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Autore: Snow_Elk    10/01/2017    1 recensioni
Che cosa hanno in comune un mercenario di Reilly e una predatrice ribelle? Niente, probabilmente si sparerebbero a vicenda ancor prima di chiedere "Ehi, hai una sigaretta??". Ma non è il caso di Jeff e Dave che, catturati dall'Enclave, si ritroveranno ad affrontare un viaggio lungo che li costringerà ad attraversare tutta la zona contaminata di DC. Tra incontri fuori dal comune, scontri all'ultimo sangue e disavventure di ogni genere i due scopriranno che la zona contaminata non è semplicemente una distesa in rovina, un monumento ai peccati dell'uomo, bensì un luogo che ha una vita propria e secondo alcuni...anche una coscienza.
NOTA BENE: questa è una storia scritta a 4 mani in cui io sarò il mercenario"Jeff" mentre madame_red_, l'altra scrittrice, interpreterà la predatrice "Dave". Qui potrete trovare il suo profilo: http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=141224
Speriamo che questo nostro esperimento vi piaccia.
Enjoy and stay close!
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Odissey in the Wasteland



Capitolo XIII- Tutto ha un inizio, tutto ha una fine...anche tu.
 

Jeff Callaghan                                                                            
 
Twin Sisters Den                                                                              5-6 Settembre 2275

 
L’ultima cosa che ricordava era Dave che gli urlava che gliel’avrebbe fatta pagare mentre veniva trascinata fuori dall’infermeria, seguita dalle Twin Sisters, le quali le avevano intimato amichevolmente che sarebbe andata a trovare il suo “amico di latta”.
Dopodiché fu avvolto dall’oscurità e dal silenzio, effetti collaterali della morfina e di chissà quale altro farmaco gli avevano dato.
Quando si riprese era ancora steso in quel dannato lettino dell’infermeria e non c’era traccia di nessuno, c’erano solo lui e Lucy. Quanto tempo era passato?
All’improvviso si ricordò tutto quello che era successo nelle ultime ore: lo scontro con la sua avversaria, lei che si toglieva l’elmo, quel volto, Dave che urlava e poi il dolore al petto.
Una fitta di dolore lo fece piegare in due. L’avevano ricucito e fasciato per bene, probabilmente l’avevano imbottito di stimpak e altra roba, ma non si sarebbe ripreso facilmente da quella ferita, sarebbe stato ben felice di smentire quel pensiero.
Il ronzio dei neon che illuminavano la stanza lo stavano facendo impazzire, avrebbe voluto lasciare quel luogo e andarsi a buttare su un vecchio materasso in qualche sgabuzzino dimenticato da Dio, al buio.
 
Normalmente avrebbe subito pensato di farsi un goccio, ma l’idea del whiskey in quel momento gli dava la nausea, perciò accantonò il pensiero.
Volse lo sguardo verso sinistra, evitando di mettersi su un fianco per non vedere di nuovo le stesse, e la vide: Lucy giaceva nel letto accanto al suo, collegata ad alcuni macchinari, caduta in un profondo sonno. Alcune flebo scivolavano lungo le braccia fino ad infilarsi nei polsi come serpenti invisibili e alcune erano piene di sangue.
Vedere il volto della donna che amava pallido come un cadavere fu più doloroso della ferita che lei stessa gli aveva inferto: perché l’aveva attaccato? Perché non l’aveva riconisciuto? Ma soprattutto come diavolo faceva ad essere sopravvissuta quel giorno?
Troppe domande, troppi pensieri, iniziava a sentire il principio di un fottuto mal di testa. No, doveva fare mente locale, ragionare ed ignorare il dolore, cercare di capire come fosse finito in quello schifo.
Aveva trafitto la donna che amava, no, la donna che aveva amato: Lucy era morta quel nefasto giorno all’ospedale di Nostra Signora della Speranza in quella missione che si era tramutata ben presto in una battaglia per la sopravvivenza.
Erano passati due anni, due anni del cazzo in cui aveva passato ogni singolo giorno a cercare di accettare l’accaduto, con scarsi risultati, nonostante il supporto di Reilly e del resto della compagnia.
 
Negli ultimi mesi sembrava che finalmente ci stesse riuscendo, fino ad oggi.
Lucy era lì, ridotta uno schifo, proprio come lui, e qualche ora prima avevano tentato di farsi fuori a vicenda.
“Tutto ciò non ha un cazzo di senso...fanculo”
Non riusciva a pensare ad altro, così si fece forza e si mise a sedere, non senza tirar giù tutti i santi per le fitte di dolore e le dannate flebo che sembravano più catene che altro. Dopo aver fatto un profondo respirò tentò di alzarsi e al terzo tentativo ci riuscì.
Con calma si avvicinò a lei e le sfiorò la guancia con la punta delle dita: era proprio come se la ricordava, a parte il pallore mortale non era cambiata di una virgola e questo non faceva che aumentare la confusione, la rabbia e l’amarezza in quel momento.
- Lucy – non sapeva se era finita in coma a causa del trauma e della perdita di sangue, ma il desiderio di parlarle per capire qualcosa non riusciva a farlo rimanere lucido.
- Lucile, non lo senti l’aroma del caffè? – quella era la frase con cui di solito la svegliava al mattino, prima della classica ronda con Donovan o Brick, e funzionava più di qualsiasi altra sveglia. Lei amava il caffè.
Ripensare a quei giorni gli fece venire gli occhi lucidi, ma si trattenne, non era il caso.
 
Aspettò qualche secondo in attesa ma niente, stava per perdere le speranze quando vide la mano muoversi e la donna iniziò ad aprire lentamente gli occhi.
- Lucy! – un mezzo sorriso gli increspò le labbra ma scomparve subito: la donna sgranò gli occhi nel vederlo e iniziò a dibattersi facendo sbattere le flebo contro i macchinari e le aste, urlando come una forsennata.
Arretrò di alcuni passi, incredulo, ma se la ritrovò davanti peggio di un fantasma, come se non fosse mai stata ferita: aveva uno strano alone ambrato intorno alle pupille ed era riuscita ad impugnare uno dei bisturi abbandonati sul carello medico lì vicino.
- Dannazione, si può sapere che diavolo ti è preso? Sono io! Sono Jeff! – le urlò contro, ma Lucy non sembrava darle ascolto, in preda a quella sorta di follia, e come risposta tentò di accoltellarlo.
Schivò l’affondo ma sentì una fitta atroce: normalmente si sarebbe mosso con estrema agilità senza troppi problemi, ma in quel caso era reduce di una brutta ferita e in piena convalescenza.
Barcollò di lato e portò una mano vicino alla spalla, un altro paio di quelle schivate azzardate e sarebbe svenuto per il dolore o peggio ancora i punti si sarebbero riaperti.
Lucy ripartì all’attacco, tirandosi dietro le flebo che si staccarano come piccoli fili di seta, tentando affondi su affondi, agitando il bisturi peggio di una spada.
Continuò a schivare gli attacchi della donna, cercando di capacitarsi di quanto stesse accadendo, ma non aveva il tempo materiale di pensare e ad ogni schivata il dolore si intensificava.
Imprecò quando indietreggiando finì per inciampare sul carrellino medico trascinandoselo dietro, spargendo utensili medici su tutto il pavimento.
 
Lucy gli si scagliò addosso, ma lui reagì prontamente e gli bloccò la mano con cui impugnava quell’arma rudimentale, iniziando a rotolare, contendendosi il bisturi con calci e pugni.
In quella sorta di rissa mal riuscita il gomito della donna finì sulla sua ferita e a stento trattenne un urlo di dolore: la spinse con forza per allontanarla e la donna rotolò,  sbattendo infine contro uno dei letti.
 Arrancò, ansimando, cercando di starle a debita distanza, mentre il dolore si attenuava:
- Lucy, porca puttana, torna in te! Qualunque cosa ti abbiano fatto non lasciare che si impossessi di te – la donna non sembrava ascoltarlo, stava cercando di rialzarsi, leggermente frastornata dalla botta.
- Possiamo trovare una soluzione, possiamo...-  le urla di rabbia di Lucy che ripartiva all’attacco gli smorzarono la frase e fu costrett a tornare sulla difensiva: non la ascoltava, non reagiva a niente, non lo riconosceva, cosa diavolo poteva fare? Stava cercando di ucciderlo, di nuovo.
Scattò dietro il letto per metterlo come barriera tra lui e qualsiasi cosa fosse diventata ciò una volta era la donna che amava. Aveva bisogno di pensare.
 
Non ne ebbe il tempo materiale, Lucy scavalcò il letto e si lanciò contro di lui come una sentenza di morte, continuando ad agitare il bisturi.
Arretrò e la spinse di lato, ma lei lo afferrò dal camice, trascinandolo con sé nell’ennesima caduta.
Rotolarono a terra, scambiandosi pugni e calci, mentre il bisturi scivolava sulle piastrelle della stanza.
Cercò di difendersi al meglio e strisciò per allontanarsi ma lei gli fu di nuovo addosso, prendendo la forza da chissà dove, a differenza sua che si sentiva debilitato dai farmaci e dalla ferita.
La donna spinse entrambe le mani contro il suo collo, afferrandolo e iniziando a stringerlo: stava cercando di soffocarlo e istintivamente iniziò a dimenarsi per liberarsi da quella presa fatale.
Lucy non voleva demordere e continuava a stringere, sempre più forte, intrecciando le gambe alle sue per limitargli i movimenti: ironia della sorte una delle tecniche insegnate da Reilly.
Tastò con la mano il freddo pavimento alla ricerca di qualsiasi cosa da poter usare come arma e dopo qualche tentativo fallito sfiorò con la punta delle dita qualcosa di metallico: il bisturi.
Ormai iniziava a vederci sfocato e a boccheggiare, non aveva più tempo. Allungò le dita il più possibile e riuscì ad afferrare il bisturi. Fu un gesto istintivo: al limite della disperazione afferrò la piccola “arma” e la conficcò con forza nel collo della donna.
Lucy sgranò gli occhi e allentò la presa sul suo povero collo, fino a lasciarla completamente e portò la mano tremante sul collo.
- Mi dispiace... – sussurrò, respirando a fatica e per la prima volta lei sembrò capire ciò che aveva appena detto.
- Jeff...io....- un rivolo di sangue scivolò dalle labbra macchiandole il camice e per una frazione di secondo il suo sguardo tornò ad essere quello dolce di sempre.
Lucy si accasciò di lato, agonizzante, in una piccola pozza di sangue, con le guance rigate da due singole lacrime.
La guardò, in silenzio, mentre esalava il suo ultimo respiro e la strinse a sé, senza batter ciglio, come se si fosse semplicemente addormentata, con la testa poggiata sulle sue ginocchia.
Le accarezzò una singola volta i capelli, socchiuse gli occhi e lanciò un urlo disumano.
La porta dell’infermeria si spalancò e spuntò quella che doveva essere l’infermiera, seguita da Gwen che lanciò uno sguardo di compassione alla scena che si ritrovò davanti.
- Che diavolo è successo qui?! – sbraitò l’infermiera avvicinandosi con cautela.
- L’inevitabile – rispose Gwen portando una mano sul cuore e fissandolo dritto negli occhi.
Lui rivolse la sua attenzione a Lucy, per spostarle una ciocca ci capelli sporca di sangue dal viso, sfilando il bisturi dal suo esile collo, e chiudendole gli occhi.
- To the God of Death what we say? Not today… not today… - disse, ricambiando lo sguardo della Twin Sister con degli occhi vuoti e spenti.


Twin Sister's Den

6 settembre 2275


Dave era restata chiusa in quella cella per delle ore: da quando l'avevano trascinata fuori dal'infermeria era rimasta rinchiusa aspettando che qualcuno la venisse a prelevare: aveva gridato, si era aggrappata alle barriere e dato pugni al muro rompendosi le nocche ma niente, nessuno si era presentato.

Aveva visto il soldato dell'Enclave ,che li aveva accompagnati fino a lì, venir trascinato fuori dalla stessa cella in cui adesso era lei. Aveva il viso tumefatto e gli sanguinava il naso, quasi non riusciva a camminare e veniva portato a braccia da due uomini corpulenti. Dave si chiese che cosa avevesse dovuto affrontare per essersi ridotto in quello stato, quale essere contro cui avesse dovuto combattere o che tortura avesse dovuto subire.

La penombra della stanza la opprimeva,il soffitto era basso e gocce di umidità le cadevano addosso facendola rabbrividire.
Voleva vedere Jeff, desiderava vederlo ad ogni costo, non si sentiva sicura dopo che era stata allontanata dall'infermeria dove lui ora si trovava insieme ad una pazza che aveva cercato di ucciderlo nell'arena.
Si attaccò ancora alle sbarre scuotendole e urlando: "Stronzi! Tiratemi fuori di qui, cazzo! Non voglio restare in questo buco un secondo di più!" 

Le sue parole svanirono nell'eco del corridoio che le si apriva davanti.
Gridò ancora, erano ore che lo faceva, la gola le grattava e le guance erano in fiamme dalla rabbia
Sferrò un pugno al muro e le nocche ripresero a sanguinare.

"Qualcuno si sta lamentando?" Una voce leggermente cantilenante si udì dal fondo del corridoio e tutto d'un tratto davanti alla cella apparve come un fantasma Allison.

 
"Si, certo che mi lamento-rispose seccata Dave- se voi non mi aveste chiuso qui dentro forse ora non sarei qui a lamentarmi."

 
"Se tu non fossi un piccolo demonietto sempre pronto ad attaccar briga forse ora non saresti chiusa qui dentro" rispose la donna con un tono di rimprovero.

Dave ringhiò senza rispondere, sapeva che se avesse tirato troppo la corda del tutto probabilmente non avrebbe più visto Jeff e questa era la cosa che più le importava.
 
Allison annuì silenziosamente e le aprì la porta della cella, conducendola di nuovo in infermeria.
La scena che si parò davanti agli occhi di Dave fu raccapricciante: Jeff inginocchiato a terra con Lucy accasciata sulle sue ginocchia in un bagno di sangue.
"Jeff!" Gridò Dave correndogli incontro.
Il mercenario la fissava, inginocchiato a terra con gli occhi vuoti, il suo viso era pallido e tremava come un animale spaventato.
La ragazzina gli si gettò con le braccia al collo, ciò che restava di Lucy scivolò sul pavimento come uno straccio : "Stai bene?"
Il mercenario farfugliò frasi sconnesse e tornò a fissare il vuoto.

"Cosa è successo qui? E' stata lei vero Jeff?- gli spostò i capelli dal viso insanguinato con entrambe le mani rigandogli il volto-  Rispondimi, ti prego!" la sua voce era flebile e tremante, quasi non si riconosceva.
 

Il mercenario la fissava come imbambolato, si guardava intorno con aria scossa  e non rispondeva.
La ragazzina si alzò di scatto :" Anche se non mi rispondi lo so che è stata lei a farti questo!" 
Sentiva la rabbia crescerle nel petto e sferrò di violenza un calcio al cranio di Lucy che andò a sbattere contro uno di quei carrelli per i ferri che si rovesciò a terra producendo un frastuono assordante.

Jeff sembrò svegliarsi di botto, come da un coma profondo, scattò in piedi e afferrò Dave per le spalle stringendogliele fino a farsi sbiancare le nocche.
Dave sentì il suo cuore battere all'impazzata, non come quando si erano trovati in cella assieme, ma di paura. Il mercenario, infatti, la fissava con una luce malata negli occhi, la luce di chi a perso il lume della ragione, di chi sta per uccidere senza curarsi delle conseguenze.
La ragazzina si sentì tremare, tutto il suo corpo era teso come una corda di violino, si sentiva come sospesa nel vuoto attaccata ad un filo di ragnatela.
 

"Perchè?" Sibilò a denti stretti il mercenario senza mollare la presa.

 
"Non avevo forse ragione, Jeff? Non è forse stata lei?" Dave sentiva il coraggio ritornare a scorrergli nelle vene.
Tutt'intorno le Twin sister, le tre guardie, l'infermiera e gli occhi sbarrati del cadavere di Lucy fissavano la scena in un gelo irreale, come se aspettassero solo il passo falso di uno dei due per intervenire.

"Non ne avevi alcun diritto, oltraggiare così il cadavere della mia Lucy" la sua voce era tremava e vibrava come le sue mani su di lei.

"Lei se lo meritava, se mai fosse stata una donna ora non era altro che un fantasma violento che non merita alcun rispetto." Rispose lei aggressiva.

"Io l'amavo, Dave. -fece un respiro profondo- E la amo ancora e continuerò ad amarla, che tu lo voglia o no,ragazzina." La voce di Jeff aveva una nota metallica, come se le parole gli uscissero dalla bocca col solo intento di ferire, non di spiegare le cose in modo realistico.

Dave sentiva le lacrime offuscarle la vista, la figura di Jeff le appariva sfocata e priva di contorni, sentiva solo le sue parole violentarle il cranio in tutta la loro cattiveria.
"Stai zitto, o giuro che te ne faccio pentire" ringhiò lei fronteggiandolo.

Improvvisamente lui la spinse lontana scuotendo la testa :" Non voglio far male anche a te."

E poi...un applauso:"Ma che scena commovente!- la voce canzonatoria di Gwen li fece sobbalzare- Davvero, ragazzi mi fate piangere, che quadretto familiare da piagnisteo" e fece il gesto di asciugarsi  lacrime mantenendo pur sempre un sorrisetto beffardo stampato in faccia.
"Oh Gwen,amore mio, tu si che si essere teatrale" Allison si avicinò a Gwen cingendole il fianco col palmo della mano. 
Le due si guardarono e scoppiarono a ridere assieme. 

"Abbiamo ancora molto in serbo per voi, non abbiamo alcuna intenzione di lasciarvi andare adesso, vi porteranno in un posto sicuro in cui potete riprendervi, di certo non vi vogliamo esausti per quello che vi aspetterà domani." La voce di Gwen era tornata calma e rassicurante e Dave si sentì subito meglio.
La stanza in cui vennero condotti sorprese Dave, non era molto larga ma era arredata,vi erano infatti delle brandine di metallo sopra le quali vi erano stese delle pelli di bramino, merce non troppo rara, certo, ma indubbiamente si trattava di qualcosa che vedi poche volte in un posto come la Zona Contaminata. Vicino alle brande c'era qualche sgabello, un piccolo lavandino e perfino un tavolo di legno.
Tutt'intorno i muri di pietra erano illuminati da piccole fiaccole che creavano una situazione di penombra e diedero l'impressione a Dave che il giorno e la notte si stessero fondendo.
Avanzò piano, con al suo seguito Jeff silenzioso e a testa china. Si sentiva incredula, stranita.
Perchè non li avevano chiusi in gabbia come avevano fatto precedentemente?
Per quale motivo, improvisamente le Twin Sister li stavano trattando bene?
Dave aveva paura, paura che tutta quella calma non fosse altro che il preludio di una tempesta ancora peggiore di quella che avevano dovuto affrontare fino a quel momento.

Di botto il grosso portone d'ingresso si chuse alle loro spalle con un rumore secco,Dave immersa come era nei suoi pensieri quasi trasalì, udì i passi delle guardie allontanarsi dalla porta e un silenzio tombale calò nella stanza.



 
   
 
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