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Autore: Vago    10/12/2016    3 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 Seila si raggelò.
Davanti a lei, la torcia che Keria stringeva in pugno era l’unica fonte di luce che le permetteva di vedere lo scalino su cui il suo piede si sarebbe dovuto appoggiare, mentre in suo guanto destro seguiva il profilo della parete umida che accompagnava il lento discendere di quella scala.
Ai suoi piedi il suo compagno strisciava silenzioso.
Avvertiva una strana sensazione, simile a quelle che precedevano le visioni che l’avevano accompagnata da quando aveva superato la prova di Ordine, ma centinaia di volte amplificata.
Vide qualcosa. Un albero, era chiaramente un albero.
La visione si fece più nitida, finché non riuscì a riconoscere i volti delle piccole bambole che riposavano tra le radici e i rami di quella pianta rigogliosa.
La visione si fece sempre più chiara, arrivando al punto di permettere all’erborista di contare le singole foglie che andavano a formare quelle fronde.
Seila trattenne il fiato, mentre la realtà prese di nuovo il sopravvento sui suoi sensi.
- Keria, dobbiamo sbrigarci. E abbiamo bisogno di Hile. Ho avuto una visione. –
L’arciere si girò confusa, ma perse ogni voglia di controbattere quando vide lo sguardo preoccupato che albergava negli occhi dell’elfa bionda che le stava alle spalle.
- Va bene. – fu la risposta del Drago.



Dopo otto ore di corsa ininterrotta, Hile raggiunse finalmente i piedi degli alberi che sostenevano il peso di Gerala.
Su un maestoso tronco lì vicino, le ombre si condensarono, fino a formare la figura di una donna.
- Quanto tempo. – disse il Lupo cercando di riprendere fiato. – Ora scusami, ma devo trovare un dottore al più presto. –
La figura indicò con un dito sottile un punto alla sua destra. In quella direzione, seminascosta dal buio che cominciava a calare, riposava un montacarichi.
- Grazie. –
La figura si dileguò con una scrollata di spalle.
Il gatto di Nirghe scese con leggerezza dalla spalla del lanciatore di coltelli, per dirigersi verso la pedana lignea.
Con tutte le forze che gli erano rimaste, Hile afferrò la corda che gli si trovava davanti, cominciando a tirarla per far raggiungere al montacarichi almeno il primo livello della città.

L’assassino sbucò in una piccola piazza della periferia della città.
Erano poche le persone che a quell’ora ancora la occupavano, mentre sempre in numero maggiore si presentavano alcuni elfi intenti ad accendere le lampade sorrette da alti pali ai lati delle vie.
Un medico. Ho bisogno di un medico. Si disse il Lupo, guardandosi intorno disperato, mentre sguardi tra il curioso e il terrorizzato si posavano su di lui e sui due animali che gli stavano appresso.
- Ragazzino, se vuoi che il tuo amico viva, seguimi. – gli sussurrò un uomo avvolto in un mantello scuro, passandogli accanto e proseguendo per la sua strada come se nulla fosse.
Aveva un odore strano, si rese conto Hile, ma non sembrava un odore malvagio.
Il lanciatore di coltelli lanciò uno sguardo al Gatto che, legato al dorso di Buio, rantolava a fatica.
Quella era la sua unica possibilità.
Seguì l’uomo che, a passo insolitamente svelto, si stava allontanando su di una passerella i cui lati erano assediati dal muschio.
L’odore delle decine di persone che ogni giorno la percorrevano impregnava quel legno consumato, inondando le narici dell’assassino con la stessa intensità di un pugno.
L’uomo raggiunse l’ennesima piazza e senza nemmeno voltarsi, girò a sinistra, su di una strada laterale decisamente meno trafficata durante il giorno.
Quell’inseguimento silenzioso durò quasi dieci minuti, scoccati i quali, senza far trasparire nulla, l’uomo con il mantello si fermò davanti alla porta di una piccola casa. Tre scalini separavano l’ingresso dal piano dello spiazzo su cui si affacciava, dei quali l’ultimo era di due dita abbondanti più alto degli altri.
L’uomo si voltò, scrutando il gruppo che lo aveva raggiunto con gli occhi bianchi come la neve.
- Qui abita un abile dottore con sua moglie. Sono sicuro che potrete trovare tutto quel che vi serve, in questa casa. –
L’uomo riprese a camminare, dirigendosi nella direzione da cui era arrivato.
Hile gli afferrò il polso destro, fermandolo.
- Chi sei e perché ci hai aiutati? – chiese il Lupo.
L’uomo sorrise, mettendo in mostra la dentatura perfette e passandosi una mano tra i capelli neri che gli coprivano la fronte fin sotto le sopracciglia. – Qualcuno ha voluto che lo facessi. Siete importanti, per essere dei mocciosi. –
L’uomo si liberò dalla morsa che lo teneva, per poi tornare nuovamente ad allontanarsi.

No. Decisamente occhi bianchi e capelli neri non mi piacciono come accostamento. Penso tornerò al buon vecchio ciuffo candido, la prossima volta che assumerò una forma antropomorfa.

Hile rimase immobile davanti a quell’uscio per diversi secondi, indeciso se davvero valeva la pena di affidare alle parole di uno sconosciuto la vita di uno dei suoi compagni di viaggio.
Le nocche impattarono quattro volte contro la porta.
Seguirono attimi di silenzio carichi di tensione. Buio pretese il collo in avanti, drizzando le orecchie, mentre sordi e piccoli tonfi lontani cominciavano a farsi avvertire.
La serratura scattò e da dietro il pannello in legno comparve una umana dai lunghi capelli neri con indosso una vestaglia azzurra. Non avrà avuto più di trent’anni.
Hile la guardò un attimo, non ancora del tutto convinto di quello che stava facendo. Poi prese coraggio e parlò. - È qui che abita un dottore, vero? –
- Si, ma… - la donna si pietrificò alla vista del grosso lupo dal manto grigio che la osservava dalla strada.
- Non si preoccupi. È perfettamente addestrato e non attacca le persone. – mentì l’assassino. – Ma il mio amico è stato ferito e ha bisogno di cure immediate. –
La donna era in preda al panico. Lo dicevano i suoi occhi, che continuavano a rimbalzare tra il ragazzo dai capelli sporchi che aveva davanti e l’animale che a pochi passi la scrutava con gli occhi scuri. Poi vide il corpo del secondo ragazzo, riverso sul dorso del lupo.
- Venite dentro. Avvertirò mio marito che questa sera non andrà a dormire presto. –
Hile si permise un sospiro di sollievo.
L’interno della casa era ben curato. Nel salone che oltrepassò per raggiungere il letto messo a disposizione dalla padrona di casa riposavano due poltrone e una macchina da cucire, di fianco alla quale erano impilate ordinatamente decine di camicie e pantaloni bisognosi di rattoppi. Alle pareti erano stati appesi i più disparati oggetti, da una spada che doveva aver visto la Guerra degli Elementi a una squama di drago incorniciata, probabilmente tutti provenienti dal baule vissuto che era stato sistemato in un angolo.
Hile adagiò, con la collaborazione del suo compagno, Nirghe sul letto.
La fronte dello spadaccino scottava, mentre grosse gocce di sudore seguivano i lineamenti del viso, cadendo sulle coperte candide.
Su di un piccolo comodino lì a fianco, era stato appoggiato un piccolo ritratto che presentava un umano e una mezzelfa che si tenevano per mano, mentre, davanti a loro, una ragazzina quindicenne dai capelli neri sorrideva, stringendo nelle mani il vestito verde che portava indosso.
Da una stanza vicina arrivò un uomo corpulento dall’importante barba castana che gli ricopriva la metà inferiore del viso.
Anche lui ebbe un sussulto nel vedere il lupo e il gatto al capezzale del suo nuovo paziente ma, vista la non curanza con cui la moglie si affaccendava al loro fianco, superò la paura che gli incutevano, accostandosi al ragazzo che giaceva sul letto.
- Brutta faccenda le ferite da armi da fuoco. – disse l’uomo sollevando con mani delicate le bende di fortuna intrise di sangue che coprivano i fori sul petto nudo dello spadaccino. – Come se le è procurate? -
- Siamo stati aggrediti da alcuni banditi, volevano rapinarci e sono arrivati al punto di attaccarci con quelle armi. –
- Cosa siete voi… girovaghi? Cara, ho bisogno di disinfettare la ferita, e metti preparami un ago per chiudere le ferite. –
- Qualcosa di simile. – gli rispose il Lupo guardando la donna che li aveva accolti allontanarsi.
- Non è più sicuro girare in piccoli gruppi, di questi tempi. Con tutti quei problemi che si stanno avendo oltre i Muraglia, i governi non riescono più a contenere le bande di banditi sulle nostre terre. –
- Dall’altra parte dei Monti Muraglia? – chiese Hile, alzando lo sguardo sul volto del medico.
- Si. Secondo delle fonti non proprio ufficiali, le terre orientali sono coperte da una nube che tutti definiscono come malvagità gassosa. Purtroppo non riesco neanche ad immaginare cosa possano voler intendere con questo. –
Le mani leggere del medico si muovevano con precisione all’interno delle ferite, assicurandosi che nulla fosse rimasto all’interno, prima di richiudere i lembi di pelle. Sua mogli, intanto, si dedicava a far calare la febbre di Nirghe, cambiando costantemente l’asciugamano bagnato che gli aveva appoggiato sulla fronte.
Lavorarono quattro ore, intorno a quel letto, consumano una ventina di candele per mantenere sempre un’illuminazione sufficiente per essere certi di aver fatto un buon lavoro.
Finalmente il medico alzò il capo dalle bendature fresche, guardando Hile con gli occhi stanchi.
- Sei stato fortunato. I proiettili non hanno prodotto danni gravi e il tuo amico ha delle buone difese contro le infezioni. Non ci resta che aspettare e, se la febbre comincia a scendere, potrei dirti che ha una buona possibilità di sopravvivere. Ora scusatemi, ma vado a lavarmi le mani. –
Il Lupo rimase seduto sulla sedia che gli avevano lasciato, mentre il gatto nero si alzava dal pavimento per andare ad accoccolarsi al fianco del suo compagno privo di coscienza.
- Quindi, tua madre era una mezzelfa? – chiese Hile rivolto alla donna che sedeva dalla parte opposta del letto.
- Si, come fai a saperlo? –
- Ho solo visto il ritratto qui di fianco. – rispose l’assassino. – Tu, però, non hai nessuno dei suoi tratti. –
- I figli di mezzelfi non hanno nessuno dei tratti caratteristici di quella razza, se solo uno dei genitori lo è. Però tutti mi dicono che ho il viso molto simile al suo… -
- Sono ancora vivi, i tuoi genitori? –
- No, purtroppo sono morti cinque anni fa, a sei mesi l’uno dall’altra. Ma, dopotutto, avevano superato i sessant’anni, non erano proprio dei giovinastri. –
La donna si chinò per cambiare l’ennesimo asciugamano, facendo comparire uscire dal colletto della vestaglia un piccolo ciondolo di legno legato all’estremità di una collana.
Hile si irrigidì.
Il suo cuore prese a battere in maniera forsennata mentre la sua mente non riusciva a credere a quello che i suoi occhi gli dicevano di vedere.
- Scu… scusa… Avrei bisogno di parlarti un attimo fuori, da solo… - gli disse l’assassino con voce tramante.
- Cosa c’è che non puoi dirmi qui. –
- È una cosa complicata… molto complicata. E non vorrei non dovertela dire di fronte a tuo marito… -
La donna alzò lo sguardo preoccupata. – Cosa c’è di così importante? –
- Ti prego. Fidati di me. –
La donna sospirò, guardando il corpo del ragazzo che giaceva su quelle coperte, ora macchiate di sangue, quindi si alzò e, superato il letto, si diresse verso il salone.
Hile raccolse da terra la tracolla.
- Caro, dammi un attimo il cambio con gli asciugamani. – disse ad alta voce prima di uscire sulla via sospesa.
All’esterno l’ambiente era blandamente illuminato da decine di lampade poste a quattro metri le une dalle altre. Numerose lucciole volavano tra i rami, mentre piccoli pipistrelli le inseguivano sbattendo le ali scure.
- Allora? Devi dirmi che siete banditi anche voi? Che il tuo amico si è provocato quelle ferite tentando un furto? –
- Ti chiami Aurea, vero? –
La donna sussultò. - Come puoi conoscere il mio nome? –
Il Lupo frugò per un attimo tra le tasche della sua borsa, finché le sue dita non toccarono il ruvido pezzo di legno che si era portato dietro durante tutto il suo viaggio.
Non se ne era mai separato, da bambino, da quando sua nonna glielo aveva dato. Era stato solo un caso, o un disegno del Fato, che glielo avevano fatto tenere in tasca la sera in cui gli Stambecchi della setta erano arrivati per prenderlo.
Lo tirò fuori, mostrandolo alla donna che gli stava davanti.
- Io mi chiamo Hile… penso di essere tuo fratello. –
Aurea rimase rigida, con i pugni stretti e le braccia attaccate ai fianchi. Una lacrima le rigò la guancia, mentre la mascella fine si contraeva.
Alla fine la donna scoppiò in lacrime, gettando le braccia al collo del ragazzo di fronte a lei.
Non poteva credere a quella storia, ma quel pezzo di legno non poteva esserselo procurato in nessun’altro modo. La loro nonna paterna l’aveva ricavato personalmente dal manico del suo bastone da passeggio.
Non riusciva a riconoscere nessuno dei tratti del fratellino di otto anni che aveva perso nel ventenne che stringeva tra le braccia, ma non riusciva comunque a sciogliere quell’abbraccio o fermare le lacrime che le annebbiavano la vista.

Che teneri…
No, non mi aspettavo una scena strappalacrime da famiglia ritrovata. In realtà non mi aspettavo nemmeno che quella scimmia lancia coltelli riconoscesse la sorella.
Comunque, tutto è bene quel che finisce bene, no?
Ottimo, oggi ho salvato la vita di Nirghe e fatto riavvicinare due fratelli, direi che la mia buona azione annuale l’ho fatta. Posso ritenermi soddisfatto.


- Cosa ti è successo? E dove sei stato in tutti questi anni? Devi raccontarmi tutto quanto. –
Il sorriso di Hile si increspò al pensiero di dire a sua sorella che aveva intrapreso la carriera di assassino.
I due rientrarono nella casa, tornando al capezzale di Nirghe.

Ci vollero ancora diverse ore prima che la temperatura corporea dello spadaccino tornasse alla normalità, alle quali si aggiunse un’altra mezza giornata prima che riuscisse ad aprire gli occhi.
- Dove sono? – fu la prima cosa che il Gatto disse, guardandosi intorno.
Hile sorrise divertito. – Ti ho salvato la pelle. Siamo a Gerala, nella casa del medico che ti ha impedito di morire. –
- Ah. – fu il commento dello spadaccino.
Quella sera una nebbia bluastra si addensò sulla sacca di Nirghe.
Hile estrasse velocemente il foglio che gli aveva lasciato Mea, appoggiando il palmo sul disegno che vi era tracciato sopra.
Nella nebbia comparve il volto della mezzelfa.
- Abbiamo trovato Niena e con lei diverse informazioni nuove. Dei mostri simili ai Demo stanno cercando i discendenti dei sei e sono già riusciti a uccidere Mero, inoltre abbiamo scoperto da un Lupo e un Serpente che abbiamo incontrato che la Setta, visto quello che sta succedendo sul lato orientale delle Terre, si sta spostando in due sedi separate, una a Sud, nella città di Derout, e una a nord, lungo il corso del Vrag all’interno della Grande Vivente. –
La maga fece una pausa, mentre il suo sguardo fu attirato da qualcosa che Hile e Nirghe non poterono vedere.
- Ora abbiamo il sangue di Niena, - riprese il volto – ma senza quello di Mero non possiamo utilizzare la Giara. Niena, però, ha delle buone notizie per noi. –
I lineamenti di Mea scomparvero, per lasciare il posto a quelli di una donna più anziana.
- Se parlo a questa sfera possono sentirmi? – chiese la donna guardando di lato, poi si voltò verso i due assassini. – Io e Mero siamo nati sul Continente e siamo arrivati nelle Terre solo quando eravamo già adulti. Trado e Diana, però, hanno avuto un altro figlio, Sergant. È nato qualche mese dopo la fine della guerra e non ha seguito i nostri genitori nel loro viaggio. Io non l’ho mai conosciuto, ma so da quello che ci raccontavano da bambini su di lui, che si era fatto una famiglia nella Terra del Vento. –
Il volto di Mea riprese il suo posto nella nuvola bluastra. - È difficile che Sergant sia ancora vivo. Potrebbero essere passate due o tre generazioni da quando i Sei lasciarono le Terre, però, se davvero si era fatto una famiglia, è possibile che un po’ del suo sangue sia ancora presente in uno dei suoi nipoti. Posso creare un incantesimo in grado di individuarlo, ma avrò bisogno dell’aiuto di tutti voi per poter coprire tutto il lato occidentale. Troviamoci nella Terra degli Eroi, lì decideremo come muoverci. –
La nebbia si dissolse non appena la maga smise di parlare.
- Mai una cosa facile, vero? – chiese il Gatto tornando a sdraiarsi.
- Già. Ora, mentre tu ti riprendi, devi spiegarmi una cosa. –
Nirghe guardò il Lupo con uno sguardo interrogativo.
- Mentre ti portavo qui, dalla tua borsa è caduto questo. Che diavolo è? –
Hile tirò fuori dalla tasca in cui l’aveva riposto il cilindro di legno attorno al quale erano stati legati i fili blu.
Lo spadaccino provò ad allungare un braccio per prendere l’oggetto , ma una fitta alle ferite appena cucite gli impedirono di arrivare al suo obbiettivo.
- Non sono affari tuoi. – gli rispose sulla difensiva.
- Fammi tirare ad indovinare. Quelli sono capelli di mezzelfo, vero? E, visti tutti i mezzelfi con cui abbiamo avuto la fortuna di poter parlare, punterei sul fatto che sono i capelli di Mea. Ora, perché diavolo sono li? So che ci sono degli incantatori che con i capelli delle persone possono fare dei sortilegi, se fosse così, non ti lascerei uscire vivo da questa casa. –
Il gatto nero che fino ad allora era stato buono sul letto si alzò, rizzando i peli sul dorso. In tutta risposta Buio alzò la testa, snudando le zanne.

Che sia quindi lui il traditore? Non me lo sarei aspettato, o per lo meno, non mi sarei aspettato che si sarebbe fatto scoprire per una cosa del genere.
Per quanto riguarda quei capelli… so che il voodoo misto alla magia può fare un po’ di danni, ma non credo che il demone abbia intenzione di giocare con le bambole. Se è davvero lui a volere quei capelli, di sicuro Mea è in pericolo.


Nirghe abbassò il capo, cercando le parole giuste per rispondere a quell’accusa. 



Angolo dell'Autore:
Ciao a tutti, come promesso anche questa settimana sono riuscito a caricare il nuovo capitolo, nonostante l'isolamento dalla tecnologia durato quattro giorni.

Non so quanti dei lettori che sono arrivati fin qui siano anche degli autori. O meglio, quanti autori sono arrivati fin qui come lettori. Le poche parole qui di seguito sono per voi, per tutti gli altri, non preoccupatevi, non scriverò nulla di criptico che non può essere compreso da coloro che non pubblicano storie, solo potrebbe non interessarvi. Voi lettori, che siete il motivo principale per cui noi autori scriviamo, potete tranquillamente saltare oltre la riga bianca che seguirà e saltarvi a piè pari questo paragrafo, non perderete nulla di importante.
Bene, autori e curiosi che siete arrivati fin qui. Scrivendo questo capitolo ho provato una sensazione che non avvertivo da tempo. Non so quanti di voi, scrivendo, sappiano esattamente dove la loro storia li portera e quanti, come me, hanno ben chiari solo alcuni episodi, mentre in altri momenti si comportano quasi come degli estranei davanti alle frasi che stanno partorendo.
Ebbene, questo capitolo è uno di quelli che aspettavo con ansia di poter mettere nero su bianco. Sapevo che sarebbe dovuto essere così fan da quando aprii per la prima volta word, misi quell'accenno sul pezzo di legno, in uno dei primi capitoli, proprio perchè volevo che tutto riconducesse a questo momento ed è stata una soddisfazione immensa poter vedere le immagini nitide di questo incontro che mi affollavano la mente divenire parole su questo foglio digitale.
Se non vi è mai capitata una siuazione simile, davvero, vi auguro di provarla, perchè la sensazione che si prova dopo aver messo l'ultimo punto a un capitolo di questo tipo è cento volte più intensa e gratificante di quella che si prova per aver terminato un capitolo "normale".
Io vorrei chiudere qui questa parentesi, la cui unica utilità è stata quella di essere una valvola di sfogo per l'eccitaizone che provo io ora.

Se ne avete voglia, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo... particolare. Si, credo che particolare sia la parola giusta.
Bene, a venerdì prossimo con un nuovo tassello di questa storia. Cosa vuole davvero Nirghe? Chi lo ha mandato? A cosa gli servono quei fili? Restate sintonizzati per avere le risposte.
Alla prossima.
Vago 

   
 
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