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Autore: Cry_Amleto_    27/01/2017    1 recensioni
/Seguito di "Lost Time"/
[Stony!]
Tratto dalla fanfiction:
"Forse avrebbe vinto. O forse no.
Forse sarebbe sopravvissuto. O forse no.
Forse lo avrebbe salvato. O forse no.
L'unica cosa certa, è che aveva bisogno di rivedere colui che aveva perso in quel dannato disastro."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost'
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[Lies and hidden truths]

...Don't leave me alone
Cause I barely see at all
Don't leave me alone, I'm
Falling in the black...
(...Non lasciarmi solo
perché io lo capisco a malapena
Non lasciarmi sono, io sto
Sto cadendo nell'oscurità...)

Seduto sulla sedia di plastica pieghevole, le mani ingrembo e la schiena ingobbita, rimase ad osservare assorto il volto addormentato del suo uomo. Il rassicurante bip... bip... di una delle tante macchine collegate al corpo dell'inventore, segnava la vita che scorreva senza tregua nell'altro, vita che aveva così disperatamente creduto che fosse andata persa. Tony si stava rimettendo con una velocità sorprendente, ma numerose cicatrici attraversavano il suo corpo a testimonianza di tutto ciò che quell'uomo così minuto eppure così forte aveva sopportato. Accarezzò lentamente la fronte dell'altro, soffermandosi sulla cicatrice che la percorreva con mano tremante.
Quanto avrebbe voluto essere stato forte come lui... Perché sì, lui era un debole al suo cospetto, un debole che era ricaduto nel peccato, di nuovo, di sua spontanea volontà. Si passò sul volto la mano che stava accarezzando Tony, incapace di arrestare i ricordi che presero a figurarglisi difronte agli occhi.

Quando i suoi compagni di squadra lo avevano raggiunto, dopo aver fermato gli uomini dell'Hydra, erano rimasti immobili ad osservare basiti il corpo di Iron Man segnato da mille ferite che veniva così dolcemente cullato dal Capitano in lacrime. 
Solo dopo lunghi istanti, Steve si era rivolto loro con un'unica parola, il tono apatico, il volto congelato in un espressione di pura agonia: «Stane?»

«È ancora vivo.» aveva risposto asciutta l'agente Romanoff.

Senza altre parole, Captain America si alzò, appoggiando delicatamente il corpo del suo amato a terra, per poi andare con passo lento, quasi trascinato, verso la sala principale, dall' 'uomo' che aveva ridotto in quell'orrido stato l'inventore.
Gli altri Vendicatori, in tacito accordo, rimasero a sorvegliare la salma del loro compagno, aspettando che Steve portasse a termine la propria Vendetta.

Quest'ultimo nel mentre si stava avvicinando ad Obadiah Stane con un maschera impenetrabile sul volto.

«Oh, da quanto posso dedure dalla tua espressione, il nostro amichetto in comune è passato a miglior vita!» disse sghignazzando il Carnefice, gli occhi porcini arsi da una luce di folle gioia, ammanettato ad una delle strutture della vecchia fabbrica. «Si vede che il piccolo Anthony non era così forte come il resto del mondo credeva...»

Il Capitano gli fu addosso repentinamente. Con un manrovescio, gli fece voltare di scatto la testa.

«Non. Osare. Pronunciare. Il. Suo. Nome.» scandì lentamente, accompagnando le parole con colpi secchi, forti, mirati a frantumare le ossa, ormai privo di alcun freno morale.

«Cos'è principessina? Avevi una cotta per il bellimbusto? E dire che fino a poco tempo fa, avresti fatto anche di peggio al caro Tony Stark se solo ti fosse stato chiesto...» ribatté quel mostro, accartocciato su se stesso dal dolore, ma ancora ghignante, sputando ai piedi di Steve un miscuglio di saliva e sangue. «Peccato non aver avuto il tempo di mostrare a Stark il documento d'autorizzazione per l'eliminazione di Howard e la sua incantevole moglie, da te firmato insieme agli altri pezzi grossi dell'Hydra... sarebbe stato bello guardare la sua espressione mentre si rendeva contro che il suo Capitano non era meglio del proprio carnefice!»

La risata di Obadiah risuonò per le fredde, grigie, mura della fabbrica, la risata di sa di aver già vinto, nonostante fosse lui stesso quello sanguinante ed in catene.
E sapeva, Steve, di aver perso. Aveva perso su tutti i fronti, anche prima che avesse iniziato a combattere.

«Non sono più dei vostri» abbaiò secco lui «Non lo sono più da tanto tempo»

«Il fatto che tu abbia trascorso gli ultimi tre anni da buon samaritano non potranno mai cancellare ciò che hai fatto in passato, Captain.» rispose quindi Stane, con un ghigno distorto sulle labbra insanguinate.

E Steve sapeva, sapeva che l'altro aveva ragione, e fu proprio questa consapevolezza che cancellò ogni suo limite, facendo esplodere la rabbia che da fin troppo tempo covava sotto pelle, rabbia indomita e distruttiva, rabbia contro se stesso.

Strinse in un pugno il ferro ancora rovente e bagnato del sangue di Tony – che aveva recuperato poco prima di recarsi da Stane - e con questo prese a torturarlo con maestria, ferendolo dove sapeva facesse più male. Le grida dell'altro presero ben presto il posto del denso silenzio sceso sulla fabbrica.
Ma non era abbastanza, no, non era abbastanza
Afferrò lo scudo con entrambe le mani e nel farlo ricordò le parole dell'inventore mentre glielo donava: 
"I bordi sono fatti in modo da trapassare cemento armato come burro"

Senza esitare oltre, calò con tutta la forza da super soldato che possedeva, lo scudo sul braccio dell'altro, staccandolo di netto. Poi prese il ferro rovente e cicatrizzò la ferita, mentre le urla disumane di colui che era stato Carnefice ed ora era Vittima rimbombavano nella sua scatola cranica.

La voce della ragione, quella di cui si era sempre fidato ciecamente, gli disse di fermarsi, che era abbastanza, che se avesse continuato sarebbe diventato un mostro esattamente come quello che aveva difronte. Ma l'immagine del corpo senza vita di Tony, del suo Tony, la mise a tacere. 
Staccò tutti gli arti, sia superiori che inferiori dal massiccio corpo dell'altro, facendo attenzione che non morisse dissanguato. Sarebbe stata una fine troppo dolce, e Stane non la meritava.
Terminato il 'lavoro', di Obadiah non era rimasto altro che un inservibile busto privo di arti, che però ancora respirava, che però avrebbe continuato a vivere, diversamente da Tony, di cui vita era stata strappata per sempre.
Era questa la punizione che Steven Grant Rogers, colui che era Captain America e che per un fin troppo lungo periodo era stato Captain Hydra, aveva scelto. 
Era questa la punizione che il mostro sopito in lui aveva designato, risvegliandosi per poi riassopirsi in un sonno leggero, pronto ad essere nuovamente invocato.

La mente persa in quei ricordi, disgustato da se stesso, si allontanò dal corpo puro di Tony. Quest'ultimo aveva tanti difetti, era vero, eppure in quel momento il Capitano si sentì inconcepibilmente ipocrita per tutte le volte che lo aveva rimproverato per la sua dissolutezza. Lui era peggiore, era di gran lunga peggiore di lui, e sperò che l'inventore non se ne accorgesse mai. Perché lo sapeva: se avesse visto il suo lato oscuro, lo avrebbe guardato inorridito, per poi attaccarlo e distruggerlo insieme agli altri Vendicatori, così come insieme avevano attaccato e distrutto altri mostri non tanto dissimili da lui. 
Si alzò da quella sedia, l'odio verso se stesso che si faceva via via più viscerale, temendo quasi di contaminare la stanza dell'inventore con la sua sola presenza. Si allontanò quasi correndo, rendendosi conto di non meritare affatto l'amore incondizionato che Tony provava verso di lui. Non lo meritava, e non lo avrebbe mai meritato. Ma pur non meritandolo, sapeva di non riuscire a farne a meno.

~o~

Strizzò gli occhi, svegliandosi, infastidito dalle lampade a neon che illuminavano a giorno la stanza. Si stiracchiò mettendosi a sedere, sentendo ogni singola vertebra scricchiolare. 
Nella solitudine della stanza ospedaliera, Tony Stark prese a rimuginare.
Si esaminò attentamente e si accorse non solo di provare meno dolore ed intorpidimento di quello che si aspettava, ma di sentirsi riposato come mai prima di allora, e questo contribuì ad accentuare il proprio cipiglio. 
Erano tante le domande che gli affollavano la testa, ma quella che più gli premeva era: "Come mai sono ancora vivo?" 
Aveva detto al dottor Banner del C6 in modo da rendere plausibile la propria resurrezione dal regno dei morti, ma quello che aveva assunto era sicuramente cianuro in dose letale. 
Perso in quei pensieri, si accorse con la coda dell'occhio di uno strano rivolo di energia dorata che gli aveva appena attraverso il reattore. Con le sopracciglia aggrottate, credendo in un abbaglio, rimase a fissare la morbida luce blu del reattore proveniente dal proprio petto nudo. Ed eccola, di nuovo, quella scintilla che lo percorse rapidamente, una scintilla che, ne era sicuro, non era presente prima del suo risveglio nella foresta del Deschutes.

«F.R.I.D.A.Y.» disse l'inventore attraverso l'auricolare che aveva ripescato dal cassetto del comodino di fianco al letto «Mandami un armatura.»

«Ma sir, il dotto Banner-» provò a protestare l'AI, subito interrotta dall'altro.

«F.R.I.D.A.Y., un armatura.» ripeté categorico.

In breve, dalla finestra lasciata aperta, entrò l'armatura che lo avvolse rapidamente e, sotto suo comando, lo portò in laboratorio. 
Arrivato in quest'ultimo, lo ritrovò esattamente come lo aveva lasciato, con il suo solito disordine che regnava sovrano. Solo uno spesso strato di polvere rivelava che si era assentato per più di pochi muniti. 
Scivolò al di fuori dell'armatura, crollando a sedere sull'unica sedia sgombra. 
Con gesti sicuri che accompagnavano ogni suo movimento lì nel suo ambiente, aprì uno dei tanti cassetti della propria scrivania e estrasse uno dei tanti reattori di emergenza che aveva costruito 'per ogni evenienza'. 
Con gesti precisi, sostituì il reattore che aveva nel petto con quello che in quel momento impugnava. Quando la delicata operazione fu portata a termine, prese a studiare con curiosità sempre crescente quel reattore che sembrava così simile a quello da lui costruito nell'aspetto, eppure nettamente diverso.
Aiutato dall'Intelligenza Artificiale, capì che quella che aveva tra le mani era una tecnologia diversa, molto più sviluppata di quella che possedevano in quel momento, ma senza ombra di dubbio terrestre.
Erano passate all'incirca due ore di studio costante di quella ancora sconosciuta fonte di energia che alimentava il reattore, più potente dell'acceleratore di particelle con il quale aveva sostituito il Palladio, quando il 'cerchietto di luce' che aveva nel petto si spense. 
Lo guardò basito mentre lampeggiava per pochi istanti, prima di smettere di funzionare: era come se il proprio corpo si fosse nutrito della sua energia.
Dedicò una profonda occhiata sorpresa a quel reattore 'alieno', prima di rimetterlo al proprio posto sbarazzandosi di quello consumato.
Dopo ulteriori calcoli fatti con i dati ricavati, capì che la sua 'resurrezione' era dovuta al fatto che, in qualche modo che ancora non riusciva ancora a comprendere alla perfezione, l'energia del reattore che scorreva prorompente nelle sue vene, anche se impiegandoci un po' di tempo, aveva dissolto il veleno e nel mentre aveva messo il proprio corpo in standby, concentrando tutte le forze nell'espellere la tossina, facendolo cadere in uno stato molto simile alla morte. Ma dai dati raccolti capì che, se l'energia che il suo corpo assorbiva fosse continuata ad aumentare così come stava facendo – rendendo il suo corpo molto simile a quello potenziato del supersoldato -, anche quel reattore si sarebbe consumato. Da un veloce calcolo, dedusse che gli rimanevano più o meno sei mesi di autonomia, forse meno. Sei mesi per trovare qualcosa talmente potente da riuscire a sostituire quella tecnologia così avanzata. Riflettendoci, capì che, anche se l'avesse trovato, avrebbe allungato solo di un po' ciò che gli rimaneva da vivere, prima di consumare inesorabilmente anch'esso. 
Si passò una mano sul volto, mentre una nuova consapevolezza lo annichiliva: aveva i giorni contati. 
Fu questo, probabilmente, quello che gli diede la spinta per fare ciò su cui da un bel po' di tempo a quella parte stava rimuginando, senza però essere riuscito a raccogliere il coraggio prima, e senza averne la possibilità poi. Si mise una mano sul petto traendo un profondo respiro, cercando di fermare la corsa del proprio cuore il cui battito era talmente veloce da aver preso a rimbombargli nelle orecchie.

~o~

«Mr. Rogers, il signor Stark richiede la sua presenza nel Laboratorio.»

La voce dell'AI rimbombò nella palestra in cui il Capitano si era rifugiato per scaricare la propria frustrazione contro dei sacchi da boxe, di cui aveva compiuto una vera strage. Minimo una decina erano i sacchi rotti che perdevano sabbia, ammassati contro il fondo della palestra e che erano stati sostituiti ben presto da altri sacchi nuovi di zecca. Anche quella palestra – sua unica valvola di sfogo – era un regalo di Tony. Si chiese se un giorno avrebbe mai potuto ripagarlo per tutto quello che l'inventore gli aveva donato, dalle 'piccole' cose materiali, alla propria vita salva solo grazie a lui.

«Grazie F.R.I.D.A.Y., digli che arrivo subito.» rispose il Capitano, detergendosi il sudore dalla fronte con un asciugamano.

Si cambiò rapidamente la maglietta sudaticcia con una fresca di bucato e si diresse verso ' l'antro oscuro ' dell'inventore.

«Il dottore non ti ha forse ordinato di restare a letto?» gli chiese dolcemente, solcando l'uscio delle porte che si aprirono per lasciarlo passare.

Tony si girò verso di lui con il suo sorrisetto arrogante, addolcito dallo sguardo carico d'affetto che gli rivolse.

"Un affetto che non mi merito." si ritrovò a pensare ancora Steve, cercando di non far trasparire il proprio tormento.

«Lo sai che io seguo solo gli ordini che più mi aggradano, Capiscle.» rispose, rivolgendogli un occhiolino ammiccante.

«Oh, purtroppo lo so fin troppo bene!» Ribatté quindi con un sorrisetto, avvicinandosi a lui e chinandosi per lasciare un leggero bacio sulle labbra dell'inventore, che si distesero in un tenero sorriso.

Poi Tony si alzò, appoggiandosi con nonchalance alla scrivania, cercando di non far trasparire la debolezza del proprio corpo.

Ma quel gesto non sfuggì al Capitano che lo guardò preoccupato, avvicinandosi a lui pronto a sorreggerlo.

«Sicuro che vada tutto bene, Tony?» gli chiese, aggrottando le sopracciglia e passando lo sguardo sul corpo chiaramente affaticato dell'altro.

In risposta l'inventore gli circondò il collo con le braccia, baciandolo profondamente.

«Vediamo... Sono al fianco della persona che amo più di ogni altra cosa e che, straordinariamente, ricambia. Uhm... sì, credo non essermi mai sentito meglio in vita mia.» mormorò contro le sue labbra, ottenendo un sorrisetto divertito da parte di Steve.

Lì, sulle labbra del moro, aveva compreso che non gli importava. Non gli importava di non essere all'altezza di Tony. Non gli importava di non meritare il suo amore. Steve amava quell'uomo imperfetto che continuamente gli dimostrava la propria unicità, lo amava a tal punto da non riuscire a separarsene in nessuno modo, lo amava tanto da volerlo egoisticamente per sé.

«Allora, geniaccio dei miei stivali, perché mi hai chiamato?» chiese visibilmente più rilassato il Capitano.

Seguì con uno sguardo carico di immutabile affetto i passi barcollanti dell'inventore, pronto a sostenerlo nel caso le gambe gli fossero cedute, ma senza stargli eccessivamente addosso per lasciargli il proprio spazio e la propria indipendenza.

Tony si girò verso di lui impugnando tra le mani una scatolina, con un timido sorriso sulle labbra che il Capitano mai gli aveva visto prima.

«Gli ultimi accadimenti - e per ultimi intendo anche l'avventurarsi nel portale aperto da Loki e combattere contro Ultron – mi hanno fatto capire che la vita è molto più breve di quel che sembra, e, beh, per quanto ne sappiamo domani potremmo ritrovarci sul campo di battaglia...» la voce dell'inventore era bassa, a tratti nervosa, totalmente diversa rispetto da quella del sicuro Tony Stark che il mondo conosceva «Io... ci stavo pensando da un po'...» e con quelle parole, fece passare la scatolina da una mano all'altra, mordendosi il labbro inferiore, per poi tirare un profondo respiro.

Steve rimase a guardarlo basito, non riuscendo ad associare quel comportamento con il Tony che conosceva.

«Tony... tutto bene?» gli chiese, avanzando un passo verso di lui, non sapendo come comportarsi difronte a quei modi anomali da parte del compagno.

L'altro gli rivolse uno dei suoi soliti sorrisetti nel tentativo di tranquillizzarlo, solo che appariva distratto, con le sopracciglia aggrottate, come se cercasse di tenere a mente un concetto difficilissimo.
Quando poi, con un sospiro, l'inventore si inginocchiò difronte a lui, il Capitano pensò ad un mancamento e fece per sorreggerlo, ma anche allora Tony gli sorrise rassicurante. Sotto lo sguardo sempre più confuso di Steve, Tony aprì la scatolina, rivelando al suo interno un elegante anello di forgia maschile.

«Steven Grant Rogers, vuoi sposarmi?»

Con gli occhi sgranati più di quanto l'inventore ritenesse umanamente possibile, Tony vide il Capitano boccheggiare e fu dunque lui a temere uno svenimento da parte dell'altro.
Stark si morse il labbro, mentre il silenzio si protendeva fin troppo per i suoi gusti, lasciando galleggiare quella richiesta che aveva finalmente avuto il coraggio di esporre.
Quando ormai aveva iniziato a temere di essere stato troppo avventato e frettoloso per una richiesta di quella portata, si sentì tirar su dalle muscolose braccia dell'altro e stringere in un abbraccio soffocante, che lo fece gemere per la pressione sulle ferite dalle quali non si era ancora ripreso del tutto.
Al che, il Capitano lo lasciò subito andare scusandosi mortificato e facendo così ridere di cuore l'inventore. 
Steve rimase ad ascoltare incantato la risata di Tony, diversa da quella che regalava al pubblico – composta e quasi forzata -, così tonante e priva di freni. 
Quando questa sfumò, abbracciò l'altro con più delicatezza, per poi mormorare dolcemente all'orecchio dell'inventore:

«Sì, lo voglio.»

Tony lo guardò sorpreso, come se avesse appena assistito ad un miracolo. Quindi, con gli occhi sgranati dallo stupore, sussurrò a pochi centimetri dalle labbra di Steve: «Davvero?»

«Davvero Tony!» esclamò quindi il Capitano, ridendo gaiamente e baciandolo con trasporto.

I sorrisi di entrambi sembravano essere immutabili ed immortali, come se da quel momento in poi niente potesse andare storto. Eppure entrambi avevano celato una verità devastante che, se emersa, avrebbe distrutto tutto ciò che tanto faticosamente avrebbero costruito da quel momento in poi: Steve taceva il suo più grande peccato, Tony nascondeva una data di scadenza inevitabile. 
Ma in quel momento erano felici, felici come non lo erano mai stati prima di allora.
Entrambi scacciarono dalle proprie menti quelle verità occultate e decisero di vivere il proprio amore appieno, senza risparmiarsi.

Le loro labbra erano ancora fuse le une nelle altre in bacio che sugellava la loro promessa, quando un allarme scosse da capo a fondo il laboratorio.
Tony si staccò repentinamente dall'altro, la sua espressione da estasiata si fece via via confusa, preoccupata ed infine disarmata. Il Capitano spaziò con lo sguardo nel laboratorio, alla ricerca di qualcosa da impugnare come arma, non avendo con sé lo scudo e impugnò saldamente una massiccia chiave inglese lunga quanto il suo avambraccio. 
Tutti gli strumenti elettronici del laboratorio parvero come impazziti, mentre l'inventore si affaccendava senza tregua intorno ad essi.
Prima che quest'ultimo o F.R.I.D.A.Y. riuscissero a capire la fonte di tale 'agitazione' dei propri protocolli di sicurezza, essa di materializzò difronte ai loro sguardi smarriti: un portale intra-dimensionale ampio due metri per due metri comparve al centro della stanza, con una luce accecante che li costrinse a distogliere lo sguardo.
Quando riuscirono a mettere a fuoco ciò che li circondava, rimasero ancora più allibiti – se possibile – vedendo, al posto del portale, la figura di una ragazza di non più di diciassette anni ritta in piedi, in posizione fiera. Il viso ben disegnato, sui cui spiccavano due grandi occhi nocciola, era accarezzato da una folta chioma castana leggermente ondulata. Il suo sguardo profondo si posò immediatamente su di Tony, senza degnare la figura massiccia di Steve di un'occhiata. 
Senza pensarci due volte, il Capitano fece per pararsi difronte alla figura debole dell'altro, ma l'inventore glielo impedì con un gesto, l'espressione del viso pietrificata e lo sguardo perso in quello della sconosciuta.
Le labbra di quest'ultima si arcuarono in un piccolo sorriso carico di qualcosa molto simile alla nostalgia. Quando parlò, diretta all'inventore, la sua voce si rivelò arrochita, come se stesse trattenendo un singhiozzo.

«Ciao papà.»

~o~
Tre anni prima

1 ambiente.
500 metri quadrati.
50 file.
555 capsule di ibernazione per fila.

Il passo a tratti sicuro, a tratti strascinato dell'uomo in camice rimbombò nella sala. 
20... 30...50 passi, poi una curva a sinistra.
10...15 passi, poi una curva a destra.
1...2...3 passi.
Eccola, la capsula C-45.
Con un sorrisetto soddisfatto, l'uomo, impugnò il proprio blocco degli appunti, iniziando a scrivere con una grafia a tratti lenta ed elegante, a tratti talmente frettolosa che le lettere andavano a sovrapporsi l'una con l'altra.
Poi si fermò, rimanendo a studiare a lungo il volto dell'Occupante della capsula di ibernazione.
Maschio, di aspetto piacente.
I capelli castani, ancora in una piega ordinata.
La barba squadrata in maniera singolare.
I tratti del volto morbidi e distesi, imperlati dal ghiaccio della cella.
L'uomo picchiettò la matita contro la scheda dell'Occupate di fianco alla capsula, mentre a stento soffocava una risata priva di gioia, una risata quasi inumana.
Con velocità spasmodica, segnò sul proprio taccuino il nome dell'Occupante.
Anthony Edward Stark.
Mise da parte il blocco, senza riuscire a smettere di ridacchiare incontrollabilmente, mentre tornava sui suoi passi.
Si passò una delle sue grandi mani tra i folti capelli biondi tenuti in un ordine impeccabile. Arrivato all'uscita della sala, si sbarazzò del camice, rivelando al di sotto una divisa militare. La luce delle lampade al neon che pendevano dal soffitto illuminò le targhette metallizzate appuntate sul quest'ultima.
Steven Grant Rogers. 
Grado: Capitano.

TO BE CONTINUED...

___________________________

Ma ciao! Si conclude qui la seconda parte di questa trilogia~ 
Spero che vi sia piaciuta, io mi sono divertita molto a scriverla, benché avvolte sia stato molto doloroso.
E ora ditemi, cosa vi è piaciuto di più di questa parte? Quale parte vi ha fatto più soffrire?
Quale delle due parti vi è piaciuta di più? Lost Time o Lost Creatures?
Fatemi sapere~~

vostra,
L'autrice sadica è masochista~

 
   
 
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