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Autore: Pomegranate6277    19/01/2017    0 recensioni
“Cavolo. Sei bellissimo.” gli dissi, ammaliata.
“Meno male! Tutto questo monocromatismo non mi piace per niente!”, si lamentò mentre mi abbracciava, dandomi poi un bacio in guancia.
“Ma come siamo casti oggi!”
“Dai! Lo sai che mi piacciono i colori!” Ribattè lui.
“Lo so amore mio, ti capisco perfettamente!"
Genere: Erotico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Bonjour, mon amis.
Et voilà! - * Offre baguettes con mortazza * -.


“Posso venire con te?”, gli chiesi.
“Certo che puoi venire con me!”, mi rispose lui con un sorriso.
“Così poi prendiamo qualcosa da mangiare per il pranzo di domani!”, dissi.
“Buona idea! Cucinerò io!”, disse Jared. Aspetta, che?
Tomo strabuzzò gli occhi e Shannon sputò sul piatto l'acqua che stava bevendo, scosso dalle risate. Era proprio uno Shanimal...
“Amore, manderai a fuoco la casa, ne sei consapevole, sì?”, mi azzardai a dirgli.
“Siete degli indegni! Vitaly Orlov deve saper cucinare! E' nel copione!”, si giustificò lui.
“Sì, ma Jared Leto non sa cucinare!”, disse Tomo, cercando di ricordagli la sua reale identità, come quando si spiega ad un bambino che 1+1 fa 2.
Il mio ragazzo sbuffò e si alzò da tavolo, pronto per uscire. Lo bloccai.
“Fermo tu! Dove vai conciato così? Vai a mettere dei vestiti più pesanti, marsch!”.
Mi fece il labbruccio, ma non mi lasciai intenerire. Mi alzai dalla sedia e lo spinsi verso le scale, e grazie al cielo sembrò ascoltarmi. Poi aiutai Tomo a sparecchiare la tavola, finché non si ripresentò il mio amore con addosso dei pantaloni blu scuro, una maglietta azzurra e la giacca nera che aveva messo alla Premiere, mentre ai piedi, al posto di quelle specie di peluches, aveva quegli scarponcini bianchi e rossi che mi piacevano tanto.
“Bravo amore! Andiamo!”, gli dissi. Lui mi prese per mano, salutammo i ragazzi con un 'addio' – neanche fosse stata l'ultima volta che ci vedevamo –, uscimmo di casa ed entrammo nella sua macchina, partendo alla volta degli stilisti che avevano confezionato gli abiti per Vitaly Orlov e del regista che gli avrebbe consegnato il copione da studiare.
Il ritiro di tutto ciò fu abbastanza veloce: lui scendeva dalla macchina, dentro la quale rimanevo per aspettarlo, andava dove doveva andare e risaliva in macchina.
“E anche questa è fatta! Finito!”, mi disse, dopo essere risalito nella vettura per la terza volta e applaudendosi da solo. “Ti va un'escursione into the wilde?”, mi chiese poi.
“Siii, certo che mi va!!”, dissi io, sinceramente contenta della sua proposta.
“Perfetto! Natura aspettaci!!”. E diede gas al motore.
Durante il tragitto parlammo del più e del meno, finché non arrivammo in un luogo spopolato e roccioso, ma molto suggestivo.
“Amore, che bello! Mi piace questo posto! Come lo hai scoperto?”, gli chiesi, scendendo dalla macchina e prendendo una coperta che lui teneva nel portabagagli, per usarla nel caso volessimo sederci per terra, e mettendola in uno zaino monospalla, anch'esso dentro al cofano bagagli.
“Per caso. Un giorno vagavo da solo per le periferie di Los Angeles, e l'ho trovato. O lui ha trovato me, credo!”, mi spiegò.
Passeggiammo per un po' mano nella mano, godendoci lo spettacolo della natura. Oltre ai grandi ed enormi massi che caratterizzavano il posto, c'erano anche degli alberi di un bel verde e, ad un certo punto, un dolce ruscello, un po' nascosto da due imponenti macigni, sulla cui riva crescevano dei ciuffetti d'erba e le cui acque erano illuminate dal sole. Ci fermammo un po' a guardare quella pacifica visione e a captarne gli odori freschi e ossigenanti. Lui mi abbracciò da dietro e poggiò la testa sulla mia spalla, io misi le braccia sopra le sue, all'altezza dell'addome, e appoggiai la mia testa alla sua... e pensai che eravamo perfetti. Due parti di un puzzle che si incastravano perfettamente, senza alcuno sforzo, perché fatti apposta per essere inseriti l'uno nell'altro. Ringraziai mentalmente tutte le vicende della mia vita, quelle belle e quelle brutte, perché mi avevano portato a conoscere lui, il mio corrispettivo maschile, la mia metà, la mia più assoluta e indiscutibile anima gemella. Quella vecchina della Premiere doveva averci visto giusto.
Tutto d'un tratto lui si staccò da me, facendomi svegliare dalle mie riflessioni: mi girai e lo vidi che correva come un cretino verso una roccia piuttosto alta.
“Chi non si arrampica sulle rocce è un molluscoooo!”, iniziò a dire, urlando.
“Ah si? Adesso ti faccio vedere io!!”, gli urlai dalla mia postazione. Mi misi a correre più forte che potevo, lo raggiunsi e, insieme, ci arrampicammo sul gigante di pietra. Lui fu più bravo e arrivò in cima per primo, mentre io stavo cercando di aggrapparmi ad un fessura che dava l'idea di essere poco stabile.
“Dai, lascia che ti aiuti!”, mi disse ridendo e porgendomi una mano, “dovresti fare arrampicata anche tu!”
“No, ce la faccio! Ce la devo fare! Guarda che mio zio mi chiamava 'scimmia'!”, dissi testarda. Mi sbucciai i polpastrelli della mano destra, ma con somma soddisfazione riuscii ad arrancare fino alla cima, facendogli la linguaccia, divertita.
Al che, lui scese rapidamente, gli permisi di aiutarmi a scivolare giù e ricominciammo a correre, a saltare sui massi più bassi e continuare a correre, dandoci anche degli spintoni o tirandoci a vicenda per i vestiti, al fine di rallentarci la corsa. Ci stavamo divertendo come matti, tanto che a furia di ridere mi si appannò la vista e non vidi un ramoscello che rotolò sotto ai miei piedi, e che, se non fosse stato per Jared che mi fece atterrare sul suo petto, mi avrebbe fatto sbattere il muso per terra.
“Ehi, scimmietta, devi guardare dove metti le zampe!”, mi disse con tono dolce.
“Ma tanto ci sei tu a salvarmi!”, gli dissi, dandogli un bacio sulla guancia. “Posso farti una foto?”, gli chiesi poi, “voglio ricordarmi per sempre di questo pomeriggio!”.
Lui annuì contento. Presi la mia macchina fotografica dallo zaino – che per miracolo era ancora tutto intero –, gli scompigliai i capelli, facendogli finire più o meno sopra gli occhi, e gli dissi di mettersi in posa sopra un macigno.
Gli scattai varie foto, mentre lui si accucciava sulle rocce, oppure si sollevava sulle braccia, appoggiando le mani su due massi vicini tra loro e alzando le gambe, mostrandomi così la suola delle scarpe. Dio, era tenerissimo, e sebbene i suoi occhi fossero in parte nascosti dai capelli, mi guardavano con una dolcezza smisurata che mi faceva perdere la testa. Era il mio cucciolo, il mio fortissimo cucciolo.
Ad un certo punto fece un sonoro starnuto.
“Vedi? Te l'avevo detto di non restare in canottiera!”, gli dissi ridendo.
“Ma no, deve essere il polline!”, si difese lui.
“Sì, certo. E da quando sei allergico al polline?”
“Magari da adesso!”, continuò lui.
“Ho io quello che ci vuole per te!”, gli dissi. Presi la coperta che avevo infilato dentro lo zaino e gliela misi sulle spalle.
“Ecco, così sei perfetto. Un perfetto cucciolo piccolo e indifeso. Guarda, hai anche il nasino rosso!”, gli dissi tra le risate.
“Non ti preoccupare, cara mia. Avrò la mia vendetta, in questa vita o nell'altra!”, mi disse, citando con convinzione Russell Crowe.
“Ma stai zitto e fatti fotografare!”, gli dissi. E gli scattai un'ultima, tenera foto.
Riprendemmo a camminare e ci fermammo al limitare di un burrone, ci sedemmo per terra e osservammo il panorama. Poi ci sdraiammo supini: io appoggiai la testa sulla sua spalla sinistra e gli afferrai la mano destra, lui mi mise il braccio dietro al collo e iniziò ad accarezzarmi lentamente i capelli. Dopo qualche minuto parlò: “Ti amo, Ross!”.
“Ti amo, Jay!”.
Quel momento, quelle parole, quelle carezze, erano come una solenne promessa per l'eternità, come se ci stessimo giurando un amore che sarebbe andato oltre i confini del tempo e dello spazio. Osservai il cielo, e pensai che per sempre mi avrebbe ricordato i suoi occhi, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo della mia vita, e che ad essi lo avrei sempre paragonato.
“Jay, sai cosa sto pensando?”, gli dissi, dopo alcuni minuti passati in silenzio.
“Cosa stai pensando?”, mi chiese dolcemente.
“Che mi sento come... voglio dire... non sembra come se non fossimo mai stati vivi? Come se avessimo appena cominciato?”, gli dissi, girando la testa verso di lui per guardarlo.
Lui mi guardò comprensivo e socchiuse gli occhi, come se stesse pensando a qualcosa.
“Magari per te non è così, tu hai avuto una vita diversa dalla mia... ma è quello che sento io, lo sento dentro. Con te è come se avessi iniziato a vivere davvero, come se fin'ora io non avessi veramente vissuto, ma solo sopravvissuto.”, gli spiegai.
“No, amore. Ti capisco benissimo, perché è quello che sento anch'io. Non c'entra la vita che ho fatto... ho avuto esperienze diverse, è vero, ma non contano, su quanto dici tu non fanno testo. E' con te che ho iniziato a vivere, proprio come se fosse la prima volta. Tu mi capisci, mi dai forza, mi sollevi il morale, mi fai ridere, mi fai riflettere! E' incredibile... è come se tu fossi il mio carburante! Non riesco ad immaginare il resto della mia vita senza di te... sarebbe tutto triste, vuoto. Non c'è vita senza te!”.
Quello fu uno dei migliori discorsi di sempre. Lo guardai commossa, sprofondai con il viso nell'incavo del suo collo e lo abbracciai forte, lui mise entrambe le braccia sulla mia schiena, coprendomi con metà della coperta che aveva addosso, mi strinse ancora più forte a sé e mi diede un dolce bacio tra i capelli. Restammo per un po' accoccolati, senza dire nulla, finché non si alzò un venticello pungente.
“Sarà meglio andare o ci ammaliamo.”, disse lui, sollevando se stesso e me da terra.
“Stai facendo progressi! Bravo! Prossima volta maglia della salute e cappotto di lana!”, lo presi in giro.
“Tu invece farai il cosplay di un eschimese?”, mi prese in giro a sua volta.
“Ah-ah, divertente! Voglio proprio vedere se non inizierai a buttarti addosso ogni genere di indumento anti-freddo!”.
Mi alzai, aiutai lui ad alzarsi, tornammo in macchina e partimmo alla volta del supermarket. Comprammo il necessario per un decente pranzo di benvenuto, cercando di trattenerci dal svaligiare il reparto dolciumi, e tornammo a casa. Erano ormai le otto e trenta di sera.
Entrammo con le borse della spesa in mano, e vedemmo un Tomo mezzo spaventato venirci incontro e fiondarsi sui sacchetti, ce li tolse dalle mani senza proferire verbo e li portò lesto in cucina. Di sicuro era in ansia e preoccupato di quello che avremmo potuto comprare e, di conseguenza, di fare brutta figura con Vicki. Ma c'ero io con Jared, il pranzo di domani era salvo, non aveva nulla da temere.
“Bene, grazie ragazzi. Anzi, grazie Ross, a te non dico niente che sei negato per la spesa!”, disse il chitarrista, tornando dalla sua ispezione culinaria.
“Oh, ma grazie! Bell'amico sei!”, gli rispose Jared, fintamente offeso.
“Quando serve! Ah, a proposito, tra poco arrivano le pizze, le ha ordinate Shannon!”, aggiunse il cuoco.
Io e Jared andammo in sala, dove uno Shanimal addormentato si era impossessato del divano. Ci guardammo in faccia con uno sguardo d'intesa, annuimmo convinti e, al tre segnato dal dito medio di Jared, gli saltammo letteralmente addosso.
“WHUAAAAAAAWH!! MUDDAFUGGAZ!”, urlò la nostra vittima, spaventato a morte.
Io e il mio folle ragazzo scoppiammo a ridere, e continuammo fino alle lacrime, mentre il povero batterista ci guardava come se avesse visto due marziani, anzi, due terrestri.
“Ma vi siete bevuti il vostro fottuto cervello? Venite qui, disgraziati!”, ci apostrofò, poiché noi ce la demmo a gambe e lui iniziò ad inseguirci.
Ci fermammo solo quando Tomo ci puntò davanti alla faccia due grandi cartoni contenenti due pizze famiglia, olfattivamente molto promettenti.
Mangiammo con relativa tranquillità, tra le chiacchiere, l'impazienza per l'indomani e altre risate causate dal dolce risveglio di Shannon.
Poi io e il mio Jay demmo la buonanotte ai ragazzi, salimmo in camera e, esausti come poche volte, sprofondammo tra le braccia di Morfeo praticamente subito.



Bene, questo è il capitolo più lungo scritto fin'ora, ma a mio parere ne è valsa la pena!
Spero siate anche voi del mio stesso parere.

Qui vediamo Ross e Jay (conosciuti anche come 'JOSS' o 'RAY', per chi ama i nomi fusi. ...Voi quale preferite tra i due?), divertirsi e riflettere sulla loro storia, capendo di essere davvero fatti l'uno per l'altra. Avete notato i versi della splendida 'R-evolve' pronunciati da Ross? Bene, teneteli a mente.

Detto questo, ci si vede al pranzo con la nostra SuperOspite Vicki! Non mancate!!

Come sempre: baci, abbracci, e tante coccole dalla vostra Pomegranate.
Stay tuned, be martian!

   
 
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