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Autore: BellinianSwan    26/01/2017    1 recensioni
"Posò poi lo sguardo su di un ritratto che lo attrasse magneticamente con cieca irrazionalità. Vide due occhi neri fieri, apparentemente impregnati di uno scopo, di un mordente per cui vivere, allargò lo sguardo all'intera figura e si sentì ancora più solo al mondo, lei, chiunque fosse sembrava esperta dell'arte del vivere, quell'arte che era sempre stata refrattaria ad adattarsi alle sue sgradevoli sembianze. Eppure, uno sguardo più attento mise in luce gli angoli della sua bocca, carnosa e ben disegnata, leggermente piegati verso il basso, in un vano sforzo di resistere. [...] Sentì quella figura nel ritratto vicina, dannatamente vicina eppure distante anni luce, a causa di quella vaga luce che le ardeva negli occhi. Lei nonostante tutto aveva trovato un mordente, o forse indossava una maschera oramai divenuta un tutt'uno con il suo volto fiero."
- Gertrude Degl'Innocenzi è stata ispirata al personaggio protagonista del manga "La Rosa di Versailles", Lady Oscar -
Genere: Azione, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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"Per pessimo che sia il governo italiano, ove non si presenti l'opportunità di facilmente rovesciarlo, credo meglio attenersi al gran concetto di Dante: "Fare l'Italia anche col diavolo"."

G. Garibaldi

 

 

La mattina del 30 Giugno 1827, un valletto andò ad aprire la porta del Gabinetto Viesseux, ritrovandosi davanti un giovane alto e avvenente. Di bell'aspetto. Aitante. Aveva l'aria di quegli scapoloni che sapevano gestire in modo equo amanti e lavoro. Si salutarono con un fugace "buongiorno" e il giovane fece il suo ingresso all'interno dell'immobile. L'aria odorava di candele appena spente. Ebbe come l'impressione che il vecchio fosse rimasto in quell'ufficio per la notte. Il valletto neanche lo accompagnò, ormai lo sapeva anche lui: c'era venuto talmente tante di quelle volte, lì dentro, che oramai i suoi piedi conoscevano la strada da soli. Bussò ad uno dei battenti della porta che dall'anticamera portava allo studio. Una voce maschile gli diede il permesso di entrare. Gian Pietro Viesseux si voltò, togliendo da sopra il naso i piccoli occhiali da lettura. Conosceva bene quel giovane.

- Antonio Ranieri! Che piacere rivedervi! Dove siete stato, è da un pezzo che non vi si vede! Spero nulla di grave.

Aveva saputo del suo esilio politico, sapeva che non potesse tornare a Napoli per via dei suoi ideali.

 

 

 

 

Giacomo si incamminò verso Piazza degli Strozzi, fisicamente e moralmente distrutto, una camminata gli avrebbe placato quell'oceano di fiele in gran tempesta. Dopo aver camminato una quindicina di minuti seguendo le sommarie indicazioni del visconte, si rese conto di aver perso l'orientamento.

- Cercate qualcosa?

Gli chiese un uomo di bell'aspetto di una decina d'anni più di lui. Giacomo si ritrasse lievemente sentendosi giudicato, pensava che fosse ripugnante, ne era certo.

- Sapreste dirmi dov'è ubicato l'illustre gabinetto Viesseux?

L'uomo portava un vistoso crocifisso al collo simile a quelli di sua madre.

- Mi sto recando anch'io in quel luogo, potrei avere l'onore di conoscere il vostro nome?

Disse con voce sicura, in un italiano alquanto singolare, Giacomo concluse che dovesse venire dal Nord. Abbassò lo sguardo, terribilmente a disagio.

- Sono... il conte Giacomo Leopardi di Recanati. Voi...?

- Conte Alessandro Francesco Tommaso Antonio Manzoni, di Milano. Ad ogni modo... il vostro nome m'è tutt'altro che nuovo. Io ritengo che codesta città possa giovare al Romanzo ch'ho appena pubblicato e che tuttavia intendo perfezionare, per quanto la perfezione appartenga soltanto a Dio...

- Certo...

Mormorò Giacomo per niente convinto di ciò, e stizzito di sentir ripetere una frase tanto cara alla madre. Camminarono fianco a fianco in silenzio, fino a che giunsero davanti ad un singolare ed imponente edificio. Giacomo era visibilmente emozionato, il conte Manzoni era disumanamente disinvolto, bussò ripetutamente come se stesse per far ingresso in casa di parenti.

Lo stesso valletto andò ad aprire.

- Chi desiderano?

Chiese alternando lo sguardo su quello alto e quello basso.

- Gradiremmo cortesemente parlare con l'illustrissimo Giovan Pietro Viesseux, siamo suoi ospiti. 

Rispose il conte Manzoni lasciando trapelare una certa impazienza.

-Chi debbo annunciare?

Chiese facendoli entrare.

- Conte Alessandro Francesco Tommaso Antonio Manzoni e... Il signor Leopardi.

Mormorò il nome "Leopardi" abbassando la voce, ma era sua intenzione non farlo notare.

- Conte Giacomo Leopardi...

Replicò il poeta con la sua voce fioca. Manzoni lo detestava, velatamente. Una di quelle antipatie a pelle che è difficile scollarsi di dosso, anche facendo uso del più misurato raziocinio.

- Prego, seguitemi, per favore.

E li guidò fin davanti alla porta dello studio. Bussò, aprì ed entrò prima dei due annunciando ad alta voce:

- Le Loro Eccellenze il Conte Leopardi ed il Conte Manzoni.

- Giovan Pietro, che piacere rivedervi!

Esclamò Manzoni allontanandosi da Giacomo. Giacomo si sentì un pesce fuor d'acqua, messo da parte come d'abitudine, Leopardi cercò lo sguardo del Viesseux, ma il fisico prestate di Manzoni lo nascondeva.

- Ah sì! Vi stavo aspettando, miei graditissimi ospiti! Prego, accomodatevi! C'è posto per tutti!

Li accolse così il vecchio Gian Piero Viesseux e si avvicinò a stringere la mano ad entrambi.

Giacomo gli strinse debolmente la mano, prima di averla asciugata sfregandola sui pantaloni, dato che aveva sempre le mani sgradevolmente umidicce.

- Prego, prego... prendete pure posto.

Ripeté, poi si voltò verso Ranieri e lo presentò ai due nuovi ospiti.

- Vi presento Antonio Ranieri, brillante uomo di politica.

Giacomo lo osservò attentamente, aveva l'aria di uno che come il resto del genere umano ha conosciuto amarezze d'ogni sorta e ad ogni modo sembrava felice, davvero felice e sereno, come se nulla avesse potuto minarlo davvero. Accennò un goffo inchino.

- Piacere di conoscervi.

Mormorò tenendo gli occhi bassi.

- Piacere mio, signor Conte.

Nel frattempo Ranieri si era alzato ed era andato a stringere la mano ad entrambi.

- Siete solito frequentare codesto illustre gabinetto di scienza e letteratura?

Gli chiese il poeta recanatese, sempre più incuriosito dalla sua personalità.

- Sì, Eccellenza.

Antonio decise allora di prender posto accanto a quel curioso omuncolo chino e magrissimo, dal volto pallidissimo.

- Permettete?

Chiese indicando il posto accanto alla sua "nicchia", mentre il Conte Manzoni stava intrattenendosi con Viesseux.

- Certamente...

Mormorò Giacomo timidamente.

- Io... non risiedo a Firenze, sono in visita dal visconte Degl'Innocenzi... - Abbassò appena lo sguardo. - ... Il quale mi disse che c'è aria di rivoluzione... - Sorrise appena. - Voi avvalorate questa tesi?

- E come no? Io stesso ne sono vittima, Eccellenza.

Gli rispose l'altro con uno strano accento meridionale.

- Oh Cielo... se... vi andasse di parlarne, io... sappiate che potete fidarvi... non parlo con molte persone.

Replicò il poeta, sempre più incuriosito.

- Figuratevi. I liberali non sono ben accetti ovunque. Il signor Viesseux è uno di questi. Se non ci fosse lui, qui, credo che i liberali fiorentini starebbero altrove...

Ranieri ridacchiò per sdrammatizzare.

- Ne deduco non amiate la nobiltà, conservatrice e reazionaria per natura...

Gli rispose Giacomo con una punta di ironia.

- Obbeh, non se pò fà di tutta l'erba n'fascio.

Il poeta sorrise, non poté fare altrimenti.

- Non è da tutti sapete pensarla a questo modo? L'ignoranza e la chiusura mentale stanno condannando irrimediabilmente questo secolo, che si dice aperto e moderno...

- Ed è proprio a causa degl'ignoranti ch'io sono qui oggi. I miei ideali erano scomodi e allora... quale pena migliore da infliggere? L'esilio. - Rise ancora, con lo stesso scopo. - Credetemi, Eccellenza. Se ci saranno cambiamenti un giorno, mi auguro d'esser già sottoterra per allora. I cambiamenti portano sempre sofferenze. E ij nun ne pozz cchiù.

- L'esilio?

Giacomo spalancò gli occhi incredulo. Anch'egli era in esilio, volontario dalla soffocante immobilità di un luogo che gli aveva strappato la vita dalle ossa, dalle vene, dall'anima. Ammirava tuttavia segretamente gli esuli che si struggevano per l'amor patrio, quali il Foscolo.

- Mi rincresce enormemente, ad ogni modo ricordate che per quanto i luoghi ci segnino, sono le persone a fare i luoghi. Se trovaste delle buone amicizie, vi sentireste nuovamente in Patria...

- Sicuramente, Eccellenza. Ma vedete... io fuggo spesso e non ho quasi neanche il tempo di farmi degli amici, ché subito debbo spostarmi. Invece... mi auguro di tornare presto a Napoli, dalla mia cara Paolina, mia sorella... È da tanto che non la vedo.

- Anche mia sorella porta lo stesso nome, sapete? Ad ogni modo se l'amicizia può veramente definirsi tale, ritengo che il carteggio possa sopperire alla presenza fisica, ma la vera amicizia è rara, dal momento che richiede costanza e dedizione.

- Esatto, ed è davvero facile ai giorni nostri perdere i contatti.

Il poeta si fissò sul suo viso sereno, nonostante l'esilio, nonostante le lotte ideologiche sostenute.

- Voi amate la corrispondenza?

Chiese a Ranieri.

- Beh, fa sempre piacere ricevere una lettera da qualcuno, soprattutto se un buon amico..

- La corrispondenza non è mai un piacere, è un obbligo, casomai.

Intervenne Manzoni all'improvviso. Anche il Viesseux si unì alla conversazione:

- Ad esempio, io intrattengo una fitta corrispondenza con un caro amico parigino, Claude Fauriel per lamentarmi di varie piaghe che affliggono quest'Italia sì bella e tormentata...

- Abbeh, le cose bell so' sempr accussì. Belle fuori, infernali dentro. E chi ne soffre sono ovviamente i figliuoli suoi. Ma... permettetemi di dissentire, signor conte... - disse Ranieri rivolgendosi a Manzoni - la corrispondenza diventa un obbligo nostro o degli altri se è già iniziata. Ma in casi particolari! Ai giorni d'oggi c'è gente con cui non varrebbe la pena iniziarla. Anzi, se sono loro a iniziare è pur cosa buona e giusta farla morir prima d'o' nascere.

- L'esilio vi ha instillato un po' di cinismo, vedo. Fate riferimento a qualcuno in particolare?

Disse Manzoni accarezzandosi i folti favoriti.

- Ah! Signore mij! - disse l'altro con un sorriso ironico sulla faccia agitando la mano in aria- Ce ne sarebbero di perzone brutte assaje. Ci ho avuto a che fare io stess.

- Il genere umano pullula di zotici e di villani, e quelli della peggior specie non hanno neppure una vanga in mano.

Intervenne Giacomo con tono vago, per non far credere che si stesse riferendo a qualcuno lì presente. Ranieri scoppiò in una risata, seppur composta.

- C'havete raggione, Eccellenza! - disse riferendosi al Leopardi.

- Me ne compiaccio.

Rispose Giacomo arrossendo leggermente e abbassando lo sguardo dato che un raggio di luce filtrato fra le tende gli feriva dolorosamente gli occhi

L'orologio a pendolo all'improvviso suonò le cinque e il vecchio Viesseux si alzò dalla sua poltrona dietro l'elegante scrivania in mogano e chiese guardandosi attorno tra gli ospiti:

- È l'ora del tè. Lor signori ne gradiscono?

- Che tè avete, Giovan Pietro? Ve lo chiedo perché io bevo solo tè inglese.

Disse Manzoni tranquillamente.

Giacomo pensò che qualcosa di caldo gli avrebbe fatto bene

- Se non vi è di troppo disturbo, gradirei volentieri.

Mormorò, ma si stupì della richiesta così puntuale da sembrare disdicevole, però non disse nulla e guardò il cameriere versare il tè nelle tazzine.

- Suvvia... Alessandro, sapete bene che qui si serve solo ottimo tè inglese originale...

Disse Viesseux e poi, approfittando del fatto che Manzoni si fosse girato, si grattò la fronte corrugata e imprecò, cosa che tra l'altro seppe interpretare benissimo Ranieri, che ne fu divertito e sussurrò al Leopardi, senza farsi sentire da Manzoni:

- Ecco, guardate, guardate il povero Viesseux... sta dicendo sicuramente: "Maronn mij, chest pur lu tè 'nglese m' ven a chiedere...

E scoppiò in una risatina sommessa. Anche Giacomo scoppiò in una composta risata liberatoria, Manzoni era pignolo come sua madre Adelaide.

- Mi dicevate del vostro romanzo... - Disse il Viesseux sollevando la tazzina - ... è dunque per questo che vi trovate qui?

Manzoni lo guardò compiaciuto.

- Non è un semplice romanzo. Sarà il collante della nostra povera Italia, in nome di un'unica lingua e di un'unica fede, quella in Signore nostro Gesù Cristo.

- Molto religioso, il Manzoni...

Tornò a constatare sottovoce Ranieri al poeta recanatese.

- È una bella idea, amico mio. - Rispose Viesseux sistemando gli occhiali da lettura sul ripiano della scrivania - Però devo confessarvi non ho ancora avuto il piacere di leggerlo. Vi prometto che lo farò presto.

Gli sorrise, cercando di non offenderlo.

- Chiaramente ci sono degli elementi che ancora non mi convincono, non scarto l'ipotesi che ci saranno modifiche al mio "Fermo e Lucia".

Disse il Manzoni impettito.

- Eppure... ne ho sentito parlare così... bene...

Replicò Viesseux abbassando la voce ripensando alle Operette Morali, che avevano avuto l'esito opposto, mentre posava per un attimo lo sguardo su Leopardi.

- Vi confesso che mi farebbe piacere leggerlo.

Disse Giacomo accennando un sorriso sulle labbra sottili.

- Io non m'interesso molto di letteratura.

Ridacchiò Ranieri.

- Però anche voi vorreste la nostra patria unita... la letteratura non è che un'arma silenziosa...

Rispose Manzoni.

Al termine "arma" Giacomo si sovvenne di Gertrude e aggiunse tristemente:

- Avete ragione, conte, la penna a volte ferisce e conquista più della spada.

- Sicuramente, Eccellenza. Ma io non son bravo ad utilizzarla. Se la letteratura è come una lama in mezzo alla folla, allora la politica è simile a dei colpi di cannone. Dei fulmini a ciel sereno.

Rispose Ranieri.

- ... Ed io preferisco l'artiglieria pesante.

- La politica è uno strumento efficace, che indubbiamente ha assaporato la corruzione di questo secolo ipocrita. Anche io in gioventù avevo ideali patriottici caduti poi miseramente, rendendomi conto che per quest'Italia nostra non v'è speranza alcuna.

Disse Giacomo sconsolato finendo di sorseggiare il tè.

- Non ci sarà mai speranza, fino a quando i pezzi grossi saranno cani e porci.

Antonio fece una breve risata ironica per poi prendere un sorso di tè.

- È l'ascendente borghesia che sta diffondendo falsi valori materialistici. Anche la letteratura, l'arte sono alla mercede del guadagno.

Disse il Manzoni sconsolato.

- Non prendetevela con la borghesia, conte. Perché sono proprio loro a voler dare una svolta al governo. La gente sta cominciando a stufarsi di questi stranieri al comando, per non parlare dei reggenti che resistono. Sono i liberali, conte. Pensate alla parola in sé: libertà. E se parlate del guadagno, credo che non ci sia cosa più giusta. Non sapete quanta gente morta di fame c'è in giro. Qualche tempo fa son stato a Bologna. La notte c'erano gli sciacalli, pronti a prenderti all'assalto. E non pensate che siano solo lì, eh? Il tasso di criminalità è cresciuto a più non posso, signori miei. C'è veramente aria di rivoluzione. I valori stanno perdendo importanza. C'è povertà. Bisogna che l'ideale di Italia unita si diffonda, ma in Italia, ogni qual volta si cerchi di organizzare qualcosa di grosso, tutto va in fumo.

Intervenne Ranieri.

 

- Fine parte I -

 

 

   
 
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