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Autore: The Custodian ofthe Doors    12/01/2017    0 recensioni
Will amava il Texas come niente al mondo, perché significava casa, famiglia, calore, felicità. Amava ogni cosa di quello Stato, del suo Stato, ogni piccola collina e grande prateria, le mandrie e le corse dei cavalli liberi nel caldo luminoso del Sole.
Will ha sei anni, una famiglia numerosa, una madre esuberante che gli annuncia di aver trovato un ranch tutto per loro ed una nuova avventura da intraprendere, che li porterà sulla strada polverosa della Stella di Rame, in un viaggio sorprendente ed una meta inaspettata che un poco si rivelerà un luogo concreto ed un po' solo quel lungo ed infinito correre verso il futuro, tra strade di campagna che si insinuano per l'infanzia e l'adolescenza, alla perenne ricerca di maturità che spesso i bambini ricercano senza rendersi conto di quanto sia magnifica la loro età.
Ma la verità è che ogni strada che decidiamo di percorrere porta a ciò che saremo, a ciò che ha fatto di noi quello che siamo e che sia una lingua d'asfalto o una strada di campagna, per quanto potremmo allontanarci, troveremo sempre il modo per tornare a casa.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Will Solace
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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C O U N T R Y R O A D


Seconda parte.

[Ottobre]



La vita non poteva sembrare più luminosa a Will.
L'arrivo nella sezione A aveva riportato alla luce il carattere solare e frizzante che aveva sempre conosciuto il Texas e che solo sua madre in quei mesi di “vita nuova” aveva potuto vedere.
I suoni nuovi amici ne erano rimasti felici e sorpresi, credendolo invece un timidone come Andrew ed era proprio al fianco del castano che si trovava ora.
A differenza della sezione B, la A, sembrava popolata di piccoli lord e damine in miniatura: mai una parola fuori posto, sempre educati e pieni di contegno, si, così aveva detto la sua mamma nel sentirlo parlare dei nuovi compagnetti, “contegno”, che Will aveva impiegato mezz'ora a ripeterlo agli altri e poi in suo soccorso era giunto proprio il balbuziente Andrew, inciampando un paio di volte sulla c ed una sulla gn, ma dicendo alla fine la parola giusta.
Ma ancora una volta era stato Alexander a spiegargli la faccenda : il BI era una scuola nata prima ancora dello stato Americano, l'avevano fondata i coloni Inglesi e dal giorno della sua fondazione in poi aveva sempre ospitato i figli degli ufficiali e dei nobili. E mentre nelle altre sezioni c'erano ragazzi di famiglie facoltose o con delle borse di studio, la sezione A era rimasta “ ad onore” e accoglieva quelle stesse personalità che aveva accolto in passato. Quindi, di conseguenza, figli di militari e di nobili.
Will era stato l'eccezione che conferma la regola, in pratica.
Ben pensandoci, il biondino si rese conto che i suoi amichetti, anche se piccoli e abbastanza innocui, erano trattati se non alla pari, meglio degli altri dalle classi superiori. Questo spiegava anche perché le maestre ascoltassero con tanta gentilezza e tranquillità quello che dicevano, perché avevano creduto con tanta facilità a quello che Katrina aveva detto loro quel primo giorno.
Era finito, lo definì così Arabelle, in un “gruppo d'élite”, qualcosa di cui andare fiero.
Il piccolo “Riccioli d'oro” ora viveva gomito a gomito con vere dame, duchessine e lord, un conte ed un barone.
<< Titoli importanti, ma che ci saranno dati ufficialmente quando faremo il nostro debutto in società.>>

Sua madre aveva riso tantissimo. Summer si era ritrovata con il sedere a terra e la sedia rovesciata vicino, quando un Will emozionatissimo le aveva raccontato la storia: Quella scuola era davvero un castello! C'erano le principesse e i cavalieri dentro!!
Ah, ma lui mica si faceva scoraggiare dalla reazione di sua madre, no signore! Perché aveva ragione, lui lo sapeva che Katrina era una dama! Lo era davvero!

La mattina dopo, durante la ricreazione, Katrina gli si era avvicinata silenziosa e posata come sempre, al suo fianco Alexander già sorrideva, reggendo una busta da lettere.
<< Questo fine settima spero non tu non abbia nulla da fare- aveva cominciato con il nasino all'insù- ci riuniamo come ogni 20 del mese, al Maniero, dopo la scuola. Di' pure a tua madre di non preoccuparsi, ti riporterà Albert.>> Detto ciò aveva gentilmente preso la lettera dalle mani del fratello e l'aveva porta al bambino.
Dentro, in un biglietto color pervinca scritto con una grafia elegante, vi era un invito ufficiale, la gentile richiesta di lasciar William alle cure della famiglia Rivallei e l'indirizzo della casa.
Certo, quando Summer si rese conto di quale via si trattasse rimase piuttosto sorpresa e si ritrovò a guardare suo figlio con minimo di sospetto, “Diamine, era capitato davvero in una classe di figli di papà!”.

Will ebbe la definitiva conferma di tutti i suoi sospetti prima quando fuori da scuola, ad attenderli, trovò una limousine, poi quando ad aprire la portiera fu un autista in divisa e per finire quando vide “Il Maniero”.
Probabilmente la casa più grande che avesse mai visto in vita sua, c'erano come minimo quattro ranch li dentro, un giardino gigantesco che confinava con una foresta e dietro di questo, in lontananza, le vette della Valley. Quella doveva essere la casa più bella di tutta Phoenix.
Scoprì ben presto, però, che quella non era la vera casa di Katrina, ma quella dei nonni. I due fratelli abitavano comunque lì, per lo meno quando i genitori non erano in continente, ma seppe dopo che, troppo spesso, il Maniero era casa loro per mesi e mesi.

Fu in quella strana e surreale giornata, in cui venne accolto in un maniero europeo trapiantato pietra dopo pietra nel nuovo mondo, seduto in un giardino così lussureggiante che Will non pensava potesse esistere in uno stato arido come l'Arizona, che cominciò a vedere per la prima volta, le vere e diverse sfaccettature dei suoi amici.
Dalle cose stupide come veder Katrina con la schiena poggiata alla spalliera della poltroncina e non dritta e perfetta come una statua, a Andrew che balbettava di meno e rideva, di una risata fresca e tintinnante. Scoprì che Turen amava giocare a calcio con Jajeck, che Ryan prendeva in giro Arabelle e che la ragazzina lo prendeva a pizzichi per fargli passare la voglia di aprire bocca.
Quei sei bambini diventarono improvvisamente più bambini davanti ai suoi occhi e solo Alexander, con i suoi grandi occhi multicolore come la vegetazione, ingigantiti dagli occhiali, continuava a comportarsi come sempre, con la solita naturalezza e il solito sguardo attento da insetto. Lui, aveva deciso Will, era sempre se stesso, non fingeva di essere perfetto come gli altri quando stavano a scuola.
Fece anche la conoscenza del Colonnello, lo strano, borbottone e un po' scorbutico nonno di Katrina, il marito di Madame.
Lui, gli raccontò la nipotina, non era Americano, così come non lo era nessuno di loro: suo nonno era Franco-Italiano, papà francese e mamma italiana per la precisione, e Will rimase incantato dall'orgoglio che trasudava dalle parole della bambina quando raccontava le origini della sua famiglia, mentre lui i primi giorni si era addirittura vergognato di venire da un altro Stato, di non essere dell'Arizzona.
Gli raccontò anche che sua nonna era russa.
<< Quindi tu sei francese, italiana e russa?>> Chiese ingenuamente.
Lei annuì, la testa alta e il petto gonfio, << Ovviamente anche Americana, ma anche australiana e hawaiana. Ho il sangue di molti popoli e se vogliamo essere precisi sono anche un po' tedesca, il mio cognome lo è.>>
Rimasero per almeno un ora a parlare delle discendenze della padrona di casa, e ad ogni parola, a ogni aneddoto che spiegava come si erano mischiati tutti quei popoli diversi la voce di Katrina diventava sempre un po' più alta, più accesa, perdendo la perfetta compostezza data dall'emulazione della nonna e portando a galla l'accento della Valley, uno strano suono morbido sulle r ed una strana apertura sulle vocali.
Will non lo sapeva, certo che no, ma stava sollevando una piccola squama della corazza della bimba e scrutava il suo cuore infantile e vivace. La vera Katrina parlava con la sua vera voce e il biondino la trovò mille volte più bella di quella calma ed educata di sempre. Perché quella sembrava da grande, era così autoritaria, da ammirare, ma questa, questa era davvero uno spasso.

Ma quella non fu l'unica cosa che scoprì quel giorno. Se ci avesse riflettuto bene – e in futuro l'avrebbe fatto eccome- probabilmente quel piccolo battibecco tra nonna e nipote a cui aveva assistito per puro caso, di ritorno dal bagno, non era altro che il preludio di una crisi bella e buona, di una guerra fredda, ma neanche troppo, che sarebbe scoppiata da li a pochi mesi.
Si chiese anche se fosse stata colpa sua, se tutto il mondo d'oro e cristalli di Katrina non si fosse infranto il giorno in cui l'aveva salvato, o ancora prima quando l'aveva conosciuta alla scuola di danza, quando era entrato in quella scuola o quando sua madre aveva comprato quella casa.
La bambina stava in pedi in uno dei tanti salottini sparsi per la casa, immersa nei colori freddi e asettici della sala dalle cui finestre poteva vedere il giardino; teneva le braccia lungo i fianchi, la testa ostinatamente alzata, gli occhi puntati in quelli ferrei della nonna ed i pugni stretti e tremanti. Parlavano una lingua che Will non capiva e certo non avrebbe imparato in seguito. La donna sgridava ovviamente la nipote, aveva fatto qualcosa che non andava bene e malgrado Katrina si stesse mordendo la lingua pur di non protestare, si vedeva lontano un miglio che voleva solo urlarle contro.
Sul tavolino davanti a loro un foglio, che con un po' di fatica Will riconobbe come una lettera, era il fulcro della conversazione.
Quando la donna, con un gesto secco afferrò il foglio e lo accartocciò, chiudendo il discorso, il bimbo si nascose di corsa dietro ad un mobile e sbirciò l'amica che continuava a fissare con sguardo di fuoco il punto in cui la nonna era sparita.
Passetti sicuri si avvicinarono e Alexander entrò dalla porta a vetri, facendo attenzione a pulirsi le scarpe sul tappeto e raggiungendo la sorella, sorridendogli speranzoso. Lei scosse la testa mormorando qualcosa, lasciandosi poi abbracciare dal bambino e condurre dagli altri.

Fu curioso che ancora una volta a giungere in suo soccorso fu Andrew, preoccupato dall'eventualità che si fosse perso per i mille corridoi del Maniero. Will lo aveva guardato pensieroso e un po' triste e quando il bambino gli aveva chiesto il motivo del suo muso lungo, imbarazzato il biondino gli aveva raccontato quello che aveva visto.
Di colpo Andrew si era fatto triste come lui ed aveva annuito, invitandolo a sedersi sullo stesso divano che aveva assistito alla lite tra nonna e nipote.

<< Madame non è una persona cattiva.>> cominciò senza sforzarsi di sembrare troppo sincero. << Ma vuole sempre che tutto sia fatto come dice lei. Katrina non lo vuole dare a vedere, ma gli rompe tanto, però non glielo può mica dire, sai? Che fa? Non è educato, non bisogna rispondere male ai grandi, bisogna sempre ascoltarli.>> Parlava a piccole frasi, quasi come se producesse un tot di piccoli pensieri finiti alla volta, come se avesse paura di balbettare con frasi troppo lunghe. << Però se la tratta male e la sgrida sempre qualcuno glielo deve dire! La mamma e il papà di Katrina lo sanno?>>
Qui il bimbo fece una smorfia molto più adatta a suo cugino che a lui, scosse la testa.
<< Certo che lo sanno, ma cosa potrebbero fare? Dovresti vedere quando ci sono invece, c'è un altra Katrina.>>
<< Perché non dicono a Madame che la tratta troppo male?>> era indignato! Se sua nonna lo avesse trattato così la mamma gliene avrebbe dette quattro. Ma a quanto pareva i genitori della bambina no.
<< Ma dove sono?>>
Andrew fece di nuovo quella smorfia, << Via, non lo so dove. Sono dei Marines, dei soldati della marina, che è tipo l'esercito ma per l'acqua, se lo chiedi a Alexander o a Katrina te lo spiegano bene. Lo era anche il Colonnello, sai? Però Madame non voleva che anche sua figlia fosse così, come il padre, ha educato anche lei come educa Katrina. Però poi zia quando è diventata grande le ha detto che non voleva diventare come lei. Ha anche aa- aaabbb-aabbdicaaa-to.>> Balbettò alla fine, bloccandosi su ogni lettera.
Will lo guardò perplesso. << E che vuol dire?>> chi l'aveva mai sentita quella parola? Per di più detta in quel modo, se anche l'avesse conosciuta… Will certo non aveva capito nulla.
<< Hai presente che Arabelle dice che siamo un “élite”? Si? Ecco, se sei un duca, una principessa o roba simile, puoi decidere di non esserlo più, di rinunciare a tutto, così fai quella cosa lì e sei una persona normale.>> Lo fissò per un attimo affranto, << Dimmi che non lo devo ripetere.>> Implorò quasi.
Will scosse la testa e poi la volse verso il giardino.
<< Quindi non li vede mai? La sua mamma e il suo papà? E come fanno, lei e Alexander? Non gli mancano?>>
<< Certo che gli mancano, ma ci sono loro due, si vogliono tanto bene. E poi Alexander non è come Katrina, lui è un maschio, ci dovrebbe pensare il Colonnello a insegnargli le cose, ma hai visto com'è no? E' divertente. Lui non lo obbliga a fare tutte quelle cose che deve fare Katrina.>>
Che cosa triste, pensò cercando di scorgere la bambina, lui non ce l'avrebbe mai fatta senza la sua mamma, solo con i nonni; perché Will voleva davvero bene ai nonni e agli zii, ma semplicemente non erano la sua mamma.
<< Che brutto...>> sussurrò triste, vedendo la testolina castana del bambino vicino a lui annuire. Gli vide in faccia una strana espressione, come se volesse aggiungere altro. Aveva la stessa faccia dello zio Benny quando voleva dirgli che regalo gli aveva fatto ma allo stesso tempo voleva mantenere il segreto e fargli una sorpresa. Solo che aveva come il presentimento che non sarebbe stata una sorpresa bella questa.
<< Però Madame non ha capito niente.>>
Okay, forse si era sbagliato, questa era una sorpresa.
<< Perché?>> Domandò allora, estremamente interessato; non solo era una sorpresa, ma era pure un segreto!
<< Perché pensa che Katrina l'ha “presa in tempo” come dice sempre lei. Secondo Madame sua figlia ha rinunciato a tutto perché l'ha convinta il Colonnello a fare il Marine, per questo non gli fa insegnare niente a Katrina che lei non abbia accettato. Però...>>
<< Però?>>
<< Non lo so se te lo posso dire. E' un segreto Will, li sai mantenere i segreti tu?>> Lo fissò dritto negli occhi e Will non si era mai reso conto che sotto a quella frangetta c'erano degli occhi così grandi e lucidi, gli stessi occhi che avevano i cuccioli di ogni animale che aveva visto. E bhe, in effetti i bambini sono cuccioli di adulti, no?
Annuì deciso, non voleva certo deludere un cucciolo, lui lo sapeva bene che poi si mettevano a piangere e non riuscivi a farli smettere, come i vitellino della mucca dei vicini, in Texas, gli aveva tolto un po' di fieno ed aveva cominciato a piangere...o almeno credeva che quello fosse il piangere delle mucche, o dei cuccioli di mucca. In effetti non aveva la più pallida idea di come piangessero le mucche. Magari quella sera l'avrebbe chiesto alla mamma, lei di sicuro doveva sapere come-
<< Sicuro?>>
Andrew richiamò la sua attenzione e Will smise di domandarsi come piangeva una mucca o un cavallo o qualunque altro animale. Doveva concentrarsi sul cucciolo di adulto ora.
<< Sicurissimo! Fidati di me!>> lo disse con orgoglio e il bambino annuì sollevato.
<< Madame non ha capito che Katrina è tanto simile a zia, davvero tanto, ma che è anche tanto simile allo zio, il suo papà. Tu non li conosci, ma se invece li avessi conosciuti capiresti al volo. Katrina non ce la fa più, ha troppe cose, prima o poi scoppia, come un chewingum! E ho tanta paura di quello che dirà Madame...>>

Erano tornati in giardino e avevano giocato come se non fosse successo niente. Come se Will non avesse visto nonna e nipote discutere, o avesse scoperto il “grande segreto di Katrina chewingum”. Tutti quei discorsi però, un po' lo avevano messo a disagio: Lui non ci sarebbe mai arrivato a cose come quelle,a capire tutta quella storia. Sembrava più intricata delle telenovellas che si vedeva la nonna con zia Laura e la mamma!
Andrew invece gli aveva saputo dare tante informazioni e poi sapeva dire le parole difficili e faceva gli occhi dolci come i cuccioli.
No, tutte quelle cose non erano per lui, non ci arrivava proprio. Non era portato per star buono ed immobile quando le persone lo sgridavano, senza piangere, o per fare tutte le cose che facevano gli altri. Per di più il Colonnello non lo trovava divertente, gli faceva solo paura. E, si! Pure Madame gli faceva paura! Ora lo aveva detto. Anche se era la signora più bella che avesse mai visto. E poi… e poi lui non sapeva parlare un'altra lingua e non aveva genitori importanti, soldati del mare o principi e principesse, lui neanche aveva un papà…

Sua madre lo aspettava raggiante sul limitare della staccionata, ma le bastò un occhiata per rendersi conto che qualcosa non era andato nel verso giusto.
Cercò di tirarlo su di morale con un piatto gigante di patatine fritte e poco a poco che mangiava e le raccontava cos'era successo riprendeva un po' di vita. Ma finita la descrizione del bagno ( “ che mamma io non capisco che ci fanno con un bagno così grande, sembra una camera, e poi perché il water è in uno sgabuzzino?”) si azzittì di colpo.
<< Mamma che vuol dire abbicare?>>
Summer lo guardò perplessa cercando di capire, “abbicare”…
<< “Abdicare”? >> provò.
<< Si, si, quello.>>
<< E' quando una persona di potere, come un re, rinuncia al suo trono in favore di qualcun altro, glielo lascia in pratica.>> attese in silenzio un continuo a cui però rispose solo altro silenzio.
<< Perché?>>
<< E se un re lascia tutto, a chi lo lascia?>> le chiese invece.
<< Di solito ai suoi figlio, o in casi particolari ai fratelli, o a qualcuno che ha scelto lui.>>
<< Quindi se la mamma di Katrina lo fa passa tutto a lei?>>
Ora lo stupore era palese sul volto della donna. Che diamine di compagnie si era trovato Willy? << La mamma della tua amica ha abdicato?>>
<< Per fare il soldato del mare.>> confermò mangiando un altra patatina, pensieroso, << Andrew però dice che lei non ce la fa e che prima o poi scoppia come un pallone, di quelli che fai sempre tu con la gomma. Però è un segreto e non lo devi dire a nessuno.>>
Non gente normale, ecco che tipo di compagnie aveva suo figlio. Dio santo, e c'erano bambini che dovevano preoccuparsi del peso di titoli nobiliari rifiutati ancora adesso? Nel ventunesimo secolo? << Mamma, loro sono tanto grandi. Capiscono tutto subito e poi sembrano i principini delle favole, sono proprio belli e bravi come dicono le storie. Però Katrina e Alexander non vedono mai i loro genitori… non è per niente bello. Ma nelle favole che mi leggi te non c'è scritto, se non ci sono la mamma o il papà c'è sempre la fata buona, perché loro hanno Madame che è così...così...come chiamava nonno la signora Steevens?>>
<< Rigida come un manico di scopa.>>
<< Ecco. Se sono principi e principesse, perché non sono felici?>>

Perché magari Will non capiva tutto al volo come Andrew, che poi in verità capiva solo perché c'era cresciuto con quei bambini, ma una cosa l'aveva sentita, come gli animali sentono il pericolo o che invece si possono fidare di te. E Summer Solace si rese conto, improvvisamente, che Will non solo si era andato a far amici dei possibili futuri ragazzi snob e viziati, ma anche dei bambini profondamente infelici.

Will aveva sei anni quando si rese conto che essere ricchi, avere un “titolo”, andare in una scuola che era un castello ed essere delle perfette damine, dei perfetti lord, non ti dava anche una famiglia felice ed unita, che le favole mentivano e non c'era nessuna fata buona, che a volte i “cattivi” erano nella tua famiglia. Ma era ancora piccolo e se tante cose le comprese a sei anni, altre le vedeva così ingigantite che non avrebbe mai creduto, in un futuro, di poterle capire e, se non giustificare, in parte perdonarle.
Al momento era convinto che Katrina sarebbe stata per sempre la principessa triste nella torre. Che Alexander, con quegli occhi da insetto, era l'unico che vivesse felice, che Andrew sarebbe rimasto sempre un cuccioli di adulto e che tutti gli altri volevano solo sembrare grandi quando invece non lo erano, quando non avevano capito tutto come lui.
Ma quando si è piccoli e si scopre una cosa nuova si pensa sempre di aver imparato tutto, di essere già grandi e aver compreso “la dura verità” degli adulti.
Quanto si sbagliava su tutto ciò, Will lo avrebbe scoperto più velocemente di quanto non avrebbe mai immaginato.

[Novembre]



Katrina glielo aveva detto alla fine del suo secondo mese di danza classica, con una dolcezza ed un eleganza che solo in seguito Will avrebbe imparato ad amare.

<< Cambia.>>

L'aveva guardata allucinato, caduto dalle nuvole.

<< Come?>>
<< Ho detto cambia.>> ripeté lapidaria. << La danza classica non fa per te, sei negato. Cambia corso.>>
Doveva ammetterlo: c'era rimasto male.
Lui si impegnava così tanto, ogni lezione, per imparare quel passé e la prima, con i piedi messi bene ed i talloni uniti, anche se si sentiva una papera, e poi arrivava lei e gli diceva che era negato, che doveva cambiare.
A lui piaceva ballare!

<< Ma a me piace ballare!>> Replicò, perché era giusto che lei lo sapesse.
<< Si, va bene – concesse- ma non cambia che non sai ballare la classica. Cambia corso.>>
<< Non voglio lasciare la danza!>> Era indignato! Come poteva dirgli quelle cose!
Katrina sbuffò, masticando a mezza bocca una frase che Will non capì ma che un poliglotta avrebbe interpretato benissimo come un “Signore dammi la forza”, probabilmente imparato dalla bambina direttamente dalla madre, quando doveva assistere agli accesi battibecchi tra i genitori.
<< Ascolta.>> Imperò sistemandosi con gesti automatici il gonnellino di tulle, come se lo facesse da una vita, cosa di cui nessuno dubitava.
<< Ti ho sentita! Hai detto che devo cambiare corso, ma io voglio ballare!>> Non poté continuare la sua sicuramente “convincentissima” arringa che l'altra gli piantò poco delicatamente una mano sulla bocca.
<< Ho detto ascolta, non “dimmi”. Presta attenzione William.>> Lo sgridò senza indugio e Will si segnò a mente di ricordarle quel brutto gesto.
<< Qui non si insegna solo la danza classica, questa è la base. Ogni ballerino fa due mesi di Classica e poi o resta qui o passa dove vuole, agli altri stili.>>
Mugugnò contro la sua mano una domanda del tutto lecita ed intelligente, che Katrina fulminò prontamente con un occhiata degna della nonna.
<< Tu li hai quasi finiti i mesi di classica e ti assicuro che non puoi continuarla, non ha i movimenti giusti. Quindi ti consiglio di scegliere un altro stile- >> altri mugugnii incomprensibili. << Che vuol dire un altro tipo!>> sbottò allora lei.
<< Mu mimu mh mhe?>>
<< Tipo di ballo, scemo!>>
<< Mmmh!>>
<< C'è moderna, liscio, di coppia, latinoamericano, hiphop… cose così. Tu ne scegli uno e fai un paio di lezioni di prova, se ti piace ti ci iscrivi e cambi corso.>> Concluse soddisfatta e gli tolse la mano dalla bocca. Will prese un bel respiro e fece per replicare.
<< No! Non voglio sentire altro. Mi hai sbavato la mano.>>
<< E se voglio continuare qui?>>
<< Volessi...>> lo corresse senza troppa convinzione ed alzò gli occhi al cielo. Con questo salivano a… a un bel po' i gesti e le cose che normalmente Katrina non diceva e faceva.
<< Puoi fare quello che vuoi, solo che...>> sospirò ancora, sembrava fin troppo strana quel giorno. Gli si fece vicino e lo fece sedere su una delle panchette di legno fuori dalla pista.
<< Stammi a sentire davvero, okay? La danza classica non è uno scherzo, nessuna danza lo è, ma questa non è un bell'ambiente.>>
<< Che cos'è un ambiente?>>
<< Ma è possibile che non sai niente?>>
<< Non sono io che non so niente, sei tu che sai troppo per una della nostra età!>> rispose piccato gonfiando le guance. Ma a quanto pare quella non era stata proprio la mossa migliore.
<< Già.>> Gli diede ragione senza provare a replicare, con lo sguardo improvvisamente triste.
<< Scusami...>>> provò allora, posandogli una manina abbronzata sulla sua. Si scoprì stupito nel constatare che il loro colore di pelle non era poi così diverso, anche se era sicuro che Katrina indossasse sempre i guanti all'aperto, come la nonna.
<< Lascia stare, nonna vuole che sappia tutto. Una bambina educata deve saper parlare bene, me lo dice sempre. Dice anche che la danza classica è la migliore e che mi serve per essere elegante. Però Will, è difficile, per le femmine un po' di più perché devi mettere le punte e ti sanguinano i piedi.>>
<< Come quando cadi e ti graffi?>>
<< Come quando ti arriva la palla in faccia e ti esce il sangue dal naso.>>
<< Uhgh!>>
<< Si, proprio quello. Devi essere uno tosto per stare qui, non è divertente.>>
Lo disse in modo tale che Will non ne dubitò per un instante, anche se poi si ricordò di tutte quelle ragazze grandi che erano tanto felici di fare lezione e di mettere le punte, che poi Will ancora non aveva capito che erano ste' punte, ma si ricordò anche che quelle ragazze grandi andavano da sole alle lezioni e che invece Katrina arrivava sempre con la nonna, anche quando non era lei a fargli da insegnate.
<< Non ti piace?>> le chiese ingenuo, senza capire perché allora stesse lì.
<< Non è che non mi piace, è come la fanno qui, come la fa nonna.>>
<< Ma la maestra dice che sei la più brava di tutti! Che dovresti stare con le ragazze grandi!>>
<< Si ma non l'ho mica scelto io.>>
Ecco, lo aveva detto.
Per Will fu uno shock. Se non lo aveva scelto lei di stare lì, perché lo faceva?
<< A me piace ballare, è bello e poi mi fa sentire bene, rilassa.>>
<< E che vuo- >>
<< Vuol dire che ti fa sentire bene come quando ti sdrai al letto la sera, va bene? E “ambiente” è un altro modo per dire posto. >> Sfilò la mano da sotto la sua e gli ci diede uno schiaffetto.
<< Ehi! Però se ti piace perché non la vuoi fare?>> Sunto del discorso: capacità di andare dritto al punto, una dote che spesso solo i bambini hanno e che ti fa ragionare più del dovuto.
Katrina fece un smorfia tra l'affranto e lo schifato.
<< Non è neanche che non la voglio fare. Solo...c'è qualcosa che fai, in cui sei bravo anche, ma che non ti hanno mai obbligato a fare?>>
No, okay, si era perso. Ma aveva la vaga sensazione che se se ne fosse uscito con un ennesimo “ che vuol dire”, l'amichetta l'avrebbe picchiato con le scarpette.
<< Per esempio…?>> provò e sembrò aver fatto la scelta giusta. Si! Uno a zero per Willy!
<< Mh...ti piace cantare?>>
<< Si! Certo che mi piace! Mamma dice che sono anche bravo!>>
<< E c'è una cosa che ti piace di più di cantare?>>
<< Andare a cavallo! Sicuro.>>
<< Okay, allora immagina che tu voglia andare a cavallo, ma la tua mamma ti obbliga a cantare nel coro.>>
<< Bhé, ma mi piace cantare...>>
<< Si ma ti piace di più cavalcare. E per il coro devi rinunciare ai cavalli. Ti piace ancora cantare?>>
Quella era proprio una domanda difficile: se aveva capito bene Katrina gli stava chiedendo come si sarebbe sentito se la sua mamma lo avesse costretto ad andare al coro, magari quello della chiesa, rifletté, invece di andare al recinto dei cavalli e fare un giro sui poni.
<< Non lo so… non ci capisco molto a dire la verità. Mi piace cantare e anche suonare, mi piacciono tanto le canzoni e la musica, per questo ballo sai? >>
Lo chignon mogano sobbalzò sulla testolina tirata.
<< Vuoi bene ai tuoi nonni?>> Gli chiese allora a bruciapelo.
<< Certo!>> Che razza di domande gli faceva? Lui li adorava i suoi nonni, non erano mica cattivi come Madame...oh, che cosa triste. Katrina non aveva una nonna buona come la sua, che gli faceva i biscotti e le torte e gli lasciava assaggiare l'impasto e rubare la marmellata.
<< Pensa che puoi andare a Disneyworld.>>
<< Mi piace Disneyworld! Non ci sono mai andato! Sarebbe un sogno.>>
<< Ma che tua mamma ti dice che invece non ci andrai perché devi andare a casa dei nonni. >>
<< Oh.>>
<< Adesso che per colpa loro non puoi più andare al parco giochi, li odi?>>
No, era ovvio che no. Non era mica colpa dei nonni, era la mamma che lo aveva costretto a- << Oh.>>
<< Ecco.>>
Si alzò con la sua solita compostezza e, in un gesto di rarissimo affetto, gli passo la manina tra i riccioli biondi.
<< Chiedi a tua madre di farsi dare la lista degli altri corsi, da Madomoiselle Selina, alla reception, abbiamo anche musica e canto, c'è persino un corso di teatro, coreografato, ma pur sempre teatro.>>

Di tutte le cose che gli erano capitate in vita sua, sei degnissimi anni di vita, Will era certo che “ragionare” fosse la cosa che più aveva fatto da quando era arrivato in Arizona. La confusione che aveva in testa era colossale, si sentiva come quando zio Benny ripeteva un esame ad alta voce e lui cercava di seguire il filo del discorso.
Perché più si diventa grandi e più le cose si complicano? Insomma, Will era un bambino grande adesso, le cose le capiva davvero bene, ne era certo ed orgoglioso, ma quei sette bambini lo lasciavano sempre nella confusione più totale: c'erano troppe cose, troppe troppe, e lui non riusciva a seguirle tutte. Era così triste, tantissimo. In Texas i bambini non erano tristi, a meno che non si fossero persi un gioco o qualcuno li avesse sgridati; in Arizona invece sembravano tutti piccoli adulti, serissimi e diligenti, e più di una volta Will si era domandato come potessero divertirsi, essere bambini veri, se erano già adulti. Lui era grande, mica un adulto, era una cosa diversa. Gli adulti non erano mai felici come i bambini. E i piccoli adulti? Dato che loro erano piccini, che erano delle miniature di adulto, erano ancora più tristi? Potevano contenere meno felicità?
Non sapeva proprio che pesci prendere, era tutto così complicato. Un adulto grande era più grande quindi lo potevi riempire di più cose, come una valigia, giusto? E quindi uno piccolo poteva tenere meno cose? Ma poi ce la potevi infilare la felicità dentro a qualcuno? O ce l'avevi già dentro quando nascevi? Lui non avrebbe avuto, da grande, più felicità di quanta non ne avesse ora? O cresceva come le piante? E gli adulti piccoli erano come i bonsai? Non crescevano più?
Ma soprattutto: che diamine ci faceva ancora seduto sulla panca invece di andare a prendere la borsa? La mamma sicuramente lo aspettava da un anno!
Scattò in piedi e corse verso la porta dello spogliatoio, avrebbe chiesto alla donna, una volta arrivati a casa, o magari addirittura alla nonna, quella sera.

Non che Will pensasse di essere una persona sfortunata, ma spesso sua zia Laura gli diceva che aveva lo stesso immancabile tempismo di sua madre, dello zio Benny e del nonno: un tempismo del cavolo, ecco.
Se si fosse sbrigato quel giorno, invece di rimanere impalato a domandarsi quanta roba potesse contenere una persona, se fosse una pianta normale o un bonsai, adesso sarebbe tranquillo a casa a farsi prendere in giro per quegli strani dubbi e non schiacciato contro una poltroncina per non farsi vedere, di nuovo, da Madame e Katrina che litigavano, di nuovo.
Ma cos'era? Una nuova moda? Dovevano sempre litigare quando c'era in giro lui.
Tempismo del cavolo, proprio un tempismo del cavolo, appena arrivato a casa si sarebbe attaccato al telefono e avrebbe dato ragione da vendere alla zia, si, le avrebbe giurato di pensare sempre tremila volte prima di fare qualcosa, o non farlo subito, così evitava situazioni come quelle.

<< Non credo tu sia in grado di prendere queste decisioni, Katrina, il discorso è chiuso.>> sentenziò la donna senza degnare più di uno sguardo la nipote.
<< Ma io non voglio continuare, sono quattro anni che faccio danza classica, non mi va più. Magari tra qualche mese poi mi torna la voglia, ma ora proprio no.>>
<< E dimmi un po', che senso avrebbe dedicarsi ad un altro sport se poi ti riverrà la voglia di ballare e tornerai qui? Sarebbe una perdita di tempo, solo questo. Quindi ti terrai questa “voglia” per te, finché non ti passerà.>>
<< Vorrei solo fare qualcos'altro. Sono stufa di far plié e arabesque, Jajeck segue il corso nuovo, quello sperimentale sui nuovi stile, si chiama Breakdance, voglio provare quello.>>
A quell'affermazione Madame portò di nuovo l'attenzione sulla bambina, lo sguardo freddo ed il volto inespressivo.
<< Ascoltami bene Katrina, perché te lo dirò una volta sola, questa discussione mi ha già stancata. Quella “roba” che fa il piccolo Royale non può essere definita danza, è solo uno stupido surrogato, un unione mal riuscita di acrobazia e musica, tutto qui. Nulla di adatto a te. Tu sei una signorina, diventerai una ballerina quanto meno più brava di tutte quelle che ti circondano, non arriverai ad essere la prima ballerina della Scala come lo fui io, ma non si può essere perfetti.
Quindi no, Katrina, non farai nulla di rozzo o volgare come quella cosa che neanche si può definire danza, non lascerai la classica e la smetterai di fare la bambina, con le tue stupide idee di cambiare tutto solo perché ora “non ti va”. >> detto ciò le diede le spalle e si avviò per il corridoi.
<< E quando arriveremo a casa comincerai a fare l'inventario delle cose da mettere in valigia, passeremo il Natale in Inghilterra.>>
Katrina sembrò riprendersi all'istante dopo quell'affermazione, sgranando gli occhi scioccata.
<< Come in Inghilterra? E mamma e papà? Non possiamo passare il Natale da qualche altra parte, saranno stanchi, vorranno stare a casa!>>
Il suono che si lasciò sfuggire la donna dalle labbra fu apertamente di scherno.
<< Non hai ancora imparato a leggere? La lettera parlava chiaramente.>>
<< C'era scritto che la loro nave sarebbe attraccata per due giorni durante il periodo natalizio, non era specificato quando, potrebbe essere in qualunque momento, anche quando siamo in Inghilterra. Non possiamo partire!>>
<< E invece partiremo proprio.>> si arrestò e voltò la testa, << La nave attraccherà ma non è detto che gli venga concesso di scende, anzi, sarà sicuramente così. Non possiamo rifiutare un invito a Londra solo perché c'è la possibilità che gli sia concesso di scendere.>>
<< Ma è Natale!>>
<< Non intendo discutere di questo in alcun mondo.>> La voce si alzò d'un tono, lo sguardo grigio sembrava essere quasi più scuro e Will che si era sporto rapito dalla discussione, si rannicchiò di nuovo impaurito.
Katrina fissava la nonna sbalordita, la bocca poco elegantemente aperta. Poi un fulmine, una scintilla rabbiosa le illuminò lo sguardo:
<< Io non ci vengo.>> a differenza della nonna, la sua di voce fu calma e pacata, si stava sforzando enormemente di non urlare, di non dargliela vinta, e parve proprio funzionare.
Madame tornò sui suoi passi con l'espressione furibonda.
<< Cosa hai detto?>> la minacciò a risponderle.
<< Che non verrò in Inghilterra, nonna. L'invito sarà sicuramente per te ed il nonno, non credo sia esteso ai membri della famiglia Rivallie, quindi io non mi sposterò di qui, che ti piaccia o no.>>
<< Non puoi scegliere.>>
<< Me ne frego!>> Glielo sputò letteralmente in faccia, mandando al diavolo la calma ed alzando le braccia al cielo con fare arrabbiato.
Lo schiaffo che arrivò immediatamente dopo, Will doveva ammetterlo, non se lo era aspettato e lo fece saltare sul posto.
Serrò gli occhi e sperò che tutto finisse velocemente, non voleva sentire Katrina piangere e si premette le mani sulle orecchie.
Ma non arrivò nessun singhiozzo, nessun pianto di dolore, eppure per fare quel rumore doveva aver anche fatto molto male.
<< Mi spiace nonna.>> sentì allora. Sgranò gli occhioni azzurri incredulo: non poteva aver ceduto subito, non dopo tutte quelle cose cattive che aveva detto Madame. << Ma io non l'ascerò l'America questo Natale.>> Passetti piccoli ma decisi, sporgendosi un poco poté vedere la bambina superare la donna, ancora con la mano a mezz'aria.
Si fermò sulla porta che divideva il corridoio delle classi da quello della hall, poggiò la mano sulla maniglia ed inclinò a mala pena il viso, giusto per non sembrare che non avesse il coraggio di guardarla in faccia.
<< E che a te piaccia o meno, dalla prossima lezione non mi vedrai più nell'aula di danza classica, se mi ci vedrai. Ho deciso così e non me ne frega niente di quello che dirai tu. Il discorso è chiuso.>>
Aveva usato le sue stesse parole, un po' meno educate certo, ma avevano ampiamente sortito l'effetto desiderato. Abbassò la maniglia ed uscì.
<< Katrina. Torna immediatamente qui. Katrina! Lo decido io quando il discorso è chiuso! Katrina!>>

Arricciava il filo del telefono con il ditino, sentendo il nonno raccontargli come Fuffi, il diciottesimo Fuffi forse, avesse imbrattato tutto il pavimento della cucina quella mattina, facendo andare su tutte le furie la nonna. Will annuiva, come se il vecchio uomo dall'altra parte del cavo potesse vederlo, ma non proferiva parola.
Un sospiro pesante ed il nonno l'asciò perdere la descrizione della moglie con il fango tra i capelli che minacciava di sbatterlo a dormire proprio con il cane.
<< Che succede Willy? Hai litigato con qualcuno?>>
Il nipotino tentennò, cominciando con un no per niente convinto e poi facendosi di nuovo zitto.
<< Dai, dimmi tutto, magari ti posso aiutare.>>
<< Non è per me nonno.>> soffiò fuori alla fine, guardandosi attorno con circospezione per controllare se la mamma lo stesse guardando. Già gli aveva dato una bella lavata di capo per aver tardato così tanto quel pomeriggio, figurarsi se le avesse anche detto che aveva spiato due persone che litigavano. Ma al nonno lo poteva dire, no? Di lui si poteva fidare, tanto non conosceva Madame e non poteva rinfacciargli la cosa come suo solito, non la poteva vedere e neanche farla arrabbiare, per di più Katrina non avrebbe passato nessun guaio.
Prese un bel respiro e cominciò, << Ecco...>>

Da grande, circa intorno ai suoi otto anni, lui, Ryan e Jajeck si sarebbero ritrovati a scrivere la lista delle “grandissime cavolate mai fatte in vita mia”, con l'unico sollievo che i due ragazzi, con l'aggiunta di Katrina, averebbero anche avuto una seconda lista, quella di “tutte le volte che mi sono messo nei guai perché ho picchiato qualcuno e non ho ragionato”, che Will reputava di certo peggio e sicuramente più impietosa, con l'appoggio di Andrew.
Ma il punto sta che nella sua di lista, il primo punto era: “ Dire a nonno qualcosa che riguarda la scuola, quella di danza, o qualunque altra cosa che riguardi Madame ed i suoi comportamenti bisbetici da (questo glielo aveva suggerito la nipote) despota nazista.”
Decisamente, il nonno Non era una persona con cui potersi sfogare in qui casi. No.

La lite, non quella della Asgard, ma quella tra figlia e padre, cominciò lentamente quella stessa sera, andandosi ad intensificare parola dopo parola e scoppiando alla fine in un violento scontro verbale da un capo all'altro del telefono, contemporaneamente in due Stati limitrofi del vecchio West.
E Will, oltre a ricordare quel giorno come “la giornata nazionale delle liti scoppiate così a buffo” la ricordò anche come “il giorno in cui era meglio che si facesse gli affari suoi ma non se li era più fatti ed erano scoppiati i casini.”
Nome lungo, si, ma del tutto appropriato. Soprattutto se sei un bambino di sei anni e sei convintissimo di aver appena fatto la cosa più brutta del mondo, se ti sentivi già in colpa per aver spiato qualcun altro senza, per di più, andare in soccorso della tua amica come aveva fatto lei con te ( quando ancora non vi conoscevate poi! Peggio ancora!) e se eri ormai certo di essere la causa di tutti i problemi della giornata.
Ragionando chiuso nella sua cameretta, Will si disse che se non avesse fatto schifo in danza classica, Katrina non le avrebbe consigliato di cambiare, lui non si sarebbe offeso e lei non le avrebbe spiegato tutte quelle cose con i cavalli, la musica, il coro, Disneyworld, i suoi nonni e sua madre che era la vera responsabile perché gli impediva di andare al parco giochi ma non poteva odiare i nonni per questo e neanche sua madre perché gli voleva bene e lei faceva sempre le cose tutte per lui e non era come Madame erano Katrina e Alexander ad essere sfortunati e quindi era vero che era tutta colpa sua perché se non si fossero mai trasferiti li non sarebbe successo tutto questo e voleva tornare in Texas e cancellare tutto e lui non ci stava capendo una mazza!
Si ritrovò a singhiozzare rumorosamente contro il cuscino, imbrattando la fodera di lacrime e moccio.
Non era il Texas o l'Arizona, era lui che faceva sempre danni, era tutta colpa sua.
Pianse tutta la notte e non volle neanche andare a dormire con Summer, che sebbene fosse arrabbiata con il padre faceva di tutto per consolarlo e calmarlo, ripetendogli che non era colpa sua. Will aveva rifiutato ogni abbraccio e carezza, ogni bacio e proposta di gelato. Non se lo meritava proprio.

[Dicembre]



Con l'arrivo dell'ultimo mese dell'anno le cose non erano migliorate, né per Katrina né tanto meno per lui.
Summer era in piena guerra del silenzio, non chiamava il padre ed il padre non chiamava lei, era sempre la nonna a chiamare, o una preoccupata zia Laura, un infastidito zio Benny che però, stranamente, dava ragione alla sorella e non al suo vecchio. Gli altri si astenevano per quieto vivere. Ma il punto cruciale sta nel fatto che, ancora una volta, Will sapeva che tutto ciò era colpa sua. Era lui che aveva parlato con il nonno, lui che aveva parlato con Katrina.
Prese una difficile decisione in quel momento, una decisione tragica ma che andava fatta, che doveva esser mantenuta ad ogni costo.

Quando Alexander lesse il biglietto sorrise divertito, ma annuì alla sua presa di posizione; Ryan non ne capiva il senso, Arabelle pensava fosse inutile, Turan gli ripeteva di non esagerare, Andrew lo guardava allucinato. Jajeck scoppiò semplicemente a ridere, per poi voltarsi verso la piccola lady ed informarla a gran voce:

<< Risei! Riccioli d'oro ha deciso che non parlerà mai più!>>
E Will era arrossito come un pomodoro, perché Jajeck aveva un sorriso luminoso ed una risata forte e spensierata, anche se stavano a scuola e di solito si controllava, ma in quel momento era solo genuinamente divertito, ed era anche davvero carino. Chissà se Will avrebbe mai trovato qualcuno carino come Jajeck per passare la sua vita. Che poi, una bambina poteva essere bella come un bambino? Bhé, la nonna diceva sempre che le bambine erano più belle, ma trovare qualcuno più bello di Jajeck era proprio impossibile.
Balbettò qualcosa di incomprensibile ed il ragazzino dagli occhi da gatto rise più forte.

<< Non è vero! Falso allarme! Parla ancora!>>

Katrina non l'aveva presa sul ridere e gli aveva chiesto molto più diretta il perché della sua decisione.
Will aveva provato a scriverglielo, ma dato che la sua calligrafia faceva schifo e che ci stava mettendo davvero tanto impegno e attenzione per scrivere bene e farsi capire, Katrina si era spazientita, gli aveva strappato di mano foglio e matita e lo aveva esortato a parlare con un solo sguardo penetrante.
Deglutì un poco intimorito ma scosse la testa, allungando le mani per farsi ridare le sue cose.

<< Non fare il cretino e parla.>>
Sgranò gli occhi: Katrina aveva davvero appena detto “cretino”?

<< E non fare quella faccia. Non puoi non parlare per sempre, lo possono fare solo gli eremiti e no, non ti spiego cosa sono, ma lo faccio dopo che mi avrai parlato. Per di più dovrai rispondere alle domande della maestra prima o poi.>> Il discorso filava. Come sempre. Mannaggia.

<< Ahio!>> La matita lo aveva pungolato sulla mano e poi gli era arrivata dritta in testa con una velocità tale da dargli una schicchera bella forte.
<< L'ho detto che sei un cretino.>>
<< Non è una bella parola quella...>> borbottò in rimando.
<< Ma è ciò che sei. Non litigo con mia nonna perché ci sei tu qui. Secondo nonno lo faccio perché sono cresciuta e comincio a pensare con la mia testa!>> Lo disse con orgoglio e le scintillarono gli occhi, mentre quelli di Will rimanevano imbronciati sotto le sopracciglia aggrottate.
<< Però non è comunque carino e poi mi hai fatto male.>>
<< Te lo meriti, così impari la lezione.>>
<< Non dire a Katrina quello che pensi?>> provò indeciso.
<< No, si chiama metodo carota-bastone. Lo si fa con i cavalli: fanno i bravi e gli dai una carota, fanno i cattivi e gli picchi il bastone sulla coscia.>>
<< E' bruttissimo!>> gracchiò orripilato da quella prospettiva, << Noi non lo facciamo mai con i nostri cavalli, gli fai male così!>>
Katrina alzò gli occhi al cielo, posando i pugni sui fianchi. << Hanno più muscoli loro sulla coscia di quanti non ne avrai mai tu. Non gli fai davvero male, come i cani con il giornale. Se fanno qualcosa di sbagliato gli devi battere il giornale sulla schiena, non gli fai nulla, ma fai tanto rumore e loro lo prendono come una cosa negativa e non lo fanno più.>>
<< E' bruttissimo anche questo!>>
<< Si chiama addestramento e se dici un'altra volta “bruttissimo” lo do' in testa a te il giornale!>> Will la guardò sconcertato, e dove lo aveva tenuto questo caratterino miss Perfezione fino ad ora?Abbozzò una smorfia che voleva essere un sorriso ma che gli uscì decisamente storto.
<< Allora non sei arrabbiata con me?>>
La bambina, esasperata, lasciò cadere in avanti la testolina rossiccia, facendo oscillare la lunga treccia spessa.
<< Non potresti mai fare l'eremita tu.>>
<< Lo devo prendere come un no…?>>
Lei lo guardò e poi gli diede una pacca sulla spalla, << Anche se non sai ballare non sei sempre tu quello che fa danni, Riccioli d'oro.>>
Detto da lei quel soprannome sembrava quasi una presa in giro, ma Will sorrise raggiante e si mise a saltellare sul posto.
<< Grazie! Grazie! Grazi! Avevo così tanta paura! Pensavo di aver fatto davvero un pasticcio! Scusa se ti ho dato fastidio Katrina!>>
Ma se prima la ragazzina gli sorrideva, all'ultima parola storse la bocca in un espressione di completa disapprovazione, quasi di disgusto.
<< Non chiamarmi Katrina.>>

La guardò sconvolto. Che vuol dire “non chiamarmi Katrina”?
Aprì la bocca per protestare ma non uscì una sola parola, sembrava un pesciolino fuor d'acqua.

<< Lo odio. >> Lo freddò così, prima che riuscisse a metter in piedi una frase.
<< Mia nonna mi ha iscritto con questo nome alla BI solo perché è un “nobile nome russo”, ma non è il mio. Lo odio.>>
Fece qualche passo e si diresse verso le arcate che conducevano ai corridoi, la ricreazione stava per finire e loro l'avevano usata tutta per “parlare” come facevano i grandi.

<< Ma… allora…? Che cosa- >> provò balbettando come Andrew.
<< Chiamami Rise. E' così che mi chiamano i miei amici.>>


Il mondo dei bambini è bellissimo: ciò che un momento li preoccupa, che è orribile, bruttissimo o catastrofico può essere cancellato in meno di un minuto.
O diventare trauma infantile. Ma questa non è la storia di come William Solace venne traumatizzato da una scoperta scioccante e i suoi amici continuarono a prenderlo in giro per il resto della sua vita. Questa è la storia di come Will arrivò dal Texas convinto che l'Arizona facesse schifo, si fosse ricreduto più di una volta e poi ri-ricreduto ancora per poi ri-ri-ricredersi.
Uh, quanti ri- soprattutto perché gli stavano mettendo in disordine tutti i suoi pensieri.
Fatto sta che Will, tornando a casa quel giorno, era sicurissimo che tutto fosse passato, che non importava che non capisse le cose al volo come gli altri perché loro lo reputavano comunque un amico.
“ Mi ha detto di chiamarla Rise come fanno i suoi amici!” lo aveva ripetuto per tutto il tempo come una cantilena nella sua testolina bionda, al cui interno si era andato a solidificare un altro pensiero: se ciò che lo aveva fatto star giù di morale era passato, allora anche la lite tra il nonno e la mamma era finita, perché era cominciata da lui che era triste e parlava con nonno e nonno che era arrabbiato perché lui era triste e sgridava mamma perché aveva permesso che lui stesse con dei bambini che lo rendevano triste. Era un po' complicato, Will lo sapeva, ma nella sua testa tutto filava liscio.
Come quando sputi per terra e poi ci metti il piede sopra.
Gli zii sarebbero stati fieri del suo ragionamento da vero Cowboy!
Peccato che non fosse così.
Inizialmente pensò che fosse tutto un problema di “comunicazione” come brontolava la nonna quando raccontava dei dissapori di famiglia, magari Summer e suo padre continuavano a non parlarsi perché non sapevano che lui non era più triste. Magari la mamma ora era triste e non si era accorta che lui non lo era più. Passava tanto tempo a lavorare, a chiamare al telefono per ordinare una cosa o chiedere informazioni, quindi forse non se ne era resa conto.
Così per buona maniera, glielo disse, chiaro e tondo.

<< Mamy non sono più triste per quella cosa dei miei amici. Ora sono felice e ho capito che mi vogliono bene.>>
Sua mamma gli aveva scompigliato i capelli e aveva sorriso felice anche lei. Ora che lo sapeva la cosa era risolta.

Però continuavano a non parlarsi, quei due, allora Will pensò che era ovvio! Dato che non si sentivano mai, Summer non poteva aver detto al padre che era tutto finito e quindi lui non le voleva parlare!
Giustissimo ragionamento, per altro. Chiamò il nonno, che ormai era grande e lo sapeva usare benissimo il telefono lui, sapeva addirittura il numero a memoria!
E:
<< Nonno non sono più triste ora, sai? Ho risolto tutto – come dicevano gli adulti!- gli voglio tanto bene e sono felice!>>
Anche il nonno lo era stato, che bello! Lo aveva addirittura urlato alla moglie nell'altra stanza sturando un timpano al nipotino.
Ed ora niente più scuse, lo sapevano tutti e due, era fatta!

Ovviamente no.
Eppure non capiva dove avesse sbagliato, lo aveva detto a tutti e due! Non potevano non averlo capito!
Chiamò di nuovo i nonni e questa volta parlò con la donna: le ripetette che era felice, che aveva risolto tutto e di ricordarlo anche al nonno, che magari non aveva capito. Le disse pure che Katrina gli aveva detto di chiamarla Rise, come tutti i suoi amici!
Poi aveva preso l'agenda della mamma e aveva chiamato zia Laura, per dirlo anche a lei. E lo zio Jacke e lo disse anche a lui- << Ricordalo anche a nonno e mamma quando li senti!>>-, poi allo zio Eric ed in fine allo zio Benny, che da bravo ultimo nato capì al volo quello che il bambino cercava di fare ma non ebbe il cuore di dirgli che era inutile.

I primi di Dicembre erano scivolati via in fretta e furia, mentre un vento pericolosamente freddo si era infilato nella Valley e Will, ancora e ancora, si domandava cosa non andasse.
Sua madre era sempre più nervosa, le telefonate con i parenti più animate e spesso si chiudeva in camera o andava fuori sulla veranda a parlare, vietandogli di uscire perché troppo freddo.
Così come a casa, anche a scuola la situazione era drammatica: Katrina, Rise, scattava per un nonnulla e una volta aveva rotto quattro matite una dopo l'altra. Alexander la guardava nervoso, facendo scattare quegli occhi da insetto ad ogni minimo movimento, accennando un sorriso spento ogni volta che qualche compagno parlava di vacanze di Natale, e anche gli altri non se la cavavano meglio, con Andrew che sembrava avergli rubato il voto di silenzio, Arabelle che pareva volersi mettere a piangere ogni momento tanto le brillavano gli occhi, spaesata come Turan che non sapeva cosa fare, come consolare gli amici; Rayan che faceva stupide battute e Jajeck che provocava Rise e finiva sempre per farsi prendere a pugni.
Non la capiva questa sua voglia di farsi far male e lo stupiva quasi quanto vedere la piccola dama picchiarlo.
Un giorno avrebbe capito che tra tutti Jajeck era l'unico che si era reso conto che a Rise serviva sfogarsi in quel momento e che il modo migliore per farlo, per lei, era attraverso lo sforzo fisico. Jajeck e Rise avevano già quel rapporto di reciproca intesa tipico dei migliori amici che non li avrebbe più lasciati, ben diverso da quello che legava la ragazzina al fratello o di quello che avrebbe legato loro due. Ma avrebbe anche capito che tutti, tra di loro, avevano un rapporto speciale esclusivo per gli altri.
Avrebbe avuto tempo per farlo.


Will piangeva come mai in vita sua, Turan era stato l'unico con la prontezza di riflessi per abbracciarlo e stringerlo a sé, mentre Arabelle gli carezzava lentamente la testa e Alexander cercava di convincere Ryan e Jajeck a stare fermi e non fare a gara per chi dovesse andare a chiedere una tazza di tea al bar della scuola.
Andrew e Rise erano non si sapeva dove e Will intanto continuava a piangere.
Quella era decisamente la giornata più brutta della sua vita.
Era cominciato tutto bene, entro i limiti possibili di quel mese e di quel periodo, anche quella mattina Will aveva cercato in tutti i modi di far capire a sua madre che, ora che era felice, non c'era più alcun motivo che lei ed il nonno litigassero. Le aveva così detto che magari il nonno non lo aveva capito bene ma che di certo quel Natale, quando sarebbero tornati in Texas, glielo avrebbe detto chiaro e tondo.
Summer allora si era fermata e lo aveva guardato con sguardo colpevole.

<< Willy, tesoro, ascolta okay? Questo è il primo Natale che non viviamo a casa dei nonni e io pensavo di passarlo qui.>> Gli aveva preso le mani e aveva sorriso incerta.
<< Quindi vengono tutti qui? Ma c'entreranno? E dove dormono?>> Che bello, così gli zii avrebbero finalmente visto la nuova casa.
Ma ancora una volta sua madre lo guardò in quel modo palesemente colpevole.
<< No Willy, non vengono tutti qui>>
<< E allora come facciamo?>> se non sarebbero venuti e loro non si sarebbero spostati, come accidenti lo passavano il Natale?
<< Quest'anno festeggeremo a casa nuova, noi due soli. Non torneremo in Texas e i nonni e gli zii non verranno in Arizona.>>

Lo aveva raccontato tra i singhiozzi durante l'ora di ricreazione, dopo aver passato tutta la mattinata a tirar su con il naso e asciugarsi le lacrime.
Turan era più alto di lui di almeno una decina di centimetri, non che ci volesse molto, e lo aveva addirittura preso in braccio, come fanno i genitori con i figli.
Eh si, i suoi amichetti erano proprio piccoli adulti.

<< Non vedrò nessuno.>> piagnucolò ancora, << Sarà il Natale più brutto della storia dei Natali!>> La manina candida di Arabelle gli scostò qualche riccio dalla fronte e gli porse un fazzoletto.
<< Non dire così Will, non sarà brutto. Anche noi restiamo qui per Natale.>>
<< Si, ma voi qui avete tutti, io no!>> pianse più forte per poi soffiarsi rumorosamente il naso.
<< Non è mica vero, sai?>> parlò a quel punto Turan, << I miei nonni sono in Africa, nella Costa D'Avorio francese per la precisione, quindi qui ci siamo solo io ed i miei genitori.>>
Will si staccò dal bambino per guardarlo con occhi sgranati. Non riusciva a crederci, quindi… << Tu festeggi sempre il Natale da solo?>> chiese sconcertato.
Il sorriso di Turan era sempre il più luminoso, forse perché faceva contrasto con la pelle scura del bambino o forse perché era sempre gentile e spontaneo, ma al piccolo Will sembrò dello stesso tipo di quelli di sua madre: i sorrisi del cuore li chiamava lei.
<< Non sempre. A volte i nonni possono spostarsi qui, a volte ci sono degli amici di mamma o papà, spesso festeggio la vigilia con loro e il venticinque andiamo alle feste a casa di altre persone.>>
<< Ma il Natale lo si passa in famiglia!>>
<< Ma quando a dividerti c'è un mare e un continente non ti puoi inventare chissà ché.>>
Arabelle annuì alla risposta di Jajeck, che evidentemente aveva perso a sasso-carta-forbice e non aveva potuto accompagnare Alexander a prendere quel tea.
<< Come Kat- Rise e Alexander?>> pigolò piano.
<< Bhé, pure noi non è che stiamo messi meglio! Ci siamo conosciuti tutti all'asilo militare sa, quello della Marina. Tutti i nostri genitori ci lavorano.>> sbuffò sedendosi di peso sulla panchina davanti alla loro. << Solo che non tutti sono soldati attivi, ecco, ci sono i dottori, quelli che stanno qui a curare chi torna dalla guerra e quelli che curano i soldati lì dove stanno.>>
<< Tipo la mia mamma.>> S'inserì orgogliosa Arabelle.
<< Si, e poi ci sono quelli che lavorano alla sede della Marina e quelli che guidano gli aerei, il mio papà li fa decollare dalle navi! E ci sono anche quelli che stanno in politica, ma non chiedermi che vuol dire, e chi invece è uno scienziato, un detective o un imprenditore! Ma siamo tutti figli di marinai qui!>> finì il rosso con un gesto vago della mano.
<< Quindi nessuno di voi passa le vacanze con i nonni e gli zii?>>
<< Quasi mai, ci vediamo in altri periodi magari, andiamo da loro l'estate, ma d'inverno c'è la neve e non tutti i voli sono possibili.>> Jajeck si strinse nelle spalle e prese un altro fazzoletto dal pacchetto di Arabelle, porgendoglielo con il suo bellissimo sorriso, che per quando Will potesse essere triste proprio non riusciva a non ricambiarlo.
<< Non devi pensare che il Natale sarà brutto solo perché non è come lo fai sempre, avrai la tua mamma tutta per te, devi essere contento. Sei davvero fortunato.>>
Il biondo abbassò la testa prendendo il fazzolettino e mormorando un grazie impacciato.
<< Però la mamma la vedo sempre, tutti i giorni, è già tutta per me.>> i nonni no, zio Benny che studiava ancora no, neanche zio Eric a New York o zia Laura con il suo negozio di fiori, e zio Jack che lavorava a Chicago e tornava solo per le vacanze.
<< Beato te!>> sbuffò infastidito l'altro ed improvvisamente Will si rese conto che anche Arabelle e Turan avevano uno sguardo sognante.
<< Perché?>> chiese ingenuamente.
<< Perché noi neanche durante l'anno ce li abbiamo tutti per noi i nostri genitori, figuriamoci a Natale che possono stare finalmente a casa e sono stanchi!>>
<< Quando ci stanno a casa per Natale...>> bisbigliò Turan.
<< Pensate che la lettera sia arrivata anche a noi? Quella arrivata al Maniero?>> domandò a bruciapelo la bambina.
<< Quella che dice che la Mayores torna in America ma non si sa quando possono scendere i Marines?>> Jajeck scosse la testa, << Anche se fosse almeno uno dei due voi ce lo avete a casa, i miei sono tutti e due sulla nave!>>
<< Visto Will?>> fece a quel punto Turan cercando di sorridere come aveva fatto prima, << Non sei l'unico che non passerà di sicuro un bel Natale.>>
<< Però se saremo tutti qui ci vedremo durante le vacanze.>>
Jajeck sorrise più speranzoso dell'amico, mentre un Ryan decisamente felice, forse perché era stato affidato a lui il compito di portare la tazza del tea, porgeva la bevanda fumante all'altro biondo.
<< La signora c'ha messo anche la cannella!!>>


Quando la scuola chiuse per le vacanze Natalizie, Will si ritrovò catapultato nello spirito di Natale che credeva non sarebbe riuscito a rievocare a Phoenix. La casa era decorata già da un bel po', ma gli ultimi ritocchi Summer li volle dare per forza assieme al figlio, decisa più che mai a non fargli pensare al mancato ritorno in Texas.
Quello che suo figlio non aveva capito era il nocciolo della questione: Summer sapeva che tutti quei riferimenti più o meno espliciti alla sua ritrovata felicità erano mirati a farle fare pace con il padre, ma la donna aveva deciso che questa volta non avrebbe lasciato il passo all'uomo che l'aveva cresciuta, non si sarebbe neanche dovuta far influenzare da quel folletto biondo che le girava per casa con adorabili cappellini verdi con il pon-pon rosso.
Norman Solace aveva tanti pregi quasi quanti difetti ed il più grande di tutti, secondo ognuno dei suoi cinque figli, era la sua brutale sincerità. Non che fosse completamente un male, ma semplicemente l'uomo non pensava alle conseguenze delle sue parole e non si fermava neanche a rifletterci sopra. Quando le aveva ringhiato per telefono un basso “ Che diamine di gente gli fai frequentare a mio nipote”, inizialmente non aveva afferrato il significato di quelle parole. Avevano litigato per appena venti minuti ma a lei erano sembrate ore, ore in cui, come da piccola, suo padre le parlava sopra e non le faceva dire come la pensava o perché si era comportata in quel modo dall'alto della sua sicurezza di aver ragione.
Oh, ma Summer non era più una bambina, era una donna e soprattutto, era una madre: e mai dire ad una madre come crescere suo figlio.
L'aveva accusata di essere ancora immatura, che non sapeva come crescerlo, che le serviva un aiuto e che era stato un errore partire. Che era stato un grande errore ! Glielo aveva detto lui che aveva sposato sua madre a diciotto anni e che l'aveva spronata a rincorrere il suo sogno! Lui!
No, assolutamente no, Summer non avrebbe sopportato un affronto del genere e gli aveva urlato contro di rimando, urlato di farsi gli affari suoi, che Will era suo figlio e che lei, a differenza del padre, sapeva come ascoltare e aiutare un bambino a crescere felice, senza pregiudizi e false convinzioni. Perché “no Willy, mamma non sa tutto, ma s'informa e poi ti dice, possiamo scoprirlo insieme”, ripeteva sempre lei, e non “ ti dico di si Summer, è così punto e basta, è inutile che lo cerchi, ho ragione io, sono o non sono tuo padre? E i papà hanno sempre ragione”.
Lo aveva visto come avevano ragione! Esattamente come aveva avuto ragione il suo ex nel dirle che la loro storia sarebbe stata magnifica ed eterna.
E si, era stata magnifica, ma di certo, non eterna.
Sia ben chiaro, non rimpiangeva niente. Erano giovani e spensierati, era stato bello e poi era finito, come molte storie nate d'estate, l'inverno aveva freddato i loro rapporti, poi gli impegni, il suo lavoro a Los Angeles, era andata come andavano tanti rapporti tra ragazzi ed era finita con un sorriso, un saluto sincero ed affettuoso, qualche lacrima ed un piccolo raggio di Sole biondo dagli occhi limpidi come il cielo estivo ed il nasino pieno di lentiggini.
Non aveva neanche dovuto pensarci, aveva tenuto quel bambino e lo aveva amato profondamente dal primo momento in cui si era resa conto che c'era. Aveva lottato tanto per lui, per il suo Willy, per dargli una vita fantastica come ogni bambino dovrebbe avere. Non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da nessuno, men che meno suo padre.

<< Mamy, ma la torta va tirata fuori quando la fragola si mette a suonare o dopo che ha finito?>> Summer si voltò verso la fonte di quella vocina acuta e infantile, sorridendo come ogni volta che scorgeva il suo bambino.
<< Ha già suonato? Non me ne ero accorta! Corri Willy, corri! Che se no ci si brucia tutto!>> corse verso il figlio, solleticandogli la pancia e incitandolo a correre verso la cucina, tra le risate ultrasoniche che solo un bimbo riesce a lanciare ed un continuo rimbalzare di pon-pon.
<< Posso toglierla io dal forno?>> le chiese avvicinandosi al vetro illuminato con dei giganteschi guanti color panpepato in mano.
<< No, no, le sai le regole birbantello, puoi avere la prima fetta di torta ma quando non brucerà più, prima la torta non si tocca- >>
<< Per nessun motivo.>> finì la frase Will sbuffando, << Uffa però, quand'è che posso farlo io?>>
<< Quando sarai più grandicello tesoro.>> Dissipò il vapore fuoriuscito dal forno facendosi aria con la mano, mente quel nasino lentigginoso che tanto adorava fiutava l'aria peggio di un segugio.
<< E quand'è?>>
<< Mh, vediamo….>> posò la torta fumante sui fornelli spenti e inspirò a pieni polmoni: dall'odore sembrava proprio buona per fortuna!
<< Dimmi l'età mamma, l'età!>> insistette lui trascinando uno sgabello fin davanti al bancone e arrampicandocisi sopra.
<< Dieci, anzi no, undici anni e ti insegno addirittura a farle da solo le torte!>>
Will rise, << Ma le so già fare! L'aiutavo io nonna, non zio Benny, come diceva sempre, era una bugia! Però zio Eric lo prendeva in giro perché non era buono e così gli ho detto che poteva dire che era lui a fare tutte le cose con nonna, così non gli avrebbero più detto niente!>> le rivelò come se fosse il segreto più importante del mondo.
<< Però non dirlo a zio Eric eh.>>
Si, quello era proprio il suo Will, che aiutava sempre tutti in tutto, che ci provava almeno.
<< Va bene tesoro, manterrò il segreto.>>
I dentini da latte fecero bella mostra di sé davanti alla promessa della mamma, pronti per chiedere anche di poter tagliere la torta, così si sarebbe raffreddata prima, quando il campanello suonò la sua melodia allegra e in tono con la festività.

Impalato davanti alla porta osservava sua madre leggere la lettera rossa che le aveva consegnato il postino.
Una consegna speciale!
La donna lo leggeva attentamente, era scritto in una bella grafia elegante che Will, neanche volendo avrebbe saputo leggere. Il cartoncino era spesso e gli angoli erano decorati con riccioli dorati.

<< Che dice?>> chiese impaziente scalciando le ciabatte con il muso del leone e alzandosi in piedi sul divano, come se così facendo si avvicinasse di più alla risposta.
Summer fece cadere le braccia lungo i fianchi, sorpresa e anche un poco perplessa da quella lettera cosi bizzarra.
Non aveva mai letto nulla di così ufficiale e palesemente dettato da un bambino. Era quasi divertente e se non fosse stato per il contenuto avrebbe riso di cuore a quel buffo abbinamento. << Dice che siamo invitati ad una festa di Natale, Willy, conosci mica una signorina Rise ed un signorino Alexander?>>
Gli occhi del bambino si sgranarono illuminandosi di gioia, contagiandolo tutto e facendo brillare un sorriso raggiante sul suo visino paffuto.
Cacciò un urletto eccitato e si mise a saltare sul divano.

<< Si. A quanto pare li conosci.>> sospirò divertita.


Quando il taxi si era fermato all'indirizzo datogli da Summer, Will aveva tirato un sospiro di sollievo.
Dopo la gioia di vedere i suoi amichetti, infatti, era stato assalito dal panico di dover rivedere anche la nonna, la terribile Madame che, meno di un mese prima, non aveva fatto una piega quando aveva comunicato che si sarebbe trasferito al corso di danza moderna, liquidando la faccenda con un semplice, << Ottima scelta, William. La classica non fa proprio per te, ma è ammirevole la tua volontà di perseverare nella danza. Sono sicura sia un livello più adatto a te.>>
Che in pratica era un “Meno male che te ne sei accorto da solo, fai schifo in questa di danza, fai altro, ma spero che almeno la moderna ti riesca ma non ne sono mica tanto sicura.”
Lo aveva capito lui, figuriamoci sua madre.
Però, no, non avrebbe rivisto quella donna di ghiaccio ed il suo borbottone marito.
Erano sempre in un quartiere residenziale, un piccolo avvallamento vicino alla grande foresta del Maniero, che Ryan gli aveva detto essere tutta di proprietà dei nonni dei gemelli – Wil non voleva pensarci ma se alzava la testa, in cime alla montagna vedeva proprio il gigantesco e spettrale edificio-, tra tante ville sfarzose ve ne era una che sembrava esser stata trapiantata li da mille luoghi diversi. Summer gli disse che la facciata sembrava tanto una villa italiana, di quelle che aveva studiato all'università ad arte e che poi aveva visto di persona durante un estate indimenticabile. Poi però il cancello e le inferriate del muro, intraviste qual ora le siepi non le coprissero, le ricordavano la Francia, così come le lanterne che pendevano dall'entrata. E c'erano dei diavoletti agli angoli della casa, si chiamavano doccioni ed erano smaccatamente gotici.
Che vuol dire “smaccatamente” e “gotico” Will non lo sapeva, ma neanche lo chiese.
E poi il lastricato aveva degli “arabeschi” tipici di Granada.
Insomma, sua madre sembrava molto più emozionata per tutti quei particolari insoliti che per la festa in sé, mentre l'unica cosa su sui Will si concentrò un po' di più fu un rettangolo di pietra attaccato al muro esterno su cui c'era scritto qualcosa.
A prima vista le lettere cominciarono a vorticargli davanti al naso, intrecciandosi e scambiandosi di posto come se gli stessero facendo uno scherzo e non volessero fargli capire cosa riportavano, ma Will era un bimbo abbastanza paziente per la sua età e sapeva di avere una cosa chiamata “dise-dids- dile- dislessia”, che era tipo una cosa come i miopi ma che invece di veder male da… lontano? Vicino? Quel che era, lui vedeva le cose storte.
Però era fortunato: chi portava gli occhiali non ci vedeva bene senza e la cosa non passava mai, a lui invece bastava aspettare un attimo e concentrarsi per leggere bene una parola, e quella che c'era scritta sul rettangolo era chiaramente un…?
<< Mamma che vuol dire “Villa Clara”? E' Spagnolo? Come quello che parla la zia?>> domandò tirando leggermente la mano della donna che era rimasta incantata a fissare una fontana, “E' la perfetta riproduzione in miniatura della fontana della Barcaccia!”, e continuava a guardarsi attorno stupefatta.
<< Come dici tesoro? Si, in spagnolo vuol dire “chiara”.>>
Quella risposta lo soddisfò a pieno, in effetti quella villa aveva tutti i muri chiari, era proprio un nome azzeccato.

Ad attenderli sulla porta stava un uomo di certo più giovane del nonno, ma non avrebbe saputo dire di quanto. Aveva i capelli grigi pettinati all'indietro, ma non lucidi di gel come erano i suoi quando glieli pettinava così sua madre. Portava un completo nero, come i quello dei maggiordomi che vedeva nei film o che aveva visto al Maniero e solo dopo aver sorriso al suo volto rilassato, Will lo riconobbe come Il Maggiordomo, quello personale del Colonnello.
Allora c'erano o non c'erano anche loro?
Albert sciolse le mani da dietro alla schiena e si produsse in un piccolo inchino, salutando rispettosamente Summer e poi, cosa che lo lasciò perplesso, posando a lui una mano guantata di bianco sulla testolina coperta dal cappello di lana.
<< Buona sera Madmoiselle e buona sera anche a te Will, spero abbiate fatto buon viaggio.>>
Will?! Lo aveva chiamato Will? Ma di solito chiamava tutti “signorino” o “signorina”!!
<< Prego, vogliate seguirmi e darmi i soprabiti?>>
La donna lo seguì piacevolmente sorpresa da quell'accoglienza, di certo ignorando i pensieri di Will che cominciò a capirci qualcosa solo quando un grido acuto arrivò loro da una sala subito dopo l'anticamera.
In quella casa addobbata con gusto ed eleganza ogni elemento sapeva di famigliarità. Dalle foto agli oggetti, più disparati e sicuramente riportati da tanti viaggi; c'erano i segni di una sbeccatura sullo stipite della porta e un lungo graffio da ruota dello skait sul parquet mogano, coperta in parte da un tappeto peloso bianco come la neve, ma con una macchia perfettamente rotonda e color caffè-latte su di un angolo.
La musica natalizia avvolgeva l'intero ambiente e il vociare allegro degli invitati era sovrastato ogni tanto da urletti acuti e divertiti.
Albert li condusse in un ampia sala dove tutta l'attenzione si spostò subito su di loro.
Al centro della sala troneggiava un divano grande e dall'aria comoda, davanti un tappeto molto più raffinato di quello dell'entrata e simile a quelli che aveva visto al Maniero, il camino più grande che avesse mai visto scoppiettava allegro, decorato con ghirlande e calze, una marea di calze. Mobili, quadri e piante si alternavano dell'ambiente, con mensole piene di cimeli e librerie trasbordanti di libri e film. L'albero di Natale era spostato in un angolo, ingombrante e tracotante palle, stelle e ninnoli di ogni genere, anche qualche dolce individuò subito Will.
Su dei tavoli coperti da tovaglie rosse erano poggiati vassoi argentati, ciotole di vetro colorato e caraffe piene di diversi liquidi, alcuni persino fumanti, mentre bicchieri di cristallo fregiato risplendevano alla luce delle mille luminarie appese a ogni cosa disponibile.
Non fece in tempo a dire una parola che un fulmine rosso-giallo, in perfetto stile natalizio, lo travolse mandandolo quasi con il sedere a terra.
Ryan e Jajeck lo abbracciarono forte, gridando felici di vederlo lì, che lo sapevano che sarebbe arrivato, che non poteva mancare.
Erano vestiti a festa, proprio come lo era lui, tutti e tre con la camicia, se non fosse per il fatto che il piccolo Royale l'aveva in tinta con i capelli e l'altro di un azzurro ghiaccio candido.
Subito dopo arrivò di gran corsa Turan, che salutò prima sua madre, porgendole addirittura la mano come fanno i grandi e presentandosi, per poi abbracciarlo come gli amici. Arabelle era vestita in un delizioso abito argentato ed era tutta impegnata a sgridare i primi due per non aver prestato attenzione alla “Signora Solace”, che si erano comportati dai maleducati che erano.
Andrew gli si avvicinò sorridendo timidamente, sembrava un bambolotto con il golfino prugna e i pantaloni marrone chiaro, gli mancava solo il cappellino e sarebbe stato la perfetta replica vivente di una delle bambolo di porcellana da collezione di sua zia Glenda.

<< Piacere di conoscerla Signorina, sono Marcus Lancer, il padre di Ryan.>> L'attenzione di Will passò immediatamente a quell'uomo alto e robusto che stava stringendo la mano della sua mamma. Aveva lo stesso volto del figlio, solo più vecchio, il naso pronunciato e la mascella squadrata perfettamente sbarbata. I capelli erano di un biondo più candido di quello di Ryan e se ne stavano gonfi e perfetti al loro posto. Solo gli occhi erano completamente diversi, di una calda sfumatura marrone, ma quelli della donna che lo raggiunse, una signora con un'elegante acconciatura che raccoglieva i capelli castani ed il volto pieno che, Will c'avrebbe scommesso, era anche tanto serio quando voleva proprio come una maestra, aveva gli occhi dello stesso bel colore di Ryan.
Dopo di loro si presentarono una signora di colore dall'aria sveglia ed attenta, la mamma di Turan ed un uomo dagli occhi un poco calanti e l'espressione serena, il papà di Andrew.
Ma tra tutte quelle persone non c'erano i padroni di casa, e non appena Will chiese di loro una voce nuova si aggiunse al chiacchiericcio:

<< Sono di sopra al telefono con il nonno, ma non preoccuparti, tra poco scendono.>>
Quella che aveva davanti era di certo la donna più bella del mondo: Alta più della sua mamma, se fosse stato un po' più grande avrebbe notato anche che aveva un fisico asciutto ma dalle curve morbide, fasciata da un vestito color smeraldo, con i capelli lunghi e neri che le scendevano sulla schiena fluenti ed incorniciavano un ovale perfetto, da quadro. Ma più della pelle candida, delle labbra rosse come quelle delle modelle e del sorriso dolce che gli regalò, quello che lo colpì furono gli occhi, grandi e felini e soprattutto verdi come ne aveva visti solo su di un'altra persona.
Quella era sicuramente la mamma dei gemelli.

L'accoglienza era stata particolarmente piacevole, Will non l'avrebbe mai creduto possibile, ma quando poi erano scesi anche gli altri, Alexander nel suo completo blu e Rise in un abitino di raso rosso, si era reso conto che qualcosa non quadrava.
Providenc era in tutto e per tutto simile al figlio, dai capelli agli occhi, nei modi delicati, negli sguardi attenti che tutto carpivano ma che risultavano sempre estremamente naturali.
Rise non le somigliava per niente invece e il bambino arrivò alla conclusione che dovesse essere identica al padre, che con tutta probabilità era l'uomo nelle foto sulla mensola del camino, un gigante dai capelli castano mogano proprio come la bambina, gli occhi dolci ed un sorrido smagliante, solo che vicino all'uomo c'era anche una donna dai capelli ricci e neri. Ora, Will sapeva che le donne si acconciavano i capelli in tanti modi diversi, anche la nonna si faceva la permacosa per farsi tutti i capelli ricci e si riempiva la testa di bidonini, quindi, magari, la signora Providence si era fatta la perma-quella e per un po' aveva avuto i capelli ricci ricci, ma poi si era accorto anche che gli occhi della donna in foto erano blu, di un meraviglioso blu, nulla da discutere, bello intenso e brillante, ma nulla a che vedere con il verde accecante degli occhi della mamma dei gemelli.
Aveva così posto il suo quesito a Rise e la bambina, stringendosi nelle spalle, gli aveva risposto con ovvietà:
<< Quelli nelle foto sono mia madre e mio padre. Zia Vivì è la mamma di Alexander.>>

Momento.

<< Ma non è possibile!>> Aveva gracchiato con voce acuta, << Non potete avere due mamme, ogni mamma ha i suoi figli e i gemelli li può avere una sola!>> Discorso pienamente sensato e giusto.
<< Si, ma io e Alexander non siamo davvero gemelli.>>

Pausa.

<< COSA?!>> questa volta si girarono tutti a guardarlo e Rise lo rimproverò con un'occhiataccia degna della nonna.
<< Che succede Willy?>> chiese sua madre accigliata, venendo però prontamente ignorata, << Ma hai detto che è tuo fratello! Lo dite sempre! Tutti chiedono dove sono “i gemelli” quando parlano di voi!>> no, no e poi no, non aveva senso, non potevano essere gemelli, mica la cicogna portava due gemelli a mamme diverse, nossignore! I gemelli vanno dati alla stessa mamma se no non sono più gemelli.
<< Posso spiegartelo io se vuoi.>>
La voce calda e calma della donna lo attirò come il canto di una sirena e Will si ritrovò a guardarla incantato, quasi ipnotizzato dallo charme di Providence.
<< Io e la mamma di Rise siamo, come posso dirti, sorelle acquisite. Siamo cresciute insieme e dato che siamo figlie uniche abbiamo trovato nell'altra una sorella vera e propria, e a volte Will, un amico è ciò di più caro e buono che possiamo trovare, non credi?>> spiegava le cose con calma, facendogli capire ogni passaggio ma senza trattarlo come un bambino piccolo, gli piaceva quella signora e le annuì attento, mente gli altri adulti guardavano divertiti la scena senza aprire bocca. << Abbiamo un rapporto così stretto, io e Tory, la mamma di Rise, che i nostri bambini sono nati, pensa un po' a dieci ore di distanza, prima Rise e poi Alex.
Così anche loro sono cresciuti insieme, hanno festeggiato sempre il compleanno assieme e la gente li scambiava per gemelli, alla fine lo sono diventati veramente, non sembra anche a te che lo siano?>>
Will guardò i due bambini che sorridevano divertiti alla sua faccetta scioccata, come se avessero mantenuto il segreto per tutto il tempo solo per fargli uno scherzo.
Ma in effetti, Rise e Alexander avevano cognomi diversi quando la maestra li chiamava, come aveva fatto a non pensarci?
Però erano anche perfettamente coordinati in tutto, in ogni parola e ogni azione, proprio come...gemelli.
<< Oh, direi proprio di si signora.>>

Dopo i “gemelli” aveva passato mezzora a farsi assicurare che tutte le altre parentele che gli erano state dette, o non dette, fossero vere. Tra le risate generali Jajeck aveva confessato di essere fratello di Turan ma di essere più chiaro perché da piccolo era rimasto chiuso nella lavatrice e solo Andrew si era preoccupato di dirgli che, no, non ci si schiarisce se cadi nella lavatrice e no, Jajeck non ci era caduto dentro come non aveva nessun legame di sangue con Turan.
La cena alla tavolata lunga e imbandita a festa, dove Rise occupava il posto a capotavola e tutti parlavano e si divertivano, abbuffandosi di quella o l'altra pietanza, quella tutta ricoperta da quella crema arancione era un piatto francese e quella tutta lucida era Inglese, ma c'erano anche delle portate italiane ed una bevanda solo per gli adulti direttamente importata dalla “Madre Russia”. Le posate luccicanti tintinnavano senza posa, riflettendo le facce buffe che i bambini facevano al cucchiaio come i piatti riflettevano i colori dei cibi, delle luminarie e delle brocche colorate. I fregi dei bicchieri incastravano la luce in ogni loro angolo levigato e lucido, suonando delicati ora, acuti dopo, al passaggio di un ditino umido sul bordo arrotondato.
Era una festa, era piena di persone, ma non erano troppe, come i crackers, che scoppiavano in una pioggia di brillantini e coriandoli ma non facevano troppo rumore. L'invasione dei frammenti di carta e delle pagliuzze di plastica metallizzata avanzava sulla tavolata, cadendo su qualche vassoio e scatenando le risa dei bambini che trovavano tutto ancora più natalizio.
Non era la sua famiglia, questo Will lo sapeva e lo distingueva chiaramente, eppure un senso di calore gli si allargò per tutto il petto, partendo dalla pancia e correndo in ogni dove: era felice, come non lo era da tanto in quel freddo mese che era stato Dicembre.
Ancora una volta Babbo Natale aveva fatto la sua magia e gli aveva regalato proprio un bianco e dolce Natale.

I grandi erano seduti tutti sul divano davanti al camino, mentre i bambini correvano per il salone, salivano di corsa le scale verso il piano superiore e si fiondavano nella cameretta di Rise, tutta sui toni dell'azzurro e del celeste, ma comunque straordinariamente calda e accogliente. Eppure la sua proprietaria non si muoveva dal suo voluminoso letto a baldacchino, un letto grandissimo come quello della sua mamma. Will non sapeva perché era così enorme, Rise ci sarebbe stata cento volte li dentro, magari ci dormiva pure Alexander, Alex, come lo chiamava la signora Providence, ma rimaneva comunque enorme.
A guardarla bene sembrava addirittura triste, con i piedini bianchi fasciati dalle calze poggiati sul bordo del letto, le ginocchia al petto e la testolina reclinata su di esse. Era pensierosa, questo lo si capiva, eppure ciò che Will non capiva era il motivo. La festa era bellissima, lei era di nuovo a casa sua dopo tanto che stava dai nonni al Maniero, Providence aveva convinto i due coniugi a lasciare li la nipotina con lei e tutto era fantastico. Cosa c'era di brutto da farle fare quella faccia?

<< Sembra che ti abbiano obbligato a mangiare un carciofo.>> esordì complimentandosi per la battuta intelligente con se stesso.
Ma Rise a mala pena la colse, neanche lo guardò.
Pensò che forse la bambina non lo aveva sentito e fece per riaprire bocca, che lei lo fermò:
<< Si dice “sembra che tu abbia appena mangiato un limone” non un carciofo.>> lo rimbeccò senza molto entusiasmo ma Will se ne rallegrò: se lo riprendeva non stava poi così male.
<< A me i carciofi fanno schifo.>> sentenziò sedendoglisi di fianco.
<< Non si dice...>
<< Ma è vero! E a te cosa fa così schifo da farti fare quella faccia?>>
La bambina abbassò per un attimo lo sguardo, fissandosi le punte dei piedi, poi lo spostò sulle scarpine rosse lucide a terra.
<< Ti manca il tuo Natale Will?>> gli chiese a bassa voce, come se si stessero scambiando dei segreti.
Il biondino ci rifletté sopra per un minuto, il suo Natale? In che senso? Parlava forse di quello che festeggiava con la sua famiglia in Texas?
<< Bhé, al ranch è tutto un po' diverso. Nonna cucina tantissimo insieme a zia Laura, la sorella di mamma, che le ripete sempre che è tutto troppo “grasso”, che invece è tutto buono, te lo assicuro, anche con il grasso. Lo sai che quello della papera si chiama paté?- >>
<< Quello è il fegato dell'oca, non il grasso.>>
<< Uhg! Non lo mangerò mai più in vita mia allora! Nonna lo mette sempre nel pollo! Che schifo! Per fortuna che anche le altre zie portano qualcosa da mangiare. Devo chiedere a mamma dove ci mettono il fegato dell'oca. Che poi, poverina, come fa senza fegato?>> continuò preoccupato per la vita della povera ochetta.
Rise alzò un sopracciglio e si limitò a sospirare uno scettico “davvero?” che Will ignorò, andando avanti con il suo mezzo monologo.
<< E non ci sono così tante luci, ci abbiamo provato una volta ma zio Eric, un altro fratello di mamma, e si, lo so, sono tantissimi, non dirlo a me, quando ha collegato tutte le spine ha fatto andare via la luce da tutto il ranch. Quel Natale lo abbiamo passato con le candele!>>
<< Romantico...> buttò lì sarcastica, già annoiata da quel discorso.
<< Si! Lo ha detto anche zio Jack! E lo ha detto proprio come te! Con la stessa voce! Certo, non avete la stessa stessa voce, lui ce l'ha da maschio, da vero uomo, e tu no. Non che hai una brutta voce, ce l'hai da bambina femmina.>>
<< Rincuorante.>>
<< Rin- che? Vabbé, te lo devo far conoscere lo zio Jack, gli piaceresti e lui piacerebbe a te! Comunque, il Natale è bello anche qui a casa tua, certo, ci sono tante persone in più in Texas, ma questo perché li c'è sempre tutta la famiglia e invece qui non ci sono i nonni di nessuno e anche tanti genitori, poi a te Jajeck e Arabelle non ci stanno nessuno dei due, quindi siete ancora meno.>> Rise sospirò e Will capì di aver fatto centro.
<< Ti mancano tua mamma e tuo papà?>> le chiese allora titubante, con la paura di farla diventare ancora più triste e farla piangere.
Ma poi si ricordò che Katrina non piangeva mai e se per un attimo gli venne il dubbio che, magari, Rise invece piangesse, si ricredette subito; il suo sguardo si fece cupo, strinse le labbrette forte ma non una sola lacrima le rese gli occhi lucidi.
<< Aveva ragione nonna, non li hanno fatti scendere. Stanno in quarantena perché un sottufficiale ha la febbre alta e non sanno se l'ha passata anche agli altri. Ci sono anche i genitori di Jajeck sopra, e pure la mamma di Arabelle. Siamo tutti soli noi tre, questo Natale.>>
Il biondino si sgonfiò come un palloncino, lasciando cadere le spalle e curvando un poco la schiena. Come si faceva a consolare una bambina che non poteva vedere la mamma e il papà per le feste? Era orribile, lui non avrebbe mai passato un bel Natale senza Summer.
<< Tanto valeva che andassi in Inghilterra con i nonni.>> fu solo un sospiro ma Will lo captò subito e scattò in piedi talmente velocemente da sorprendere la bambina.
<< E no Rise, questo no!>> disse sicuro ad alta voce, aggrottò le sopracciglia e arricciò il naso, stringendo le labbra fino a farle sparire; posizionò i pugni sui fianchi e la guardò con il cipiglio che sarebbe diventato “la-faccia-da-ramanzina-di- Willy”.
<< Non devi dire così! Se fossi andata in vacanza con tua nonna non ti saresti mai divertita, non avresti passato il Natale con noi! Sarebbe stato brutto, noioso e barboso, e poi l'Inghilterra è sempre grigia e piove ogni giorno, me lo ha detto mio zio Eric che c'è andato in Inghilterra, proprio a Londra poi, che secondo lui è la più grigia delle città grigie perché c'è pure tanto smog!>>
Rise lo guardò sorpresa da tanta veemenza, poi assottigliò lo sguardo scrutandolo con fare indagatore,
<< Non ho mai detto che sarei andata a Londra. Come hai fatto a venirne a conoscenza?>>
Tutto lo slancio di prima si sgonfiò in un rossore imbarazzato, acuito dai termini da grande che Rise usava sempre quando doveva farti una domanda che ti avrebbe fregato o doveva spiegarti una cosa per lei ovvia.
<< Uhm...>>
<< William?>> alzò un sopracciglio, uno solo, Will non lo sapeva fare, magari poteva chiedergli di insegnarglielo.
<< Come fa a far- >>
<< Come fai Tu, a sapere dove dovevo andare.>>
<< Lo hai detto tu?>>
<< Nooo.>> strascicò la o abbassando le gambe e poggiando le mani sul materasso.
<< Lo ha detto Alexander?>> tentò di nuovo.
<< Nooo...>> si alzò in piedi, svettando su di lui di buoni dieci centimetri, proprio come Turan. << Ma perché tu e Turan siete così altri? Sembrate bambini di dieci anni.>>
<< William… >>
<< Oooh, okay! Forse...>> deglutì, << Potrei, per sbaglio, senza volerlo ovviamente, non l'ho fatto apposta e non volevo, ci sono capitato, come dice sempre Alexander? Casul- cusa- casul- >>
<< Casualità di cosa?>>
<< Io ho…. sentitoteeMadamelitigareallascuoladidanzaquandotihadettochedovevateandareinvacanzainInghilterraetunonvoleviperchévoleviaspettaretuamammaetutopapà.>> Lo disse tutto d'un fiato e poi si sarebbe volentieri stampato una mano in faccia come faceva sempre la sua amichetta quando gli altri facevano una cavolata, perché sicuramente Rise non doveva averci capito nulla e lui sarebbe stato costretto a ripetere tutto, con più calma e con la possibilità di prendersi uno schiaffo in testa per ogni parola.
<< Hai sentito me e nonna litigare?>>
No! Rise aveva capito, si! Però… cos'era quella faccia?
<< Si, però non l'ho fatto apposta. >> si difese immediatamente scrutandola accigliato.
La bambina si lasciò cadere di nuovo sul letto, questa volta abbandonandocisi sopra e allargando le braccia sul piumone candido.
<< Non l'ho fatto apposta per davvero Rise, non è così grave, non lo dico a nessuno.>> le si sedette affianco e le posò una manina sulla gamba, come se volesse farle capire che era lì.
Non sapeva il perché di questo bisogno, eppure era così forte, proprio come quando qualcuno piangeva e tu lo abbracciavi o gli mettevi una mano sulla spalla, per dargli forza.
Forse Rise si vergognava di essersi fatta sgridare davanti a lui, la nonna le aveva dato uno schiaffo e ora, magari, aveva paura che Will lo andasse a dire in giro.
<< Su, Risie, non è niente. Non mi importa che Madame ti abbia sgridato...>> Era sincero, davvero non gliene fregava niente e la bambina annuì, senza guardarlo in faccia.
<< Sei stata tanto coraggiosa a dirle quelle cose, io non sarei mai riuscito a farlo, neanche con la mia di nonna o con mamma, figuriamoci con una come Madame!>> Questa volta provò a sorriderle, scalciò via le scarpe e si mise a gambe incrociate vicino a lei, carezzandole incerto il braccio.
Aveva lo sguardo perso, fisso in un punto indefinito del muro o forse del baldacchino, e quando Will alzò la testa per vedere cosa ci fosse di tanto interessante, individuò al primo colpo la foto di due signori: lui grande ed imponente, un gigante come nei film, con i capelli castano-rossicci come quelli di Rise e un sorriso rilassato che mitigava un poco il suo volto severo; stringeva in un abbraccio una donna piccolina, con una gigantesca massa di ricci e gli occhi blu. Erano indubbiamente la mamma ed il papà di Rise, quelli che aveva visto anche nelle altre foto, solo che in questa c'era anche qualcun altro: per quanto i suoi occhi avessero riconosciuto immediatamente l'amica, il suo cervello ci mise un po' a metabolizzare l'immagine di Rise con la faccia sporca di cioccolato, i capelli legati in una coda storta, la maglia a maniche corte troppo grande per lei, decisamente da football americano che la copriva fino alle ginocchia, con un calzino ancora su e l'altro ammucchiato sulla caviglia e le scarpe da ginnastica sporche e logore. Teneva in mano la palla ovale, felice come non mai tra l'abbraccio dei due.
Come un flash, Will pensò che Madame non doveva essere per niente felice quel giorno.
<< Mi mancano mamma e papà.>> confidò sussurrando di nuovo. << Quando ci sono loro qui va tutto meglio, non devo fare quello che mi dice nonna, o per lo meno solo cose come “sta dritta con la schiena” e “ mangia a bocca chiusa”, ste' cose qui.>> l'accento che il bambino aveva sentito alla sua prima visita al Maniero riuscì fuori con naturalezza e si fece anche più marcato, come quello che Will sentiva negli altri abitanti della città, quello era decisamente il dialetto della Valley.
<< Papà mi porta a vedere gli Arizona Cardinals, anche se non vincono da tipo una vita, dice che sono comunque una grande squadra e che sono quella di casa. Mamma invece dice che prima o poi mi porta a vedere i Red Sox, che è meglio il baseball, ma non lo posso dire a nonna, perché poi lei si arrabbia perché non è da signorine e litiga con mamma, poi si arrabbia pure lei e finisce che la manda a quel paese e non si sentono per giorni.>>
<< E non è un bene?>>
<< No se io sono al Maniero e non mi fanno telefonare né a lei né a papà.>>
Per un secondo il silenzio li avvolse e Will si chiese dove fossero finiti gli altri, poi si concentrò di nuovo su Rise.
<< Ma la tua mamma non può dire niente a Madame? Non le può dire di farti fare quello che vuoi?>>
Il verso di scherno che sputò fuori la bambina gli ricordò terribilmente quello della nonna.
<< Mamma ci prova, ma quando non c'è non può fare niente. Però lo sa, non è che le nascondo le cose, e poi non ce n'è bisogno, nonna si comportava così anche con mamma, solo che lì c'era nonno che un po' la frenava.>>
<< E perché non lo fa anche con te?>>
<< Perché nonna non vuole che “devii” anche me. Secondo lei mia madre è entrata nella Marina solo per colpa di nonno. Invece c'è letteralmente scappata per star lontano da lei.>> sospirò e si tirò a sedere, << Mamma non voleva diventare come la sua di madre, non fa per lei. Anche se è tanto brava con le parole ed è educata, è più da azione, non da tea delle cinque e balli di gala.>> fece una smorfia buffa e scosse la testolina, facendo ondeggiare tutti quei capelli portati per una volta sciolti. << Tu invece no?>> le chiese Will guardandola bene. << Insomma, non è che mi sembri tanto come tua nonna. Però sei brava e gentile, la maestra dice che sei posata, ma non so cosa vuol dire.>>
<< Un modo per dire delicata, tsk.>>
<< Perché fai così?>>
<< Perché mi sono rotta e non ce la faccio più.>> alzò di colpo la voce, l'accento stridente se paragonato al perfetto e fluente americano che parlava ogni giorno.
<< Lo sai che non ho mai letto un libro che ho scelto da sola? Me lo dice nonna cosa devo leggere e devo farlo per forza, e tu non lo sai quanto è brutto Anna Karenina! E' palloso e pesante e secondo zia Vivì non dovrei leggerlo alla mia età, sono mesi che cerco di finirlo! Ci sono cose brutte dentro che neanche riesco a capire e nonna se le chiedo qualcosa dice che sono infantile e che devo ragionare. Ma ti pare a te!>> batté con forza i pugni sul letto, sobbalzando leggermente, infervorata da una cascata di emozioni che si era tenuta dentro fino a quel momento.
Come ci si poteva aspettare che una bambina di sei anni facesse tutte quelle cose?
<< E devo suonare il violino, e devo suonare il pianoforte, devo prendere lezioni di canto e pure di ballo di coppia, oltre che fare la classica, perché secondo lei son “un ippopotamo”! Non è colpa mia se sembro più grande, se sono più grande ecco! Solo perché sono alta mica posso farci niente.>>
<< E no, non penso proprio che ti puoi accorciare...>>
<< Esatto!>> Esclamò contenta che qualcuno le desse retta, finendo per sgonfiarsi lentamente. << Non è bello dover sempre fare quello che ti dicono gli altri. Io vorrei solo...>>
Will le prese la mano, sorridendole incoraggiante tentando di infondergli un po' di coraggio, di felicità.
Perché se ne era accorto: Rise viveva in una gabbia dorata, nei palazzi più belli che avesse mai visto; aveva i vestiti più eleganti e le movenze di una dama, la dizione di una principessa e la fredda rigidità di chi non era felice. Tra mille lussi e agiatezze, Rise non aveva neanche la metà del calore umano che aveva lui, della famiglia. Perché sebbene la sua fosse in un altro Stato Will sapeva dove trovarli, che bastava alzare il telefono e sentirli. Rise non poteva farlo, i suoi erano in giro per il mondo a salvare le persone, ed era tanto bello, ma non stavano mai con lei. Anche se lei aveva un papà, a differenza sua, era praticamente come se non lo avesse, come se non avesse neanche una mamma.
La gente è ricca in modi diversi, Willy” gli aveva detto una volta zio Jacke, quello più serio tra tutti ma anche il più “impulsivo” diceva nonna. In quel momento Will capiva a pieno le parole dello zio.
Con uno slancio di puro affetto tirò la mano della bambina e l'avvicinò a sé, stringendola forte in un abbraccio caldo che voleva dire che lui c'era, anche se si conoscevano a mala pena da cinque mesi, che alla bambina piacesse o meno, ora anche lei faceva parte della sua famiglia.

<< Puoi avere tutto quello che vuoi, se lo vuoi veramente.>> le disse sicuro, anche se improvvisamente gli veniva da piangere, empatizzando completamente i sentimenti dell'amica. << Me lo dice sempre nonno, lo dice sempre a tutti.>> tirò su con il nasino e si disse che anche lui avrebbe seguito quel consiglio, che era troppo triste vedere sua madre e suo nonno divisi, ricordando le grida del litigio che fuoriuscivano dal ricevitore e gli facevano venir ancora di più voglia di piangere.
<< Io voglio solo fare quello che mi pare, come fanno tutti i bambini, senza che mi preoccupo di quello che dicono i grandi o che dice nonna.>> anche i suoi discorsi filavano con meno senso grammaticale del solito, che uniti al ritrovato accento gli presentarono per la prima volta la vera e propria Rise, la bambina di sei anni che era in realtà.
<< Allora fallo!>> l'allontanò un poco per guardarla in faccia e sorriderle. Aveva gli occhi lucidi ma non piangeva, no, Rise non piange mai, è una tosta.
<< E come? E poi mia nonna dice che nessuno la vuole una bambina maleducata, che non posso fare come mi pare.>> piagnucolò.
<< Ma a me piaci tanto anche se sei normale! Mi diverte tanto quando fai quella cosa che fa ridere sempre Jajeck!>>
Ora lo guardava perplessa, << Il sarcasmo Will?>> glielo chiese come se si aspettasse una risposta tipo “ ma no dai, scherzavo”. Cosa che non ebbe.
<< Certo! E' divertente! E poi con me puoi fare quello che vuoi!>> Lo disse davvero sicuro di sé, delle sue parole e lo fu, solo un tantinello di meno, quando la bambina gli diede un pugno sulla spalla.
<< Ahio!>> lo sguardo sconvolto del biondino fece ridacchiare l'altra.
<< Che vuoi farci Riccioli d'oro? Sono così io.>>
<< Picchi la gente?!>> chiese massaggiandosi la spalla: cacchio se non gli aveva dato un pugno fortissimo, faceva un male cane!
<< Nonna mi rimprovera sempre perché sono troppo manesca.>> si strinse nelle spalle ma lo guardò con un'espressione tesa, incerta sull'aver fatto la mossa giusta, terrorizzata che Will potesse mettersi a piangere e dirle che non le piaceva più, che preferiva l'altra Rise.
<< Si, però picchia più piano.>> borbottò vedendo un sorriso raggiante spuntare sul volto colorito. Si Will, era decisamente la cosa giusta da dirle.
<< Vale anche per te però.>> lo richiamò la bambina, << Con me devi essere come vuoi te, non ti giudicherò mai.>> Si batté un pugno sul cuore e lo fissò seria: era importante quella cosa, che nessuno dei due avesse paura dell'altro, che fossero amici sinceri.
<< Vuol dire che mi dai un voto come fa la maestra?>>
<< E questo mo' che c'entra!?>>
<< Hai detto che giudichi...>>
<< Non ti giudicherò, scemo!>>
<< Ehi! Mi stai dando troppi pugni oggi!>>
<< Abituatici!>>
<< Ma è Natale! A Natale siamo tutti più buoni.>>
<< Vero, quindi immaginati come sono normalmente.>>
<< Ah...>>
Scoppiarono a ridere felici come solo i bambini possono esserlo dopo aver affrontato un discorso che avrebbe portato riflessioni e tormenti per giorni e giorni, ad un adulto.
I problemi si risolvono con semplicità ed un pizzico di sincerità, con una fiducia smisurata verso chi ci sta ascoltando, verso chi ci parla, con la serenità e l'ingenua ma altrettanto spietata verità che i bambini hanno, che perderanno crescendo, quando capiranno cosa significhi rischiare di ferire i sentimenti altrui.

<< Anche io!>>
Si voltarono di scatto vero la porta, per vedere Jajeck spiccare al suo centro, ai lati le faccette mortificate di Turan e Andrew per essere stati scoperti, quelle sconsolata di Arabelle che non poteva crederci che si erano fatti beccare così, quella convinta di Ryan e quella tranquilla e consapevole di Alexander.
Erano stati lì per tutto il tempo, ad attendere che il piccolo Riccioli d'oro riuscisse in qualcosa in cui loro avevano fallito, da cui solo Alexander era uscito vincitore, ma che da quel momento in poi sarebbe fuoriuscito dall'intimità della villa o delle stanza private del Maniero.
<< Anche io ci sto!>> Saltò fuori il biondo affiancando l'amico. Poco dopo tutti erano entrati in camera e si arrampicavano sul letto, proclamandosi “d'accordissimi” con Will e Rise.
Niente più finti bambini per bene. Da quel momento in poi nessuno si sarebbe vergognato di niente, niente più bugie e i segreti erano di tutti, erano una squadra loro!
<< Sono affari di famiglia adesso.>> Aveva squittito Andrew senza balbettare e Will non poteva esserne più felice.
Quei sette bambini continuavano a far chiasso e a decidere regole su regole, cosa non andasse fatto, cosa si, che solo loro avrebbero saputo. Dovevano farci un quaderno, tipo un diario, - “ Uhg! Fa così femmina! Così club segreto!”-, va bene, una guida allora, dove avrebbero scritto tutto tutto tutto quello che era importante, ogni cosa, tutti quanti.
Ma per Will, il chiasso, era di casa, ed in quel momento era proprio così che si sentiva: a Casa.

Decisamente, l'Arizona non era per niente male.



[ F I N E S E C O N D A P A R T E ]
   
 
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