Salve a
tutti!
Ecco
finalmente il quattordicesimo
capitolo.
Come al solito mi scuso con tutti i
miei lettori per il ritardo.
Prometto sempre che cercherò di
aggiornare almeno una volta a settimana, ma poi per un motivo o per
l’altro non
riesco mai a mantenere fede a questo impegno.
Vi chiedo sinceramente scusa.
Vorrei davvero essere così rapida negli
aggiornamenti, ma purtroppo non ci riesco.
Sia perché l’ispirazione va e viene.
Sia perché cerco sempre di scrivere al
meglio per voi, e di non fare capitoli corti.
Sia perché con la fine della scuola, i
compiti in classe si accumulano e non ho un attimo di respiro.
Ma sto approfittando delle ore di
lezione in cui interrogano gli altri per continuare a scrivere, e
così sono
finalmente riuscita a finire il quattordicesimo capitolo.
Spero comunque mi perdoniate e mi
comprendiate per i miei ritardi.
Cercherò, questa estate, di stabilire
il ritmo di una volta a settimana.
Farò il possile.
Bhe, vi lascio alla lettura, altrimenti mi
dilungo troppo e finisco per
annoiarvi!
Vi auguro come al solito buona lettura!
E spero vivamente che questo capitolo
vi piaccia!
Finalmente
torna l’amour
<3
E
le cose tra Alexis e Draco cominciano
a farsi un po’ movimentate!
Ma non vi anticipo nulla!>___<
Fatemi
sapere che ne
pensate!
Ada Wong.
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Freddo e buio.
Insensibilità e leggerezza.
Senso di vuoto e
tranquillità.
Ma anche una strana
agitazione.
In una semplice parola: C o n f u s i o n e.
Dove si trovava?
Sapeva di avere gli occhi
chiusi e il corpo abbandonato in uno stato di rilassamento che non
permetteva
ad alcun muscolo di fare il minimo movimento.
Stava dormendo?
Probabilmente.
Stava sognando?
Non avrebbe saputo dirlo con
certezza.
Era come se stesse
fluttuando nel nulla. I piedi non toccavano alcuna superficie e
penzolavano
inermi, cullati dolcemente da quel gelido vento che le sferzava il
viso, con
lente carezze taglienti.
Che le stava succedendo?
Quando finalmente riuscì ad
aprire gli occhi, tutto le fu estremamente – e terribilmente
– chiaro.
Le palpebre si sollevarono
con lentezza e prima che gli occhi si abituassero al buio ci volle
qualche
secondo. Quando riuscì finalmente a guardarsi intorno e a
muovere la testa, si
sentì precipitare in un baratro senza fine, come se qualcuno
avesse tagliato
quei fragili fili che la tenevano sospesa. Aprì le labbra
per urlare, ma le sue
corde vocali non produssero neanche un piccolo gemito. Continuava a
precipitare, risucchiata da una forza incredibile, che non voleva
lasciarla
andare. Aveva gli occhi spalancati, ma era come se li avesse chiusi.
Non vedeva
nulla, non sentiva nulla. Stava forse morendo? Era quella la sensazione
che si
provava, quando l’anima abbandonava il corpo per finire
chissà dove?
Quando
era piccola, aveva paura di morire. Sognava
spesso qualcuno che arrivava da lei, durante la notte e la uccideva.
Era il suo
incubo ricorrente.
Poi, quando era cresciuta, aveva capito che c’era ben
altro di cui aver paura al mondo e che forse, a volte, la morte era
l’unica via
di fuga.
Si era quasi rassegnata
a
quel pensiero.
Prima
o poi, tutti moriamo, è inevitabile.
Era questo che si
ripeteva,
riuscendo a cacciar via la paura.
E quando sarebbe arrivato il
suo momento, lo avrebbe accettato.
Ma
allora, perché aveva così paura?
Non voleva morire, no.
Voleva vedere ancora Sirius,
per poterlo abbracciare e confortarsi nel suo calore.
Voleva dire ad Harry tutta
la verità e lasciarsi stringere da lui, ritrovando un
affetto fraterno al quale
era stata sottratta con troppa brutalità.
E poi, voleva stare con lui.
Voleva avere la possibilità
di farsi perdonare per la scenata di quel giorno.
Voleva abbracciarlo,
baciarlo.
Voleva
semplicemente amarlo.
Calde lacrime
cominciarono a
scendere lungo le sue guance, per poi volare via, portate in alto
dall’aria.
Chiuse gli occhi e si arrese all’evidenza, rilassando il
corpo e continuando a
cadere.
A cadere.
E a cadere.
D’improvviso avvertì uno
strano calore avvolgerla, mentre sentita il vento farsi sempre meno
violento e
la sua corsa rallentare delicatamente.
Aprì gli occhi e vide sotto
di se, un bellissimo campo verdeggiante, cosparso di rose blu, che
mandavano un
delizioso odore.
Rimase a contemplare quello
scenario splendido, rapita.
Era
il paradiso?
Poi, la presa di
coscienza
di quello che stava per succedere, le fece gelare il sangue nelle vene.
Si
sarebbe schiantata al suolo, o nella peggiore delle ipotesi, sarebbe
stata trafitta
da quelle spine maledette che decoravano le magnifiche rose.
Chiuse gli occhi, pronta
all’urto.
Continuava a scendere e a
scendere e a scendere e poi…
Nulla.
Non sentì
più nulla, se non
una morbida distesa sotto di se e delicati fili d’erba che le
sfioravano le
gambe e le braccia nude, solleticandole.
Aprì di nuovo gli occhi,
lentamente, quasi avesse paura di vedere ciò che la
circondava.
Ma lo splendido paesaggio
che aveva potuto ammirare dall’alto, era ancora
lì, di fronte a lei. Si tirò su
a sedere, lentamente, affondando le mani in quell’erba
soffice.
Non
era spinosa, non faceva male. Anzi, provocava una
strana sensazione di benessere.
Si guardò
attorno, confusa.
Che stava succedendo?
Dove si trovava?
Il suo sguardo scese sulla
sua figura, notando di indossare solo un abito leggero, estivo, bianco.
Estremamente
candido.
Chi l’aveva
vestita così?
Dove l’avevano portata?
Cosa volevano da lei?
Gli occhi si spostarono sul
prato, notando le belle rose e le spine che la circondavano. Curiosa,
avvicinò
la mano ad una di esse e la sfiorò con la punta
dell’indice.
Nessun dolore. Nessuna
ferita.
Era
come se quelle spine non esistessero.
- Finalmente sei
arrivata… -
Una voce alle sue spalle,
estremamente gentile e vellutata, la fece trasalire, mentre si voltava
ad
osservare la figura che si stava lentamente avvicinando, con passo
elegante e
cadenzato.
Era una donna.
Una
bellissima donna.
Delicata come le ali di una farfalla.
Una lunga massa di ricci
capelli fiammeggianti, divisi in boccoli ordinati, le ricadeva su di
una
spalla, appositamente acconciati da un fermaglio di rose blu, e le
incorniciava
quel viso, piccolo e dalla perfetta forma ovale.
La pelle rosea, era priva di
imperfezioni, più colorita solo sulle guance carezzevoli.
Gli occhi erano due smeraldi
caldi e brillanti, che trasmettevano gentilezza ed infinito calore, che
le
scaldava il petto.
Il naso era perfettamente
diritto e sovrastato da qualche leggera efelide, che ne accentuava
l’eterea
perfezione.
Le labbra, due petali di
rossa rosa, si aprivano in un sorriso affabile e raffinato,
dall’infinita
dolcezza.
Le spalle, piccole ed
eleganti, erano lasciate scoperte dal bel vestito che le fasciava il
corpo in
modo sublime. Di un nero lucido, aderiva divinamente alla pelle,
rimarcandone
le forme oltre modo perfette.
Il colore scuro del suo
abito avrebbe dovuto stonare con la delicatezza e la purezza di quel
luogo di
pace, e invece, si equilibravano dolcemente, sembrando una cosa sola.
Era
semplicemente bellissima.
Sembrava quasi una dea.
Ma forse, era una dea.
Infondo, Alexis credeva
veramente di trovarsi in paradiso.
La cosa che però, la
incuriosì più di tutte, era la rosa rossa che la
bella donna portava sul petto,
a sinistra.
Non
c’erano altre rose di quel colore in tutto il
campo.
Fu quando la misteriosa
dama
le si fermò davanti e le sorrise con gentilezza, che lei si
risvegliò, quasi
fosse stata incantata dalla sua bellezza.
- Chi sei? –
Riuscì a domandare, udendo
finalmente il suono della sua voce, che risultò bassa e
scordata, in confronto
a quella angelica della dea.
- Una persona che vuole
aiutarti a dimenticare il dolore…-
Sorrise, porgendole una mano
per farla rialzare.
Alexis mosse lentamente il
braccio, finchè la sua mano non andò a posarsi
sul palmo aperto che la bella
donna le stava offrendo.
Aveva
una pelle così morbida e vellutata.
La dea
la tirò leggermente, aiutandola a rialzarsi e poi le sorrise
ancora.
- Dove ci troviamo? –
Le chiese, guardandosi
intorno leggermente spaventata. La donna sembrò
accorgersene, perché rise a
fior di labbra e le posò una mano sulla guancia, con un
gesto gentile e
materno.
- Alexis, non aver paura…Qui
nessuno ti farà più del male…-
Le rispose con tono
rassicurante e la moretta la guardò, socchiudendo
leggermente le labbra.
- Come sai il mio nome? -
- Oh, piccolina mia…Io so
tantissime cose su di te…-
- Ah si?-
- Si…-
Le sfiorò il viso con una
carezza delicata, mentre lei rifletteva, scegliendo forse quale fosse
la
miglior domanda da fare per prima.
- Perché? –
Si limitò a dire poi. La dea
ridacchiò divertita e il suo tono
delicato le accarezzò l’udito, più
dolce del miele.
- Sei tu ad avermi chiamata,
è per questo che so tante cose su di te…So qual
è il tuo dolore e so cosa devi
sopportare ogni giorno della tua vita…Le bugie, la paura di
non farcela,
sentimenti troppo forti…-
Alexis sembrò pensarci su,
cercando di mettere ordine a tutte quelle informazioni che la stavano
solo
facendo confondere di più.
- Questo è un sogno? –
Domandò poi.
- Non esattamente. –
Si limitò a rispondere la dea,
sorridendo.
- E allora, che cos’ è?-
-Un posto che ho creato per
aiutare le persone a dimenticare i propri dolori…Te
l’ho detto, qui nessuno ti
farà più del male…-
Le regalò un’altra carezza,
sfiorandola appena con la punta delle dita.
- Come ti chiami? –
- Non ho un nome definito…Di
solito sono gli altri a darmelo, perché non provi tu?
–
Alexis sembrò pensarci un
po’ su, poi un sorriso dolcissimo le si allargò
sulle labbra.
- Posso chiamarti Lily? –
La dea piegò il viso su
di un lato, con un’espressione intenerita, ma
non sorpresa, quasi se lo fosse aspettato.
- E’ il nome della tua
mamma, vero? –
Le domandò con gentilezza,
pur conoscendo la risposta. La moretta si limitò ad annuire.
- Ti manca, non è così? –
Annuì ancora una volta, poi
sorrise mesta.
- So che anche se non c’è
fisicamente, mi è vicina lo stesso…-
La dea annuì a sua
volta e si avvicinò lentamente, stringendola in un
abbraccio delicato e confortante.
- Ora ci sono io qui con te,
piccolina mia…Non soffrira più, te lo
prometto…-
Alexis si rilassò in
quell’abbraccio materno che mai aveva avuto la
possibilità di ricevere, poi si
distanziò delicatamente, guardandola in viso.
C’erano così tante cose che
avrebbe voluto sapere.
Così tante, che non riusciva
a sceglierne una.
Alla fine, il suo sguardo si
posò sulla rossa rosa che decorava il vestito.
La fissò a lungo,
studiandola e scoprì, con orrore, che non era un semplice
ornamento.
Sembrava quasi che il gambo
della rosa penetrasse quella pelle così candida e perfetta e
la lacerasse
all’interno, raggiungendo il cuore.
La dea sembrò
accorgersi di quello sguardo e le accarezzò i capelli.
- Qualcosa non va?
–
Le domandò con delicatezza.
Alexis ci pensò un po’ su,
poi indicò la rosa.
- Non ti fa male? –
Le domandò con tono ansioso.
La dea sorrise e le
sfiorò dolcemente
una guancia, scuotendo la testa.
- No, è la cosa più bella
che ho…E’ grazie a lei se riesco ad aiutare le
persone a dimenticare il dolore.-
La moretta la guardò stupita
e la donna piegò il viso su di un lato.
- Vuoi toccarla? –
Le domandò, con espressione
strana, irrimediabilmente seria.
Ma
Alexis non ci fece caso.
- Posso? –
Le chiese educatamente e la dea sorrise
affabile, annuendo.
La ragazza sollevò il
braccio, incerta.
Con lo sguardo puntato sulla
rosa, non notò l’espressione della sua dea.
Non
c’era più niente di bello o gentile nel suo volto
trasfigurato dall’eccitazione.
La mano si muoveva lenta
e
le dita si tendevano timorose, annullando sempre di più la
distanza con i
petali della rosa.
Stava per sfiorarli, quando
una voce carica di ansia la risvegliò.
Era una voce elegante,
fredda e turbata al tempo stesso, che la chiamava.
Si voltò di scatto,
riconoscendola ma accorgendosi un secondo dopo di non sapere realmente
di chi
fosse.
Dandole le spalle, non vide
l’espressione rabbiosa della dea
e il
lampo di odio che attraverso quegli splendidi occhi smeraldini,
così simili a
quelli di Alexis.
- Alexis…-
La richiamò la dea, il
tono di nuovo melodioso e
gentile.
La ragazza si voltò a
guardarla e questa le sorrise, donandole una nuova carezza.
- Dobbiamo separarci, ma ci
rivedremo presto, te lo prometto…-
Le disse e Alexis corrugò la
fronte.
- Cosa? Perché? Dove stai
andando? –
Le chiese ansiosa, mentre
sentiva l’odore di rose e il calore del luogo abbandonarla di
nuovo e lasciarle
una sgradevole sensazione nel petto.
- Ci rivedremo, è una
promessa! –
Ripetè la dea,
cominciando ad indietreggiare.
- No, aspetta! –
Alexis la inseguì, ma il
pavimento sotto di lei andò in frantumi, e mille schegge di
vetro cominciarono
a colpirla, dandole quella dolorosa sensazione di essere ferita.
Chiuse gli occhi e portò le
mani davanti al viso, a mo’ di protezione.
Sentiva quelle schegge di
cristallo colpirla con violenza e tracciarle profondi graffi che,
secondo lei,
sarebbero rimasti a vita.
Dieci.
Cento. Mille cicatrici.
Ma quando la sfuriata
finì e
la calma tornò padrona del luogo, riaprendo gli occhi,
Alexis notò – ovviamente
- di non avere
neanche un graffio.
Si guardò attorno per
scoprire di essere finita di nuovo in quel luogo maledetto, senza luce,
senza
calore.
Solo il buio che la
circondava e il freddo che l’avvolgeva, facendola
rabbrividire, mentre il vento
le sfiorava la schiena, oltreppassando con facilità il
tessuto troppo leggero
del vestito bianco.
Poi, di fronte a lei,
brillante e imponente come sempre, c’era quella porta.
E dietro di essa, ancora
quella voce.
- Vieni…Vieni da me…-
Le ordinò con tono sibilante
e immediatamente, lei si piegò sulle ginocchia,
rannicchiandosi su se stessa e
chiudendosi le orecchie con le mani, mentre serrava violentemente gli
occhi.
- No…Non di nuovo…-
Mugugnò disperata, mentre
sentiva le lacrime spingere contro le palpebre e fuoriuscire senza
problemi,
rigandole le guance.
Rimase lì a piangere per un
tempo che le sembrò veramente infinito, ma in
realtà non era passata che una
manciata di minuti scarsa.
Si riprese, solo quando
sentì un tocco gentile e delicato sfiorarle la schiena con
gentilezza e poi
posarlesi su di una spalla, trasmettendole pace e
tranquillità.
Accompagnata
da un fresco profumo di pioggia.
Era lui, ne era sicura.
Il
ragazzo misterioso.
Si passò, con
fretta, i
dorsi delle mani sulle guance, per asciugarsi le lacrime. Ma lui le
prese
gentilmente i polsi, costringendola fermarsi. La tirò su con
facilità, accarezzandole
le braccia con gesti lenti e gentili.
Lei lasciò un sospiro
tremante, prima di socchiudere gli occhi.
- Se prometto di non aprire
gli occhi…Posso girarmi? –
Lui rimase in silenzio e
poi, lentamente, la voltò.
Con gli occhi chiusi, potè
sentire meglio il buon odore che emanava e che la inebriava, facendole
battere
forte il cuore.
Sentì la sua mano
avvicinarsi lentamente al suo viso e sfiorarle le guance con la punta
delle
dita, con gesti lenti e delicati, mentre raccoglieva quelle lacrime
amare che le
avevano bagnato il viso.
Sorrise, mentre, con gesti
lenti e timorosi, alzava le braccia e le posava contro quel petto
marmoreo e
liscio. Si avvicinò e poggiò il capo su di una
spalla, la fronte che aderiva
perfettamente nell’incavo della clavicola.
Lo sentì tendere le braccia, che andarono a
circondarle la vita, con una
stretta così salda – tuttavia estremamente dolce - che le tolse il respiro.
Lasciò scivolare una
mano lungo il petto, accarezzando l’addome e andando a
sfiorargli un braccio,
alla ricerca della sua mano. Quasi le avesse letto il pensiero, lui
abbassò il
braccio, tenendola stretta con l’altro. Le andò a
sfiorare il dorso, con
delicatezza, prima che lei intrecciasse le dita alle sue.
Anche
se non poteva vederlo, qualcosa le diceva che
stava sorridendo.
Le sollevò il
braccio, le
mani ancora intrecciate, e l’avvicinò a se, tanto
che i loro respiri si
mescolarono dolcemente. Sentì la sua fronte fredda e
vellutata posarsi
delicamente sulla propria. Restarono così, fermi, a
crogiolarsi l’uno nel
profumo dell’altra per non si sa quanto tempo.
Poi, lentamente, Alexis aprì
gli occhi, spezzando quell’incantesimo.
Ma
lui non scomparve, non subito almeno.
Ebbe solo il tempo di
incontrare le sue labbra, morbide e invitanti, piegate –come
aveva immaginato-
in uno splendido sorriso, prima che una luce bianca
l’accecasse e la
costringesse a tornare alla realtà.
Buio.
Freddo sulle gambe.
Uno strano calore sulle
spalle.
Odore di spezie.
Rumore di qualcosa che
bolle.
Una fiamma accesa.
Stava lentamente riacquistando
tutti i sensi.
L’ultimo a tornare, come
ovvio che fosse, fu la vista.
Aprì lentamente gli occhi,
sbattendoli più volte per riacquistare la percezione oculare.
Non ricordava nulla, neanche
chi fosse a momenti.
Alzò piano la testa,
guardandosi intorno disorientata. Poi richiuse gli occhi, troppo stanca
per
pensare, e riaffondò il viso nelle braccia.
Voleva solo dormire ancora…
Intanto, nella sua mente
cominciarono a fomularsi fiochi ricordi.
Chi
era?
Alexis Lily Potter,
conosciuta al momento come Alexandra Walburga Black.
Dove
si trovava?
Ad Hogwarts,
più
precisamente nell’aula di pozioni.
Perché?
Piton le aveva ordinato di
fare una pozione, altrimenti l’avrebbe bocciata…
Una
pozione.
Bocciatura.
L’aveva fatta?
Si risvegliò di scatto,
alzando velocemente la testa, con fare allarmato.
Accidenti!
Si era addormentata!
Trattenne il fiato, per
non
urlare disperata, e sbarrò gli occhi.
Poi si ributtò sul banco, prendendosi
la testa tra le mani e buttando fuori tutta l’aria.
Era
un caso disperato, non c’era rimedio alcuno a
ciò.
Si massaggiò
le tempie,
cercando di calmarsi o sarebbe scoppiata di nuovo in lacrime.
Qualcuno nella stanza
ridacchiò senza gioia.
- Bentornata tra noi, bella
addormentata…-
Sussurrò con tono
sarcastico, ma gentile.
Alexis sbarrò di nuovo gli
occhi, alzando il viso di scatto, fino ad incontrare la sua
figura.
Ci mise qualche secondo per
metterlo a fuoco, ma sapeva che si trattava di lui.
Era in piedi, a qualche
passo da lei e leggeva con attenzione il libro di pozioni, mescolando
il contenuto
all’interno del calderone.
Era
venuto!
Sentì uno
strano calore
scaldarle il petto, felice di quella constatazione, mentre il cuore
compiva
un’improbabile capriola.
Poi, si ricordò di come
l’aveva trattata male quella mattina e del fatto che, per
colpa sua, era stata
a piangere tutto il pomeriggio.
Tutto il suo disappunto e la
sua rabbia si manifestarono in un’unica parola sprezzante, a
metà tra
l’indignato e il sorpreso.
-Malfoy?!?-
Si alzò di scatto, puntando
le mani sul banco e ignorando il giramento di una testa che protestava
per il
movimento improvviso.
- Che diavolo ci fai qui?-
Draco si voltò a guardarla,
con un sopracciglio alzato, e poi prese a frammentare un cubetto di
ghiaccio.
- Mi sembra ovvio. Faccio
ciò che mi è stato chiesto di fare. –
La sua risposta fredda e
atona l’avrebbe fatta rabbrividire, se non fosse stata troppo
arrabbiata.
- Ovviamente, altrimenti
addio caro Quidditch, non è vero? –
Mormorò con tono controllato
e volutamente sprezzante.
Lui si limitò a sospirare e
continuò a leggere.
Non
voleva litigare ancora con lei.
Alexis sbuffò
e lo affiancò,
guandandolo dal basso con sguardo infastidito.
- Mi sembrava di averti
detto che non volevo il tuo aiuto! –
Ricordò, incrociando le
braccia al petto e lo vide ghignare leggermente.
- E da quando io seguirei un
tuo ordine? –
Domandò, voltandosi
lentamente a guardarla e lanciandole un’occhiata penetrante,
che la fece
vacillare.
Scosse la testa con
violenza: non l’avrebbe incantata.
Gli diede una spinta e
riuscì miracolosamente a spostarlo – ma era sicura
che fosse stato lui a
lasciarglielo fare.
- So cavarmela da sola! –
Precisò indignata,
cominciando a prendere le alghe che si trovavano nel barattolo e a
versarle
nella pozione. Ma lui le prese il polso, con una stretta gelida e
delicata,
fermandola appena in tempo.
- A me non sembra…Quelle non
vanno buttate dentro la pozione da sole, ma devi prima mescolarle col
ghiaccio.-
Spiegò il biondino con tono
affabile e saccente, tinto da una nota divertita.
Alexis scrollò bruscamente
il braccio, riuscendo a sfuggire alla sua presa, e mormorò
qualcosa di poco
carino, che lo fece sorridere ancora di più.
Gli diede le spalle, e prese
a tagliare, con violenza, le alghe.
Draco
ebbe quasi l’impressione che stesse pensando a
lui, invece che alle alghe.
- Lasciami in pace!
–
Gli ripetè poi, mentre
continuava a muovere ritmicamente il braccio, dall’alto verso
il basso,
colpendo durantemente quelle povere alghe.
Lui la osservò in silenzio,
poi fece scattare il braccio in avanti e la bloccò, prima
che potesse
distruggere il tavolo. Le prese di nuovo il polso, soltanto che questa
volta le
sue dita furono più decise e la stretta più
ferrea, quasi da farle male.
- Non posso. –
Si limitò a rispondere, con
voce fredda e priva di tono, che le accarezzò
l’udito come una lama tagliente.
Alexis rimase bloccata,
incapace di muoversi.
Incapace
di respirare.
La mano si strinse
convulsimante intorno al coltello, così forte da tremare
leggermente. Ma fu
costretta a riaprire le dita e a lasciarlo cadere sul tavolo, quando la
stretta
intorno al suo polso si fece più violenta, facendole male.
Si ricordò di prendere aria
solo quando sentì il petto bruciarle, e lasciò
uno sbuffo tremante.
Rimasero in silenzio per
qualche minuto, poi lei si morse il labbro inferiore e
abbassò lo sguardo.
Non
posso, le aveva detto.
Cos’era, prima
la trattava
male e adesso sperava di cavarsela così a buon mercato?
Sentì il sangue confluire di
nuovo al cervello e – con un coraggio inaspettato –
si voltò rabbiosa verso di
lui.
- Che diavolo intendi dire
con….-
Ringhiò, ma non riuscì a
terminare la frase perché lui rafforzò la stretta
sul suo polso e se la
trascinò addosso, con tanta violenza da strapparle un gemito
di protesta,
mentre si scontrava con il suo petto marmoreo.
I loro visi erano
incredibilmente vicini, tanto che lei poteva benissimo sentire il suo
freddo
respiro sfiorarle le guance e infilarsi nel colletto della camicia,
facendola
rabbrividire.
Draco aveva un’espressione
così seria, da farle quasi paura.
Poi, inaspettatamente,
ghignò.
Ma non era un ghigno
divertito ne sarcastico.
Era
un ghigno quasi sadico.
Le si
avvicinò ancora, tanto
che le loro labbra quasi si sfiorarono, ma lui si guardò
bene dal non toccarle
veramente.
- Tendi a dimenticare le
cose un po’ troppo facilmente, mia
piccola Black…-
Le sussurrò e lei, con le
labbra schiuse, potè sentire il suo respiro di pioggia
entrarle nella bocca e
scenderle giù per la gola, raggiungendo il petto e
costringendo il cuore a
tremare violentemente.
Il biondino alzò la mano e
le sue fredde dita bianche e sottili andarono a posarsi sulla guancia
della
ragazza, arrossata e terribilmente calda. Il suo sguardo argenteo si
soffermò
su di essa, osservandola mentre le sue dita ne tracciavano il contorno,
con una
lentezza e una delicatezza che la fecero tremare. Percorsero tutta la
linea
della mandibola e tracciarono il profilo del collo, prima di andarsi a
chiudere
su di esso, con una mossa così rapida che Alexis temette che
volesse
strozzarla. Invece, la presa rimase delicata ma la costrinse ad
avvicinarsi
ancora di più a lui e piantargli gli occhi nei suoi.
- Tu sei mia Black,
mettitelo in testa.-
Sibilò, prima di sorridere
con espressione strana e passarle la mano dietro il collo, afferrandola
con
dolcezza dietro la nuca e costringendola e posare il capo su di una
spalla.
In
quell’incavo formato dalla clavicola che sembrava
fatto apposta per lei.
Abbassò la
testa, per
trovarsi alla sua altezza, e si avvicinò al suo orecchio.
- E non osare mai più
rivolgerti a me come hai fatto oggi…Te la farei pagare molto
cara…E questo era
solo un assaggio.-
Sussurrò con tono
estremamente dolce, che a lei suonò tanto di minaccia.
Un brivido le corse lungo la
schiena, facendolo sogghignare.
Poi la lasciò andare
lentamente, regalandole un’ultima carezza sulla guancia, solo
con la punta
delle dita. Infine si voltò e tornò a tagliuzzare
il ghiaccio.
Alexis rimase immobile,
incapace di muovere un solo muscolo.
Tremava leggermente, le
gambe sembravano non volerla sostenere e il cuore le martellava forte
nel
petto, seguito da un capogiro che le faceva vorticare la stanza intorno.
Aveva lo sguardo puntato
sulla sua schiena e osservava la stoffa della camicia bianca aderirgli
perfettamente al corpo, delineandone quei muscoli tesi e scattanti, da
perfetto
giocatore di Quidditch.
Rimase in silenzio,
abbassando poi lo sguardo e cominciando a sfregarsi le mani sulle
braccia,
accorgendosi improvvisamente di avere freddo.
- Allora, hai intenzione di
restare lì per tutta la serata o vieni a darmi una mano a
finire la tua pozione? –
Domandò Draco con tono
seccato, voltandosi a guardarla.
E quando la vide tutta
tremante di freddo, sbuffò rumorosamente, tanto che lei
arrossì.
Il biondino spostò lo
sguardo sul banco dove era lei poco prima e si piegò a
raccogliere qualcosa che
poi le lanciò addosso, con un gesto poco carino.
- Mettitelo o prenderai un
raffreddore. –
Proferì secco, voltandosi e
continuando a mescolare la pozione.
Alexis abbassò lo sguardo
sul maglione che il ragazzo le aveva lanciato, poi tornò a
guardare lui e
finalmente fece caso al fatto che anche lui indossava solo la camicia.
- Ma… -
Protestò, facendo un passo.
Ma lui, intuendo già cosa gli avrebbe
detto, la fermò con un gesto brusco della mano.
- Mettilo senza fare tante
storie. Io sto bene così. -
Rispose secco, tritando
insieme ghiaccio e alghe.
Lei rimase ad osservarlo
incerta, poi una nuova folata di vento la convinse.
Abbassò lo sguardo sul
maglione e poi se lo infilò.
Le stava grande, ovviamente.
Le maniche erano più lunghe
di una mano intera e arrivava a coprirle fino alle ginocchia.
Però era estremamente caldo
e morbido.
E profumava di pioggia
fresca.
Profumava
di lui.
Arrossì a
quel pensiero e
scosse la testa, per cacciarlo via.
Si arrotolò goffamente le
maniche e lo raggiunse, senza più protestare e seguendo i
suoi consigli.
Erano le due passate, quando
finalmente finirono la pozione. La lasciarono freddare per il tempo
necessario,
prendendosi qualche minuto di meritato riposo.
Erano seduti in terra, uno
accanto all’altra, così vicini che le loro spalle
si sfioravano di tanto in
tanto, costringendo il cuore di lei a battere sempre più
velocemente e a
pompare tanto di quel sangue, che si riversava irrimediabilmente sulle
sue
guance.
Sprofondò di più nel
colletto del maglione, nascondendosi e lasciando scoperti solo gli
occhi, che
si scrutavano attorno con circospezione.
C’era un silenzio davvero
irreale, interrotto solo qualche volta dallo scoppiettare pigro del
fuoco
improvvisato che Draco aveva acceso per riscaldarsi.
Alexis puntò lo sguardo su
quelle fiamme che danzavano lente e con armonia.
Quell’aula era davvero
fredda e terribilmente silenziosa.
Eppure, questa volta, non
ebbe paura di quel silenzio.
Semplicemente
perché c’era lui.
Prese un grande respiro,
inebriandosi, ancora una volta, di quel profumo di pioggia.
Il
suo.
Arrossì di nuovo, prima di
voltare, con fare non curante, lo sguardo su di lui.
Era
semplicemente perfetto, nella sua fredda
eleganza.
Le ciocche di
morbidissimi capelli
– lasciate libere dalla mano di gel – si
riversavano dolcemente sullo sguardo,
lambendone le guance.
Gli occhi, due monete di
argento fuso, brillavano nell’oscurità, fissi su
quel piccolo falò.
Erano così seri e freddi, che sembravano
poter gelare quelle calde fiamme.
Aveva una gamba distesa e
l’altra piegata, e sul ginocchio aveva posato un braccio, la
cui mano penzolava
inerme, rilassata.
Sembrava
assorto in chissà quali pensieri.
Lo vide ghignare,
soddisfatto, all’improvviso.
Doveva essersi accorto che
lo stava fissando.
Alexis si affrettò ad
abbassare lo sguardo e sprofondò ancora di più
nel colletto del maglione, rossa
fino alla punta dei capelli.
Puntò gli occhi sul fuoco, e
sospirò, lanciandogli, di tanto in tanto, qualche occhiata
di sottecchi.
Aprì le labbra, come per
dire qualcosa, ma poi ci ripensò e abbassò lo
sguardo sulle mani, che teneva
strette in grembo. Poi lo guardò ancora, cercando di
risultare quanto più vaga
potesse, infine lasciò un altro sospiro e puntò
lo sguardo sul pavimento.
Passò qualche altro minuti
di silenzio, prima che riuscisse a prendere coraggio e a parlare.
- Grazie…-
Riuscì a mormorare poi, gli
occhi leggermente lucidi che cercavano di guardare l’angolo
più lontano da lui.
Draco si mosse e le loro
spalle si sfiorarono, costringendo il cuore di Alexis a fare
un’altra capriola
nel petto.
La osservò così intensamente
che, se anche lei non lo stava guardando, poteva avvertire i suoi occhi
scrutarle il viso.
Attimi
di caldo silenzio riempirono la stanza.
Alexis
deglutì a fatica,
lasciando che uno sbuffo, quasi tremante, uscisse dalle sue labbra.
Sentiva chiaramente il suo
sguardo, fissarla con un così grande vigore, che la pelle
delle guance le stava
andando a fuoco, mentre un brivido le sfiorava, maligno, la colonna
vertebrale.
- Dovere. –
Si limitò a rispondere
Draco, ma il tono con cui lo disse, era di una freddezza strana.
Diversa.
Non cattiva, ne apatica.
Era semplicemente diversa.
Diversa dal tono che era
sempre stata abituata a sentire.
Si voltò lentamente, fino ad
incrociare il suo sguardo, che la osservava ancora con la stessa
intensità di sempre.
Il cuore cominciò a martellarle nel petto, così
furioso da farle male e
assordarla completamente.
Non
esisteva più nulla, se non l’argento liquido dei
suoi occhi.
Aveva anche smesso di
respirare, e il dolore che le bruciava il petto, era la conferma che i
polmoni
chiedevano urgentemente aria.
Ma non le importava.
Era incapace di muoversi e
di pensare in quel momento.
Una
sua sola occhiata era in grado di immobilizzarla
completamente.
Rimasero a guardarsi per
un
tempo che – almeno a lei – parve infinito.
Aveva ripreso a respirare,
solo perché altrimenti sarebbe collassata.
Ma oltre al petto, non si
muoveva nient’altro.
Trovò persino il coraggio di
sorridere, timida, mentre si stringeva nelle spalle e nascondeva il
viso
arrossato nel maglione.
Fu
quella semplicità e quella docilità che lo fecero
vacillare.
Qualcosa –
seppur per una
piccola frazione di secondo – cambiò nello sguardo
di Draco.
Un qualcosa di ancora troppo
astratto per essere definito davvero, ma lei lo notò, e il
suo cuore mancò un
colpo, singhiozzando come un motore scarico di una macchina troppo
antica.
Fu lesto a nascondere quel
piccolo cambiamento, distogliendo lo sguardo e alzandosi in piedi
bruscamente.
Ma
non sapeva che ormai era troppo tardi.
Respirò
pesantemente, quasi
avesse il fiato corto, poi, senza aggiungere nulla, si
riavvicinò al calderone
e prese a mescolare la pozione.
- E’ pronta. –
Mormorò, questa volta col
solito tono biascicato che, però, aveva un qualcosa di
evidentemente forzato.
Alexis restò a fissare in
silenzio la sua schiena, ridacchiando divertita, mentre si alzava e lo
raggiungeva.
Insieme versarono il liquido
– di un bell’azzurro cristallino – in un
ampolla e mentre Draco, con un colpo
di bacchetta, rimetteva in ordine, Alexis applicava
un’etichetta col suo nome
sulla boccetta e la posava, delicatamente, sulla scrivania.
- Ce l’abbiamo fatta…-
Sussurrò, con una certa
soddisfazione.
Almeno ora Piton non avrebbe
potuto bocciarla e Draco avrebbe potuto giocare la sua partita di
Quidditch.
Il biondino le si avvicinò e
guardò l’ampolla, incrociando le braccia al petto.
- Vorrai dire che IO ce l’ho
fatta! –
Precisò, con aria di
superiorità.
Lei si voltò a guardarlo e
gli diede una leggera spinta sul braccio.
- Presuntuoso! –
Lo rimproverò, facendogli
una linguaccia. Poi scosse lentamente la testa e sorrise, in quel modo
che
sapeva disarmarlo.
Lui, per tutta risposta,
sbuffò pesantemente e alzò gli occhi al cielo.
Poi si voltò a guardarla e
la inchiodò di nuovo, togliendole il respiro.
Le sorrise in un modo
deliziosamente malizioso, mentre avvicinava lentamente il proprio viso
a quello
di lei, guardandole la bocca con bramosia.
Si avvicinò così tanto, che le loro
labbra quasi si sfiorarono, per la seconda volta in quella serata. Ma
lui,
ancora una volta, si guardò bene dal non toccarle davvero.
Le sorrise ad
un centimetro dalle labbra e si spostò su di un lato,
lasciando che le loro
guance si sfiorassero, in un modo dannatamente studiato.
- E’ anche per questo che hai perso la testa per me, mia piccola Black…-
Le sussurrò, portando una
mano a regalarle una leggera carezza sulla guancia.
Poi la sorpassò, cominciando
ad incamminarsi verso l’uscita.
Quando riprese la concezione
del tempo e dello spazio, ma soprattutto, quando riuscì di
nuovo a respirare a
riprendere in controllo del proprio corpo, sentì le guance
avvamparle.
Si voltò di scatto,
stringendo i pugni e gli urlò dietro.
- Non è vero! –
Draco ridacchiò soddisfatto,
e la sua risata leggera si diffuse per tutta la stanza, scaldandole il
cuore.
- Bugiarda! –
Replicò, con tono
ammonitore, mentre alzava una mano al cielo e le faceva segno di
seguirlo.
Alexis sbuffò pesantemente e
gli corse dietro.
Era logico, era quasi le
tre, ormai erano tutti tra le braccia di Morfeo.
Camminavano uno a fianco
dell’altra, la bacchetta di Draco che illuminava la strada,
sotto protesta dei
quadri che venivano malamente svegliati – e anche prontamente
ignorati.
Non si parlavano, e non era
di certo per rispetto al sonno dei dipinti.
Lui sembrava essere tornato
il Draco Malfoy di sempre, freddo e composto.
Alexis, dal canto suo, era
troppo tesa per poter spiccicare parola. Si limitava a mordersi il
labbro
inferiore e a torturarsi le mani in grembo.
E così, nel silenzio,
raggiunsero le porte del dormitorio.
Fu lui a pronunciare la
parola d’ordine – lei non ci sarebbe riuscita,
aveva la bocca completamente
asciutta.
Entrarono nella Sala Comune,
ormai deserta.
Alexis si guardò attorno,
sospirando, tesa.
Fu lui a rompere il silenzio
e farla sobbalzare leggermente.
- Sei in grado di
raggiungere la tua camera, o ti devo accompagnare anche lì?
–
Domandò sarcastico, con aria
superiore.
Lei fece una smorfia e gli
lanciò un’occhiataccia, completamente dimentica
dell’agitazione di un secondo
prima. Ma quando incontrò quegli occhi argentei osservarla
di sottecchi, di
nuovo con quel qualcosa di terribilmente astratto, fu costretta a
sorridere.
E
l’espressione del viso di Draco, a quella visione,
si ammorbidì.
Alzò
lentamente una mano e
le sfiorò una guancia con una lenta carezza.
- Vai a dormire. –
Le mormorò, con tono stanco.
Non
avrebbe resistito ancora a lungo. Non poteva
chiederglielo.
Soprattutto quando sorrideva in quel modo candido,
dolce, ingenuo, semplice.
Lei annuì,
arrossendo sulle
gote e gli diede un buffetto su un braccio.
- Anche tu. –
Rispose.
Ancora
una volta quel sorriso.
Basta.
Era una tortura.
Va via.
Va via Alexandra Black.
Va via prima che sia troppo tardi.
Draco ghignò
e la osservò
dall’alto, alzando entrambe le sopracciglia.
- Non credo che andrò a
dormire. Probabilmente c’è qualche ragazza in
attesa nella mia camera...-
Proferì pensieroso, per poi
lanciarle un’occhiata di sottecchi.
Non
sorrideva più.
Perché non sorrideva più?
Alexis
abbassò lo sguardo e
i lati delle sue belle labbra si piegarono leggermente, in
un’espressione
mesta.
- Allora va da lei, e
smettila di perdere tempo con me…-
Rispose con un fil di voce,
mordendosi il labbro inferiore.
Quell’espressione
triste era peggio del sorriso
radioso.
Basta.
Smettila.
Non stuzzicare il Serpente.
Draco
sogghignò.
-Cos’è, sei gelosa per caso?
–
Alexis alzò il viso di
scatto, con un’espressione mista tra l’indignato e
l’imbarazzato.
- Cosa? Non ci sperare
Malfoy! –
Rimbeccò, voltandosi e
incamminandosi verso la porta del dormitorio femminile
Quell’espressione
imbronciata.
Quella scintilla spenta nei suoi occhi.
Quelle labbra morbide, piegate all’ingiù.
Troppo tardi.
Il Serpente era stato svegliato.
Aveva appena poggiato la
mano sul pomello della porta, quando la raggiunse.
Due mani si poggiarono sugli
stipiti della porta, mentre le braccia, snelle e dai muscoli scattanti,
le
bloccavano ogni movimento, intrappolandola.
Alexis rimase pietrificata
qualche secondo, prima di voltarsi lentamente e ritrovarsi schiacciata
tra la
parete e il corpo di Draco.
Erano così vicini, che i
loro sguardi si perdevano, i loro nasi si sfioravano e i loro respiri
si
mescolarono.
Sentì il cuore cominciare a
batterle furioso nel petto, rimbombando così forte, che era
sicura che anche
lui lo avrebbe sentito.
Tum.
Tum.
Lo sentiva eccome.
Piccolo e fragile, come lei.
Ma così dolce era il suo suono.
Come il tono della sua voce.
La sua voce timida.
La sua voce triste.
La sua voce arrabbiata.
La sua voce felice.
Lo voleva.
Lo pretendeva.
Era suo e di nessun altro.
Lentamente, senza
controllo,
annullò la distanza tra i loro corpi, e tra le loro labbra.
Le sfiorò con un gesto
dolcissimo, quasi timoroso di farle male.
Era
così docile e delicata, che aveva l’impressione
che anche un tocco di un’ala di farfalla avrebbe potuto
ferirla.
Cominciò a
baciarla con una
tenerezza infinita, che le fece perdere ogni contatto con la
realtà.
Sentiva solo le sue labbra
muoversi delicatamente sulle proprie e sfiorarle solo, senza bramosia,
senza
fretta.
Era un bacio dolce, tenero.
Strano,
soprattutto se dato da un tipo come Malfoy.
Draco alzò una mano e
cominciò ad accarezzarle una guancia, con gesti lenti e
gentili, sentendola
bollire sotto le sue dita gelide.
Più passavano i secondi, e
più il bacio si faceva intenso e le labbra più
esperte.
Alexis sentì la punta della
lingua di Draco sfiorarle con incertezza il labbro inferiore, chiedendo
l’accesso. Tremò leggermente, prima di schiudere
le labbra e lasciarlo entrare.
Era
una sensazione bellissima.
Il respiro freddo le
entrò
in bocca, scendole dolcissimo giù per la gola, mentre la
lingua di lui prendeva
a giocare, timidamente, con la sua.
Aveva
paura di farle del male, ma non sapeva quanto
avrebbe resistito.
Più le
sfiorava le labbra,
la lingua, il palato, e le accarezzava la guancia, più
sentiva l’eccitazione
crescere.
La
voleva.
La pretendeva.
Era sua e di nessun altro.
Approfondì improvvisamente
il bacio, che da dolce e gentile, divenne violento e possessivo.
La spinse contro il muro,
schiacciandola tra la porta e il suo corpo.
La baciava con urgenza, con
desiderio, completamente fuori controllo.
Le morse persino il labbro
inferiore, strappandole un gemito di protesta.
Appena quel piccolo tono
raggiunse il suo orecchio, si staccò immediatamente, con
poca delicatezza.
Avevano entrambi il fiato corto.
Alexis si portò una mano al
petto, per controllare che il cuore le battesse ancora,
perché aveva dato un
colpo così forte, che non riusciva più a sentirlo.
Draco abbassò il capo,
nascondendo lo sguardo dietro i capelli.
Tremava leggermente,
cercando di racquistare il suo solito auotcontrollo.
Dannazione!
Si era eccitato solo baciandola! Non era
mica un ragazzino inesperto! Che diamine gli aveva fatto quella
streghetta?
Quando fu sicuro di
riuscire
a controllarsi, alzò di nuovo il viso, senza guardarla.
- Vattene: lo dico per il
tuo bene…-
Mormorò, ancora con il fiato
corto.
Un brivido le percorse la
schiena, mentre comprendeva che, se voleva “uscirne
viva” quella sera, era
meglio se seguiva il suo consiglio.
Deglutì e lo guardò di
sottecchi, prima di far scorrere la mano sulla porta e trovare la
maniglia.
Girò lentamente il pomello e si addentrò nel
corridoio dei dormitori,
richiudendosi la porta alle spalle.
Ancora scossa, si lasciò
cadere in terra, con il cuore che batteva furioso come le ali di
un’uccellino
chiuso in una gabbia troppo piccola.
Si portò una mano alle
labbra, e le sfiorò, socchiudendo gli occhi.
Poteva sentire ancora il suo
respiro lambirle le labbra, la bocca, la gola.
Il
cuore.
Bhe, come al
solito fammi sapere che ne pensi =*
Un bacione,
Ada=*
PS: Ho aggiunto il prologo alla storia, fatemi sapere che ne pensate!