondato nelle sue prigioni. Nero come lo era stato il mondo subito dopo la morte. Prima il fuoco, la sofferenza infinita... poi il buio totale. La caduta interminabile.

- Cos’è? – domandò William, schermandosi gli occhi con una mano.

- Un portale. – rispose Percival, contrariato. – Credo che qualcuno sia appena arrivato negli Inferi.

 

 
Regina si precipitò in casa, seguita a ruota da Biancaneve.

- Emma! – chiamò, la voce piena di panico e collera. – Emma, dove sei?!

Emma scese le scale di corsa. Marian rimase in cima ad esse, fissando Regina in un modo che le fece capire che aveva saputo ogni cosa. Non aveva idea se Marian fosse più stordita o più arrabbiata. Se fosse più confusa di prima o se stesse cominciando ad uscire dal labirinto che era diventato la sua mente. Il suo sguardo era impenetrabile.

Ma Regina non poteva occuparsene, ora.

- Ho visto il tornado. – disse Emma. – Credo che qualcuno abbia appena raggiunto gli Inferi... attraverso un portale.

- Tornado? – fece sua madre.

- Emma, nostro figlio è sparito! – si affrettò a dire Regina.

- Come sparito?

- Non ho potuto fare niente... non ho nemmeno visto chi l’ha portato via!

- Non è stata colpa tua, Regina. – intervenne Biancaneve. – C’è sicuramente di mezzo Ade. Non possono essere andati lontani.

Gli altri erano accorsi.

- Ehi! – cominciò Lily. – Guardate là.

Qualcuno aveva appena infilato un foglio di carta ingiallito sotto la porta d’ingresso. Regina lo prese subito, mentre Lily spalancava la porta. Vide il bambino che attraversava la strada, fuggendo a tutta birra. Malefica fu più veloce di tutti. Si dissolse in una nube viola e ricomparve di fronte al fuggitivo, acchiappandolo per un braccio. I suoi occhi grandi e pieni di fuoco zittirono subito le sue proteste.

- È uno di quelli che mi hanno aggredita al cimitero. – disse Regina, allungando una mano a mo’ di artiglio.

Il bambino, pallido e cencioso, si ritrasse. Lily lo fermò prima che potesse pensare di scappare di nuovo.

- Sai, non mi piacciono molto i bambini. – disse, voltandolo verso di sé. - E credo che a te non piacciano i draghi, vero? Vuoi dirci dov’è Henry o vuoi vederne uno, che potrebbe anche decidere di mangiarti?

- Io sono morto. – disse il bambino, a muso duro. – Puoi anche mangiarmi, quindi, Oscuro.

- Non sono più un Oscuro, ma sono capace di cavarti una cosa di bocca, se voglio.

Regina fece per parlare, ma Emma la bloccò, mettendole una mano sul braccio.

- Lily... – disse.

Lei lasciò il bambino.

Emma si inginocchiò davanti a lui. – Ehi, senti... so che non fai tutto da solo. Qualcuno ti ha detto di farlo e ti ha promesso qualcosa, vero?

Non parlò. Anzi, la fissò con astio. Evidentemente, se sapeva che Lily era stata un Oscuro, doveva sapere anche di lei.

- Forse ha davvero bisogno di una spintarella. – disse Regina. Nella voce di lei c’era una minaccia, un pericolo in agguato. – È di mio figlio che stiamo parlando.

Uno strano, improvviso silenzio riempì la cucina, come se ognuno dei presenti stesse trattenendo il respiro. Emma avvertiva fin troppo chiaramente la forza della sua rabbia. E l’ombra della donna che era stata un tempo, la donna che aveva lanciato la maledizione e perseguitato Biancaneve.

Marian si mise tra Regina e il bambino e gli tese una mano. Lui la guardò, indeciso.

- Qui nessuno vuole farti del male. – disse Marian, sorridendo. Ed Emma si accorse subito di quanto fosse convincente il sorriso di lei. Di quanto fosse puro e assolutamente amorevole.

- Nemmeno la Regina?

Regina non avrebbe dovuto essere così ferita dalle parole di un bambino che poteva essere poco più grande di Roland, dalle parole di un bambino che era stata lei ad uccidere... eppure fu una pugnalata. Fredda. Glaciale. Come il colpo di spada che uno dei suoi soldati doveva aver inferto a lui. Si girò dall’altra parte, incontrando lo sguardo verdazzurro di Emma.

- Nemmeno la Regina. – rispose Marian. – Quelle persone... potrebbero non averti detto la verità, qualsiasi cosa ti abbiano promesso. Loro vogliono fare... delle cose brutte ad Henry. E lui è come te.

- Morto?

- No. Innocente. – Ora il tono di Marian era più serio, molto più determinato.

Il bambino si morse il labbro.

- Il biglietto dice che l’hanno portato alla libreria. – disse Lily, sottraendolo a Regina. – E sarà di certo una trappola.

- Loro hanno detto... che l’avrebbero portato là. Ma non hanno detto nient’altro. – ammise il bambino. – Non hanno detto che gli avrebbero fatto male. Solo che dovevano spaventare la Regina.

- Chi erano? Conosci i loro nomi?

- Uno sì. Parsifal. – Ci pensò su. Scosse il capo. – No, non era proprio così. Era...

Lily sgranò gli occhi. – Percival. Emma, andiamoci subito.

- Sì. – disse Emma. - Papà... vai con Killian a vedere che cos’era quel tornado. Cos’ha portato qui, almeno. Noi ci occuperemo di Percival. Fate attenzione.  

 

 
Foresta dei Morti. Più di trent’anni fa.

 
Regina riuscì a sgusciare fuori dai resti della sua carrozza, nonostante il dolore alla spalla destra.

Schiantandosi, il suo mezzo di trasporto aveva perduto una ruota ed era ora un ammasso legnoso e contorto. Il soldato che viaggiava con lei giaceva, forse morto, all’interno, con l’elmo ammaccato che gli pendeva sbilenco sulla testa e una gamba in una posizione innaturale. Il cocchiere era sparito. I cavalli giacevano poco più avanti.

Qualunque cosa avesse causato quel disastro non c’era più.

“Ma perché i miei uomini sono solo degli idioti incompetenti?”, mormorò Regina, districando lo strascico del suo lungo soprabito rosso da ciò che rimaneva del finestrino.

La spalla le doleva. Di certo era dislocata e il dolore le impediva di ragionare lucidamente. La indeboliva. Doveva andarsene da quel posto, su quello non aveva dubbi. Andarsene prima che Biancaneve acquisisse troppo vantaggio. Anzi, era più che probabile che fossero caduti tutti in una delle sue orride trappole.

“Saranno stati i suoi nani disgustosi.”, continuò, arrancando per allontanarsi dal luogo dell’incidente.

Si fermò. Qualcosa si muoveva, nel folto della boscaglia, proprio dietro di lei. Udì il secco spezzarsi di un rametto e un fruscio guardingo tra il fogliame del sottobosco. Suoni che andavano quasi perduti sotto il sussurro del vento tra gli alberi.

“Chi è là?”, chiamò con voce alterata. “Chi sei? Mostrati.”

Una figura alta ed incappucciata sostava fra due tronchi, ma lei non riusciva a scorgerne il viso. Era troppo buio. La luce della luna piena non era sufficiente.

“Mostrati, se ne hai il coraggio.”, insistette Regina.

L’uomo scostò leggermente i lembi del cappuccio, facendo in modo che lei vedesse solo una parte del suo volto. La linea della mascella. Le labbra sottili. Un occhio azzurro.

“Daniel...?” Il solo rendersi conto di quello che stava dicendo bastò a farla rabbrividire incontrollabilmente, come se fosse stata in preda ad un delirio mortale.

Ma era sicura di non sbagliarsi. Non avrebbe mai potuto scordare il volto del suo amore.

“Daniel, sei tu? Sei... tornato?”

Il ragazzo si voltò, mettendosi a correre.

“No, Daniel, aspetta!”, gridò Regina, seguendolo nelle tenebre della Foresta dei Morti. “Sono io. Sono Regina!”

Lui la stava distanziando. Fuggiva, come spaventato dalla sua presenza. Persino il modo in cui correva, il modo in cui si spostava tra un albero e l’altro, bastarono a farle capire che la sua mente sovraeccitata non la stava ingannando. Quel luogo era popolato dagli spiriti, che lo rendevano tenebroso con la loro presenza. Rischiavi, voltandoti, di vedere cose che potevano farti uscire di senno. Ma non voleva pensarci. Non c’era alcun bisogno di pensarci...  

“Daniel, qualsiasi cosa ti abbiano detto di me, non è vera.”, gridò Regina. “Devi credermi.”

Continuò a corrergli dietro, fino a quando non giunse in uno spiazzo in cui gli alberi erano stati tagliati e c’erano solo monconi di tronchi.

E una fossa. Una fosse molto profonda. Regina ci finì dentro con un urlo. Cadde, battendo la spalla già dislocata. Fu momentaneamente accecata dal dolore. Si morse il labbro e serrò le palpebre, aspettando che si placasse.

Infine, una risata. Proprio sopra di lei.

“Daniel?”

“Regina.”, rispose. E la voce aveva un’inflessione completamente diversa. Più dura. Era più profonda e rauca. “O forse dovrei chiamarvi... Regina Cattiva?”

“Tu non sei Daniel.”, constatò, sentendosi una vera idiota.

L’uomo si accucciò sul bordo della fossa. Avrebbe dovuto capirlo subito perché era più alto di Daniel e aveva le spalle più larghe. Inoltre, quando abbassò il cappuccio della mantella grigia, per quanto i lineamenti fossero simili e gli occhi del medesimo azzurro, i capelli erano folti e castano chiaro.

“Certo che no.”, rispose l’uomo, divertito. “Mio fratello giace sottoterra, Regina Cattiva. Da tempo.”

“William?” Regina si rialzò, tenendosi la spalla dolorante con una mano. “Daniel... lui aveva detto che te ne eri andato. Mi diceva... che non ti vedeva da anni. Eri partito in cerca di fortuna.”

“Ed è così. Ma sono tornato. Dopo la sua morte, sono tornato e ho saputo cos’è accaduto. Sai, Regina... io volevo bene a mio fratello. È anche per lui che me ne sono andato. Questo te l’ha detto? La mia fortuna sarebbe stata anche la sua. Eh? Τe l’ha detto?”

“Sì...”

“Ti dirò una cosa io, allora.” William intrecciò le mani. “So cos’hai fatto. Daniel è morto per colpa tua. L’hai ucciso tu. È giunto il momento di pagarne il prezzo, Regina Cattiva. E il prezzo è molto alto.”

 

 
Oltretomba.

 
Il tornado aveva lasciato dietro di sé una scia di cianfrusaglie, i pezzi di quello che sembrava un telone verde e persino una cuffietta bianca da neonato.

David l’ha raccolse, esaminandola, perplesso. Il cimitero, con le sue lapidi disposte in file irregolari, era deserto. Il tornado era passato in mezzo alle tombe, ma esse erano intatte.

Killian osservò le zolle di terra e i cespugli di alloro e ginepro divelti, in cerca di orme o di qualche altra traccia. Un vecchio salice era spaccato malamente e la rottura era così fresca che la sua polpa biancastra ancora perdeva linfa. Dall’altro lato c’era un pugnale. Lo prese.

- Quello apparterrebbe a me. – disse una voce, che fece sobbalzare Killian. – Potrei riaverlo?

L’uomo che si era rivolto a lui tendeva una mano, mentre reggeva con la sinistra una faretra piena di frecce, decorate con piume rosse.

- Penso di no, amico. – rispose Killian, occhieggiandolo, sospettoso. David si avvicinò, preparandosi ad estrarre la spada. - Chi sei?

- Mi chiamo Fiyero. Fiyero Tiggular. E vengo da Oz. – Lui occhieggiava l’uncino che aveva al posto di una delle mani.

- Non si direbbe. – rispose Killian. Fiyero aveva la pelle nerissima e le braccia ricoperte di tatuaggi a forma di diamante. Ne aveva anche sulle nocche e sul collo. – Io direi che vieni dai Mari del Sud. Dal profondo Sud. Quei tatuaggi... non sono in molti ad averli.

- Sì, devo dire che il mio vero padre veniva da là. – Fiyero liquidò la questione con un’alzata di spalle. - Avete viaggiato molto, a quanto pare. Ma la mia casa è nel regno dei Winkie. Mi trovavo ad Oz quando il portale...

- Sei solo? – domandò David.

- Non lo ero. Ma la strega è sparita con la bambina prima che potessi fare qualsiasi cosa.

- La Strega Perfida. Per tutti i diavoli... – Killian guardò David. Poi si rivolse di nuovo a Fiyero. – Forse è il caso che tu ci dica che cosa è successo. Poi, forse, potrai riavere il tuo pugnale.

- Beh, vi ringrazio. Però anch’io ho una domanda: perché il cielo di questo posto è rosso? Dove mi trovo esattamente?

 

 
Le porte della libreria erano chiuse. Quando Lily tirò i battenti per aprirli, la magia la respinse, scintillando.

- Un incantesimo di protezione. – disse Emma.

- State indietro. – Malefica aprì la mano destra e in essa comparve lo scettro. Lo impugnò saldamente, puntandolo contro le porte e scagliò il potere su ciò che proteggeva quel luogo. Regina, Emma e Lily si schermavano gli occhi.

La barriera andò in frantumi.

- Beh, non era così potente, come incantesimo. – osservò Lily.

- Già. Il che vuol dire che è una trappola. – concluse Emma.

A Regina poco importava che fosse una trappola. Spinse i battenti della libreria, spalancandoli e si precipitò dentro, chiamando il figlio a gran voce.

- Regina, aspetta... – disse Emma, cercando di fermarla.

Il ragazzino era appeso al soffitto, la corda legata intorno al collo, le braccia penzoloni lungo i fianchi e la faccia messa in ombra dal cappuccio della mantella. Muoveva ancora le gambe. Debolmente. I piedi calzavano le stesse scarpe che portava Henry quando era sparito, al cimitero. E portava gli stessi jeans.

Regina rimase là, raggelata. Sentiva che un urlo lacerante stava salendo dal profondo. Sentiva che il suo stesso equilibrio mentale cominciava a cedere. Era una sensazione troppo materiale. Autentica. Di certo, un albero sovraccarico di neve, durante una tremenda tormenta, doveva sentirsi così un attimo prima di abbattersi al suolo.

Lily ebbe la prontezza necessaria e abbrancò le gambe di Henry prima che soffocasse. Malefica bruciò la corda e il corpo cadde sul pavimento.

- Henry! – gridò Regina, gettandosi in ginocchio accanto a lui.

Quando scostò il cappuccio per scoprirgli il viso vide che non si trattava affatto di Henry. Era un ragazzo con la sua stessa struttura fisica e i suoi vestiti, ma...

- Regina, attenta! – Emma si lanciò su di lei e la spinse via prima che il pugnale la raggiungesse. La lama fendette l’aria tra di loro e la finta vittima grugnì il suo disappunto. Lily lo disarmò con un calcio e lo prese per il colletto della giacca.

Nel frattempo, ne arrivarono altri. O meglio, non arrivarono. Comparvero dal nulla. Come se l’unico ragazzo presente avesse iniziato a moltiplicarsi.

Uno cercò di colpire Emma e lei gli afferrò il polso. Con un piede, agganciò la sua caviglia e lo fece cadere. Prima che potesse rialzarsi, gli fu addosso, bloccandolo a terra con un ginocchio.

- No... – sibilava... l’essere sotto di lei, dimenandosi e torcendo il collo all’insù, gli occhi malevoli, quasi da insetto nel loro stupido odio. La faccia cominciò a mutare; era quella di Neal, dallo sguardo spento e fisso; era quella incredula di Graham nell’attimo in cui Regina aveva polverizzato il suo cuore; era quella di suo figlio, paurosamente pallida. Infine cambiò di nuovo e diventò il volto di un’entità con la fronte bassa, gli occhi gialli, la lingua appuntita e biforcuta.

Ma Emma non era l’unica a vedere altre facce in quelle dei demoni che le circondavano. Regina, prima di scagliare la sua sfera di fuoco, scorse la faccia di sua madre, che la guardava così come l’aveva guardata quando aveva usato le cinghie dei cavalli per legarla. Scorse le facce dei bambini del cimitero. Scorse la sua stessa faccia, i lineamenti distorti dalla furia.

Lily vedeva i suoi genitori adottivi. Prima suo padre e poi sua madre. Vedeva Murphy, che le sussurrava parole orribili, accuse e minacce. Le ricordava che aveva privato una bambina innocente di un padre, lasciandola sola al mondo.

Malefica atterrò uno dei demoni, mandandolo prima a sbattere contro uno scaffale e poi tenendolo fermo sul pavimento con la magia. Lui si portò le mani alla gola, annaspando. Batté i piedi e tese il corpo. Infine, rivolse la faccia a Malefica. Il suo viso divenne quello di un uomo urlante, quello di una donna le cui guance erano bruciate dal fuoco, quello di un giovane con i capelli ridotti ad un groviglio ardente. Divenne il volto di una ragazza che altri non era che lei, trecento anni prima, un drago inesperto, incapace di controllare il proprio potere, che aveva commesso una strage, uccidendo e distruggendo, salvo poi rintanarsi nella grotta dove la madre aveva protetto l’uovo da cui era nata.

- Τu perdi sempre, Malefica... vieni sempre sconfitta. Anche oggi. – gracchiò il demone.

Malefica l’afferrò per i capelli biondo grano e fece per spezzarle il collo. Poi vide che sua figlia era stata sospinta contro uno scaffale e le dita di uno dei mostri le arpionavano la gola. Stringevano. Lily annaspava. Malefica colpì con violenza l’essere che aveva assunto le sue sembianze e fece per scagliarsi in avanti.

Non vide l’altro, quello che sopraggiunse alle sue spalle. Non l’aveva neppure sentito.

La lama di un pugnale le trapassò la giacca e si piantò nella sua schiena.

 

 
Foresta dei Morti. Più di trent’anni fa.

 
Tenendosi la spalla dislocata, Regina sollevò la testa e spalancò gli occhi, esterrefatta. “Morto per colpa mia? Ma di che cosa parli? Come osi?”

“Come oso?” Lui rivolse la faccia alla luna. “Direi che ho tutte le ragioni per osare, Regina. Hai ucciso mio fratello. O non era vero che volevi fuggire con lui, nonostante il parere contrario della tua famiglia?”

“Io...”

“Mi hanno anche detto che lo amavi. Ma io non credo. Se ciò fosse vero, l’avresti lasciato in pace. Avresti...”

“Non sono io la colpevole, William!”, gridò Regina, sconcertata da quelle parole così intrise di veleno. “La vera colpevole è Biancaneve! Se non avesse rivelato il nostro segreto... saremmo riusciti a fuggire e Daniel sarebbe vivo!”

“Poco importa ciò che ha fatto Biancaneve. Non ho alcun interesse per quella bandita.” William posò un ginocchia a terra ed estrasse qualcosa dalla casacca. Se lo rigirò tra le mani per qualche istante, prima di sciogliere i lacci. “Sei stata tu a convincerlo a scappare. L’hai spinto a credere alle tue fantasie! L’hai spinto a credere che vivere una vita felice fosse possibile! Bugie.”

“Le bugie sono quelle che hanno raccontato a te.”, replicò Regina. “Lo amavo... lo amavo davvero. Non ho potuto impedirlo...”

“Potevi, invece.”, disse William, con un’arroganza e una testardaggine che lei non avrebbe mai creduto possibili. “Da quando una storia d’amore tra uno stalliere e una ragazza di nobile famiglia, promessa ad un re... è finita bene?”

“William... io pensavo...”

Il fratello di Daniel aveva smesso di ascoltarla. Non aveva la minima intenzione di stare là a sentirsi ripetere che era Biancaneve la causa di tutto. ‘Parla pure, Regina Cattiva’, sembrava dire la sua postura rigida, la sua fronte aggrottata, la bocca stretta in una linea piatta e dura. ‘Parla fino ad diventare blu. Non servirà a niente’.

Ma doveva provare. “William, smettila. Non voglio farti del male. Io voglio proprio ciò che vuoi tu. Vendetta per Daniel. Sto facendo questo per lui!”

“Non sei altro che una bambina viziata. La tua vita ti annoiava e hai pensato di gettare la tua noia su mio fratello. Sei bella...”, mormorò William, alzandosi in piedi e riversando il contenuto della sacchetta nella mano destra. “Sei bella e sono sicuro che sai persuadere chiunque. Sei una manipolatrice nata. Mi hanno parlato anche di tua madre, sai? Cora. Da come me l’hanno descritta, direi che le somigli.”

“Oh, non hai idea di quanto ti sbagli! Se mi dessi la possibilità di spiegare...”

William gettò nella fossa la polvere che aveva tirato fuori dalla sacchetta. Non appena i granelli dorati le scivolarono lungo il braccio, Regina avvertì i suoi muscoli indurirsi, contrarsi dolorosamente. Era una polvere magica.

“Sei già ferita. Mi sono assicurato che uscissi viva dall’incidente in carrozza, perché volevo che avessi modo di cadere in questa trappola, dove resterai. A lungo. Così potrai pensare ai tuoi errori. A ciò che avresti dovuto fare e non hai fatto, perché sei un’egoista.” Riversò su di lei quel fiume di parole senza nemmeno guardarla. “Una sirena di un regno lontano mi ha procurato questa sabbia. Mi disse che avrebbe neutralizzato qualsiasi magia. Quando ne sarai ricoperta... non potrai nemmeno uscire dalla fossa. E nessuno potrà aiutarti ad uscirne.”

 

 
Oltretomba. Oggi.

 
- Mamma! – gridò Lily, raggiungendo Malefica e gettandosi in ginocchio accanto a lei.

Regina neutralizzò il demone che l’aveva pugnalata, spezzandogli il collo. Emma accorse a sua volta, dopo essersi occupata dell’ultimo mostro. La giacca grigia di Malefica era già zuppa di sangue. Nel tessuto si apriva uno squarcio, attraverso il quale Emma poteva vedere la ferita provocata dal pugnale.

- Mamma... – ripeté Lily, con una voce che ad Emma ricordò fin troppo il tono della ragazzina che si era nascosta nel garage della sua famiglia adottiva. La ragazza che aveva gridato il suo nome sporgendosi dal finestrino di un’automobile.

Malefica la fissò, da sotto le palpebre appena dischiuse.

È proprio come a Camelot, pensò Emma. Solo che quella volta era Lily ad essere in fin di vita. E lei aveva commesso l’errore di moltiplicare l’oscurità. Scacciò quel pensiero dalla mente con tutta la rapidità possibile.

Regina si concentrò al massimo delle sue possibilità per guarirla. Avvertì il potere che si faceva strada dentro di lei e cercava una via per uscire. La sua mano scintillò, emanò un’intensa luce bianca per alcuni secondi... poi si spense. A Regina sembrò di premere contro una robusta parete di gomma, che cedette un po’ permettendole di usare la magia, ma poi la risputò fuori.

- Che cosa succede? Perché non funziona? – domandò Lily, con il respiro corto per l’agitazione.

Regina fu presa dalla stizza. Aveva il cuore in tumulto e la testa che le bruciava. Sentiva un ronzio nelle orecchie che pareva un battito d’ali e avvertiva una presenza vicina che rideva di lei, dei suoi goffi tentativi.

Emma afferrò saldamente la sua mano e la strinse così forte che Regina ne fu sconcertata. – Insieme. Possiamo farcela.

Dopo un istante di incertezza, Regina annuì. Malefica rantolò, mentre la macchia di sangue si allargava sotto di lei, intaccando e macchiando la rilegatura di un libro precipitato da uno scaffale.

La magia proruppe di nuovo, più forte. La barriera invisibile che aveva respinto il primo attacco si tese, sembrò in procinto di scacciarle un’altra volta, rendendo vano anche il secondo tentativo. Emma sentì che la magia di Regina si univa alla sua in una girandola di potere.

Non era abbastanza. Quel mondo si opponeva con tutte le sue forze. La morte che impregnava ogni cosa nel regno di Ade si aggrappò a Malefica, cercando di trascinarla giù con sé.

Lily prese la mano libera di Emma, imponendosi di ricordare quello che aveva imparato da sua madre, e appoggiò l’altra sopra le dita intrecciate delle due.

 

 
Foresta dei Morti. Più di trent’anni fa.

 
“Basta, William!”, gridò Regina, sollevando entrambe le braccia e ignorando la fitta di dolore alla spalla.

Qualunque effetto dovesse avere quella sabbia magica, non fu quello sperato dal fratello di Daniel. Regina percepì solo una minima resistenza intorno a sé, poi la magia esplose verso l’alto in un mare di scintille rosse. William ne fu sopraffatto e il sacchetto gli cadde di mano. La sabbia si rovesciò, disperdendosi.

“Maledetta! Cos’è questo? Uno dei tuoi trucchetti, vero?”, esclamò il giovane, mettendo mano alla spada.

Regina scomparve in una nube densa e riapparve fuori dalla fossa, accanto a William. Usare la magia le stava rubando le energie, perché era già ferita. Aprì mani in segno di resa.

“Quella sirena ti ha ingannato, William. Molte sirene lo fanno.”, gli spiegò, rimanendo a distanza di sicurezza. “È la loro voce. Può ammaliarti e farti credere qualsiasi cosa. Più la sirena è vecchia, più è potente.”

William sostenne lo sguardo di Regina, ricambiandola con un’occhiata colma di odio e di furia omicida.

“Non voglio farti del male. Siamo dalla stessa parte.” Regina gli offrì la destra. Cercò il contatto con i suoi occhi azzurri, sperando di vedere qualche brandello di Daniel in lui.

Vide solo uno un lampo feroce, le sclere iniettate di sangue. William parlò con un tono reso stridulo dalla collera. “Non saremo mai dalla stessa parte! Hai ucciso mio fratello!”

“Io amavo Daniel! La colpa è di Biancaneve! Credimi!”

“Soffrirai per ciò che hai fatto a mio fratello! Io avrò la mia vendetta, in un modo o nell’altro.”, insistette William.

Sfoderò la spada e tentò un affondo che quasi la sorprese. Erano vicini. La lama aprì uno squarcio nell’abito rosso di Regina, all’altezza del fianco sinistro. Un rivolo di sangue scivolò sulla sua pelle.

“Voglio la stessa vendetta, William. Non lo vedi?” Regina lo stava supplicando. “Dobbiamo unire le forze. Insieme, potremo catturare Biancaneve.”

William menò un fendente deciso. Regina scagliò la sua magia contro la spada e lo disarmò all’istante.

“Sei tu l’assassina di Daniel! Cosa vuoi che mi importi di una bandita?” Estrasse un pugnale dalla cintura e si gettò contro di lei, la bocca spalancata in un urlo.

Regina, istintivamente, reagì spedendo un’onda di potere contro di lui. Usò molta più magia di quanta fosse necessaria.

William volò all’indietro. L’arma di fortuna gli sfuggì. Sbatté con violenza il capo contro il tronco di un albero e si afflosciò sulle radici che sporgevano dal terreno duro e sassoso. Emise un lungo sospiro, simile ad un rantolo. Quando Regina si avvicinò, lui la fissò come se la riconoscesse confusamente.

“William...”, mormorò, chinandosi. “William, no... io non volevo...”

Le palpebre dell’uomo tremolarono, mostrando uno spicchio di azzurro. Cercò di muovere la testa, ma il collo era rotto. Dalle labbra gli uscì un gorgoglio. Tentava di parlare. Regina afferrò qualche sillaba, però le parole erano indecifrabili.

“Non preoccuparti. Andrà tutto bene. Posso aiutarti.”, disse Regina, in fretta, lasciando scivolare le dita dietro la sua nuca. Aveva ancora abbastanza energie per guarirlo, forse. Poteva provarci.

“Non... puoi.”, disse William. Sorrise.

Quel sorriso. Era atroce.

“Non puoi... aiutarmi. Come non hai... potuto... aiutare Daniel.”

Regina avvertì nel suo alito l’odore della morte, delle ferite interne, del fallimento, della rovina. “No, io lo amavo...”

William cominciò a tremare tutto. Improvvisamente parve bloccarsi in ogni suo muscolo. Gli occhi divennero vuoti, senza sguardo, orlati di sangue. Si fecero vitrei.

Rendendosi conto di quanto era accaduto, Regina si girò da una parte per non guardare il morto e abbassò la testa.

 

 
Oltretomba. Oggi.

 
La ferita di Malefica si richiuse e scomparve. Fu una cosa lenta e graduale, tanto che Regina temette che non avrebbe funzionato, che nemmeno il potere di tre persone diverse sarebbe bastato a guarirla.

Invece funzionò.

Lily abbracciò sua madre non appena lei riuscì a rialzarsi. Il pugnale usato per colpirla giaceva sulle piastrelle, ancora sporco di sangue, ma i demoni si era trasformati in tanti mucchietti di cenere.

- Ce l’abbiamo fatta. – disse Emma, che continuava a stringere la mano di Regina.

- Sì. – rispose Regina, rimirando le loro dita intrecciate, ancora sorpresa e stordita. Fissò Emma negli occhi, così come non le capitava di fare da tempo. Per un attimo vide solo il verdazzurro di quello sguardo, come se la realtà non conoscesse altri colori. - Ce l’abbiamo fatta.  

Emma lasciò la sua stretta, lentamente. Appoggiò una mano sulla spalla di Lily.

- Forse possiamo ancora trovare Henry con un incantesimo di localizzazione. Credo che... ora funzionerà. – disse Regina. – Ho portato qualcosa di suo.

Estrasse la sciarpa del ragazzino.

Emma annuì. – Facciamolo. Lily... rimani qui con tua madre. Ci pensiamo io e Regina.

- E Percival? – chiese Lily.

- Percival vuole me. – rispose Regina, con risolutezza. – Sono io il suo conto in sospeso.

 

 
La scia luminosa dell’incantesimo di localizzazione le condusse direttamente al porto. Lì era ormeggiata una grande nave, con le vele rossastre come il cielo dell’Oltretomba e stracciate. Il legno era scuro e consunto. Lungo le fiancate, le bocche dei cannoni erano arrugginite. A prua, una figura femminile, con i capelli al vento e un serpente ad abbracciarne il corpo sinuoso, guardava verso l’orizzonte.

Sul ponte, Henry si destò, ancora confuso. Batté le palpebre più volte per mettere a fuoco l’ambiente.

- Henry! – gridò Regina, arrivando di corsa.

Percival afferrò il ragazzino per il colletto e lo costrinse ad alzarsi in piedi. Polsi e caviglie erano legati. Il cavaliere sguainò la spada che un tempo aveva cercato di usare contro di lei e gliela appoggiò sulla gola.

Emma si fermò con un piede già sulla scala che conduceva sulla nave.

Udì una risata divertita e un altro uomo comparve da sottocoperta. Non aveva armi. I capelli castano chiaro erano tutti arruffati.

Regina ebbe un tuffo al cuore. – William?

- Salve, Regina.

Henry spostò la testa a destra e a sinistra, si dimenò, ma Percival lo tenne ben stretto.

- È ancora vivo, vedi? – disse William, indicando il ragazzino. – Il tuo Daniel è ancora vivo. La domanda è: per quanto ancora? Basterebbe un graffio con la lama di quella spada per spedirlo dritto dalle Anime Perdute. La lama è stata bagnata nelle acque di quel fiume.

Emma e Regina si scambiarono un’occhiata.

- Non pensate neppure di usare la magia. – Il fratello di Daniel aveva un’aria annoiata. Nessuna esitazione. Si sentiva in netto vantaggio. – Se lo farete, Percival potrebbe essere più rapido di voi. O potrebbe ferirlo accidentalmente. Quindi... vogliamo giungere ad un accordo?

- Quale accordo? – chiese Emma, mentre la sua mente lavorava senza sosta alla ricerca di un modo per raggirare quei due.

- Regina sale sulla nave. Si consegna. A noi. – disse Percival. Sogghignò compiaciuto, come al ballo, prima di rivelare la storia del ragazzino a cui la Regina Cattiva aveva sorriso, dopo aver portato morte e distruzione nel suo villaggio.

- A noi. – ribadì William. – E noi, in cambio, lasciamo il ragazzo. In caso contrario, sapete che cosa accadrà.

Regina mosse un passo verso di loro. Emma la prese per un braccio.

- Emma, non abbiamo scelta.

- C’è sempre un’altra scelta, Regina.

- Non questa volta. È nostro figlio...

Scosse il capo con forza. - Forse se uniamo i nostri poteri possiamo fermarli.

- Percival potrebbe essere più veloce. Hai sentito? Basta un graffio. Henry non può pagare per le mie colpe. William... è il fratello di Daniel. – le spiegò. – Sono stata io, Emma. Si trova quaggiù perché l’ho ucciso io.

- Intendo contare fino a cinque. – disse William. – Percival ha una mano forte e ferma, ma la lama è ad un paio di millimetri dalla gola di Daniel. Basterebbe...

Regina alzò entrambe le mani.

- Anche l’Oscuro. – disse Percival, in tono riflessivo. – Porta l’Oscuro con te. Salite tutte e due. È un vero peccato che non ci sia anche la mia assassina. Ma ci sarà tempo per stanarla.

- Lascia Emma fuori da questa storia. – replicò Regina.

- No, Regina. Sono d’accordo con lui. – intervenne William, con le mani intrecciate dietro la schiena. - Ti prego, Oscuro. Vieni avanti. Il figlio è anche tuo. E credo che tu tenga molto alla Regina. E al tempo stesso dovresti avercela con lei. Ti ha tradita. Vieni e goditi lo spettacolo.

Emma li raggiunse senza pensarci. Henry fissò le sue madri, angosciato.

A Regina sembrò che il ponte della nave fosse lontano anni luce. Il cuore le rimbombava in testa e il sangue le si rimescolava nelle vene. Non voleva che suo figlio la vedesse morire. Non voleva nemmeno che Emma la vedesse morire, ma non poteva nemmeno permettere che Henry corresse un rischio terribile per colpa sua.

Τremotino aveva ragione quando aveva detto che l’Oltretomba era un posto orrendo. Ovunque si girasse i conti in sospeso la tormentavano. E li aveva voluti. Li aveva voluti lei. William, Percival, i ragazzini al cimiero... Marian. Persino Emma.

Sei stata cattiva troppo a lungo, le sussurrò Cora. Ora ne paghi le conseguenze.

- In ginocchio, Regina. – disse William.

- Libera nostro figlio, prima. – rispose lei, furiosa.

- In ginocchio. Lo farò quando avremo finito.  

Emma occhieggiò Percival e la sua spada. Henry la guardava con gli occhi sgranai.

Regina si inginocchiò davanti a William, che aveva gli occhi vivaci e scintillanti di un bambino pronto ad incendiare la tela di un ragno per studiare la reazione dell’insetto.

Nella mano destra di William comparve una spada. La fece roteare. – Sai, mi dispiace che tuo figlio debba assistere. Ma l’hai voluto tu.

Emma pensava di poter disarmare almeno uno di loro. Con il suo potere, forse poteva farcela. Ma due... in quel luogo la magia non funzionava nel solito modo. Avvertiva la propria magia, ma anche quella del regno di Ade. Era vigile. Aspettava che ci provasse, senza aiuti, stavolta. Si sentiva lenta e stordita. Henry era in pericolo. La lama di quella spada era vicinissima alla sua pelle. Regina stava per essere giustiziata...

- Questo è per mio fratello. – disse William, impugnando la spada con entrambe le mani. Alzò gli occhi azzurri sul complice. – Questo è per mio fratello... e per il bambino a cui una volta sorridesti dopo che i tuoi soldati avevano ucciso suo padre, lasciando il suo corpo nel fango.

Regina guardò Percival e notò che il bambino che ormai era un uomo adulto stava... sorridendo. Naturalmente.

William sollevò la spada, preparandosi a mettere tutta la forza che aveva nel colpo che le avrebbe mozzato il capo.

“Sei stata troppo cattiva. Per troppo tempo.”

La freccia sibilò vicino all’orecchio di Emma e centrò William al collo. Lui lanciò un grido gorgogliante, più per l’impatto improvviso che per il dolore. La mano lasciò cadere la spada.

Emma non riusciva a capire bene cosa fosse successo, ma capì che doveva approfittarne. Percival aveva allontanato la lama dal corpo di Henry, preso dallo sconcerto. Emma usò la magia per torcergli il polso. Compì uno sforzo titanico, che la costrinse a piegarsi su un ginocchio, ma alla fine Percival gemette. Henry gli rifilò un gomitata nello stomaco, spezzandogli il fiato e corse verso sua madre.

Regina si girò di schiena e si allontanò strisciando da William. Lui annaspava e barcollava. Dalla ferita non zampillava nemmeno una goccia di sangue, eppure l’uomo crollò in ginocchio, nella stessa posizione in cui si trovava Regina poco prima. Gli occhi azzurri, identici a quelli di Daniel, ma brillanti di follia, ruotarono, come cercandola, poi scomparvero, mostrando solo il bianco della sclera.

Una seconda freccia e poi una terza sfiorarono i capelli biondi di Percival, che si abbassò d’istinto e poi si gettò nuovamente sulla spada. Emma prese quella di William, voltandosi nel momento esatto in cui il cavaliere vibrò il fendente. Emma lo parò a fatica. Il colpo riverberò nel suo braccio, irrigidendole il muscolo.

Vide Marian che sfilava un’altra freccia dalla faretra e la incoccava.

Percival menò un poderoso manrovescio ed Emma rotolò sulle assi del ponte.

William si afflosciò. Un suono orrendo proruppe dalla sua gola, un suono raspante, di chi sta soffocando nel suo stesso sangue. Infine il suo corpo si dissolse. Diventò acqua, che scivolò tra le fessure delle assi.

Emma respinse nuovamente il cavaliere. Percival era rapido e agile, non appena Emma parava un colpo, gliene rifilava un altro.

- Facciamola finita, Percival. – disse Emma, mentre le lame si incrociavano. – Ormai sei solo.

- E tu sei morta, come me. – ribadì lui, spingendo e avvicinando di più la spada al suo viso. – Un piccolo aiuto per passare oltre ti serve, vero? Non andrai in un bel posto. Gli Oscuri non ci vanno mai.

Emma strinse i denti. Usò tutta la sua energia e la sua furia per spingere verso l’alto con le braccia e puntando un piede sul ponte della nave. Percival barcollò, sorpreso dalla sua forza e indietreggiò di un paio di passi. Allora Emma parò un colpo basso, ruotò rapidamente verso destra e, dando le spalle al cavaliere, eseguì alla cieca un affondo. Percival reagì in ritardo. La lama lo trafisse al petto, affondando attraverso gli abiti per quasi tutta la sua lunghezza.

Percival emise un rantolo. La spada di Emma non era incantata come la sua, ma il colpo l’aveva spiazzato. L’arma con cui aveva minacciato Henry cadde. Emma spinse una gamba in avanti e gli affondò il tacco dello stivale nel ventre. Percival arretrò e perse l’equilibrio. Emma si affrettò a prendere la spada che aveva perduto.

- Mamma! – gridò Henry ad Emma.

- Sto bene. – rispose lei, respirando a fatica. Puntò la spada incantata al collo del cavaliere.

- Che cosa stai aspettando? – domandò Percival, rabbioso, guardandola con aria di sfida. – Finiscimi, Oscuro.

“Finiscimi.”

Finiscilo, Emma Swan, suggerì una vocetta fredda.

Emma battè le palpebre per scacciarla.

Finiscilo. Voleva fare del male ad Henry. Finiscilo.

Per qualche terribile momento, ebbe la sensazione che la coscienza oscura che l’aveva posseduta per settimane le avesse invaso di nuovo il cervello, spandendosi come inchiostro nero. La respinse e avvicinò di più la punta della lama al viso di Percival.

Poi avvertì un’altra presenza. Questa sembrava più cauta. Non invase la sua mente, ma si limitò a penetrarvi con prudenza, quasi stesse tastando il terreno.

Lily.

L’altra si ritrasse, sorpresa. Forse aveva solo tentato di trovarla. Forse aveva voluto accertarsi di esserne ancora capace. E ci era riuscita. A fatica.

- Non deve finire così. – disse Emma. Vide Regina che si accostava a loro, con Henry al fianco. – Puoi venirne fuori.

- Venirne fuori? Credi che lo voglia? – domandò Percival, sprezzante e persino incredulo dinanzi alle sue parole. – Lei mi ha rovinato la vita. Ha distrutto la mia casa. E mi chiedi di venirne fuori?

- Regina non è più la persona che credi. – Emma le lanciò un’occhiata e le rivolse un leggero sorriso.

Anche Marian si avvicinò, una freccia ancora incoccata nell’arco. Quelle frecce erano rosse, proprio come le nuvole che incombevano sull’Oltretomba.

- Se le dessi una possibilità, te ne renderesti conto. – continuò Emma.

- Lei non merita una possibilità.

Regina aprì la bocca per dire qualcosa, ma un attimo dopo Percival non c’era più.

Emma si guardò intorno, sconcertata. Solo un secondo prima, era lì, steso sulle assi del ponte.

- Dov’è andato? – domandò Marian.

- Non ne ho la minima idea. – rispose Emma.

 

 
Percival precipitò nel vuoto, urlando. Pensò che, alla fine, il maledetto Oscuro l’avesse ucciso definitivamente, condannandolo alla pena eterna. Pensò di essere spacciato. Pensò che avrebbe continuato a precipitare in quel buio per sempre e maledisse sia Emma che la Regina Cattiva. Maledisse anche William, che l’aveva trascinato in un’impresa così folle. Maledisse Lily, che l’aveva bruciato vivo. Maledisse persino Artù.

Ma toccò il fondo. Rotolò su una piattaforma sospesa sul fiume delle Anime Perdute. Le acque non erano calme, ma ruggivano sotto di lui. Le grida e i sospiri dei gusci vuoti che si agitavano senza posa erano stridenti. Erano come artigli che avevano deciso di arpionare il suo cervello per distruggerlo.

- Che tristezza. – disse Ade, comparendo su uno sperone di roccia che si protendeva sul Fiume. – Davvero un tentativo idiota, Sir Percival. Ora capisco che come re avevate un mentecatto. I veri cavalieri non si comportano così.

Un cerchio di fuoco si accese, disegnando i bordi della piattaforma. Le fiamme si levarono alte, riflettendosi nell’acqua e sulle pareti nere del covo di Ade.

- Quaggiù avrete modo di riflettere sul vostro operato. E almeno non mi sfuggirete. – Il Signore degli Inferi aprì una mano e in essa comparve la spada che aveva usato contro il figlio di Emma e Regina.

Percival si alzò in piedi. – Che cosa intendete farmi? Volete torturarmi?

- Perché no? – rispose Ade. – Sapete, odio quando quell’orologio si mette a ticchettare. Significa che un’anima ha deciso di spiccare il volo e... non è ammissibile. Devo evitare che succeda troppo spesso.

Il cerchio di fuoco iniziò a stringersi. Percival indietreggiò, alzando un braccio per proteggersi da una lingua fiammante che si era buttata su di lui e voleva acciuffarlo.

 

 
Foresta Incantata. Più di trent’anni fa.

 
Regina spalancò le porte delle sue stanze ed entrò, arrancando. Il lungo soprabito rosso era infangato. La spalla le doleva ancora e lei avanzò verso lo scrittoio, instabile. Alcune ciocche di capelli erano sfuggite all’elaborata acconciatura e le dondolavano davanti al viso.

Girò una chiave e aprì il cassetto.

“Dov’è?”, domandò Regina, frugandovi all’interno. “Dove diavolo è?”

La sua testa era ancora confusa, con le mani sporche del sangue di William, che aveva seppellito nella Foresta dei Morti, vicino al punto in cui lui aveva scavato la fossa per intrappolarla.

Aprì il secondo cassetto e trovò lo scrigno in legno, nel quale era custodito l’anello. Prese il dono che Daniel le aveva fatto quando lei era ancora la ragazzina che pensava di poter vivere felice con il ragazzo che amava.

“Daniel... mi dispiace.”, disse, ripensando al corpo senza vita di William, accasciato contro un albero. “Mi dispiace davvero.”

 Ripose l’anello al suo posto. Poi si tolse il soprabito sporco per prenderne un altro dall’armadio.

“Guardie!”, gridò. La magia guarì in un baleno la spalla dislocata.

Due uomini si affrettarono ad entrare e ad inchinarsi.

“Preparatemi il cavallo. Biancaneve non è lontana.” Strinse i pugni, lasciando che quella sensazione così familiare le invadesse il sangue. Rabbia, odio, frustrazione. Dolore. “E questa notte... non troverà pace.”

 

 
Oltretomba. Oggi.      

 
Malefica notò che gli occhi di sua figlia avevano assunto una colorazione diversa, mentre tentava di vedere attraverso gli occhi di Emma Swan. Aveva la fronte imperlata di sudore per lo sforzo. Lo sguardo assente era fisso. Non batteva neppure le palpebre.

Non la interruppe. Si limitò ad osservarla, sentendosi incredibilmente orgogliosa di quello che Lily sapeva fare.

- È sparito. – mormorò, rientrando in sé.

- Chi?

- Percival. È sparito. Non sono riuscite a... – Lily barcollò e sua madre la sostenne prima che potesse cadere.

- Emma e Regina stanno bene? – chiese Malefica, mentre la stringeva a sé e le scostava qualche ciocca di capelli dalla fronte.

- Sì... sì, loro stanno bene. E anche Henry. Ma Percival si è come volatilizzato.

Malefica abbassò il viso e posò un bacio fra i suoi capelli. Lily si scostò, voltandole le spalle.

- Va tutto bene?

- Sono io che dovrei chiederlo, non pensi? – Lily rispose usando un tono seccato.

- Beh... avete fatto un ottimo lavoro.

Lily rivolse uno sguardo alla madre. Le lunghe ciglia tremarono sugli occhi scuri della ragazza. – Sì, dopo che uno di quegli esseri ti aveva ferita perché hai ben pensato di aiutare me.

- Cosa avrei dovuto fare? Lasciare che ti uccidesse?

- Potevo farcela.

Lily la fissò in viso e vide la mortificazione nelle sue iridi azzurre. Quando parlò di nuovo, la voce di Malefica era cupa. Severa. – Non avevo questa impressione.

Lily tacque.

- Io sono tua madre. E anche se è difficile per te capirlo... quello che fanno quasi tutte le madri è proteggere i propri figli.

- Io non... – cominciò Lily. Si morse, nervosa, il labbro inferiore. – Non ho mai avuto bisogno di questo.

Malefica attese il resto.

- Non ho mai avuto bisogno di qualcuno che mi proteggesse. Ho sempre... fatto tutto da sola. – continuò, brusca, con una punta di disperazione. – Hai visto che cosa succede quando qualcuno cerca di aiutarmi. Sei quasi morta.

- Eri in pericolo. Sono pronta a rischiare per te. Ho già fallito troppe volte. – Le accarezzò i capelli, ma ritrasse quasi subito la mano, sapendo che certi gesti la innervosivano ancora di più. – Quando sei nata non ho saputo proteggerti. A Camelot... ho permesso che Emma ti trasformasse, riempiendoti di oscurità.

- Volevi salvarmi, l’ho capito.

- Sono stata egoista.

Lily non rispose. Alzò un sopracciglio.

- Ho molto da farmi perdonare. Ma tu devi... abituarti ad una madre che vuole proteggerti. – Malefica le sorrise, per incoraggiarla.

Lily non era sicura che sarebbe riuscita ad abituarsi tanto presto, ma un sorriso riluttante le incurvò gli angoli della bocca. Provò una sensazione di calore, un palpito nella mente. Lo avvertì come una cosa del tutto naturale, qualcosa che la spaventava, ma che era anche normale, qualcosa che le era mancato per trent’anni, persino quando era la madre adottiva ad abbracciarla o a toccarla.

- Τi sto complicando la vita. – disse Lily.

Malefica voltò la testa di scatto. – Lily... non hai affatto complicato la mia vita. L’hai completata.

 

 
Marian sedeva sul retro della casa degli Azzurri, a guardare la strada vuota e le ombre della notte che si facevano sempre più lunghe e buie.

David e Killian avevano portato con loro l’uomo arrivato con il tornado, che era un portale. Si chiamava Fiyero Tiggular. Aveva la pelle nerissima e ricoperta di tatuaggi a forma di diamante. Veniva da Oz e lei era convinta che non portasse buone notizie. Le facce degli altri parlavano chiaro.

Il bambino che aveva consegnato il messaggio dei due rapitori era stato restituito al padre. In ultimo, mentre Marian gli offriva conforto, Aidan, così si chiamava, aveva parlato di una nave. Quando l’uomo di nome Percival l’aveva reclutato, lui lo aveva incontrato al porto e aveva visto la grande imbarcazione. Marian si era detta che Henry poteva essere là e non alla libreria, dove di certo avevano preparato un’altra trappola.

Regina si avvicinò, con molta cautela.

Marian alzò gli occhi.

- Sono... – iniziò Regina. Si schiarì la voce. – Oggi mi hai salvato la vita.

- A quanto pare, sì.

- Potevi non farlo. Immagino quanto ti sia costato...

Marian strinse gli occhi. - Non mi è costato nulla. Ho fatto ciò che era giusto fare.

Seguì un momento di incertezza. Regina si sentiva confusa.

- Regina... sono una madre anch’io. Ero... una madre. – disse Marian. – So che cosa significa... fare di tutto per il proprio figlio. Riconosco quello sguardo. È una cosa che non puoi fingere. Ed io l’ho visto nei tuoi occhi.

Regina avrebbe voluto dire qualcosa, ma si limitò a fissarla.

- Molto tempo fa, quando mi hai catturata, ti ho detto che mi dispiaceva per te. Perché se avessi avuto una famiglia, qualcuno da amare... avresti capito che tutto ciò che stavi facendo era sbagliato. – Marian si alzò. La guardava dritta negli occhi. Doveva essere stata una donna fiera e coraggiosa, che non abbassava mai la testa nemmeno davanti al pericolo.

- Ti ho chiamata mostro e tu ti sei fatta beffe di me.

- Mi dispiace, io... – iniziò Regina. La osservò, smarrita e colta da un vuoto improvviso e doloroso.

- Non dispiacerti di qualcosa che nemmeno ricordi. – ribatté Marian, seccata. – Emma ha cambiato gli eventi di quei giorni, salvandomi... provando a salvarmi. Ma non ti ricordavi di me nemmeno prima. Ne hai uccisi talmente tanti...

Regina si sentì punta sul vivo. – Non sono più quella persona.

- No. Ti credo. – rispose lei. - Non sei più un mostro. Hai trovato una famiglia. Hai un figlio che ti ama, degli amici... sei venuta fino a qui per aiutare Emma. Lei... si fida di te. Molto. E Robin... ha visto qualcosa in te.

Regina non voleva sapere cosa provasse Marian nel pronunciare il nome del marito in presenza della donna che l’aveva uccisa.

- Potevo decidere di odiarti. – continuò Marian. – E l’ho fatto. Per parecchio tempo, mentre ero rinchiusa in quel labirinto.

- Lo so.

- Ma scelgo di non marcire nel passato. Se voglio davvero passare oltre, non posso sprecare il mio tempo odiando qualcuno per ciò che è accaduto. – La oltrepassò, lasciando là, a scrutare la notte che calava sull’Oltretomba.

“Scelgo di non marcire nel passato. Se voglio davvero passare oltre, non posso sprecare il mio tempo odiando qualcuno per ciò che è accaduto.”

Marian era più forte di quanto aveva immaginato. Di certo, era stata più forte di lei.

Lei era precipitata in un turbine di oscurità, fatto di odio, rancore, sete di vendetta, dolore. Aveva lasciato che i ricordi si trasformassero in una moltitudine di frammenti di vetro. Aveva lasciato che quei ricordi la pugnalassero, in modo da alimentare la sua furia. Così aveva sterminato villaggi interi e perseguitato Biancaneve. Così aveva ucciso suo padre.

- Regina.

Lei sobbalzò.

Emma sorrise, accostandosi a lei. – Ehi. Tutto bene con Marian?

- Sì. – rispose Regina. – Meglio di quanto credessi. Come sta Henry?

- Dorme. Era... sfinito.

- E tu?

Emma incrociò il suo sguardo. Gli occhi nocciola fissarono gli occhi verdazzurri. – Sto bene.

Lei non smise di osservarla e Regina si sentì avvolgere dal calore. – Cosa?

- Sono contenta che tu stia bene. – Lo disse con un tono fermo e dolce.

Deglutì.

- Henry non può perdere anche te.

- Henry non può perdere nessuna di noi, Emma.

In Regina c’era sempre qualcosa di duro e autoritario. La sua volontà era così forte che era difficile resistere quando insisteva.

- Regina, devi promettermi una cosa. – ricominciò Emma, seria.

- Un’altra? – Impallidì, avvertendo un peso che le gravava sul petto.

“Ricordi la promessa fatta a Camelot? Che avresti fatto tutto il possibile per eliminare l’oscurità?”

“Ho bisogno che tu mantenga quella promessa. E devi giurarmi che non lo dirai a nessun altro.”

Si sforzò di dominare il tremito che la scuoteva. La osservava, attenta, immobile, con uno sguardo fisso e scuro. Sentiva in bocca il sapore della paura, la sentiva battere alle porte della propria mente.

- Questa volta è diverso. Non è una punizione. – replicò Emma.

Regina udì le sue stesse parole riecheggiarle nella testa.

“Hai detto che ci meritiamo una punizione. È questa? Questa è la mia punizione per non aver avuto abbastanza fiducia in te a Camelot? È la punizione per averti rinchiusa in quella segreta?”

- Oh. Quindi quella lo era. – constatò Regina.

- L’ho fatto perché non avevo altra scelta, Regina. Credevo che uccidendo me avremmo distrutto l’oscurità per sempre. – disse Emma. – Ma io... dentro di me, ero furiosa... per quello che avevi fatto a Camelot e... sì, volevo punirti.

Regina la fulminò con un’occhiata, altrettanto furibonda.

- Ma ora... devo chiederti di pensare a nostro figlio e alla mia famiglia. Devi portarli via da qui, se le cose si mettono male. Devi portare via tutti.

Bastò l’intensità di quegli occhi a toglierle la concentrazione e il respiro. Quegli occhi che sembravano così verdi, così misteriosi. Eppure anche così limpidi. Regina avvertiva il battito accelerato del proprio cuore. Le tuonava nelle tempie e il sangue le ribolliva nelle vene. Era spaventata da quella richiesta, anche se la capiva, anche se sapeva che al suo posto le avrebbe domandato la stessa cosa. Era turbata da quanto la impaurisse l’idea di tornare indietro senza Emma. Senza la madre di suo figlio. Senza la Salvatrice. Senza...

- Regina. Devi promettermelo. – insistette Emma. – Se non potrò tornare indietro con voi, devi promettermi che lo farai.

Regina si passò una mano tremante sulla fronte. Quando rispose la sua voce suonò secca. – D’accordo.  D’accordo, lo farò. Sei soddisfatta adesso?

Emma le sorrise, senza badare alla sua rabbia. Le prese una mano, istintivamente e le carezzò con il pollice l’interno del polso.  

Provò un nodo alla gola. Una parte di lei avrebbe voluto ritrarre la mano, perché aveva come la sensazione che Emma le facesse qualcosa quando la toccava in quel modo. Gli occhi di Regina si posarono sulle sue labbra. La forma di quella bocca la affascinava, insieme alla luce che sembrava emanare con tanta chiarezza. Le mise una mano sulla guancia, tracciò con un dito il contorno ben delineato della mascella, poi risalì al mento, saggiando la pienezza del labbro inferiore.

Emma la fissava, con gli occhi leggermene sgranati. Il suo cuore ebbe un sussulto e sentì un calore vago trasformarsi in una sensazione distinta, quasi dolorosa. La mano che stava accarezzando il polso di Regina si sollevò e scivolò dietro la sua nuca.

Regina non ebbe la forza di ritrarsi e non volle neppure cercarla, quando Emma attirò a sé la sua testa.

- Emma... – disse solo.

In quel momento la bocca di lei toccò la sua e Regina la percepì fino alla punta dei piedi. Sussultò alla tenerezza di quel gesto, che era anche deciso. Regina incollò la bocca alla sua e la convinse ad aprirsi.

L’aria parve farsi elettrica. Non esisteva più nient’altro che le labbra di Emma sulle sue. Regina si aggrappò alle sue spalle.

 

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Angolo autrice:

 
Salve ;) Come sempre, voglio ringraziare quelli che sono ancora qui a leggere la mia storia. So che volete più Swan Queen e spero che questo capitolo vi sia piaciuto.

 
La storia di William, il fratello di Daniel, è una delle vicende narrate nel fumetto Out of the Past. La storia si chiama Ghosts.


   
 
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