CAPITOLO DUE - CINNAMON CUPCAKES
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La fila alle poste era
interminabile. Seppure dovesse pagare un misero bollettino di poco,
doveva aspettare ore ed ore prima di poterlo fare.
Fu
proprio per quello, che quando uscì sfinita dalla struttura sospirò
esausta.
Fortunatamente
quella mattina si svegliò abbastanza presto anche se era sabato, e
quindi si accorse che aveva ancora tre lunghe ore prima di dover
tornare a casa.
Decise
di concedersi una mattinata di puro relax, ed infatti si affrettò ad
andare al suo caffè letterario preferito.
Per
raggiungerlo dovette prendere l’autobus, e si allontanò di molto dal
centro.
Si
stupì di trovare così poca gente nell’autobus, e soprattutto di dover
aspettare così tanto prima che ne arrivasse uno.
Senza
però dar peso a ciò, una volta scesa alla sua fermata, si precipitò per
arrivare il prima possibile al caffè.
Era
passata già un’ora e poco più, giusto per arrivarci, e Melanie avvertì
la madre che non passava per pranzo, che avrebbe mangiato qualcosa per
strada e che nel pomeriggio avrebbe raggiunto Gilda in centro per un
po’ di shopping.
Quando
fu dentro respirò l’odore di caffè, di dolce e di carta e si sentì
davvero felice.
Adorava
quel posto, adorava i dolci e i libri. A tal proposito ordinò un
cupcake al cioccolato e miele, ed estrasse dalla sua borsa un libro di
cui mancavano solo poche pagine da leggere.
Avrebbe
dovuto correggere il piccolo test che aveva dato ai ragazzi della sua
classe, ma non aveva nè la voglia nè la forza.
La
sera prima era uscito con Tony e Abram, gli amici di vecchia data che
erano sempre pronti a dir di si ad una birra.
Era
certo che se avesse incontrato qualche suo alunno in una di quelle
sere, avrebbe perso tutta la serietà che aveva dimostrato in quella
settimana; Ma infondo, non poteva nè voleva privarsi, a 27 anni, di
un’uscita tra amici.
Proprio
in onore di quella serietà che tanto aveva mostrato in qualità di
professore, decise di uscire di casa con i compiti in borsa diretto al
solito posto che offriva non solo un ottimo caffè, ma anche una
tranquillità perfetta per correggere quelle poche righe sicuramente
copiate o imparate a memoria.
In
effetti, fare il professore era esser consapevoli di venir presi in
giro ogni secondo, come se gli adulti non fossero mai stati giovani
copioni e imbroglioni.
Di
solito, quando ogni tanto suppliva qualche professore e gli toccava
farlo per alcuni mesi, fingeva che non fossero quelli ai primi banchi a
suggerire le risposte corrette agli interrogati, ma adesso si era preso
l’impegno di fare in modo che questo non accadesse.
Anche
perchè in effetti, come professore non pretendeva molto, solo un minimo
di serietà e preparazione; Fortunatamente la classe in cui era capitato
aveva molti elementi validi.
Sicuramente
una di questi elementi validi era Price, seduta in prima fila
esattamente di fronte alla cattedra. Sempre attenta e preparata... Ed
anche un po’ lecchina.
Preparato
era anche Allen, l’omone che non smetteva di fissare le tette a.. com’è
che si chiamava? Ah si, Cooper. Lei invece era davvero poco attenta,
non ascoltava nemmeno mezza parola pronunciata e passava il tempo ad
ammirare le sue unghie palesemente finte e glitterate.
Poi
c’era Turner, quella ragazzina tutto pepe e con la testa tra le nuvole.
Cameron
si era più e più volte fermato a fissarle i capelli, e ogni volta che
la incrociava per i corridoi non poteva non ostinarsi a capire quale
profumo emanasse.
Era
una ragazza davvero preprata, e lo capì quando ad una domanda su
Michelangelo, che faceva parte di un programma svolto almeno un anno
prima, lei rispose in modo impeccabile, senza far riferimento a nulla
che fosse scritto sul libro, ma a cose che in quella classe solo lui,
qualche vecchio libro non scolastico e la sua alunna conoscevano.
Prima
di entrare nel solito caffè, lui capì perfettamente perchè la ragazza
dai capelli ribelli era così preparata.
Riuscì
a scorgerla attraverso la vetrina del bar, seduta ad un tavolo nascosto
in un angolo, con un libro dalla copertina bianca che lui conosceva fin
troppo bene: Michelangelo: a life on paper.
”Se
vuole un consiglio, legga qualcosa di più adatto al programma che
dovremmo svolgere quest’anno”
Melanie
scattò in piedi, credendo di averlo immaginato. Ma non appena si voltò
alla sua sinistra, si accorse che non era frutto della sua fantasia.
”P-professor
Carter!” Le uscì una voce tremendamente stridula.
”Melanie.”
La salutò, e a lei arrossì di imbarazzo.
Carter
aveva una voce calda e penetrante, e sentire il proprio nome venir
pronunciato in quel modo le fece mancare un battito... Ed anche il
respiro. “Posso sedermi qui con lei, o aspetta qualcuno?”
La
ragazza sussultò. “Sì, cioè no.. non aspetto nessuno!” Esordì fin
troppo ad alta voce, facendo ridere non solo l’uomo che aveva di fronte
ma anche una donna che stava passando di lì in quel preciso momento.
Senza
troppe parole il professore si sedette esattamente di fronte a Melanie,
e la ragazza si sentì esageratamente a disagio.
Ma
quanto era sfacciato nel chiedere ad una sua alunna se potesse sedersi
al tavolo con lei? Era ovvio che non fosse una cosa normale, ed infatti
Mel sperava stesse scherzando. Ma no, era fin troppo serio e se ne
accorse quando al tavolo arrivò un cupcake alla cannella.
”Ecco
a lei, Cameron, come al solito il dolce del giorno.” Sorrise cordiale
la cameriera che poco prima le aveva servito il suo dolcetto.
Cameron.
Che nome dannatamente perfetto per un uomo così.. bello.
Si
fermò a fissarlo, mentre parlava di qualcosa che nemmeno stette a
sentire con la cameriera.
Aveva
dei capelli nero corvino abbastanza lisci che gli ricadevano morbidi e
disordinati sulla fronte. Gli occhi, anch’essi neri, erano di una
profondità assurda, e il solo fissarli dava una sensazione di vuoto che
nemmeno cadendo da un dirupo si sarebbe avvertita.
Aveva
un profilo bellissimo, e pensò che avesse sbagliato decisamente lavoro.
Come
diamine aveva fatto quel giorno, la prima volta che si videro, a non
far caso alla sua bellezza? Era evidentemente troppo presa dal fatto
che avesse fatto ritardo per badarci, non c’erano altre spiegazioni.
Di
lì a poco, tutte le studentesse sarebbero impazzite per lui, così come
stava facendo lei.
Stava
cadendo in un clichè tipico, l’alunna che si perde per il proprio
insegnante.
Che,
tra parentesi, di sicuro non si sarebbe cagata nemmeno di striscio.
Sorrise
divertita dai suoi pensieri, e involontariamente richiamò l’attenzione
dell’uomo che smise di parlare con la cameriera e tornò a fissarla
proprio come in classe.
”Mh,
cannella” Sussurrò ammirando il dolcetto e forse dando voce ai propri
pensieri, e quella voce fece impazzire nuovamente Melanie.
Non
era mai stata una ragazza tanto facile da attirare, ma sta volta, sarà
per il fascino dell’uomo più grande, o semplicemente perchè Cameron
aveva un fascino tutto suo, si sentì maledettamente attratta da lui e
dalla sua voce.
Si
impnotizzò sta volta a guardargli le mani, le dita lunghe, sottili e
curate, non portava anelli nè bracciali, e Mel non si stupì affatto:
Sembrava essere proprio quel tipo di uomo che non possiede tratti
distintivi oltre che all’immensa bellezza, quelli che non hanno bisogno
di mettersi in ghingheri per farsi notare e che, anzi, con la camicia
un po' maltrattata e i capelli scompigliati sono ancora più attraenti.
Si
accorse solo dopo che dalle mani si era spostata alle braccia, poi alle
spalle ed infine al collo che spariva dentro la maglia grigia che
lasciava però in bella vista un po’ di clavicola e quel maledettissimo
pomo d’adamo che sembrava volerla chiamare.
Si
trovò a degludire vistosamente, accortasi del fatto che il suo
insegnante la stava fissando, forse sentendosi lo sguardo puntato
addosso.
”Le
piace?”
”Eh?”Mel
strabuzzò gli occhi. Come diamine poteva chiederle una cosa simile?
Cioè,
ovvio che le piacesse ciò che vedeva, ma era assurdo che glielo
chiedesse!
”Il
libro, Melanie, parlo del libro.” Sorrise malizioso. L’aveva fatto di
proposito! Ne era più che sicura, ma non poteva dargliela vinta.
”Sì,
mi piace, altrimenti non l’avrei appena finito” Commentò acida.
”Oh,
non sa quante cose che non mi piacciono sono costretto a fare..”
Sbuffò, senza alcuna apparente malizia.
Eppure,
Mel in quella frase ci vide troppe cose sottointese e nascoste.
Cannella,
era cannella.
Cameron
era sicuro: Il profumo che sentiva ogni volta che le era vicino era
cannella.
Anche
quando finì il suo dolce sentiva ancora stampato perfettamente nelle
narici quell’odore.
Era
qualche minuto che i due erano in silenzio, ed ogni tanto lui la
scorgeva a fissarlo sott’occhio, e lui di ricambio le sorrideva.
Aveva
capito di avere una certa influenza su di lei, così come l’aveva sulla
maggior parte delle donne. Per questo Cameron non si stupì mai di come
Melanie lo guardava.
La
cosa che però stupì se stesso era il modo in cui lui guardava lei, il
modo in cui lui la provocava attraverso le parole e gli sguardi.
Doveva
capire cosa l’attraesse di quella ragazza, che era fin troppo ordinaria.
A
lui piacevano le bionde, ma non quelle vuote e senza cervello. E invece
Melanie era di un colore poco definito. I suoi capelli erano lunghi, e
sotto la luce erano di un mogano intenso, ma al buio sembravano quasi
neri. I suoi occhi poi erano un tutto dire.. non sapeva nemmeno di che
colore fossero, ma il suo sguardo lo attiravano come un magnete.
La
prima volta che la vide pensò che in effetti era davvero bassa per la
sua età, ma si sa, l’altezza in una donna non è mai stato un problema.
”Cosa
pensa della materia che insegno, Melanie?” Le chiese tutto ad un
tratto, estraendo dalla borsa i test da correggere. Voleva conoscerla.
”Penso
che sia una delle mie materie preferite. E non lo dico solo perchè c’è
qui lei, semplicemente è così.” Rispose facendosi cogliere nuovamente
preparata.
”E
cosa le piace così tanto?” Incalzò.
Melanie
lo fissò per qualche secondo negli occhi, e lui fece altrettanto
costringendola a cedere.
Non
avrebbe retto per molto il suo sguardo, e il fatto che dopo poco passò
a fissare il suo dolce ancora perfettamente intatto ne fu la prova.
”Mi
piace conoscere il progresso culturale dell’umanita. Chiunque potrebbe
pensare che questo possa essere studiato attraverso qualsiasi materia
umanistica, come la filosofia ad esempio, ma non è così.” Prese una
pausa molto breve, giusto il tempo di riprendere fiato. “La filosofia è
un pensiero, e come tale è facilmente influenzabile dalla situazione
politica e sociale del tempo in cui esso si sviluppa.”
Cameron
sorrise. “Ah, perchè l’arte non è una forma di pensiero?” Ce l’aveva in
pugno. Sarebbe crollata.
”Ecco,
non la facevo così.. vuoto.” Sussurrò a se stessa, e torno subito a
fissarlo negli occhi. “L’arte è una manifestazione del pensiero. Il che
è differente, se mi permette. Seppure io avessi un mio pensiero simile
ad uno suo, il nostro modo di rappresentarlo sarebbe certamente
diverso, non trova?” Cameron la vide sistemarsi meglio sulla sedia,
accavallando le gambe, portando i gomiti sul tavolo e sporgendosi di
più verso di lui. Il tipico atteggiamento di chi sa il fatto suo, di chi
non ha paura ad esporsi perchè sa di aver ragione, e questa cosa gli
piacque non molto. A quel punto lei continuò a parlare e Cameron era
sicuro che lei sapesse cosa stesse dicendo, ma lui... Lui aveva smesso
di ascoltarla.
Era
ormai incatenato con lo sguardo a fissare quelle labbra rosa che si
muovevano veloci, affamate di dimostrare di sapere quel che dicevano.
Aveva
anche scordato per un attimo la sua improvvisa fissazione per la
cannella, incantandosi a vedere quelle labbra arrossate che adesso
venivano torturate dai denti.
”Professore..
mi ascolta?” Chiese fissandolo lei, senza smettere di mordersi il
labbro inferiore. Il problema era che nel suo sguardo non c’erano
tracce di malizia. Lo faceva involontariamente, senza nemmeno farci
caso. Come quel lunedì quando la chiamò alla cattedra per chiederle dei
puntini.
Cameron
scattò all’impiedi, la fissò per un attimo e poi si alzò per andare
alla cassa.
Che
diamine gli era preso? L’aveva forse offeso dicendogli che fosse vuoto?
Certo aveva esagerato, ma l’aveva fatta innervosire. Ad un certo punto
aveva smesso di ascoltarla, tant’è che Melanie era convinta che se
avesse iniziato a parlare di quanto fossero buoni i peperoni lui gli
avrebbe risposto che erano opera di Brunelleschi.
Appena
lo vide alzarsi e andar via, lasciando i compiti non ancora corretti
sul tavolo, si chiese se il suo l’avesse già letto.
Certo
che no, perchè avrebbe dovuto... Però era quello più in vista, eppure
lei ricordava di averlo consegnato per prima e quindi doveva essere
quello più “nascosto”.
”Andiamo,
l’accompagno a casa.” Si sentì dire tutto d’un tratto.
La
ragazza strabuzzò gli occhi. Avrebbe tranquillamente potuto prendere
l’autobus e... “Devo pagare il conto!” Esclamò.
”Ho
già fatto.” Annunciò scuro in volto “Fuori piove e gli autobus
pomeridiani scioperano. Non credo lei voglia tornare a piedi sotto
l’acqua”
”Posso
chiamare i miei, o prendere un taxi, non si disturbi..”Constatò lei,
incapace di accettare quella proposta che sentiva avrebbe portato a
nulla di buono.
Nonostante
ciò però, il professore insistette affinchè lei dicesse di sì.
Iniziarono
a camminare svelti sotto la pioggià che incessante batteva sulle loro
teste, fino a quando mr. Carter non si fermò e prendendola per un
braccio l’attirò a se. “Siamo arrivati, questa è casa mia.”
”C-cosa?”
Strabuzzò gli occhi Melanie. Non le sembrava interessato a lei in quel
senso, nè tanto meno credeva fosse un maniaco. E allora perchè portarla
a casa sua?
”La
macchina è in garadge, ci diamo una sistemata e partiamo.. Prenderemmo
un’influenza così.” E indicò la sua maglia grigia fradicia che aderiva
perfettamente al petto.
E
che petto, pensò Melanie. Avrebbe dovuto aspettarselo, da un uomo poco
più che venticinquenne. Restò però comunque stupita e imbarazzata, e
pregò che lui non se ne accorgesse.
Quando
entrarono in casa, Melanie si meravigliò del profumo di fiori e di
fresco che le inondò le narici. Tutto attorno a lei era al proprio
posto, dalle foto messe perfettamente simmetriche sul mobiletto
all’entrata, ad una penna e un taccuino messi sistematicamente a caso
sul tavolino di fronte al divano.
Era
una casa fredda. Lo sentiva lontano un miglio che su quel divano
nessuno si fosse mai seduto, che quel camino stupendo nessuno l’avesse
mai acceso e soprattutto che quella cucina così meravigliosamente
attrezzata e in ordine nessuno l’avesse mai usata.
Un
po’ le fece pena il suo professore. Sembrava così solo, e dalle poche
foto che riuscì a vedere nel lasso di tempo che impiegò ad attraversare
il largo corridoio, si accorse che aveva poche persone vicine.
C’era
una foto con due ragazzi, il professore al centro con un boccale di
birra in mano, sorridente. In un altra foto invece era raffigurato con
in braccio una bambina bionda e di fianco una donna sulla
cinquantina... Probabilmente sua madre e sua sorella, ipotizzò.
Nell’ultima
foto che vide, infine, c’era solo una ragazza. Una ragazza dai lunghi
capelli neri che sorrideva felice a chi, evidentemente, le stava
scattando la foto. Probabilmente lo stesso professore.
Non
vide altro, semplicemente perchè le luci automatiche si spensero e il
professore la invitò ad andare in bagno, mostrandole un phon e delle
asciugamani da poter usare per tamponare un po’ l’acqua che le aveva
inzuppato non solo i capelli, ma anche i vestiti.
Angolino~
Ed eccoci
al secondo capitolo >///< E' un po' più lughino, ma spero vi piaccia comunque.
Alloooora,
sono felicissima del fatto che la storia sia stata non solo recensita
ma anche inserita tra le preferite e le seguite *///*
Grazie
mille <3
Comunque
qui vengono descritti sia Mel che il nostro amato professore u.u
E... che
altro dire.. Sono innamorata del mio OC. Basta.
Avevo
promesso che avrei inserito anche un'immagine dei personaggi, ed ho
mantenuto la promessa u.u
Spero che
Melanie vi piaccia, ma siete liberi di immaginarla come volete!*-*
Bacini
baciotti <3