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Autore: Shadow writer    03/01/2017    2 recensioni
Dopo l'ultimo caso, che ha messo in discussione la sua carriera e la sua vita, il detective Harrison Graham credeva di aver finalmente trovato la pace insieme alla figlia, Emilia, e alla donna che ama, Tess. Ma un nuovo ed imprevisto caso lo trascina in un'indagine apparentemente inverosimile, in cui nulla è ciò che appare e nessuno appare per ciò che è. La ricerca lo costringe a collaborare con il suo acerrimo nemico, Gibson, ma soprattutto porta alla luce il fantasma del passato di una persona a lui molto, molto vicina, e a realizzare che forse, il detective non l'ha mai conosciuta veramente...
[AVVISO: "Smoke and Mirrors" è il seguito di "Blink of an eye", che potete trovare sul mio profilo]
Genere: Mistero, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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7_ Renegade 

 
 
Mercoledì
L'abitacolo dell'auto era silenzioso, ad eccezione del rumore sordo della dita di Harrison che tamburellavano contro il volante.
Tess guardava fuori dal finestrino il paesaggio della città, illuminato dagli ultimi residui della luce del tramonto.
Dopo aver ascoltato per una ventina di minuti il ritmo nervoso delle dita contro il volante, la donna si decise ad accendere la radio e il suono piacevole della musica si diffuse nell'abitacolo.
Harrison sobbalzò e si affrettò a spegnerla.
«Non farlo più!» borbottò «La musica mi innervosisce»
Lei alzò gli occhi al cielo: «Certo, e da quando?»
«Da quando stiamo per incontrare i tuoi genitori, di cui non so assolutamente e che non sanno nulla di me. E da quello che io invece so, voi non siete in buoni rapporti»
Tess strinse le labbra: «Diciamo che più che altro mancano proprio i rapporti. È da un po' che non li vedo»
Harrison continuava a ticchettare con i polpastrelli sul volante.
«È che non sono abituato a questa cosa» continuò «Sono ancora giovane, ma non riesco più a considerarmi come un innamorato con tante speranze per il futuro. Quando mi chiederanno quali sono le mie ambizioni, risponderò parlando al presente. Ho un lavoro fisso e una figlia. E a ventotto anni ho realizzato le ambizioni della maggior parte della popolazione americana»
«Cosa vuol dire "ambizioni", papi?» domandò Emi dal sedile posteriore.
Harrison le lanciò un'occhiata attraverso lo specchietto e nel riflesso vide il volto accigliato della bimba. 
«Un'ambizione è qualcosa a cui aspiri, che vuoi diventare o fare»
«E la tua ambizione è diventare un papà?»
Lui sorrise: «Certo, ma lo sono già, grazie a te»
Prima che qualcuno potesse aggiungere altro, Tess indicò il bordo della strada: «Ecco, accosta qui»
Harrison obbedì e si avvicinò alla giovane donna che li stava aspettando.
«Siete in ritardo» sentenziò Nell salendo a bordo dell'auto.
«Questa volta non è stata colpa mia!» replicò Tess e lanciò un'occhiata al guidatore.
«E va bene, ero indeciso sulla scelta dei vestiti. Non potevo presentarmi troppo trasandato, ma neanche troppo elegante»
«Tu sai almeno cosa significhi "elegante"?» replicò Nell scettica.
«Dovrebbe essere quel genere di abiti che ti copre un po' più dei tuoi abiti "da sera"» commentò lui a tono, guadagnandosi una gomitata da parte di Tess.
La sorella, invece, sembrò divertita dalla risposta pronta dell'uomo e non aggiunse altro.
«C'è qualcosa che dovrei sapere sui vostri genitori prima che li incontri?» domandò Harrison, stringendo nervosamente il volante.
«Niente sarcasmo, mamma non lo sopporta» rispose Nell.
«È per questo che non andate d'accordo?» chiese lui ironico, guardando Tess.
La donna strinse le labbra, ma non ribatté.
«Cerca di essere cortese nel modo di fare, per quanto possibile» continuò l'altra.
«È per questo che abbiamo portato Emi» si aggiunse Tess «Ha una sorta di effetto calmante su Harrison» 
Nell ridacchiò e ammiccò alla bimba seduta al suo fianco, che nonostante la conoscesse ormai da qualche tempo, ne era comunque intimorita.
«Quando hai detto alla mamma che sareste stati in tre, mi ha chiamata per chiedermi cosa sapevo. Le ho risposto che avrebbe dovuto aspettare» aggiunse ancora Nell.
Tess alzò gli occhi al cielo e prese un respiro profondo.
Nonostante fosse immobile, al contrario di Harrison, anche il suo nervosismo era evidente, dal modo in cui spostava gli occhi sulla strada, dalle mani attorcigliate convulsamente e la mascella contratta.
«Curva a destra» spiegò poi indicando la via e seguendo le sue indicazioni, Harrison raggiunse una villetta di due piani preceduta da un giardino ordinato.
Stava ormai calando il buio e i lampioni erano accesi ad illuminare la strada.
I quattro scesero dall'auto e si avvicinarono alla porta d'ingresso, di legno chiaro. Ad Emilia era stata affidata la torta che avevano preparato insieme prima di partire e la bimba la sorreggeva attenta a non farla cadere.
Tess si fermò davanti alla porta, stringendo i pugni, poi si voltò e lanciò uno sguardo ad Harrison.
L'uomo abbozzò un sorriso che doveva essere d'incoraggiamento, ma risultò come il suo solito sorrisetto sghembo.
Lei prese un respiro profondo e tornò a guardare la porta, ma prima di potersi muovere, Nell scivolò davanti a lei e premette il campanello al suo posto.
La sorella la fulminò con un'occhiataccia e qualche secondo più tardi, la porta si aprì rivelando un uomo alto dallo sguardo placido e un paio di baffi ingrigiti.
«Ciao papino» salutò Nell ed entrò in casa senza tante cerimonie.
L'uomo la salutò senza guardarla, perché i suoi occhi erano fissi su Tess.
Lei si stava mordendo nervosamente le labbra.
«Ciao papà» disse in tono esitante.
«Ben tornata a casa, Tessie Bear» replicò lui e la strinse tra le braccia.
La donna si lasciò avvolgere dall'abbraccio caloroso, annusando il profumo di menta del padre.
Era come se nulla fosse cambiato. 
Tess ricordava quel profumo che percepiva sugli abiti dell'uomo e nel suo ambulatorio, quando andava a trovarlo al lavoro. Il profumo di quando la salutava prima di uscire di casa, con un bacio che le solleticava la guancia per i baffi, di quando si sedeva al suo fianco, di quando l'abbracciava.
L'uomo si staccò da lei, sciogliendo l'incanto e spostò lo sguardo alle sue spalle.
«Papà, loro sono Harrison ed Emilia» li presentò lei.
«È un piacere conoscerla, signor Graves» si affrettò ad aggiungere Harrison, allungando la mano verso di lui. Emilia si nascose imbarazzata dietro alla torta.
Tess cercò di trattenere un sorriso divertito.
Harrison si era già calato nella parte del compagno servizievole e pacato.
«Piacere mio» replicò l'uomo «Ma forza, entrate!»
Obbedirono e dopo aver attraversato l'ampio ingresso, si ritrovarono in una sala da pranzo luminosa, arredata con mobili dai colori chiari. Nulla pareva fuori posto, il tavolo al centro era già apparecchiato per sei, con una tovaglia panna dai ricami dello stesso lilla dei tovaglioli.
«Sono arrivati?» domandò una voce femminile proveniente dalla stanza accanto e subito una donna fece il proprio ingresso nel salotto. Si trattava di una signora dal volto che conservava ancora la bellezza giovanile, nonostante le sottili righe che circondavano occhi e bocca. I suoi lineamenti erano molti simili a quelli di Tess e Nell, così come gli occhi tendenti al grigio.
Indossava degli abiti semplici, pantaloni e camicia, ma evidentemente di buona qualità, a giudicare da come vestivano e dai ricami della stoffa.
Appena entrata nella sala, la donna si era immobilizzata, con la pentola che portava davanti al petto e la sua espressione era cambiata improvvisamente.
«Tess!» esclamò cercando di apparire spontanea.
«Ciao mamma» replicò lei a disagio.
La donna posò la pentola sul tavolo, mentre Tess proseguiva: «Mamma, ti presento Harrison ed Emilia»
L'altra rivolse loro uno sguardo penetrante, sia all'uomo che alla bambina.
«Piacere di conoscerla, signora Graves» disse Harrison, avvicinandosi per stringerle la mano.
Se Tess non avesse conosciuto l'uomo, sarebbe stata impressionata per i suoi modi gentili e amichevoli, ma in quel momento le parve ancora più a disagio di lei, mentre ripeteva quelle frasi che non gli appartenevano.
«È un piacere, Harrison» replicò la donna, e spostò lo sguardo sulla bambina al fianco dell'uomo.
Lei tese timidamente la torta incartata, risparmiandosi ogni parola.
«Abbiamo preparato un dolce» spiegò Tess, in soccorso della bimba.
La madre ringraziò, prese la torta sorridendo ad Emilia e la poggiò su di un mobile accanto al tavolo.
«Che ne dite di cenare?» domandò il signor Graves con voce squillante.
«Finalmente!» esclamò Nell, accaparrandosi una sedia al tavolo.
A causa della disposizione dei posti, Harrison e Tess si trovarono seduti uno di fronte all'altra, affiancati rispettivamente dalla figlia e dalla sorella, mentre i due padroni di casa sedevano a capotavola.
La signora Graves servì tutti, prima di sedersi al proprio posto e gli altri attesero prima di cominciare.
«Ti va del vino, Harrison?» domandò il padre di Tess, mostrando una bottiglia con un sorriso amichevole da sotto i baffi.
Alla vista del liquido rossastro, il detective sentì un moto di attrazione e contemporaneamente di repulsione. Sapeva che non poteva resistergli e allo stesso tempo avrebbe voluto privarsene.
Ma sapeva anche che se avesse rifiutato, avrebbe rischiato di fare un dispiacere al padrone di casa.
«Perché no?» replicò quindi sorridendo e tese il proprio bicchiere all'altro uomo.
Nel farlo, spostò lo sguardo su di Tess e incrociò gli occhi della donna che gli lanciavano un muto avvertimento. 
Il signor Graves gli restituì il bicchiere e lui lo sistemò davanti al piatto.
Cominciarono a mangiare senza ulteriori convenevoli.
Il cibo era ottimo, più raffinato di quello di Cassidy, ma anche un poco meno saporito.
Harrison lanciava occhiate a Tess, per assicurarsi che perdesse il colorito cereo che aveva da quando erano partiti di casa, e ad Emilia che, come al solito quando si trovava davanti ad estranei, si chiudeva a riccio e non lasciava spazio ad altro se non alla sua timidezza.
«Allora, Harrison» esordì il signor Graves, interrompendo il silenzio della tavola «Di cosa ti occupi?»
L'uomo deglutì il boccone che aveva in bocca e si pulì sul tovagliolo.
«Sono un detective» rispose e poté vedere chiaramente sul volto dell'interlocutore quanto fosse impressionato.
«Complimenti. In quale ambito lavori?»
Harrison sentì lo sguardo penetrante dei presenti su di sé e sapeva che la sua risposta non sarebbe piaciuta a tutti.
«Pochi mesi fa sono passato alla Omicidi. Prima mi occupavo di principalmente di scomparse»
«Omicidi?» ripeté la signora Graves, come per assicurarsi di aver sentito bene.
«Già» fece Harrison. "L'uomo con cui sta tua figlia studia cadaveri e menti criminali di lavoro" avrebbe voluto aggiungere.
«Niente male» ci pensò il signor Graves a rasserenare l'atmosfera «Ma impegnativo. Stai lavorando a qualche caso in particolare al momento?»
Prima che Harrison potesse rispondere, a Tess andò di traverso il sorso d'acqua che stava bevendo e cominciò a tossicchiare ripetutamente.
«Sto...bene» disse poi, ritornando a fissare lo sguardo sul proprio piatto.
Harrison continuò a chiacchierare con il signor Graves per qualche minuto, mantenendosi sul vago. Il padre di Tess era un medico, quindi non era estraneo all'ambito, ma evitarono entrambi di scendere nei dettagli.
«E tu, Emilia?» esordì la signora Graves, guardando con tenerezza la bambina: «Quanti anni hai?»
Emi arrossì, imbarazzata, ma mostrò la mano aperta con le cinque dita tese.
«Cinque? Quindi frequenti l'asilo?» continuò la donna.
La bambina annuì, senza parlare.
«Emi, perché non dici qualcosa?» cercò di incoraggiarla Harrison «Sono i genitori di Tess»
Lei raddrizzò la schiena e sollevò il capo, ma ancora non parlò.
«Che ne dite di andare a prendere il dolce?» Nell interruppe rapidamente il silenzio «Ho voglia di mangiare quella torta!»
La signora Graves annuì: «Certo. Vieni con me, Tess?»
La figlia, che sapeva di non avere scelta, si alzò in piedi senza parlare e la seguì in cucina.
La signora prese la torta che loro avevano portato, la sistemò sul tavolo.
«I piattini sono in quell'antello» disse all'altra indicando.
Tess prese ciò che le era stato detto e solo quando lei ebbe appoggiato i piattini sul tavolo, la madre cominciò a parlare.
«Quindi ti trovi bene con lui?» chiese, senza guardarla, ma continuando a muoversi per la cucina.
Tess rimase ferma, senza fare nulla.
«Sì» rispose.
L'altra donna fece un cenno di assenso: «Sembra una brava persona»
«Lo è» 
«Anche Emilia è molto carina» proseguì la donna e finalmente posò gli occhi sulla figlia.
«Già» constatò lei monosillabica.
Sapeva perfettamente che la madre l'aveva chiamata per parlare in privato e tastare il terreno senza farsi sentire dagli altri. Forse sperava di ricevere maggiori informazioni in quel modo, o forse semplicemente di avere un dialogo con lei.
«Sono una bella famiglia» continuò la signora Graves «Loro due»
Il dettaglio finale nella frase non sfuggì a Tess, che strinse gli occhi e continuò a fissare la donna.
«Cosa intendi dire?»
La madre distolse lo sguardo e finse di concentrarsi nel tagliare la torta a fette.
«Harrison ed Emilia possiedono un legame che è nato cinque anni fa, mentre tu li conosci da quanto? Tre mesi?»
«Cinque» la corresse con una nota dura nella voce.
L'altra scrollò le spalle: «Di certo rimpiazzare la figura materna non è una cosa facile. Sei sicura di potercela fare, Tess?»
Tess contrasse la mascella e strinse nervosamente i pugni.
«Emilia non ha mai conosciuto sua madre, non sa cosa significhi avere una figura materna. So che fare parte della sua vita non è un gioco, non significa solo farla giocare e divertire, ma anche dedicarle molte attenzioni e prendersi cura di lei ogni volta che ne abbia bisogno» Tess sentiva le guance accaldate e gli occhi accesi di una fiamma rovente.
Ma non aveva ancora finito: «Forse non ho tenuto nella pancia quella bambina per nove mesi e non l'ho partorita io, ma questo non presuppone che io non sappia cosa significhi volerle bene e essere al suo fianco, ogni giorno, in ogni momento, in ogni circostanza»
Detto ciò, voltò le spalle alla donna e tornò di gran carriera della sala da pranzo.
Si sedette al proprio posto, interrompendo le chiacchiere degli altri commensali.
Sentiva il volto ancora in fiamme, ma non le importava. 
Continuava a pensare alle parole di sua madre.
Era consapevole di scaldarsi troppo velocemente, ma non riusciva a trattenersi. Non ci era mai riuscita, a dire la verità.
Quando parlava con sua madre, tutto ciò che le sembrava di sentir uscire dalla sua bocca erano giudizi e pregiudizi affrettati che non includevano l'intera verità.
Questa era stata una delle cose che l'aveva spinta ad allontanarsi.
Incrociò gli occhi di Harrison, dall'altra parte del tavolo. L'uomo le stava silenziosamente chiedendo quale fosse il problema.
Lei scosse leggermente il capo e distolse lo sguardo, proprio mentre sua madre entrava nella stanza portando la torta.
«Ha un profumo delizioso» affermò la donna con una voce forzatamente calorosa.
Servì tutti e tutti mangiarono. Gli unici che tentarono di avere una conversazione furono Harrison e il signor Graves.
Parlarono di argomenti superficiali, come auto e sport.
Ad un tratto l'uomo si voltò verso la figlia maggiore: «Tess, l'altro giorno stavamo riordinando la tua vecchia camera. Credo che dovresti guardare se c'è qualcosa che vuoi portare con te»
La donna annuì: «Va bene, vado subito»
«Ti ricordi ancora dov'è?» domandò il padre ironico e lei sorrise, sincera, poi si rivolse ad Harrison: «Sei curioso di vedere la mia camera di adolescente?»
Lo spirito da detective permise all'uomo di cogliere i sottintesi di quella richiesta e si affrettò a seguirla, assicurandosi prima che la figlia rimanesse sotto il controllo di Nell.
«Grazie per avermi seguita» gli disse Tess, appena si trovarono sulle scale che conducevano al piano superiore.
«Figurati» replicò lui «Cosa è successo in cucina tra te e tua madre?»
La donna scosse il capo: «Le solite cose. Lei dà giudizi affrettati conoscendo solo metà della verità. Eccoci»
Tess abbassò la maniglia della porta davanti a loro e la spinse, rivelando una stanza ampia e colma di oggetti.
Al centro della camera stava un letto dal piumone azzurrino, al suo fianco una scrivania mentre la parete di fronte era occupata da una grade libreria e un armadio.
«Carina» commentò Harrison e Tess si voltò a guardarlo. L'uomo ne approfittò per chinarsi e stamparle un bacio sulle labbra.
Lei sorrise, si specchiò nelle sue iridi verdi, poi lo baciò a sua volta, questa volta con più passione.
Lui posò una mano sulla sua nuca e l'altra sulla schiena, per stringerla a sé. La donna si trovò contro il muro, circondata dalle braccia forti di Harrison.
«Come dicevo, non male la tua camera» commentò lui sussurrandole sulla labbra. 
Tess rise, scuotendo il capo, poi prese a camminare per la stanza.
Ricordava perfettamente la scrivania, dove aveva passato il tempo studiando, scrivendo, progettando, il letto, che l'aveva accolta nelle notti più insonni e aveva curato molti problemi, la libreria, colma di ogni genere di oggetti.
Si avvicinò a quest'ultima e prese in mano un cofanetto, chiuso da un lucchetto. Lo scosse e sentì muoversi un oggetto al suo interno. 
«Cosa contiene?» domandò Harrison, raggiungendola.
Lei scosse il capo: «Non ricordo e non ho la minima idea di dove possa essere finita la chiave»
«Per questo posso aiutarti io» commentò lui con un sorriso sghembo.
Mentre sondava gli scaffali con lo sguardo, alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarlo a forzare il lucchetto, Tess si era tolta una forcina dai capelli e dopo averla lavorata per qualche istante, l'aveva infilata nel lucchetto.
Quando lo sentì scattare, Harrison si voltò, stupito, e guardò prima il lucchetto, poi la donna, che gli sorrideva.
«Tu...» cominciò indicando il cofanetto «Quando hai imparato?»
Lei rise: «Anni fa, non so quando di preciso»
L'uomo non riusciva a contenere lo stupore: «Io ho dovuto scassinare casa tua una volta!»
Lei rise, sollevando le mani in cenno di difesa: «Non mi hai lasciato il tempo di farlo»
«Ho scassinato casa tua!» ripeté lui «Il signorino Hooper avrebbe potuto denunciarmi!»
Tess continuò a ridacchiare: «Eri troppo impegnato a fare il detective-principe azzurro per lasciarmi fare»
Lui sollevò le sopracciglia: «Oh, sul serio?»
Prima che la donna potesse replicare, udirono dei rumori provenire dalle scale e qualche istante più tardi, Nell si affacciò sulla stanza, insieme ad Emilia.
«Stava iniziando a sentire la mancanza del suo papà» spiegò la giovane, riconsegnando la bimba ad Harrison.
Lui la prese tra le braccia e cominciò a parlare sottovoce con lei, per confortarla.
«Bel lavoro, Tessie Bear» disse Nell alla sorella, guardandola dalla porta «Siamo sopravvissuti tutti alla cena»
«Già» constatò lei rigirandosi il cofanetto tra le mani «Ma non mi sembra che sia andata molto bene»
Nell strinse gli occhi, pensierosa, corrugò la fronte, poi scosse il capo.
«No, è stata propria una merda»
 
 
Tess sbadigliò, davanti allo specchio del bagno, si sciacquò la faccia con l'acqua tiepida e uscì nel corridoio buio, pronta ad infilarsi nel letto. La cena dai suoi genitori era stata un disastro, ma fortunatamente era passata e ora l'aspettava solo una lunga dormita.
Si affacciò sulla camera di Emilia, per assicurarsi che la bimba stesse dormendo e infatti scorse il fagottino di bambina e coperte nel letto. Fece per andare verso al proprio stanza, ma sentì la suoneria del suo cellulare diffondersi dalla borsa che aveva abbandonato da qualche parte nel corridoio. Sbuffando si mise a cercarla, con l'intenzione di spegnere il cellulare.
La suoneria si bloccò, ma quando la donna riuscì a mettere la mano sull'oggetto, dopo aver frugato nella borsa, riprese a squillare.
Guardò lo schermo, accecata dalla luce nel corridoio buio.
Numero sconosciuto
«Pronto?» biascicò assonnata.
«Tess, ho bisogno di parlarti, è urgente»
«Ma chi...» cominciò lei, poi riconobbe la voce «Calvin? Perché diavolo mi chiami nel cuore della notte?»
«Ti assicuro che è importante, molto importante. So chi sarà la prossima vittima»
 
 
 
Giovedì si rivelò una giornata serena. Il sole brillava nel cielo turchino e i suoi raggi scaldavano l'aria rendendo piacevole anche il venticello invernale.
Tess camminava con le mani affondate nelle tasche del cappotto e il mento nella sciarpa. Al suo fianco stava, nella stessa posizione, Calvin. I suoi capelli biondi erano arruffati da un venticello leggero e il suo sguardo era fisso davanti a sé.
«Jason Shepard» esordì lui, voltandosi leggermente verso Tess.
«È l'uomo che dobbiamo incontrare?» chiese lei,
Calvin fece un cenno di assenso: «È un antiquario, specializzato in opere d'arte. Vive da solo da quando ha divorziato dalla moglie, sette anni fa»
«E come riguarda Beaver?» domandò la donna.
Lo sguardo dell'altro s'illuminò, come se aspettasse solo quella domanda.
«Mentre Beaver era in vita» cominciò «Jason Shepard ha sempre rifiutato di acquistare i suoi quadri, ma alla sua morte, è stato il primo ad ottenerli nelle aste» 
Calvin era così assorto nella spiegazione che si scontrò con una persona che veniva verso di loro. Si scusò velocemente e riprese: «Da quello che ho trovato, è poi riuscito a vendere i quadri al triplo del prezzo originale»
«Vorrei sapere come riesci sempre ad ottenere queste informazioni» commentò Tess lanciandogli uno sguardo perplesso.
Lui abbozzò un sorriso compiaciuto: «Anni di pratica, mia cara. Come in tutte le cose, bisogna prima fallire per poi avere successo»
«E tu di successo ne hai avuto tanto» proseguì lei.
Calvin rise: «Un mix di abilità e fortuna che mi ha portato ad accumulare un discreto patrimonio. Comunque ora siamo arrivati»
La casa di Jason Shepard era un'abitazione modesta, all'esterno, si sviluppava su due piani ed era preceduta da un ampio giardino ben curato, decorato da fenicotteri rosa che contrastavano con la sobrietà dell'abitazione.
La donna abbozzò un sorrisetto nervoso: «Davvero?» 
«Non perdi mai il tuo sarcasmo, eh?» commentò lui dirigendosi verso il viale d'ingresso, che serpeggiava tra l'erba verde smeraldo nonostante la stagione, e i fenicotteri.
Si fermarono entrambi davanti alla porta, Tess alzò lo sguardo verso l'uomo, poi fece per avanzare, ma lui la precedette e si allungò per suonare il campanello.
Sentirono il suono stridulo diffondersi all'interno, nient'altro.
Calvin suonò ancora un paio di volte, dopodiché si voltò verso la compagna.
Le indicò la porta, facendosi da parte: «È tutta tua»
Lei accennò un inchino chinando il capo, si avvicinò alla porta e si abbassò per poter lavorare con la serratura.
Dopo qualche secondo, Calvin commentò: «Ti stai arrugginendo»
«Ti ricordo che una volta tu sapevi arrampicarti agilmente e scavalcare qualsiasi ostacolo. Se preferisci puoi trovare un accesso arrampicandosi fino al secondo piano dal retro» replicò lei pungente e prima che l'uomo potesse aggiungere altro, si udì uno scatto.
Tess spinse la porta con la mano guantata e invitò Calvin ad accomodarsi con un cenno.
«Gentile» commentò lui entrando per primo. La donna lo seguì e si richiuse la porta alle spalle.
Si trovarono in un atrio ampio e luminoso: davanti a loro scendevano le scale candide che conducevano al piano superiore, mentre il piano inferiore si sviluppava intorno a queste.
«Cosa facciamo?» bisbigliò Tess.
Lui scrollò le spalle: «Diamo un'occhiata in giro. Se Shepard non è in casa, lo aspetteremo fino al suo ritorno e gli spiegheremo la situazione»
Lei annuì.
«Dobbiamo impedire che un'altra persona venga uccisa a causa di una mente deviata» sottolineò Calvin.
«Okay, io vado a destra, tu a sinistra?»
«Bene» fece lui e i due si separarono.
Tess entrò in un salotto molto spazioso, soprattutto considerando che in quell'abitazione viveva una sola persona. Due divani color tortora erano sistemati di fronte ad una TV a schermo piatto e un raffinato tappeto si stendeva tra i due arredi. A metà della stanza erano stati sistemati degli scaffali che creavano una sorta di muro tra le prima parte di salotto e la successiva, più intima.
Un odore acre le fece storcere il naso. Immaginò venisse dalla cucina, ma quando guardò dietro allo scaffale capì di essersi sbagliata.
Davanti a lei, accasciato a terra, stava un uomo. La sua pelle cerea era in contrasto con il sangue che era uscito dalla gola e si era sparso intorno al suo corpo come una pozzanghera scarlatta.
Tess represse un conato di vomito.
«Cal!» chiamò con voce strozzata e sentì i passi del compagno che si avvicinavano.
«Cazzo» imprecò lui quando vide il cadavere.
Strinse convulsamente i pugni: «Hanno colpito prima di quanto mi aspettassi. Cazzo!»
«Dobbiamo andarcene» replicò Tess e lanciò un'occhiata intorno: «Qui non c'è nulla che che ci interessi»
«A parte un fottuttissimo cadavere che dimostra quando determinati siano a portare a termine questa cosa!» ribatté Calvin nervosamente.
Tess si voltò verso di lui, lo prese per le spalle e lo guardò negli occhi: «Nel caso te ne fossi dimenticato, abbiamo illegalmente scassinato la serratura di questa casa, quindi ci conviene andarcene prima di peggiorare la nostra situazione»
Lui annuì: «Giusto...»
«Fermi dove siete!» una voce riecheggiò nel salotto, cogliendoli di sorpresa.
Una coppia di poliziotti stava sulla soglia dell'atrio, con le pistole puntate verso di loro.
«Cazzo» imprecò Calvin, guardandosi impercettibilmente intorno.
Ma giunsero entrambi alla stessa conclusione: non avevano vie d'uscita.
Intanto i due poliziotti si erano avvicinati: «Voltatevi, in ginocchio, mani sopra alla testa!»
Calvin e Tess si lanciarono un'occhiata, poi ubbidirono entrambi.
Si misero in ginocchio, sollevarono le mani, che vennero immediatamente ammanettate dietro la schiena.
«Una vicina ci ha chiamati dopo avervi visti introdurvi nella casa» commentò la poliziotta, mentre il suo compagno si parava davanti a loro.
«Immagino sarete soddisfatti» aggiunse quest'ultimo, guardando il cadavere.
«Quando siamo entrati era già morto» ribatté Tess guardandolo negli occhi.
«Certo» replicò lui ironico.
«Sta dicendo la verità» si aggiunse Calvin «La porta era aperta e qualcuno lo aveva ucciso!»
«Non è quello c'è risulta dalle nostre fonti» replicò il poliziotto.
«Stavo controllando se c'erano segni di effrazione sulla serratura» spiegò Tess «Jason non lascia mai la porta aperta»
Calvin la guardò ammirato. Tess aveva sempre avuto una buona spiegazione per ogni cosa, anche ricorrendo all'immaginazione.
«Oh, così eravate amici?» fece sempre più sarcastico il poliziotto.
«Lo conoscevamo» rispose Tess scaldandosi.
«Ora basta parlare, forza, in piedi!» esclamò l'altro.
Li costrinsero ad alzarsi e li perquisirono entrambi.
«Lei è pulita» disse la poliziotta, dopo aver controllato Tess, poi si allontanò, per poterli tenere sotto controllo con la mano accanto alla fondina, mentre il collega perquisiva Calvin.
«Non troverà nulla» fece l'uomo «Abbiamo già detto la verità»
«Oh, sicuro» replicò l'altro. Gli aprì la giacca e frugò nelle tasche interne, poi in quelle esterne. La sua mano si strinse su qualcosa e lo estrasse.
«Cosa abbiamo qui?» domandò retorico, mostrando un fagotto avvolto nella plastica. 
Calvin si voltò verso Tess, che seguiva la scena con gli occhi fissi sulle mani del poliziotto.
Quest'ultimo srotolò lentamente il fagotto e all'interno del sacchetto, rivelò una piccola lama macchiata di sangue.
Guardò Calvin, con l'aria di chi ha trovato la prova decisiva per abbattere l'avversario:
«Scommetto lo stipendio di un mese che questa lama corrisponde a quella che ha tagliato la gola della nostra vittima» 
   
 
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