Capitolo 7: Halloween
Venerdì 31 Ottobre
“Vi
sento
bisbigliare… forse se invece di chiacchierare prestaste
maggiore attenzione a
ciò che state facendo i risultati migliorerebbero.”
“Als
we praten over
het is om de verveling te doden, gezien de futiliteit van dit
alles…”
Il
sussurro di Alexa
in olandese fece quasi scoppiare a ridere Isabelle, anche se la ragazza
ebbe
fortunatamente l’accortezza di premersi la mano sulle labbra
per attutirne il
suono.
Fortunatamente
eccetto le due ragazze nessuno parlava olandese in quel corso,
tantomeno
l’insegnante che si aggirava per i banchi, somigliando
più che mai ad un corvo
sia per quella fastidiosa abitudine che per i lucidi capelli nerissimi.
Jude
inarcò un
sopracciglio, lanciando un’occhiata leggermente accigliata in
direzione della
rossa: amando le lingue aveva col tempo imparato a padroneggiare bene
tutte le
principali europee, e ormai riusciva a masticare qualcosa anche di
olandese,
abbastanza da intuire che Alexandrine non aveva esattamente fatto un
complimento a Jordan o alla sua materia.
“Che cosa ha detto?”
Il
ragazzo si
sporse leggermente verso Isabelle, parlando con un filo di voce e
troppo
curioso per non chiederlo… la ragazza sorrise, trattenendosi
dal ridere di
nuovo mentre mormorava qualcosa di rimando:
“Che se parliamo è per ammazzare la noia,
visto che tutto questo è inutile… e non
posso darle torto, rimpiangerò il
giorno in cui mi sono iscritta a Divinazione fino al
Diploma…”
Isabelle
sfoggiò
una lieve smorfia, scuotendo leggermente il capo quasi con
disapprovazione
mentre invece Jude sorrideva, tamburellando leggermente con le dita
lunghe e
affusolate sulla sfera di cristallo, posta sul tavolino tra lui e la
ragazza:
contrariamente a gran parte dei suoi compagni, lui si era sempre
impegnato
anche in quella materia… anche ad Hogwarts, dove aveva
studiato per i primi
quattro anni di scuola. Non che impazzisse per quella materia in
realtà, ma a
parer suo aveva la sua utilità e la sua importanza, come
tutte le discipline.
Si
era però sempre
divertito durante quelle lezioni, assistendo allo smarrimento e
all’irritazione
generale che la materia provocava nei compagni.
Non
per niente a
qualche metro di distanza una ragazza minuta e dai capelli castani
osservava la
sfera quasi con aria malinconica, come se non vedesse l’ora
di scappare… Francisca
sbuffò leggermente, parlando con un tono piatto e neutro che
non si addiceva
per nulla alla sua solita espressività sia nel gesticolare
che nel parlare:
“Si
può sapere che
cosa hai detto?”
“Niente
di importante
Frankie, concentriamoci invece su queste stramaledette
sfere… allora,
cosa vedi
nel mio brillante futuro?”
“Nebbia.”
“Bene!
Io invece…
ok, andiamo di inventiva. Ci sono, visto che è Halloween
potremmo scrivere
qualcosa a tema… tipo un cadavere
ricoperto di sangue.”
Francisca
piegò le
labbra in una smorfia alle parole dell’amica, guardandola per
un attimo con un
luccichio allarmato negli occhi verdi:
“Alexa!
Non si
scherza su queste cose!”
“Ma
dai, non avrai
mica paura… scherzavo!”
Alexa
rise appena, guardando l’amica con
divertimento prima di schiarirsi la voce, parlando in tono decisamente
più
formale quando l’insenante le passò accanto:
“Allora,
sì, come
stavo dicendo… ma guarda, vedo una piccola moretta che ha
gli occhi a cuoricino
per Steb! Mi chiedo di chi possa trattarsi…”
“Ah ah ah. Io invece vedo te che fai una
pessima fine, se non la smetti con questa storia! Maledetto il giorno
in cui te
l’ho detto…”
*
“Io
l’avevo detto
che ci saremmo persi…”
“Piantala
di fare
l’uccellaccio del malaugurio… vedrai che ne
usciremo, rilassati!”
Etienne
lanciò
un’occhiata quasi scettica in direzione del suo migliore
amico, quasi
invidiando il suo ottimismo: lui aveva la netta sensazione che si
fossero
persi, in realtà… ma se Mat insisteva nel dire
che sarebbero tornati in fretta
alla sede della Cimmeria, voleva almeno provare a credergli.
“Hai
visto quante
decorazioni hanno messo? In Inghilterra prendono Halloween molto sul
serio, non
c’è che dire…”
“Già,
da noi non
avevano mai fatto niente di simile. Ti manca?”
Etienne si voltò verso Mathieu, che camminava
accanto a lui con le mani
infilate nelle tasche del cappotto blu notte mentre attraversavano un
tratto
del bosco che occupava una buona parte del territorio della scuola.
“Sì
un po’. Ma
questa scuola è davvero importante, ed essere riuscito ad
entrarci non è da
poco… non potevo sprecare
quest’opportunità, avendo vinto la borsa di
studio.
Ci provano talmente in tanti… A te Beauxbatons
manca?”
“Si,
ovviamente.
Insomma, ci abbiamo passato sei anni, sarebbe strano il
contrario… Ma mi piace
stare qui, riesco anche a stare un po’ con mio fratello,
finalmente. Certo, è
sempre grigio e fa freddissimo, ma poteva andare peggio.”
Etienne
si strinse
nelle spalle, non potendo fare a meno di sentirsi fortunato: dopo
essere stato
espulso dalla scuola francese, era riuscito ad entrare alla
Cimmeria… non era
certo cosa da poco, come aveva già fatto notare Mathieu.
Aveva
sentito
parlare di quell’istituto molte volte, anche prima che suo
fratello venisse
assunto come insegnante di Babbanologia… ironico, solo due
anni prima non
avrebbe mai pensato di Diplomarsi lì, in Inghilterra.
Aveva
sentito
della Cimmeria come di un posto dove studiavano un mucchio di figli di
papà,
essendo costosissima, oppure qualche giovane mago brillante che aveva
passato
il scrupoloso esame grazie a capacità pratiche e studio
teorico.
Eppure,
sembrava
esserci di più, dietro quell’imponente edificio
gotico di mattoni rossi, con
finestre ad arco e guglie spettrali.
Avendo
un’ora
buca, Mathieu l’aveva convinto a fare una passeggiata
nell’enorme giardino… ma
avendo già visitato la Cappella, il Padiglione e avendo
già visto diverse volte
anche il piccolo lago, si era lasciato convincere ad addentrarsi
superficialmente nel bosco anche se tecnicamente andarci era vietato,
l’avevano
letto entrambi nel regolamento diverse settimane prima.
“Mi
spieghi perché
sei voluto venire qui Mat?”
“Preferivi
restare
a marcire in Biblioteca, per caso? Abbiamo un’ora libera,
tanto vale
approfittarne, no? E poi non capisco perché entrare qui sia
vietato nel
regolamento, non mi sembra niente di pericoloso, è solo un
normalissimo bosco
come tant-“
Ma
il francese non
finì la frase, interrompendosi bruscamente mentre,
esattamente come l’amico, si
fermava di colpo: i due restarono perfettamente immobili per qualche
istante,
le orecchie tese e i sensi all’erta.
“Hai sentito?”
“Certo.”
Etienne
si voltò verso l’amico, mentre il
silenzio calava nuovamente tra loro: eppure l’avevano sentito
entrambi, quindi
non potevano essersi sbagliati.
“Andiamo.”
Per una volta Etienne non ci mise molto a convincere
Mathieu ad
ascoltarlo: il suo sussurro bastò a farlo muovere,
incamminandosi a passo
affrettato verso il limitare degli alberi… nessuno dei due
aveva più molta
voglia di stare lì, dopo aver sentito
l’inconfondibile rumore di passi sul
terreno gelato e di un ramo che si spezzava.
Quel
posto non gli
piaceva, neanche un po’. E forse se era vietato
addentrarcisi, un motivo c’era.
Scrutando
i due
ragazzi allontanarsi sbuffò, accennando un smorfia prima di
parlare a bassa
voce e con un tono decisamente seccato, come se avessero sprecato
un’occasione:
“Mi
spieghi perché
hai voluto che ci sentissero? Avrebbero potuto esserci utili, quei
due…”
“No,
non loro. E piuttosto che ci
vedessero,
è stato meglio farli allontanare… ho altri piani,
abbi pazienza.”
*
“Dio,
grazie al
cielo è venerdì… non ne posso
più.”
Isabelle Van Acker sbuffò sommessamente,
lanciando un’occhiata torva
alla sfera di cristallo che appoggiata davanti a lei mentre disegnava
dei
ghirigori immaginari sul tavolo quasi distrattamente, come se stesse
pensando
ad altro.
“Beh,
è anche
Halloween… e non ho ancora capito perché, ma voi british avete una strana smania per
questo giorno. Viene sempre
allestito un banchetto, se non erro.”
“Sì…
non so dirti
perché siamo così ferrati su questa festa,
è una vecchia tradizione celtica. In
ogni caso anche voi crucchi avete
le
vostre tradizioni, no? E io sono mezza olandese, se dobbiamo essere
precisi!”
La
precisazione di
Isabelle fece sorridere leggermente Jude, che sollevò
teatralmente le sopracciglia
prima di replicare:
“Chiedo
umilmente
scusa. In ogni caso… visto che hai tanta fretta di finire
questa giornata,
perché non ti sbrighi a dirmi cosa vedi nella
sfera?”
“Se
vedessi
qualcosa lo farei, stanne certo Verräter! Ma non sono proprio
portata per
queste cose… Speravo che avessimo chiuso con queste
maledette sfere! Tu vedi
qualcosa, per caso?”
Isabelle
sospirò
con aria affranta, come se desiderasse scappare mentre Jude abbassava
lo
sguardo sulla sua sfera: ovviamente non vedeva un accidente, ma tanto
valeva
approfittarne e divertirsi un po’: dopo aver esitato per un
attimo rispose alla
compagna con un tono volutamente vago e leggermente pensieroso,
assottigliando
leggermente gli occhi come se si stesse realmente concentrando mentre
si sporgeva
leggermente, avvicinandosi alla sfera:
“D’accordo,
vediamo… Vedo una ragazza che si sta mettendo nei
guai… credo che nasconda
qualcosa, e non finirà bene. Ti dice nulla?”
Il
ragazzo inarcò
un sopracciglio, sollevando lo sguardo sulla compagna e guardandola
quasi
un’espressione accigliata che venne ricambiata con
un’occhiata vagamente torva:
“No,
niente di
niente. Sai una cosa Verräter? Forse, ora che mi ci fai
pensare, vedo qualcosa
anche io. Sì, vedo un ficcanaso che
s’impiccerà in questioni che non lo
riguarderanno. E credo che potrebbe finire male, succede spesso quando
ci si
immischia in questioni che non ci riguardano.”
“In
parole povere
lei farà una brutta fine, lui anche… proprio una
bella storia di Halloween, non
trovi Isabelle?”
Jude
rivolse alla
compagna un sorrisetto che Isabelle non ricambiò, spostando
invece lo sguardo
sulla finestra accanto a lei per evitare di guardarlo.
Alcuni
dicevano
che le storie raccontate in quel giorno contenevano una parvenza di
realtà…
Non
le restava che
sperare che non fosse il caso di quella.
*
Il
corridoio era
completamente deserto e silenzioso… o almeno, ad Adrianus
Stebbins sembrò così
finché non si fermò sotto al lampadario di
metallo, che dondolava leggermente
sopra la sua testa producendo un sibillio piuttosto sinistro.
L’ex
Corvonero
alzò lo sguardo, puntando gli occhi chiarissimi sul
lampadario: se fosse stato
un Babbano probabilmente avrebbe ipotizzato che ci fosse un
fantasma… ma
essendo un mago sapeva che i Fantasmi erano perfettamente visibili ad
occhio
nudo.
Dopo
qualche
istante il ragazzo riprese a camminare, scuotendo leggermente il capo e
dandosi
mentalmente dell’idiota per farsi impressionare con
così poco: forse la
faccenda di Halloween lo rendeva paranoico…
Quando
però
oltrepassò l’apertura ad arco senza porta alla
fine del corridoio per scendere
la ripida e stretta scala a chiocciola perse qualche anno di vita,
oltre ad un
paio di battiti: in un attimo e con un brusco movimento
d’aria sopra di lui
sentì qualcosa muoversi… e due istanti dopo
sentì qualcosa piombargli sulle
spalle, facendolo sbilanciare leggermente oltre ad alzare lo sguardo di
scatto.
“Ciao,
straniero!
Dove ti eri nascosto?”
Il volto del
ragazzo si rilassò all’istante, sorridendo con una
punta sollievo nel trovarsi
davanti gli occhi allegri e verdi di Francisca Lothbrock, che non si
sapeva
come era appollaiata sulle sue spalle, tenendogli le braccia intorno al
capo e
i piedi puntellati sulle sue spalle senza però pressarlo:
“Stavo
scrivendo
una lettera in camera mia… piuttosto, mi hai fatto prendere
un infarto! Come
diamine hai fatto, poi?”
“Io
sono piena di
segreti Steb, così come questo posto… sarai anche
un genietto, ma io sono qui da
più tempo di te.”
Frankie ridacchiò,
scompigliandogli affettuosamente i capelli e facendolo sbuffare prima
di
saltargli giù dalle spalle con un movimento quasi
impercettibile.
“Capirai,
questo è
il quarto anno che frequento qui… solo perché tu
sei qui per ereditarietà non
vuol dire che conosci il castello meglio di me.”
“Io
dico di sì,
invece… devi mandare una lettera? Anche io! Dai,
andiamo…”
Francisca sorrise, prendendolo per mano e
trascinandolo allegramente giù per le scale, senza dargli il
tempo di chiederle
dove avesse imparato a muoversi una scimmietta.
“Lasciamo
perdere…
piuttosto, a chi hai scritto?”
“A mia madre
ovviamente… e tu? Tuo fratello?”
Adrianus sorrise, limitandosi ad annuire: lui e Francisca
erano quasi
banali, scrivevano sempre praticamente alle stesse persone…
lei a sua madre,
alla quale era particolarmente legata non avendo mai conosciuto suo
padre,
mentre lui scriveva spesso e volentieri a suo fratello gemello che era
ad
Hogwarts più che ai genitori.
“Tuo
fratello è
Corvonero come te, vero Steb?”
“Sì.
In effetti è
strano essere stati Smistati nella stessa Casa, siamo davvero
diversi… ma ora
che siamo lontani, paradossalmente, andiamo molto più
d’accordo.”
“Non credo
sia
così strano, sai? Succede spesso… Anche se io e
mia madre andiamo d’accordo
anche quando siamo insieme.”
Francisca si
voltò
verso il ragazzo, rivolgendogli un sorriso così allegro,
sincero e con allo
stesso tempo una nota di malinconia che Adrianus non osò
nemmeno mettere in
dubbio le sue parole, intuendo quanto la ragazza fosse affezionata
all’unico
genitore che aveva conosciuto.
Anche lui aveva un
bel rapporto con sua madre, ma era di sicuro molto diverso: infondo,
suo padre
non se n’era andato, per quanto a volte fosse difficile
parlare con lui.
*
Alastair Shafiq
stava salendo le scale per tornare, finalmente, in camera sua e
riposarsi un
po’ quando incrociò la sua migliore amica che
stava scendendo velocemente i
gradini, gli occhi fissi sul pavimento senza quasi guardare dove
andava.
“Belle?”
“Oh…
ciao.”
“Ciao…
sai per
caso dov’è Jax? Non lo trovo da nessuna parte, da
quando le lezioni sono
finite.”
Alastair
guardò
Isabelle guardarsi intorno per un attimo, come per controllare che non
ci fosse
nessuno prima di rispondere a mezza voce:
“L’ho
incrociato
mentre tornavo da Divinazione, ha detto che scendeva di sotto
per… allenarsi un
po’. Ora scusa, ma Bibi mi aspetta in Biblioteca.”
Isabelle rivolse
al ragazzo un lieve sorriso prima di superarlo, riprendendo a scendere
i
gradini scivolosi di marmo sotto lo sguardo vagamente tetro di
Alastair, che
scosse leggermente il capo prima di allontanarsi nella direzione
opposta:
poteva anche seguirla e tartassarla, facendole pressione
affinché gli parlasse
come faceva prima… ma la conosceva, sapeva che non sarebbe
servito a niente.
Forse non gli
avrebbe fatto male risposarsi un po’, prima del
Banchetto… sarebbe passato a
vedere come se la passava Jackson, ma prima voleva stare un
po’ da solo in
camera sua.
*
Phoebe Selwyn
sbuffò, lanciando un’occhiata carica
d’impazienza all’orologio appeso al muro:
Isabelle non era mai in ritardo, in realtà odiava i
ritardatari… e allora
perché tardava ad arrivare?
Stava già
iniziando a farsi milioni di film mentali quando una voce la distrasse,
riportandola alla realtà di colpo:
“Scusa…
Quando hai
finito con quello, puoi cedermelo?”
Phoebe alzò
i
grandi occhi castani sulla fonte della voce, ritrovandosi davanti
l’inconfondibile figura di Camila.
Per un attimo
esitò, impegnata a chiedersi a cosa ne pensasse suo padre,
di quella ragazza…
lo conosceva, senza dubbio meglio della sua sorellastra, e non vedeva
come un
uomo come Nathaniel Selwyn potesse capire del tutto una ragazza
così
eccentrica.
“Sì,
quando avrò
finito te lo darò.”
Come succedeva
spesso e volentieri, la sua voce uscì dalle sue labbra con
una nota stonata,
quella che negli anni aveva contribuito a costruire dietro di lei la
fama di
una ragazza altezzosa e supponente.
Lo era? Non lo
sapeva, non fino in fondo. Ma non poteva farci niente, parlava
così, anche
quando magari non lo voleva.
Camila
annuì e probabilmente
fece per allontanarsi senza dire altro… ma dopo essersi
voltata esitò,
girandosi di nuovo verso la sorellastra:
“Come…
come sta
nostro padre? E’ da parecchio che non lo vedo.”
“Bene. Sta
bene.
Ma nemmeno io lo sento molto spesso.”
Questa volta la
voce di Phoebe non risuonò altezzosa… no, era
tagliente e decisamente gelida.
Le faceva strano,
era quasi assurdo sentire un’altra persona dire
“nostro padre”… non ci era
abituata, proprio per niente.
“Come
mai?”
“Non
è un uomo
molto… affettuoso. Immagino che avrai modo di rendertene
conto.”
Camila, per un
attimo, ebbe la tentazione di dirle che già lo immaginava:
del resto non si era
quasi fatto vivo per tutta la sua vita, nonostante sapesse da sempre
della sua
esistenza. Ma non lo fece, intuendo che quell’argomento non
era particolarmente
gradito a Phoebe… o magari non le andava di parlarne in
particolare con lei.
“Beh, in
ogni
caso… grazie per il libro. Ciao.”
Camila rivolse a Phoebe un debole sorriso prima di
voltarsi,
allontanandosi per raggiungere Alexandrine.
Phoebe invece non
si mosse, restando immobile con lo sguardo assorto e fisso su uno
scaffale
davanti a lei: in effetti, era quasi curiosa.
Come si sarebbe
comportato il padre, l’ambizioso ed impassibile uomo che
conosceva, con la
figlia che aveva prati9camente appena conosciuto?
Aveva deciso di
mandarla alla Cimmeria, e Phoebe si era chiesta tante volte se avesse
pensato a
lei, quando aveva preso quella decisione: nonostante sapesse che le
voleva bene
non avevano mai parlato molto, essendo entrambi poco di indole poco
affettuosa,
ma Nathaniel aveva pensato a come si sarebbe sentita, a ritrovarsi dal
non
averla mai vista al dover vivere con la sorellastra?
Le aveva sempre
fatto pressioni, incitandola ad essere perfetta, la migliore.
L’aveva fatto
eprchè voleva lo stesso dall’altra figlia?
Oppure proprio
perché voleva che si conoscessero?
Non aveva mai
avuto il coraggio di chiederlo.
Forse sapeva che
non avrebbe avuto una risposta chiara.
*
Isabelle non si
chiuse neanche la porta alle spalle, entrando nella sua camera per
appoggiare i
libri prima di scendere per la cena.
Aveva appena
appoggiato la borsa stracolma sul letto quando si accorse di
qualcosa… qualcosa
fuori dall’ordine.
C’era un
biglietto, lasciato sulla scrivania.
Un anno prima non
ci avrebbe dato molto peso… oppure ne sarebbe stata felice.
Ma non quella sera,
non in quelle settimane.
La ragazza rimase
immobile per un attimo prima di avvicinarsi alla scrivania, quasi
trattenendo il
respiro mentre spiegava la sottile striscia di pergamena, leggendo le
poche
parole scritte sopra in un attimo.
Deglutì a
fatica,
mentre i pensieri si affollavano nella sua testa, sovrapponendosi
l’uno sull’altro
e impedendole di fermarsi a ragionare lucidamente.
Poi,
all’improvviso,
mentre lasciava il biglietto sul ripiano della scrivania, un volto e un
nome
comparvero nella sua testa:
“Al…”
Corse fuori dalla
stanza, non curandosi nemmeno di chiudere la porta e lasciandola
spalancata
dietro di lei. Sentì Phoebe chiamarla, chiederle
perché stesse correndo nel bel
mezzo del corridoio… ma non si fermò. Non si
sarebbe fermata per niente al
mondo, in quel momento.
Phoebe
imprecò
leggermente e decise di seguirla, correndo dietro all’amica e
chiedendosi cosa
stesse succedendo: trovava difficile pensare che Isabelle avesse
così fame da
correre in quel modo per andare a cena.
Aprì
l’anta della
finestra con un gesto secco, non curandosi neanche di arrampicarsi
sulla
cornice ed entrare nella stanza: si sporse semplicemente, prendendo il
biglietto e mettendoselo in tasca. Non chiuse la finestra: voleva che
ricordasse che poteva entrare lì ogni volta in cui ne aveva
voglia.
*
“Jax?
Dai, muoviti… non voglio perdermi il banchetto
perché non riesci a sistemarti i
capelli!”
Alastair
sbuffò, bussando alla porta mentre se ne stava appoggiato
allo stipite,
chiedendosi perché l’amico ci stesse mettendo
tanto a cambiarsi.
Un
po’ vanitoso lo era sempre stato in effetti, ma non dovevano
nemmeno andare al
Ballo d’Inverno!
Al diavolo
Alastair
roteò gli occhi prima di aprire la porta dello spogliatoio
maschile, dove sia
lui che l’amico si erano cambiati milioni di volte, prima e
dopo gli incontri.
“Si
può sapere che stai facendo? Ti sei addormentato sotto la
doccia per caso?”
Alastair
sbuffò, e fece per dirigersi verso il bagno munito di docce
quando si bloccò di
colpo: finalmente l’aveva trovato.
Il
ragazzo si ritrovò quasi senz’aria mentre si
avvicinava, con le gambe improvvisamente
fatte di zucchero filato, al suo migliore amico... Era steso sul
pavimento
freddo, e prendendolo per le spalle per voltarlo si accorse che anche
lui lo
era.
“Jax…” Alastair
deglutì, mentre il battito
cardiaco accelerava e iniziava già a temere il peggio mentre
lo voltava con un
gesto secco e quasi brusco: non voleva farlo lentamente e prolungare
quell’agonia.
Ciononostante, due istanti dopo quasi rimpianse di averlo fatto: mollò la presa sulle spalle larghe dell’amico, arretrando istintivamente e mettendosi seduto sul pavimento di pietra antica a gelata mentre impallidiva a sua volta… ma mai quanto il bel volto di Jackson Wilkes, teso da un’espressione a metà tra il terrorizzato e il sorpreso, gli occhi blu spalancati e ormai senza vita.
C'era qualcosa sul suo braccio, in effetti... Ma Alastair era troppo sconvolto per poterci fare caso.Non si accorse della frase che era comparsa sull'avambraccio di Jackson, una frase che in effetti conosceva molto bene:
Il fine giustifica i mezzi.
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Angolo Autrice:
Buonasera! Dite la verità, non mi aspettavate tanto in fretta, vero? XD
Ad ogni modo... avete presente quanto, nel Prologo, ho scritto che gli OC avrebbero fatto una brutta fine se la sua autrice fosse sparita? Beh, evidentemente non scherzavo, quindi come si suol dire uomo avvisato mezzo salvato.
In ogni caso chiedo a chi ancora non l'ha fatto di mandarmi il compleanno del vostro OC...
In più, ho un'altra domanda:
- Come prenderà il vostro OC la morte di Jackson?
E' tutto, a presto!
Signorina
Granger