Bonjour, mon
amis.
Et voilà! - *
Offre baguettes con mortazza * -.
“Posso venire
con te?”, gli chiesi.
“Certo che puoi
venire con me!”, mi rispose lui con un sorriso.
“Così poi
prendiamo qualcosa da mangiare per il pranzo di domani!”,
dissi.
“Buona idea!
Cucinerò io!”, disse Jared. Aspetta, che?
Tomo strabuzzò
gli occhi e Shannon sputò sul piatto l'acqua che stava
bevendo,
scosso dalle risate. Era proprio uno Shanimal...
“Amore,
manderai a fuoco la casa, ne sei consapevole,
sì?”, mi azzardai a
dirgli.
“Siete degli
indegni! Vitaly Orlov deve saper cucinare! E' nel copione!”,
si
giustificò lui.
“Sì, ma Jared
Leto non sa cucinare!”, disse Tomo, cercando di ricordagli la
sua
reale identità, come quando si spiega ad un bambino che 1+1
fa 2.
Il mio ragazzo
sbuffò e si alzò da tavolo, pronto per uscire. Lo
bloccai.
“Fermo tu! Dove
vai conciato così? Vai a mettere dei vestiti più
pesanti, marsch!”.
Mi fece il
labbruccio, ma non mi lasciai intenerire. Mi alzai dalla sedia e lo
spinsi verso le scale, e grazie al cielo sembrò ascoltarmi.
Poi
aiutai Tomo a sparecchiare la tavola, finché non si
ripresentò il
mio amore con addosso dei pantaloni blu scuro, una maglietta azzurra
e la giacca nera che aveva messo alla Premiere, mentre ai piedi, al
posto di quelle specie di peluches, aveva quegli scarponcini bianchi
e rossi che mi piacevano tanto.
“Bravo amore!
Andiamo!”, gli dissi. Lui mi prese per mano, salutammo i
ragazzi
con un 'addio' – neanche fosse stata l'ultima volta che ci
vedevamo
–, uscimmo di casa ed entrammo nella sua macchina, partendo
alla
volta degli stilisti che avevano confezionato gli abiti per Vitaly
Orlov e del regista che gli avrebbe consegnato il copione da
studiare.
Il ritiro di
tutto ciò fu abbastanza veloce: lui scendeva dalla macchina,
dentro
la quale rimanevo per aspettarlo, andava dove doveva andare e
risaliva in macchina.
“E anche questa
è fatta! Finito!”, mi disse, dopo essere risalito
nella vettura
per la terza volta e applaudendosi da solo. “Ti va
un'escursione
into the wilde?”, mi chiese poi.
“Siii, certo
che mi va!!”, dissi io, sinceramente contenta della sua
proposta.
“Perfetto!
Natura aspettaci!!”. E diede gas al motore.
Durante il
tragitto parlammo del più e del meno, finché non
arrivammo in un
luogo spopolato e roccioso, ma molto suggestivo.
“Amore, che
bello! Mi piace questo posto! Come lo hai scoperto?”, gli
chiesi,
scendendo dalla macchina e prendendo una coperta che lui teneva nel
portabagagli, per usarla nel caso volessimo sederci per terra, e
mettendola in uno zaino monospalla, anch'esso dentro al cofano
bagagli.
“Per caso. Un
giorno vagavo da solo per le periferie di Los Angeles, e l'ho
trovato. O lui ha trovato me, credo!”, mi spiegò.
Passeggiammo per
un po' mano nella mano, godendoci lo spettacolo della natura. Oltre
ai grandi ed enormi massi che caratterizzavano il posto, c'erano
anche degli alberi di un bel verde e, ad un certo punto, un dolce
ruscello, un po' nascosto da due imponenti macigni, sulla cui
riva crescevano dei ciuffetti d'erba e le cui acque erano illuminate
dal sole.
Ci fermammo un po' a guardare quella pacifica visione e a captarne
gli odori freschi e ossigenanti. Lui mi abbracciò da dietro
e poggiò
la testa sulla mia spalla, io misi le braccia sopra le sue,
all'altezza dell'addome, e appoggiai la mia testa alla sua... e
pensai che eravamo perfetti. Due parti di un puzzle che si
incastravano perfettamente, senza alcuno sforzo, perché
fatti
apposta per essere inseriti l'uno nell'altro. Ringraziai mentalmente
tutte le vicende della mia vita, quelle belle e quelle brutte,
perché
mi avevano portato a conoscere lui, il mio corrispettivo maschile, la
mia metà, la mia più assoluta e indiscutibile
anima gemella. Quella
vecchina della Premiere doveva averci visto giusto.
Tutto d'un tratto
lui si staccò da me, facendomi svegliare dalle mie
riflessioni: mi
girai e lo vidi che correva come un cretino verso una roccia
piuttosto alta.
“Chi non si
arrampica sulle rocce è un molluscoooo!”,
iniziò a dire, urlando.
“Ah si? Adesso
ti faccio vedere io!!”, gli urlai dalla mia postazione. Mi
misi a
correre più forte che potevo, lo raggiunsi e, insieme, ci
arrampicammo sul gigante di pietra. Lui fu più bravo e
arrivò in
cima per primo, mentre io stavo cercando di aggrapparmi ad un fessura
che dava l'idea di essere poco stabile.
“Dai, lascia
che ti aiuti!”, mi disse ridendo e porgendomi una mano,
“dovresti
fare arrampicata anche tu!”
“No, ce la
faccio! Ce la devo fare! Guarda che mio zio mi chiamava
'scimmia'!”,
dissi testarda. Mi sbucciai i polpastrelli della mano destra, ma con
somma soddisfazione riuscii ad arrancare fino alla cima, facendogli
la linguaccia, divertita.
Al che, lui scese
rapidamente, gli permisi di aiutarmi a scivolare giù e
ricominciammo
a correre, a saltare sui massi più bassi e continuare a
correre,
dandoci anche degli spintoni o tirandoci a vicenda per i vestiti, al
fine di rallentarci la corsa. Ci stavamo divertendo come matti, tanto
che a furia di ridere mi si appannò la vista e non vidi un
ramoscello che rotolò sotto ai miei piedi, e che, se non
fosse stato
per Jared che mi fece atterrare sul suo petto, mi avrebbe fatto
sbattere il muso per terra.
“Ehi,
scimmietta, devi guardare dove metti le zampe!”, mi disse con
tono
dolce.
“Ma tanto ci
sei tu a salvarmi!”, gli dissi, dandogli un bacio sulla
guancia.
“Posso farti una foto?”, gli chiesi poi,
“voglio ricordarmi per
sempre di questo pomeriggio!”.
Lui annuì
contento. Presi la mia macchina fotografica dallo zaino – che
per
miracolo era ancora tutto intero –, gli scompigliai i
capelli,
facendogli finire più o meno sopra gli occhi, e gli dissi di
mettersi in posa sopra un macigno.
Gli scattai varie
foto, mentre lui si accucciava sulle rocce, oppure si sollevava sulle
braccia, appoggiando le mani su due massi vicini tra loro e alzando
le gambe, mostrandomi così la suola delle scarpe. Dio, era
tenerissimo, e sebbene i suoi occhi fossero in parte nascosti dai
capelli, mi guardavano con una dolcezza smisurata che mi faceva
perdere la testa. Era il mio cucciolo, il mio fortissimo cucciolo.
Ad un certo punto
fece un sonoro starnuto.
“Vedi? Te
l'avevo detto di non restare in canottiera!”, gli dissi
ridendo.
“Ma no, deve
essere il polline!”, si difese lui.
“Sì, certo. E
da quando sei allergico al polline?”
“Magari da
adesso!”, continuò lui.
“Ho io quello
che ci vuole per te!”, gli dissi. Presi la coperta che avevo
infilato dentro lo zaino e gliela misi sulle spalle.
“Ecco, così
sei perfetto. Un perfetto cucciolo piccolo e indifeso. Guarda, hai
anche il nasino rosso!”, gli dissi tra le risate.
“Non ti
preoccupare, cara mia. Avrò la mia vendetta, in questa vita
o
nell'altra!”, mi disse, citando con convinzione Russell Crowe.
“Ma stai zitto
e fatti fotografare!”, gli dissi. E gli scattai un'ultima,
tenera
foto.
Riprendemmo a
camminare e ci fermammo al limitare di un burrone, ci sedemmo per
terra e osservammo il panorama. Poi ci sdraiammo supini: io appoggiai
la testa sulla sua spalla sinistra e gli afferrai la mano destra, lui
mi mise il braccio dietro al collo e iniziò ad accarezzarmi
lentamente i capelli. Dopo qualche minuto parlò:
“Ti amo, Ross!”.
“Ti amo, Jay!”.
Quel momento,
quelle parole, quelle carezze, erano come una solenne promessa per
l'eternità, come se ci stessimo giurando un amore che
sarebbe andato
oltre i confini del tempo e dello spazio. Osservai il cielo, e pensai
che per sempre mi avrebbe ricordato i suoi occhi, in qualsiasi
momento e in qualsiasi luogo della mia vita, e che ad essi lo avrei
sempre paragonato.
“Jay, sai cosa
sto pensando?”, gli dissi, dopo alcuni minuti passati in
silenzio.
“Cosa stai
pensando?”, mi chiese dolcemente.
“Che mi sento
come... voglio dire... non sembra come se non fossimo mai stati vivi?
Come se avessimo appena cominciato?”, gli dissi, girando la
testa
verso di lui per guardarlo.
Lui mi guardò
comprensivo e socchiuse gli occhi, come se stesse pensando a
qualcosa.
“Magari per te
non è così, tu hai avuto una vita diversa dalla
mia... ma è quello
che sento io, lo sento dentro. Con te è come se avessi
iniziato a
vivere davvero, come se fin'ora io non avessi veramente vissuto, ma
solo sopravvissuto.”, gli spiegai.
“No, amore. Ti
capisco benissimo, perché è quello che sento
anch'io. Non c'entra
la vita che ho fatto... ho avuto esperienze diverse, è vero,
ma non
contano, su quanto dici tu non fanno testo. E' con te che ho iniziato
a vivere, proprio come se fosse la prima volta. Tu mi capisci, mi dai
forza, mi sollevi il morale, mi fai ridere, mi fai riflettere! E'
incredibile... è come se tu fossi il mio carburante! Non
riesco ad
immaginare il resto della mia vita senza di te... sarebbe tutto
triste, vuoto. Non c'è vita senza te!”.
Quello fu uno dei
migliori discorsi di sempre. Lo guardai commossa, sprofondai con il
viso nell'incavo del suo collo e lo abbracciai forte, lui mise
entrambe le braccia sulla mia schiena, coprendomi con metà
della coperta
che aveva addosso, mi strinse ancora più forte a
sé e mi diede un
dolce bacio tra i capelli. Restammo per un po' accoccolati, senza
dire nulla, finché non si alzò un venticello
pungente.
“Sarà meglio
andare o ci ammaliamo.”, disse lui, sollevando se stesso e me
da
terra.
“Stai facendo
progressi! Bravo! Prossima volta maglia della salute e cappotto di
lana!”, lo presi in giro.
“Tu invece
farai il cosplay di un eschimese?”, mi prese in giro a sua
volta.
“Ah-ah,
divertente! Voglio proprio vedere se non inizierai a buttarti addosso
ogni genere di indumento anti-freddo!”.
Mi alzai, aiutai
lui ad alzarsi, tornammo in macchina e partimmo alla volta del
supermarket. Comprammo il necessario per un decente pranzo di
benvenuto, cercando di trattenerci dal svaligiare il reparto
dolciumi, e tornammo a casa. Erano ormai le otto e trenta di sera.
Entrammo con le
borse della spesa in mano, e vedemmo un Tomo mezzo spaventato venirci
incontro e fiondarsi sui sacchetti, ce li tolse dalle mani senza
proferire verbo e li portò lesto in cucina. Di sicuro era in
ansia e
preoccupato di quello che avremmo potuto comprare e, di conseguenza,
di fare brutta figura con Vicki. Ma c'ero io con Jared, il pranzo di
domani era salvo, non aveva nulla da temere.
“Bene, grazie
ragazzi. Anzi, grazie Ross, a te non dico niente che sei negato per
la spesa!”, disse il chitarrista, tornando dalla sua
ispezione culinaria.
“Oh, ma grazie!
Bell'amico sei!”, gli rispose Jared, fintamente offeso.
“Quando serve!
Ah, a proposito, tra poco arrivano le pizze, le ha ordinate
Shannon!”, aggiunse il cuoco.
Io e Jared
andammo in sala, dove uno Shanimal addormentato si era impossessato
del divano. Ci guardammo in faccia con uno sguardo d'intesa, annuimmo
convinti e, al tre segnato dal dito medio di Jared, gli saltammo
letteralmente addosso.
“WHUAAAAAAAWH!!
MUDDAFUGGAZ!”, urlò la nostra vittima, spaventato
a morte.
Io e il mio folle
ragazzo scoppiammo a ridere, e continuammo fino alle lacrime, mentre
il povero batterista ci guardava come se avesse visto due marziani,
anzi, due terrestri.
“Ma vi siete
bevuti il vostro fottuto cervello? Venite qui, disgraziati!”,
ci
apostrofò, poiché noi ce la demmo a gambe e lui
iniziò ad
inseguirci.
Ci fermammo solo
quando Tomo ci puntò davanti alla faccia due grandi cartoni
contenenti due pizze famiglia, olfattivamente molto promettenti.
Mangiammo con
relativa tranquillità, tra le chiacchiere, l'impazienza per
l'indomani e altre risate causate dal dolce risveglio di Shannon.
Poi io e il mio
Jay demmo la buonanotte ai ragazzi, salimmo in camera e, esausti come
poche volte, sprofondammo tra le braccia di Morfeo praticamente
subito.
Bene, questo è
il capitolo più lungo scritto fin'ora, ma a mio parere ne
è valsa
la pena!
Spero siate anche
voi del mio stesso parere.
Qui vediamo Ross e Jay (conosciuti anche come 'JOSS' o 'RAY', per chi ama i nomi fusi. ...Voi quale preferite tra i due?), divertirsi e riflettere sulla loro storia, capendo di essere davvero fatti l'uno per l'altra. Avete notato i versi della splendida 'R-evolve' pronunciati da Ross? Bene, teneteli a mente.
Detto questo, ci si vede al pranzo con la nostra SuperOspite Vicki! Non mancate!!
Come sempre:
baci, abbracci, e tante coccole dalla vostra Pomegranate.
Stay tuned, be
martian!