2.
Dannick Pascal
aveva trovato posto vicino al
finestrino; il treno veloce lo avrebbe condotto a destinazione in due
ore.
Amava guardare il susseguirsi di paesaggi naturali e antropici oltre il
vetro;
gli auricolari, sprofondati nelle orecchie ricoperte dai folti capelli
neri,
rimandavano canzoni tipiche del XXI secolo. Quella particolare musica,
per qualche
motivo a lui sconosciuto, gli ricordava immense metropoli in cui tutti
andavano
di fretta al proprio appuntamento d’affari. Nei suoi
trent’anni di vita,
tuttavia, di immense metropoli non ne aveva mai viste dal vivo. Seresix[1] sarebbe
stata la prima, non appena
l’avesse raggiunta.
Il
suo paese natale era una piccola cittadina di periferia
in cui la gente tendeva a non farsi mai gli affari propri e a giudicare
le
persone a partire da come si vestono. Il fatto che i passeggeri del
treno
veloce non badassero alla presenza di Dannick,
era sintomo del fatto
che la tratta era frequentata soprattutto da gente di
un’importante città,
abituata a fregarsene degli altri. Nessuno, infatti, sembrava
interessarsi a
lui, eppure non era di certo un tipo che passava inosservato.
Dannick vestiva
con indumenti neri di
manifattura artigianale piuttosto usurati: pantaloni lunghi infilati
dentro a
un paio di stivali con lacci che gli arrivavano al polpaccio, una
giubba
pesante con un collo alto, rigido ed esageratamente spesso, che finiva
per
coprirgli il mento e la bocca appena abbassava lo sguardo. Sulle spalle
aveva
un lungo mantello scucito e strappato verso il fondo. Quello che di
solito
attirava maggiormente l’attenzione era, in ogni caso, il
fucile BP-laser a due
canne. Normalmente lo teneva su una spalla, ora invece era adagiato sul
sedile
dal lato del finestrino. E la blusfera,
un oggetto sferico che a tratti mandava bagliori azzurri, era tenuta al
riparo
nella tasca sinistra dei pantaloni. Contrariamente a quanto si potrebbe
pensare, non si trattava di una sfera di cristallo da cui trarre
visioni, ma
più che altro uno scudo. La blusfera aveva
la funzione di indirizzare le
facoltà mentali di un sensitivo verso strade sicure e di
schermare da eventuali
pericoli. Dannick in
quel momento ne aveva più bisogno di un tempo, visto che le
sue facoltà stavano
evolvendo in modo alquanto inusuale.
Si
stava avvicinando l’imbrunire. Il cielo era tinto di
colori caldi stesi a sprazzi: arancione, rosso e viola. Vaste
estensioni di
terreno, coperte da pannelli fotoelettrici accostati da culture di
piante
aliene a basso stelo, stavano lasciando gradualmente il posto a zone
sempre più
brulicanti di abitazioni. Sopra alla ferrovia ogni tanto passava
qualche strada
sopraelevata sorretta da maestosi pilastri a spirale, progettati per
sopportare
pesi enormi. Nel cielo, navette di rientro da altre zone
dell’universo
sbucavano dalle nubi lasciando una scia iridescente al loro passaggio.
Dal
treno su cui viaggiava,
Dannick osservava
e registrava ogni cosa
esterna. Viveva l’ambiente a trecentosessanta gradi solo
guardandolo: sentiva
il vento fresco autunnale sulla sua pelle, la luce del sole morente
colpirgli
il viso e i rumori del traffico in lontananza. Il malinconico
automatismo con
cui tutto sembrava procedere gli apriva un varco nell’anima,
talmente profondo
che temeva potesse entrarci qualche demone; la vecchia musica che
ascoltava
serviva anche a questo, a tenerlo concentrato su qualcosa di piacevole
per
scongiurare il pericolo.
Sarebbe
arrivato a destinazione ormai a breve. A Seresix avrebbe
dovuto raggiungere una vasta
piazza che dava su una struttura grigia, circondata da
un’alta mura cosparsa di
torri a guglia. Lì sapeva che avrebbe avuto la prossima
visione.
Si
sentiva un po’ preoccupato, anche se non era la prima
volta che entrava in azione. Temeva sempre di non essere
all’altezza della
situazione e di fallire. Il suo punto debole era il dialogo: raramente
riusciva
a sostenere una conversazione senza essere frainteso. Che cosa sarebbe
successo
in quel caso? Se avesse fallito, per il disonore arrecato a quelli
della sua
specie, avrebbe dovuto andare in esilio. Al pensiero poggiò
il capo sul
finestrino e si abbandonò al cullare placido del treno sulla
piattaforma
magnetica.
Nota:
1- Il
nome Seresix vorrebbe
ricordare la Repubblica
Serenissima, ovvero un antico Stato italiano con capitale Venezia.
L’immagine
che avevo scelto per il contest “Steampunk tendencies”
mi ha ricordato molto quest'ultima città. La potete vedere
nel link del primo
capitolo. Nel seguito del racconto potrete cercare di riconoscerla
nelle
descrizioni (mi auguro di aver fatto un buon lavoro).
"La principessa e il sensitivo"
Tutti i diritti sono riservati © Monique Namie