Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Rohhh    26/12/2016    3 recensioni
A chi non è mai capitato di sentirsi troppo diverso da qualcuno e non provare ad andare oltre quelle apparenze? Ashley ha 21 anni, è una studentessa universitaria seria e posata, ha due sorellastre e una madre che sente troppo diversa da lei. In vacanza dal padre conosce Matt, il figlio della sua nuova compagna, ribelle e criptico, lui con la propria madre ci parla appena. Quell'incontro cambierà il modo di vedere le cose di entrambi e farà capire loro che non è mai troppo tardi per recuperare un rapporto o per stringerne di nuovi con chi non ci aspettavamo.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ciao a tutte
Dunque, è con un po' di tristezza nel cuore che vi comunico che con questo epilogo la storia è ufficialmente finita.
Quando ho cominciato a scriverla questa estate quasi per gioco, per distrarmi da un periodo un po' negativo, non pensavo che avrebbe potuto darmi così tante soddisfazioni e che avrei trovato qualcuno a cui potesse interessare o emozionare.
E invece siete state in tante, avrei voluto ringraziarvi una ad una ma sarebbe stato impossibile ( siete state in 78 tra chi ha seguito, ricordato o preferito) e anche se ci sono storie molto più seguite per me questo è un traguardo enorme e ci tenevo a dirvi quanto mi abbiate fatto felice!
Volevo pubblicare ieri ma non ci sono arrivata, visto la giornata particolare, ma lo faccio oggi e spero che lo accettiate come regalo di Natale anche se un pizzico in ritardo!
Per certi versi è un capitolo molto tenero e spero lo apprezziate!
Mettere la parola 'completa' a questa storia mi dispiace parecchio ma si è prolugata anche oltre le mie aspettative iniziali e come ogni cosa, arriva il momento di mettere la parola fine, per quanto possa essere triste.
Mi mancherete tanto, e ci tengo a ringraziare chi ha seguito in silenzio, chi ha aggiunto la storia alle varie categorie e in particolare le stupende ragazze che hanno recensito lungo questo percorso, chi una sola volta, chi più volte, chi davvero tanto, perché è stato anche grazie ai vostri commenti che sono riuscita a portare a termine con costanza la mia storia.
Probabilmente ho qualche idea per una one shot sempre su questa storia, in futuro e chissà che non la scriva prossimamente. Per il resto non saprei dire se e quando tornerò  a scrivere qualcosa, visto che ho dei mezzi spunti ma non mi sembra corretto iniziare qualcosa che non so se completerò e lasciare le lettrici sulle spine quindi, quando mi troverete di nuovo sarà con una storia che so di poter portare a termine. Io spero che accada, vedremo!
Ancora grazie mille e auguri di Buon Natale a tutte, visto il periodo!
Che non sia un addio, ma solo un arrivederci!

Epilogo

 

Febbraio era il mese più corto dell'anno ma anche uno dei più gelidi e pesanti da sopportare, troppo lontano dalla primavera, ancora di più dall'estate.

Febbraio era grigio, severo e piovoso, stringeva il corpo e l'anima in una morsa ghiacciata ed era lontanamente tollerabile solo da sotto una spessa coltre di piumoni caldi e con una cioccolata bollente tra le mani; faceva sognare di poter vivere sepolti dalle coperte e il letargo, in cui cadevano alcuni animali, di colpo sembrava una prospettiva più che allettante.

Febbraio sapeva di amaro e di lacrime tiepide su guance troppo fredde e c'erano giorni in cui pareva eterno, paradossalmente più lungo degli altri mesi, e trascorreva con una lentezza snervante, soprattutto quando non si aveva sempre a disposizione un tenero abbraccio nel quale perdersi e lasciarsi riscaldare.

 

Febbraio però quell'anno non poteva essere più rosa per Ashley.

 

Per miracolo era riuscita a non perdere l'autobus per tornare a casa dall'università, dopo aver sostenuto e superato uno degli ultimi esami rimasti, uno scoglio in meno che l'avvicinava sempre più a quel traguardo ormai prossimo.

Avrebbe compiuto 24 anni tra due mesi e molto probabilmente d'estate si sarebbe laureata, ponendo fine al suo percorso di studi con un anno di ritardo rispetto alle previsioni che aveva fatto il giorno in cui vi si era iscritta.

Un risultato comunque più che brillante, se si consideravano i ritmi frenetici e gli innumerevoli impegni che avevano scandito e stravolto la sua vita da quando aveva deciso di seguire la strada del cuore.

Da quell'estate erano passati due anni e mezzo ormai.

Rabbrividiva sempre ogni qualvolta le capitava per caso di fare la conta dei mesi passati e acquisiva la consapevolezza di come il tempo fosse trascorso, quasi volato a dire il vero.

Salì con rapidità il gradino dell'autobus, col respiro affannato e la faccia rossa e trafelata per la corsa appena fatta e durante la quale aveva rischiato più volte di scivolare in malo modo sullo strato di neve che imbiancava le strade in quel periodo. In un altro momento avrebbe messo sù un broncio colossale e se la sarebbe presa con l'intero ordine cosmico, ma non questa volta.

Non c'era spazio per incazzarsi con stupidaggini simili e togliersi dalle labbra quel sorriso.

Si fece strada a fatica lungo il corridoio angusto della vettura, tenendo sollevata la borsa per evitare che si impigliasse sui braccioli dei sedili e solo per due secondi si pentì di trovarsi dentro quella scatoletta infernale e affollata e di non aver preso la macchina, come faceva spesso da quando aveva ripreso a guidare, ovvero ormai due anni. Aveva avuto un insegnante eccezionale che, con una dose non indifferente di pazienza e un paio di imprecazioni a qualche incidente scampato, era riuscito dove sembrava quasi impossibile.

Alla vista del primo posto libero disponibile si ci fiondò sopra, allentando velocemente la sciarpa come se stesse soffocando. Quando si passò una mano sul collo, malgrado fuori si congelasse, lo trovò sudaticcio a causa della sfaticata per acchiappare l'autobus, e sperò vivamente di non beccarsi un malanno per lo sbalzo di temperatura. Proprio in quei giorni sarebbe stata una sfortuna che non poteva permettersi.

Sbuffò appena e tolse via anche il berretto di lana dalla testa con un gesto troppo rapido che le scombinò i capelli e cercò prontamente di rimediare, lisciandoseli tra le mani e raccogliendoli sul lato destro. Li portava più lunghi da un po' di tempo, al di sotto della linea delle spalle.

In mezzo a tutte le cose da fare e la stanchezza che spesso accumulava, faticava persino a trovare la voglia o semplicemente un pomeriggio vuoto per andare a tagliarli con la frequenza di prima e così avevano finito per allungarsi più del solito.

In realtà non le dispiacevano e poi aveva avuto modo di scoprire che Matt adorava passarle le dita tra quei lunghi fili rossi e lo aveva considerato un ulteriore ottimo motivo per lasciarli liberi di invaderle di più la schiena.

Lentamente riprese fiato e si mise comoda contro lo schienale, con una mano a reggersi il mento e lo sguardo fisso oltre il finestrino.

Sorrideva ma stranamente non era Matt il motivo della sua gioia, o per lo meno, non lo era in quell'esatto momento.

Da circa due settimane c'era un'altra persona che si era impadronita di un pezzettino del suo cuore ed era da lui che stava andando anche se il suo ragazzo non avrebbe avuto alcun bisogno di esserne geloso.

 

Una volta scesa dal mezzo, si avviò a passo spedito tra le vie più che conosciute del suo paese. Faceva davvero freddo ora che il calore accumulato con la corsa l'aveva abbandonata da un pezzo e la ragazza si strinse nel suo cappotto, nascondendo la bocca sotto la sciarpa e producendo qualche nuvola di vapore con il suo fiato.

Un quarto d'ora dopo si fermò davanti a un portone chiaro e frugò per qualche secondo all'interno della sua borsa per poi estrarre un mazzo di chiavi e sceglierne una da infilare nella toppa. La porta si aprì facendo un piccolo scatto ed Ashley entrò, cercando di non fare troppo rumore e avendo cura di asciugare meglio che poteva gli stivali bagnati sullo zerbino.

Fece appena in tempo a richiudersi la porta alle spalle che l'abitante della casa dovette accorgersi della sua presenza a causa di quello scatto secco.

«Sono qui»

Dal salone giunse una voce femminile che un tempo sarebbe rimbombata fin troppo squillante ma che adesso portava con sé una insolita nota di dolcezza e calma.

Ashley si diresse da dove proveniva il richiamo e con trepidazione si affacciò nella stanza.

Sua sorella Phoebe stava seduta mollemente su una poltroncina, indossava un pigiama largo, aveva i capelli raccolti in una coda disordinata e il viso struccato e piuttosto desideroso di sonno.

La rossa si avvicinò a lei quasi in punta di piedi, poi si inginocchiò ad un lato della poltrona, appoggiandosi al bracciolo e sporgendosi in avanti, la guardò in faccia e le sorrise dolcemente, ma subito dopo la sua attenzione fu diretta al grembo di Phoebe, dove stava adagiato morbidamente l'oggetto della felicità di Ashley, l'origine di un amore sconfinato che a sorpresa stava sperimentando solo in quei giorni: il suo primo nipotino.

Il primogenito di Phoebe aveva scelto il periodo più freddo dell'anno per venire al mondo e la sua testolina mezza spelacchiata fuoriusciva a stento da un voluminoso involtino di copertine di lana bianca che lo facevano somigliare a una nuvoletta morbida e non poteva esistere paragone più azzeccato per quell'angioletto che dormiva beatamente, innocente e ignaro del mondo attorno a lui e circondato dalle cure amorevoli dei suoi genitori e delle tante persone che gli si erano strette intorno.

Ashley si incantò a guardarlo in religioso silenzio, come succedeva ormai dal giorno della sua nascita, i suoi occhi si posarono su quel fagottino con tenerezza e circospezione, quasi avessero paura di sgualcirlo per il troppo fissarlo.

A suo parere Evan, così l'avevano chiamato i genitori, era la perfezione fatta neonato e non solo perché si trattava di suo nipote e non riusciva ad essere totalmente imparziale nel giudizio, ma anche perché rappresentava la perfetta sintesi tra Phoebe e il suo ragazzo Peter, il frutto concreto della loro felice unione, il coronamento di una meravigliosa storia d'amore iniziata quando erano solo dei ragazzini.

Aveva i capelli castani chiari, quasi color miele del padre e gli splendidi occhi azzurri di Phoebe come anche il nasino all'insù, mentre le labbra sottili appartenevano indubbiamente a Peter.

Potè solo immaginare la gioia incontenibile che dovevano provare i due genitori nel poter ammirare, dopo nove mesi di attesa, la meraviglia a cui avevano dato vita, nonostante i sacrifici e le responsabilità che da ora in poi li avrebbero accompagnati.

Ashley ricordava ancora le urla della sorella al telefono, a metà tra il gioioso e lo spaventato, poco dopo aver avuto tra le mani quel test di gravidanza positivo.

Si trovava a casa di Matt quel giorno ma Phoebe non era riuscita ad aspettare il suo ritorno per darle quella notizia, che l'aveva sorpresa ma nemmeno più di tanto.

Era passato oltre un anno di convivenza quando sia lei che Peter avevano cominciato ad avvertire il desiderio di allargare la loro famiglia e, sebbene all'inizio avessero immaginato quella decisione molto più lontana nel tempo, d'improvviso una sensazione forte ed inspiegabile li aveva spinti a pensare che il momento giusto fosse arrivato.

Quello che però non si aspettavano era che, dalla decisione di provarci seriamente alla vera e propria concretizzazione, sarebbe trascorso così poco.

Avevano sentito dire che spesso un figlio non arriva al primo tentativo e nemmeno al secondo e che era necessario un certo lasso di tempo perché il concepimento avvenisse e, invece, due mesi dopo Phoebe era già incinta.

Anche Nancy non aveva avuto particolari difficoltà a concepire, al contrario le era sempre venuto fin troppo facile, e la bionda aveva subito pensato che quella caratteristica, evidentemente, dovesse essere di famiglia.

La gravidanza era trascorsa abbastanza tranquilla, intervallata dalle crisi isteriche di Phoebe, in preda agli ormoni impazziti, e le sue lamentele sul fatto che si stesse sempre più trasformando in un essere assimilabile ad una balena. Insomma, era diventata solo un po' peggio del solito, in fondo.

Ashley aveva accolto quella novità con una modesta curiosità, sebbene fosse estremamente felice per la sorella.

L'idea della maternità non la entusiasmava e non la faceva diventare emotiva o luccicare gli occhi come accadeva ad altre ragazze, ma quell'anno era stato fin troppo duro e angosciante per lei e il trambusto e la ventata di gioia portati in casa dalla gravidanza della sorella avevano contribuito a risollevarle il morale, troppo spesso a terra.

Sophia, infatti, era partita per studiare all'estero, dopo aver vinto quella borsa di studio per la quale aveva lottato con tutta se stessa, lasciandola priva della sua migliore amica, Tyler la salutava ancora a stento e Matt aveva cominciato a lavoricchiare part-time in un negozio di strumenti musicali della sua città, mentre lei era stata impegnata con quel tirocinio che aveva rimandato all'inizio della sua storia d'amore e le occasioni per vedersi si erano drasticamente ridotte.

Quando andava bene riuscivano a incontrarsi tre volte al mese e solo nel fine settimana e per non più di due o tre giorni a volta.

Normalmente il primo giorno lo passavano quasi per intero isolati dal mondo esterno e chiusi in camera da letto a recuperare degli arretrati più che indispensabili in un rapporto e nei restanti giorni facevano giusto in tempo a riabituarsi ed a riassaporare la sensazione stupenda di stare insieme che dovevano di già separarsi.

Era stata terribilmente dura e non erano mancati momenti di sconforto e scoraggiamento ma nessuna sofferenza era stata mai più forte degli abbracci in cui si soffocavano quando si rivedevano dopo giorni e giorni di lontananza e che facevano loro scordare all'istante ogni dolore e fatica patiti, come se avessero il potere di cancellare dalla memoria e annientare qualsiasi negatività.

Quel Natale, in via del tutto eccezionale, lo avevano trascorso insieme a casa di Ashley, il pancione di Phoebe era in dirittura di arrivo e non se l'era sentita di andare da suo padre, che però era venuto a trovarla con Monica, la quale aveva conosciuto finalmente anche Nancy, senza spargimento di sangue o di occhiate velenose. Era stato strano ma bello.

Gregory ormai aveva ben accettato la loro relazione anche se, qualche volta, non mancava di storcere il naso se li sorprendeva troppo stretti o di raccomandare loro di stare attenti fino alla nausea.

Tutte cose a cui comunque ci si abituava senza problemi.

Un mese dopo, Phoebe aveva compiuto il suo ventiseiesimo compleanno, proprio due settimane prima che nascesse suo figlio, in perfetto orario.

E adesso assorbiva la maggior parte del suo tempo e delle sue energie, com'era giusto che fosse.

 

«Dorme?» chiese Ashley in un sussurrò alla sorella

«Sì, e ci credo bene, ha mangiato proprio dieci minuti fa il principino e mi ha prosciugata del tutto! - si lamentò debolmente Phoebe, esausta e sfinita dalla mancanza di sonno che quello scriccioletto urlante stava arrecando a lei e a Peter, poi diede un'ultima controllata al figlio, con gli occhi stanchi ma ricolmi di amore e spostò lo sguardo su Ashley, sorridendo – lo prendi in braccio tu? Ho proprio bisogno di sgranchirmi un po' le gambe!» le domandò, sapendo di fare cosa gradita anche a lei.

La sorella annuì, poi con estrema delicatezza allungò le braccia verso il bimbo e lo cinse per poi stringerselo al petto, con dei movimenti che man mano, da impacciati e insicuri, le erano diventati sempre più naturali da compiere, dimostrando che stava acquisendo una confidenza e padronanza nuova con un gesto, come quello del tenere in braccio un neonato, che non aveva mai fatto in vita sua.

Evan fece una smorfia buffa con la bocca, qualcosa di simile a uno sbadiglio, e si mosse appena all'interno dell'involucro di coperte, un braccino sbucò fuori, rivelando la manina minuscola, stretta a pugno, che Ashley sfiorò con le dita provando un'enorme tenerezza.

Non si abituava mai a quanto potesse essere piccolo.

Phoebe nel frattempo sbadigliò insieme al figlio, poi si stiracchiò le braccia, passeggiò per la stanza per risvegliare le gambe intorpidite dal troppo stare seduta e aprì il frigo per fare uno spuntino. Aveva bisogno di energie per lei e anche per nutrire quel piccolo mangione.

Quando Ashley fu di nuovo nella sua visuale notò la sua espressione dolcemente concentrata sul bambino e le scappò un sorriso.

«Ti piace proprio fargli da zia, eh?» le domandò, piazzandosi accanto a lei, mentre sorseggiava del succo e si godeva quel momento temporaneo di pace. Ringraziava il cielo ogni giorno di avere una famiglia accanto che la sosteneva e un ragazzo che faceva il padre in maniera ineccepibile, aiutandola nelle faccende di casa e col bambino.

Quella mattina erano sole lei ed Ashley visto che July era a scuola e sua madre a lavoro.

Nancy era diventata nonna giovanissima, cosa di cui amava lamentarsi bonariamente, ed era già troppo impegnata di suo per potersi occupare a tempo pieno del nipotino, così riusciva a fare un salto solo dopo l'uscita dal negozio.

Ashley annuì alla domanda della sorella «É adorabile» mormorò, facendo spalancare gli occhi a Phoebe e sentendola sbottare in una risatina sarcastica che cercò di camuffare meglio che poteva.

«Sembrano carini e teneri ma sono delle creature nate per sporcare e vomitare, non farti più dormire, e soprattutto succhiarti via tutte le forze!» dichiarò con un'aria così drammatica che fece scoppiare a ridere Ashley.

«Non credi di esagerare?» la schernì, sapeva che la sorella aveva mantenuto quel suo carattere pungente e comico e che, dietro quell'apparente atteggiamento di pentimento per aver messo al mondo un figlio, ci leggeva chiara e trasparente la sicurezza di chi, al contrario, sarebbe pronto a rifarlo un milione di volte.

Ed infatti Phoebe non rispose, si limitò a sbuffare sconfitta mentre un sorriso si spalancava sul suo viso sciupato ma felice.

«In ogni caso da te non mi sarei aspettata tutto questo attaccamento a tuo nipote, pensavo che i bambini non ti piacessero!» affermò con tranquillità, mentre si accingeva a riprendere il piccolo per cullarlo e stringerlo, come se ne sentisse già la mancanza tra le sue braccia vuote, che adesso parevano avere un senso solo quando quel fagottino le teneva occupate.

Se c'era una cosa di cui credeva poter stare sempre certa era la totale assenza di istinto materno in Ashley ma in quei giorni i suoi comportamenti e l' espressione del suo viso quando si soffermava sul nipote, avevano fatto vacillare quella sua convinzione. D'altronde suo figlio era così bello e perfetto che non si sarebbe meravigliata di scoprire che possedesse anche qualche strano potere magico.

«Già, era così, ma forse sto cambiando» rispose lei, un po' pensierosa.

Ormai aveva accettato da tempo il fatto che nella vita non si rimanesse mai uguali, ma che i cambiamenti fossero una costante logica e normale, quasi indispensabile addirittura. Lei stessa era mutata più e più volte da quell'estate, spesso senza rendersene conto, e si era adattata alle situazioni più disparate trovando una forza che non pensava di poter avere.

La sorpresa di Phoebe nel vederla così presa dal piccolino era comprensibile, per lei stessa era stato quasi uno shock.

Ashley infatti portava bene impresso nella memoria il giorno della nascita di Evan.

Erano corse tutte quante in ospedale, lei, sua madre e persino una più che annoiata e sbuffante July quattordicenne, che al momento, nella sua immaturità da adolescente, riteneva più importanti i pettegolezzi con le amiche che diventare zia.

Perchè suo nipote aveva deciso di nascere proprio quando aveva una importantissima conversazione in sospeso con la sua amica?

In ogni caso stavano sedute in quel corridoio più o meno divorate vive da un'attesa snervante dopo aver lasciato Phoebe, dolorante e con evidenti tendenze omicide, per cui non invidiavano per nulla il suo caro fidanzato che la aveva seguita in sala parto.

Poi erano arrivate le urla strazianti ed Ashley aveva sbarrato gli occhi atterrita.

Sì, era vero, sua sorella non vantava di certo un alto livello di sopportazione della fatica e del dolore e nemmeno di nessun altra cosa a pensarci bene, ma santo cielo, sembrava che qualcuno la stesse sgozzando!

Non poteva essere solo un'esagerazione, doveva fare davvero tanto ma tanto male. Ovviamente Ashley sapeva come funzionava ma sentire con le proprie orecchie il suono reale di quella tortura ebbe su di lei un effetto a dir poco traumatizzante.

Diventò pallida come uno straccio, artigliò nervosamente la borsa che teneva in grembo e lanciò un'occhiata allarmata a sua madre, che ricambiò invece con uno sguardo rassicurante e un 'é normale, sta' tranquilla' più che prevedibile da chi aveva sfornato ben tre figlie e di certo non si lasciava impressionare da qualche strillo.

Anche se appariva controllata e serena, però, Ashley riuscì a scorgere comunque un pizzico di irrequietezza nei suoi occhi vigili e nel suo camminare avanti e indietro lentamente ma costantemente. C' era pur sempre sua figlia lì dentro, in preda a dolori lancinanti che lei conosceva bene per averli provati in prima persona e dentro di sé avrebbe pagato per risparmiarglieli e sopportarli al posto suo.

July invece era china sul suo telefono e tutto quel fracasso sembrava non toccarla per nulla, persa nel suo mondo già fin troppo complicato a quell'età.

Altre grida si udirono e incrinarono il già quasi assente amore di Ashley per i bambini.

Mentre stava rigida e in allarme, come dinanzi a un film dell'orrore della peggior specie, formulò il pensiero fermo e deciso di non avere mai figli e di ricordarsi di uccidere Matt nell'eventualità in cui avesse anche solo osato pensare di poterle infilare in pancia una di quelle creature generatrici di dolore.

Dopo l'ennesimo strillo, più intenso di tutti gli altri, cominciò persino a valutare l'opzione di praticare la castità per evitare qualsiasi rischio di incappare in quella disgrazia.

Infine il silenzio finalmente, quasi irreale dopo quei minuti interminabili di ansia.

Poi fu tutto un susseguirsi di avanti e indietro confusi da quella stanza finchè, in mezzo al caos più totale, mentre ancora il suo cervello doveva realizzare che cosa fosse successo, qualcuno, non ricordava bene chi, le aveva deposto quel fagotto tra le braccia.

Sembrava una ranocchietta, aveva il naso schiacciato per il trauma della nascita ed era minuscolo e così indifeso.

Non seppe capire quale incantesimo le avessero lanciato addosso, ma nel momento esatto in cui fissò quella testolina qualcosa dentro di lei si mosse, un istinto quasi viscerale e recondito che forse aveva seppellito chissà in quale angolo del suo cuore e che la riscaldò dall'interno. I suoi occhi si addolcirono mentre le mani tremavano e provò il desiderio di proteggerlo, di volergli bene e di poterci essere sempre per lui quando ne avesse avuto bisogno.

Quando qualcuno le tolse, poco dopo, il bimbo dalle braccia, l'unica cosa che ebbe il bisogno di fare fu afferrare il telefono e chiamare Matt.

La loro conversazione durò poco perché Ashley aveva una certa difficoltà a parlare.

«É nato sai, è... bellissimo, oh devi vederlo.. è incredibile..» balbettò con la voce che le tremava senza controllo, dopo aver udito il ragazzo rispondere dall'altra parte.

«Stai piangendo, Ashley?» le chiese.

«No»

«Stai piangendo»

Lo aveva capito, non era più una domanda, Matt sorrideva e anche lei, smascherata come sempre, anche quando tra di loro c'erano chilometri e solo un telefono a farli sentire meno distanti.

E anche senza vedersi sapevano di sorridere entrambi.

«Mi manchi, Matt» confessò in un sol soffio, carico di sentimento.

Da dove diavolo veniva ora tutta quell'emotività?

«Arrivo presto, amore, resisti»

E lei resisteva sempre, una promessa, sempre la stessa da un paio di anni e quel modo di chiamarla, che la faceva sciogliere come fosse la prima volta.

E lei sapeva che l'avrebbe mantenuta e stava bene, adesso.

 

«E l'esame com'è andato?» la riportò coi piedi per terra Phoebe.

Già l'esame, nemmeno ci aveva pensato più, certe cose perdevano inevitabilmente di importanza dinanzi ad altre e le ci era voluto un bel po' per capirlo.

«Bene»

«E quello scapestrato del tuo fidanzato? Quando ci degna della sua presenza? Se tarda ancora un po' troverà mio figlio che già sgambetta!» rise, notando gli occhi della sorella i quali, alla sola menzione di quel ragazzo, avevano acquistato una specie di luccichio.

«Arriva domani mattina. Sai che ultimamente è molto impegnato, oltre a studiare deve anche lavorare, è determinato ad andarsene a stare per conto suo a breve.» la informò Ashley.

Phoebe le dedicò una lunga occhiata e si accorse di una punta di tristezza sul suo volto.

«E tu, che farai?» le domandò, dopo aver riposto Evan nella sua culla per lasciarlo dormire al caldo e più tranquillo.

«Non capisco»

«Lo seguirai? Insomma, siete lontani e prima o poi arriverà il momento in cui dovrete avvicinarvi, no? Potrebbe essere il momento giusto!» dichiarò candidamente, secondo una logica impeccabile.

Ashley deglutì nervosamente, quello era un argomento che non avevano mai preso e lui, quando aveva accennato all'idea di andare a vivere da solo, non l'aveva mai inclusa in quel progetto. Lei non se ne era lamentata perché studiava ancora e non lavorava e anche perché, forse, pensare a una convivenza era troppo presto dopo solo due anni e mezzo, ma non poteva negare a sé stessa che qualcosa nel suo cuore stringeva e faceva male senza lasciarle scampo.

Forse lui non era pronto o forse era lei a non esserlo?

«Non ne ho idea Phoebe, non ne abbiamo mai parlato e.. beh, probabilmente è un po' prematuro farlo» tagliò corto, palesemente a disagio, e sua sorella capì che forse era meglio non approfondire quel tasto dolente.

Evan si risvegliò con un tempismo perfetto, e catturò la loro attenzione con un pianto da spaccare i timpani, pretendendo di essere cambiato all'istante e facendo ritornare prepotente il mal di testa alla povera Phoebe.

«Ci risiamo!» esclamò lei esasperata, mentre Ashley se la rideva e la seguiva per aiutarla.

 

 

Lo scorse finalmente dalla finestra dove si era appostata da un'ora piena e con uno scatto veloce si fiondò alla porta, senza curarsi di avere addosso solo un maglione leggero, non adatto a reggere il gelo esterno.

Non c'era nulla che potesse scalfirla adesso, dentro di lei sentiva infiammare un incendio che nessun inverno avrebbe potuto mai spegnere.

Lo vide farsi sempre più vicino, avanzare sulla neve con incertezza, rivelando la sua totale inesperienza nel camminarci sopra, stretto in un cappotto nero che faceva risaltare la sua pelle chiara resa più pallida dal freddo, mentre i capelli biondi risplendevano sotto il sole, che timido sbucava da dietro le nubi dense.

Sentì già le guance imporporarsi al pensiero di poterlo toccare e respirare il suo profumo di nuovo, il suo ossigeno vitale.

Quanto le era mancato in quelle tre dannatissime e lunghissime settimane?

Il suo cuore, già impazzito da quando aveva intravisto quella figura, perse un battito e parve fermarsi quando il ragazzo puntò i suoi occhi su di lei e sorrise, accelerando il passo.

Non resistette e gli andò incontro, poi quando lui allargò le braccia gli si gettò addosso, rischiando di fare cadere rovinosamente entrambi sul selciato. Per fortuna la schiena forte di Matt resse il contraccolpo e d'un tratto erano di nuovo cuore su cuore, avvinghiati in quell'abbraccio disperato a tal punto da farsi male di quel dolore che li faceva rinascere vivi tutte le volte, come una fenice dalle sue ceneri.

E quel copione si ripeteva e tornava tutto a posto come per magia, come un equilibrio sovrannaturale ripristinato da chissà quale fenomeno paranormale, le mani tra i capelli, la faccia sul suo petto, le sue braccia dietro la schiena a intrappolarla, i loro corpi stretti e uniti e poi gli occhi negli occhi, e le labbra che con fin troppa violenza si cercavano, si schiudevano, si rincorrevano.

Se qualcuno avesse chiesto loro se quei due anni fossero stati facili avrebbero senza dubbio risposto che no, non lo erano stati affatto.

La vita vera non era una favola, non era rose e fiori, non aveva unicorni o arcobaleni perenni.

La vita vera era fatta di attese, di solitudine e della sensazione di impazzire quando si sentiva forte il bisogno di avere la persona amata accanto.

Era fatta di silenzi e di incomprensioni, di lunghe e asettiche conversazioni telefoniche per risolvere qualche litigio senza potersi guardare negli occhi e fare l'amore per sancire la pace ritrovata, di gelosia, che come una serpe velenosa a volte si insinuava nei cuori più saldi e bastava un niente per ferirsi, per accoltellarsi con parole dette senza pensarle davvero.

Ma loro avevano imparato che nulla, neanche la peggiore di quelle ipotesi valeva a malapena la metà di quegli abbracci intensi, dei baci scomposti e disordinati dati quasi alla cieca tanta era la foga di sentirsi, delle parole d'amore sussurrate piano all'orecchio nel buio della notte, stretti sotto le lenzuola, delle risate e la marea di cose da raccontarsi che li tenevano impegnati ore e ore senza stancarli mai.

Nemmeno una volta si erano pentiti della scelta fatta quell'estate, nonostante tutto.

«Dio, quanto sei bella, mi sei mancata da morire» sussurrò Matt, con la voce un po' roca e il respiro affannato, mentre i suoi occhi azzurri vagavano di nuovo indisturbati lungo il viso di Ashley, facendola irrimediabilmente arrossire, e le mani giocavano coi suoi capelli.

«Anche tu, ma adesso siamo qui – gli sorrise con la speranza di nuovo negli occhi, per poi poggiargli entrambe le mani sul viso – sei freddissimo» mormorò, carezzandogli i lineamenti adesso più maturi rispetto a qualche anno prima. Era cresciuto anche lui.

Matt non rispose ma le si gettò di nuovo sulle labbra, stuzzicandola con la sua lingua e afferrandola per i fianchi per ripristinare quel contatto che si era affievolito mentre avevano parlato.

Ashley rabbrividì, tre settimane erano state troppe e lei lo voleva adesso, non poteva più aspettare oltre e i gesti di Matt parlavano altrettanto chiaro. Non si curarono dello spettacolo fin troppo focoso che stavano dando dinanzi alla porta di casa sua.

«Dobbiamo andare subito da tua sorella?» le chiese mentre fremeva, sperando in una risposta che potesse conciliare con quel suo desiderio impellente di sentirla di nuovo sua, col corpo e con l'anima.

«No – mentì Ashley, era una bugia e lo sapeva ma non riusciva a resistere – non c'è nessuno a casa, sono tutti da Phoebe» lo informò, soffiandogli sul collo e scorgendo con la coda dell'occhio il sorriso malizioso sul suo volto.

Nemmeno due minuti dopo erano dentro, appoggiati a una qualunque superficie della casa che permettesse loro di potersi di nuovo esplorare.

Matt la spinse contro la parete, le sue mani risalirono lungo i suoi fianchi, facendole scappare un gemito, mentre le labbra non la mollavano un secondo.

La mente di Ashley si annebbiò del tutto quando lo sentì afferrare l'apertura dei suoi jeans per farglieli scivolare via con impazienza, lo voleva come lui, esattamente allo stesso modo e in un gesto istintivo attorcigliò le gambe attorno ai suoi fianchi per approfondire il contatto tra i loro corpi.

Matt la prese in braccio a la trascinò sopra il primo mobile che trovò a disposizione e che per loro fortuna fu un divano, poi si lasciò togliere i vestiti, socchiudendo gli occhi al passaggio della bocca di Ashley sul suo collo e con una presa salda sulle ginocchia della ragazza gliele fece dischiudere per potersi adagiare in mezzo alle sue cosce.

Lei gli piantò le unghie sulla schiena in maniera poco delicata, voleva sentirlo suo, lo voleva lungo il suo corpo, sopra di lei e dentro di lei, dappertutto. Ancora una volta, per sempre, per tutta la vita.

Nessun altro, solo lui.

Desiderò che non se ne andasse più, che rimanesse con lei, che potessero condividere tutto, e forse impazzita o troppo presa dal momento, pensò che sì, lei adesso ne era certa, era pronta a passare la sua intera esistenza con quel ragazzo, con lo stesso che intanto aveva cominciato a far scontrare i fianchi contro i suoi, respirandole sul petto e facendola annegare in un piacere che le portava via il fiato ogni santa volta e la costringeva ad ansimare.

Al diavolo la castità e tutti quei pensieri balordi che aveva formulato due settimane prima e che erano stati sostituiti adesso da altri forse ancora più folli ma, finchè si muoveva su di lei, finchè la accarezzava e baciava come fosse la cosa più preziosa che avesse, tutto sarebbe andato a meraviglia, non poteva che essere così, non potevano che crederci.

Lo amava da più di due anni ma era come se lo amasse da una vita intera, era la persona a cui aveva affidato la sua anima fin da subito, colui che era riuscito a comprenderla là dove nemmeno lei stessa era arrivata e inebriata da quei pensieri si lasciò andare, rilassandosi subito dopo, esausta ma felice.

Abbandonò il collo all'indietro e socchiuse gli occhi, ormai in totale balia di Matt, incapace di mettere a fuoco nient'altro attorno a loro, prima di sentirlo accelerare e tenerla stretta con più forza sotto di lui, per poi rilassarsi e affondare la testa nell'incavo del suo collo, schiacciandola col suo corpo, appagato esattamente come lei.

Dovettero passare un bel po' di minuti buoni prima che riuscissero a staccarsi l'uno dall'altra e a riacquistare lucidità e la capacità di parlare.

Era così ogni volta che si ritrovavano ed Ashley si chiese se lo sarebbe stato anche se avessero diviso ogni giorno insieme.

La sua testa portava ancora le tracce sbiadite dei pensieri che aveva elaborato travolta dall'unione con lui. Il sesso le faceva male, abbatteva tutte le sue difese e i suoi filtri e portava allo scoperto i suoi desideri più segreti e inconfessabili, quelli che teneva celati anche a sé stessa e che aveva paura ad ammettere.

Per fortuna Matt non era ancora capace di leggerle nella mente, specialmente quando era impegnato in attività piacevoli come quella appena consumata, o avrebbe dovuto giustificare qualcosa che ancora faticava a confessare.

Voglio passare la vita con te.

Perchè era così difficile dirlo adesso che l'euforia del momento stava svanendo?

 

«Siete in ritardo» borbottò Phoebe, con un sopracciglio sospettosamente sollevato e le braccia incrociate, mentre gli occhi di tutta la sua famiglia si poggiavano contemporaneamente sui due ragazzi appena arrivati, facendoli sentire sotto inquisizione.

«C'è stato molto traffico in autostrada» si giustificò Matt, cercando di risultare convincente, ma le loro facce rilassate e fin troppo sorridenti lasciavano presagire un'altra motivazione, più ovvia ma meno confessabile in pubblico.

Delle risatine curiose e qualche bisbiglio indistinto si levarono da un gruppetto di ragazzine tra cui Matt riuscì a distinguere solo July e i suoi capelli lunghissimi e scuri. Aveva portato due sue amiche appositamente per vantarsi di avere il cognato più bello del mondo, a detta sua, e a quanto pareva dagli apprezzamenti fatti e dalle occhiate furtive, dovevano essere d'accordo anche le altre. Ashley la fissò accigliata e July le rispose scoppiando a ridere, mentre le sue amiche sospiravano e la guardavano con invidia.

Le quindicenni erano davvero incorreggibili ormai e lei e sua madre se ne stavano accorgendo fin troppo bene.

«Non sei curioso di vedere mio figlio?» gli chiese Phoebe, avvicinandosi al biondo e poggiando le braccia sui fianchi in maniera quasi minacciosa.

«Spero solo che non strilli come te!» la apostrofò Matt, continuavano a punzecchiarsi e ormai tutti si erano abituati ai loro battibecchi.

«Eccome se lo fa!» rispose Peter, con un'aria da cane bastonato che lasciava intuire che avesse pienamente sperimentato le urla del neonato in piena notte.

«É di là nella culla, Ashley pensaci tu» le ordinò Phoebe, che non aveva intenzione di rinunciare a uno dei rari momenti in cui poteva riposarsi.

La rossa prese per mano il suo ragazzo e lentamente e intimandogli di fare molto piano, lo condusse nella camera del bimbo.

Matt rimase un poco più indietro, intimorito dal clima quasi sacro che si respirava, finché la vide abbassarsi sulla culla ed emergere con un involtino bianco tra le braccia, lo stringeva amorevolmente al petto e lo guardava con una dolcezza che lo annientò e gli fece saltare più di un battito.

Amava Ashley e ai suoi occhi era sempre apparsa come bellissima e attraente, pura e nello stesso tempo forte ma anche un po' tormentata e in lotta perenne con sé stessa. Non era un essere perfetto e sublime e anche per quello l'aveva colpito così tanto, oltre ad altri migliaia di motivi.

Eppure adesso vedeva un lato diverso di lei, lo sguardo premuroso, dolce all'inverosimile, i movimenti gentili e attenti, l'espressione ricolma di tenerezza, delicata come solo quella di una madre sa essere.

Era ipnotizzato. Non riusciva più a staccare gli occhi da lei.

Fu come se si fosse innamorato una seconda volta.

La sua fronte si contrasse appena per quell'emozione forte che aveva attraversato il suo petto, lasciandolo confuso e tramortito.

«Matt, ci sei? Che ti prende?» le chiese lei a bassa voce per non disturbare il sonno del nipotino, improvvisamente più vicina.

«Eh? Non ho niente...tranquilla» biascicò, facendole assumere un'espressione perplessa che però sparì veloce.

«Allora, l'hai visto? Vuoi prenderlo in braccio?» gli propose.

«Non saprei, sembra così fragile, ho paura di romperlo» mormorò, dando una sbirciata fugace alla creaturina, timido e impacciato per quella situazione così nuova e che lo aveva stordito.

Perchè per una frazione di secondo aveva visto Ashley come la compagna della sua vita, la donna che avrebbe voluto per sempre al suo fianco, l'unica e sola.

Aveva intenzioni serie con lei e ogni tanto ci pensava anche lui al suo futuro, ma in quell'istante ebbe come l'impressione di vederlo in faccia quel futuro ed aveva il viso angelico e le movenze soavi della sua stupenda ragazza. Quell'immagine non fece che confermargli qualcosa che ribolliva in pentola da un po' e che aspettava il momento giusto per venire fuori.

Forse era arrivato.

«Siediti, sù, ti verrà più facile!» continuò ad esortarlo lei e Matt non poté fare altro che ubbidirle, mosso da quelle strane sensazioni.

Delicatamente Ashley gli passò il neonato, avendo cura di spiegargli come tenerlo per non fargli male e per essere sicuro che non gli cadesse.

E Matt lo fece, all'inizio fu strano, quel cosino era minuscolo e dormiva e aveva il terrore di svegliarlo o di dargli fastidio, ma poi la sua presa si fece più naturale.

Ashley si perse a guardarlo, le sue mani chiare, insicure ma salde, gli occhi che avevano perso quell'aria pungente, il profilo più maturo adesso che aveva 25 anni e si accingeva a diventare un uomo, il suo uomo.

Dove stavano andando loro due? Si stavano addentrando davvero così in fondo?

Si perse tra quelle domande e Matt la ridestò poco dopo. Doveva avere sentito il peso dei suoi occhi su di lui.

«Ehi, cos'è quello sguardo sognante? Non è che abbiamo combinato un casino e c'è qualcosa che devi dirmi?» le domandò, con un'espressione vagamente preoccupata.

«Ma no, stupido, non sono incinta se è questo che pensavi – lo tranquillizzò, tirandogli un colpo leggero sulla spalla – solo che... beh, fa impressione vederti così, ma un'impressione bella, ecco» sussurrò, arrossendo appena per ciò che aveva detto. Aveva paura che non la prendesse nel verso giusto, che non riuscisse a capire quello che stava provando, ma ovviamente lo sottovalutava.

Lui aveva capito esattamente quel concetto perché era proprio ciò che gli frullava nella testa nel medesimo istante.

«Hai cambiato idea sui bambini?» le chiese poi, lasciando che gli togliesse Evan dalle braccia per riporlo nella sua culla e uscire dalla stanza.

«Beh, devo ammettere che sono carini finché non devi cambiare loro il pannolino»

Risero insieme, poi si guardarono negli occhi in maniera eloquente, senza bisogno di parlare.

Che genitori sarebbero stati loro? Ce l'avrebbero fatta, nonostante le strampalate famiglie da cui provenivano e le esperienze che li avevano segnati?

Ancora domande inopportune.

Forse un giorno, forse in futuro, forse si poteva fare...insieme.

«Ti amo» le disse all'improvviso, leggendole la mente.

Ashley gli rispose allo stesso modo, poi poggiò la testa sulla sua spalla e gli permise di cingerle dolcemente la vita con un braccio.

Rimasero fermi così, portavano ancora addosso l'odore di ciò che era successo prima, della bramosia che li aveva spinti ad unirsi fisicamente senza via di scampo, mentre adesso li teneva vicini qualcos'altro ancora, una forza diversa.

Quanti altri innumerevoli modi conoscevano per completarsi a vicenda?

 

 

Tyler stava molto più attento a studiare bene i segnali e le emozioni da quando si era illuso di essere ricambiato dalla sua migliore amica, fallendo clamorosamente.

Nel periodo successivo al chiarimento con Ashley, che li aveva allontanati senza rimedio, aveva continuato a vedersi con Sophia.

Pure quando avrebbe voluto trattenersi alla fine non ce la faceva, le domandava sempre cosa stesse facendo Ashley e soprattutto se la storia con quel tipo odioso e insolente andasse avanti.

Succedeva un fenomeno particolare dentro di lui ogni volta che le poneva quella domanda: si sentiva come spaccato a metà, una parte di lui augurava ad Ashley tutto il bene del mondo e sperava quindi che la risposta di Sophia fosse positiva, un'altra, la peggiore e la più difficile da mandare via, subdolamente continuava a sperare che fosse finita, che lui l'avesse fatta soffrire o che lei fosse rinsavita e lo avesse mandato a quel paese, dove meritava di stare.

E Tyler sapeva che finchè quella spaccatura avesse continuato ad esistere e a ripresentarsi non avrebbe potuto dire di essere guarito del tutto, perché per lui era un cazzata l'idea che quando si amava bisognava desiderare solo che l'altra persona fosse felice anche se non ricambiava.

Quello non era amore, era forse un altro sentimento più assimilabile all'amicizia vera, ma non era amore.

Per lui l'amore era egoista e non poteva che pretendere di essere ricambiato perché la sua stessa essenza era proprio il poter avere accanto l'oggetto dei propri desideri e solo così si compiva.

Come faceva ad essere felice al pensiero che in qualsiasi momento della giornata ci fosse un altro che la baciava e che ci faceva l'amore tutte le volte che voleva?

Quella fatidica domanda era diventata il suo banco di prova e ogni volta che, nell'attesa della risposta, quella voce malefica rimbombava nella sua testa, capiva di essere ancora innamorato.

Evitava Ashley e quando si incontravano per strada voltava il viso da un'altra parte. Qualche volta l'aveva anche scorta insieme a quel biondo da strapazzo, le teneva la mano con una tranquillità disarmante, come se fosse sicuro di non perderla e che nessuno gliel' avrebbe mai portata via.

Tyler sapeva che la amava, lo aveva compreso già la volta in cui aveva rischiato di prendersi un pugno da lui, ma semplicemente era ancora presto perché li potesse fissare senza sentirsi attorcigliare le viscere.

Sophia era partita poco dopo e, senza l'unico anello di congiunzione tra lui ed Ashley, si era ritrovato a non capire se quello spacco nel suo cuore esistesse ancora.

Aveva frequentato altre persone e aveva persino avuto qualche storia con delle ragazze, una era addirittura durata sei mesi. Si erano lasciati alla fine ma per motivi che non avevano niente a che fare con Ashley.

Era passato dell'altro tempo prima che Tyler fosse riuscito a percepire che il suo cuore si stesse lentamente ricucendo.

Era successo per caso prima di Natale, aveva incontrato la sorella maggiore di Ashley e stranamente la ragazza lo aveva fermato. Tyler aveva notato il pancione che sporgeva inequivocabilmente dal suo cappotto: era incinta.

Phoebe stessa si era meravigliata di avere avuto l'istinto di fermare quel ragazzo che tanto le stava antipatico, ma forse la gravidanza, oltre ad averle sconvolto il fisico e l'umore, l'aveva resa anche più sensibile e magnanima.

Ashley si faceva ancora triste quando pensava al suo ex amico e le era balenato in testa che chiedergli come stava e poterlo riferire alla sorella fosse una cosa carina.

Tyler aveva colto l'occasione per rivolgerle quella domanda critica, quella che di solito faceva a Sophia e che da un po' non aveva più potuto fare.

E quella voce era diventata solo un'eco lontana. Sì, c'era ancora, ma stava scomparendo, ed era persino riuscito a sorridere quando Phoebe gli aveva detto che sua sorella era innamorata persa e che la loro storia continuava più forte che mai nonostante le difficoltà.

Aveva gioito come fa un amico.

Aveva ripreso a salutare Ashley dopo quella volta, poi un giorno aveva intravisto Phoebe per strada, di nuovo magra e aveva capito cosa fare.

Prese il telefono quella mattina e scorse la sua rubrica fermandosi su un nome che, da moltissimo tempo, non gli capitava più di leggere su quello schermo. Senza indugi fece partire la chiamata e dopo vari squilli sentì la voce di Ashley.

Era meravigliata e nervosa allo stesso tempo, doveva essere stata una sorpresa per lei e quel pensiero lo fece sussultare di felicità.

«Ashley, volevo solo farti gli auguri per la nascita di tuo nipote, o forse è tua nipote, non so cosa sia, in realtà.» disse, con la voce solo un po' incrinata dall'imbarazzo, tanto che dovette fare un colpo di tosse subito per schiarirla.

«Oh, grazie...è.. è un maschietto comunque, si chiama Evan» aveva mormorato Ashley, la mano che reggeva il telefono ghiacciata e il cuore che le batteva a mille mentre il suo cervello forse doveva ancora realizzare quello che stava succedendo.

«Sono felice per te, sono sicuro che sarai una zia bravissima, solo un po' rompiscatole, forse»

Risero entrambi, per poi sgranare gli occhi.

Incredibile, riuscivano anche a scherzare adesso? Non è che lentamente stava tornando davvero tutto a posto?

«E tu come stai, Tyler?» azzardò Ashley, determinata a sfruttare quell'occasione piombatale dal cielo.

«Io tutto bene, solita vita, gli allenamenti, il lavoro, non ho molte novità – rispose il ragazzo dopo qualche esitazione – e tu?» gli domandò a sua volta.

«Bene, d'estate dovrei finire l'università e poi mi metterò alla ricerca di uno studio in cui poter cominciare a fare della gavetta.» rispose semplicemente, senza tirare in ballo Matt e la sua relazione per non ferirlo.

«Andrai da lui?»

Ashley rimase spiazzata. «Come?» chiese confusa.

«Intendo dal tuo ragazzo, non era solo l'università a tenerti ancora legata qui? Suppongo che una volta finita non ci sia più nulla a trattenerti.» Tyler rabbrividì, ne stava parlando di sua iniziativa e non faceva più male, sì, era un tantino strano ma non doloroso.

Ashley però esitava, non gli rispose subito.

«Non lo so, siamo a Febbraio, manca ancora così tanto e...sai com'è, ci sono molte cose da valutare ancora..» rispose evasiva.

«Capisco, beh, allora ti saluto» concluse Tyler, come prima conversazione dopo anni poteva anche bastare in fondo. Fece per chiudere la telefonata quando la voce di Ashley lo bloccò.

«Tyler – l'aveva chiamato – vienimi a trovare qualche volta, quando potrai... mi farebbe piacere»

Non gli stava dando un termine o una scadenza, lo stava lasciando libero di incontrarla quando sarebbe stato pronto.

«Ok, vedremo»

La chiamata si interruppe ed Ashley rimase con telefono poggiato sul petto, frastornata ma felice. Forse il tempo davvero aggiustava le cose, come dicevano tutti.

 

Quei quattro giorni volarono in fretta e ancora una volta, come un rituale visto e rivisto, arrivò l'ultima sera da passare insieme.

Avevano parlato tanto lei e Matt in quei giorni, del lavoro, dei progetti futuri, delle paure e si erano sostenuti a vicenda.

«Non posso crederci che devi andare di già via» si lamentò Ashley, inginocchiata sul materasso, stringendo da dietro il suo ragazzo, seduto sul loro letto e chino a riorganizzare la sua valigia.

Altri giorni di attesa li aspettavano al varco e sapevano entrambi quanto difficile fosse.

«Mi dispiace tanto Ashley, ma non potevo assentarmi da lavoro troppo, e poi ho anche degli esami a breve e se voglio finire il prossimo anno devo sbrigarmi» le spiegò, mortificato.

Ashley annuì silenziosa sulla sua schiena senza parlare, rassegnata.

Matt allora si voltò verso di lei e le prese il viso tra le mani, guardò i suoi occhi lucidi, la sofferenza che emanavano ma anche quella forza incredibile che li aveva sospinti fin dove erano adesso. Provò di nuovo la stessa sensazione di calma e di sicurezza che aveva sentito giorni prima, quando l'aveva vista tenere quel bambino in braccio e capì che era arrivato il momento giusto.

Non poteva più rimandare a costo di fare la figura del pazzo irresponsabile.

Le strinse le mani forte e scattò in piedi, costringendola a fare lo stesso.

Ashley aggrottò le sopracciglia stupita da quel movimento repentino che l'aveva colta alla sprovvista e lo fissò curiosa e in allerta.

«Ascolta Ashley, c'è una cosa che vorrei dirti – iniziò serio, facendola sussultare, di solito le frasi che cominciavano così o preannunciavano qualcosa di meraviglioso o qualcosa di terribile e si chiese a quali delle due opzioni fosse destinata, trattenne il respiro – questo periodo ci ha messo a dura prova ed è stato tremendo, odioso e pesante da sopportare e la cosa peggiore è che continuerà - Ashley deglutì con dolore, non sembrava proprio niente di buono, la stava forse lasciando? Era così? Voleva lasciarla? Il panico si dipinse sui suoi occhi – ho riflettuto tanto in questi mesi, su di noi, su quello che ci sta succedendo e sono arrivato a una conclusione. Mi spaventavo un po' ad ammetterlo ma in questi giorni... non so, ho come avuto la conferma che mi serviva»

Ashley socchiuse gli occhi e restò in silenzio, aspettando la sua condanna a morte, perché di quello si trattava, l'aveva capito ormai, anche se non riusciva a spiegarsi come fosse possibile, lui le era sembrato il solito, l'aveva stretta, amata, come faceva sempre.

Cos'era successo in quell'ultima sola notte a fargli cambiare idea? O aveva solo finto e si era preso gioco di lei?

'Ora lo dice, adesso mi dice che mi lascia, è finita' pensò tra sé e sé, angosciata e delusa.

«Io non so come dirtelo in modo decente, sai... non sono mai stato bravo con queste cose – farfugliò, fremendo sul posto e ondeggiandosi sui talloni come se qualcosa lo divorasse dall'interno, mentre le mani reggevano ancora salde le sue – oddio.. è così difficile... ma non posso più rimandarlo, mi dispiace – si stava anche scusando, come poteva scusarsi per il dolore che le avrebbe inflitto di lì a poco? Sentì le lacrime farsi spazio ma non voleva piangere – Ashley.. ecco, insomma...tu... vuoi venire a vivere con me?» disse in un solo respiro, col viso stravolto per quella domanda così importante ma di cui ormai era sicuro.

Ashley sbarrò gli occhi a tal punto che le sembrò che da un momento all'altro le cadessero fuori dalle orbite e la sua bocca si aprì per la meraviglia.

Non erano le parole che aveva pensato di doversi aspettare, non la stava lasciando, decisamente no, al contrario le stava chiedendo di fare con lui un grandissimo passo, uno di quelli che le giravano in testa da un po' ma che non aveva avuto il coraggio di ammettere.

Quanto stupida e idiota era stata anche solo a pensare che la stesse lasciando? Nemmeno tutti gli insulti che esistevano sulla faccia della terra potevano riassumere come si sentiva.

Lui la voleva eccome e non solo, la voleva tutti i giorni della sua vita.

La testa le girò e le sue mani si aggrapparono alle braccia di lui di riflesso, per sostenersi.

Matt aspettava una risposta ma le corde vocali di Ashley non collaboravano, la vista le si era quasi appannata e il mondo attorno a lei sparì.

«Non intendo domani, non subito – specificò Matt, che aveva interpretato la sua reazione come la paura per quel cambiamento improvviso – so benissimo che tu vuoi avere la tua indipendenza, vuoi lavorare e stai finendo gli studi e voglio fortemente che lo fai, ti ho sempre incoraggiata e sostenuta in questi anni perché non mollassi per colpa mia, sei brava, molto più di me. Accanto a me voglio te, la ragazza che amo, quella che sta lottando per il suo futuro con grinta, per esser autonoma e realizzare i suoi obiettivi e voglio che costruiamo insieme il nostro futuro. Ho solo pensato che.. beh, la mia città è molto grande e offre tante opportunità e forse, una volta finito, col tuo curriculum brillante avresti potuto trovare un buono studio in cui inserirti, ma sempre se è quello che vuoi anche tu e..» un dito di Ashley si piantò sulle sue labbra facendolo tacere. Aveva già sentito abbastanza e non voleva restare lì come uno stoccafisso dandogli l'impressione di essere insicura e dubbiosa, perché non lo era affatto e adesso voleva dimostrarglielo.

Lo voleva come lui.

«Basta così Matt, sì, certo che lo voglio – esclamò, mentre si asciugava veloce qualche lacrima che le era colata sul viso senza che potesse impedirlo, lacrime che si era formate ai suoi occhi per paura ma che si erano trasformate in gioia – è che sono così felice da non riuscire a dire qualcosa che non sembri stupido e...certo che voglio vivere con te...solo mi hai spiazzata, avevo paura che pensassi fosse presto e che non dovevamo parlare di queste cose» balbettò, volgendo lo sguardo a terra e poi di nuovo negli occhi del ragazzo, che adesso sorridevano.

Lo voleva come lei.

«Perché mai avrei dovuto avere dubbi? Io ti amo Ashley, non è forse per questo che stiamo insieme, che sopportiamo quei lunghi giorni lontani, che viviamo per rivederci? Io penso che sia arrivato il momento di concederci un po' di serenità. Vedi, non te l'ho detto prima perché volevo esserne più sicuro, ma ci sono buone probabilità di poter iniziare a lavorare in un posto che si occupa di elettronica e c'entrano anche gli strumenti musicali, quindi meglio di così.. posso farlo anche prima di prendere la laurea, anche se partirò dal basso, ovviamente, ma mi basterà per andare via di casa e poi tu mi raggiungerai e insieme ce la faremo, lo so!» le promise con ottimismo, stringendola ancora di più per la vita.

Lo volevano entrambi.

«Beh, sono sicura che troverei qualcosa di interessante lì da te per cominciare la mia gavetta, quindi mi sa che mi conviene non rifiutare la tua proposta» lo prese in giro, ormai l'angoscia provata prima era solo un brutto ricordo e aveva lasciato spazio a un'incontenibile felicità.

Si baciarono a lungo prima di finire abbracciati sotto le lenzuola a ridere e pensare a come organizzare il tutto, alla faccia sconvolta che avrebbe fatto suo padre a quella notizia e al lavoraccio che attendeva Monica per farglielo andare giù, al padre di Matt che avrebbe fatto i salti di gioia ad avere di nuovo la casa libera per le sue avventure galanti, a Nancy e alla malinconia che l'avrebbe assalita insieme a una sconfinata felicità per la figlia, a July e alle sue lamentele sul fatto che si sarebbe trovata senza nessuno a cui raccontare le sue future cotte o delusioni d'amore, ma che avrebbe gioito di sicuro nel potersi appropriare di una stanza più grande, a Phoebe e al suo piccolo Evan che, senza rendersene conto aveva dato un contributo alla vicenda, facendo affiorare in loro emozioni nascoste, come solo la magia che circonda i bambini sa fare.

Ashley si appuntò che avrebbe avuto un sacco di cose da dire a Sophia la prossima volta che si sarebbero sentite e ancora di più quando l'avrebbe di nuovo fisicamente potuta abbracciare, facendosi solleticare il viso da quella sua massa di riccioli invadenti.

E chissà, forse avrebbe potuto parlare di nuovo anche con Tyler, un giorno, una prospettiva che non sembrava più così irreale dopo quella telefonata.

Accarezzò i capelli morbidi di Matt nella penombra e poi si perse nel blu dei suoi occhi, prima di scivolare ancora più a fondo nella sua stretta.

Quei mesi che li separavano sarebbero volati in fretta adesso che quella prospettiva rosea li avvolgeva e li sospingeva insieme verso la primavera.

Febbraio era davvero stato un mese stupendo per Ashley.

Ora non c'erano più domande che terrorizzavano o dubbi atroci, ma solo un futuro insieme sempre più vicino e concreto, sempre meno pauroso.

E lui le dormiva accanto adesso, il suo compagno di vita, l'altra metà della sua anima, il suo tutto, il suo domani, per sempre.

 

 

FINE

 

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Rohhh