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Autore: Himenoshirotsuki    09/02/2017    8 recensioni
[Seguito di "Fuoco nelle Tenebre"] [La stori è un pausa un mesetto, ma non sospesa. Finisco Fighting Fire e riprendo ad aggiornare!]
Dopo gli ultimi eventi, il destino di Esperya sembra ancora più incerto. Lyssandra muove i fili da dietro le quinte, Mirya e i bambini sono rintanati ad Alabastria, mentre Ledah è stato catturato. Sembra che il ritorno di Aesir e della sua era dell'oscurità sia inevitabile, ma c'è ancora qualcuno che si oppone, qualcuno che ha pagato un prezzo di sangue per diventare ciò che è. Con un nuovo corpo e un solo anno a disposizione, Airis dovrà adempiere al suo compito di Guardiano affinchè i drow e il dio dell'oscurità non facciano di nuovo piombare Esperya in un caos di morte e distruzione.
Battaglia dopo battaglia, incontro dopo incontro, in un lungo viaggio attraverso lande desolate e città e regni meravigliosi, Airis scoprirà così i dettagli di una macchinazione destinata a cambiare le sorti del mondo, ma, soprattutto, la verità sul suo passato, una verità che potrebbe distruggerla.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
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Fuoco 2

3

Fiducia

Una goccia cadde a poca distanza da lui. Poi un'altra e un'altra ancora. Quel suono ritmico, snervante, monotono, era l’unico che sentiva da giorni, se si escludevano i continui mormorii dei suoi carcerieri. Ledah sollevò appena la testa, cercando nella semioscurità in cui l’avevano confinato di individuare l’ubicazione precisa di quel ticchettio liquido. Tuttavia, perse la concentrazione quasi subito – gli capitava spesso, di recente – e si riaccasciò con un sospiro sulla fredda pietra. Ad un tratto, udì il cigolio stridente dei cardini di una porta, seguito da un ordine sussurrato a mezza voce. Poi ogni suono cessò e rimase solo quella specie di maledetto ticchettio.
Non avrebbe saputo dire da quanto tempo era rinchiuso in quella prigione, ma di sicuro tra poco lui sarebbe venuto a fargli visita. Veniva sempre, tutti i giorni alla stessa ora, a volte accompagnato da Lysandra, altre volte da solo, ma non mancava mai di fargli visita. Ledah si era domandato a più riprese perché lo facesse, perché non si limitava ad aspettare che passassero quelle cinque settimane. Alla fine era giunto alla conclusione che provasse un piacere perverso a vederlo in quello stato pietoso, prostrato sulle ginocchia piagate, la testa a penzoloni e le braccia sospese come in croce, senza più nessuna speranza se non la dolorosa consapevolezza che la sua fine sarebbe giunta presto. Sorrise e cercò di appoggiarsi al muro, ma le catene glielo impedirono. Le afferrò e le strattonò senza particolare enfasi, più per un riflesso incondizionato che la vera convinzione di potersi realmente liberare. Le rune incise sugli anelli, a quel debole atto di ribellione si illuminarono, stirando le sue braccia ancora più alto, mentre la magia si riversava su di lui come un’onda. Ledah digrignò i denti e ingoiò le lacrime che premevano da dietro le ciglia, di nuovo esausto, senza fiato.
- Dovresti aver capito che da qui non c’è via d’uscita. -
L’elfo non dovette nemmeno alzare la testa. Sapeva chi era, era l’unica altra voce che sentiva, oltre a quelle nella sua testa.
- Però ti ammiro, sai? Molti si sarebbero arresi, invece tu continui a lottare, anche se sai benissimo di non poter contrastare gli incantesimi di contenimento di Elladan, o Lysandra, come le piace farsi chiamare adesso. Sei davvero mio figlio, caparbio e arrogante. - si abbandonò ad una risata roca e sorrise orgoglioso.
- Non chiamarmi così. -
- E come dovrei chiamarti? Ledah il Distruttore? - sbuffò con scherno, - Nelle tue vene scorre anche il mio sangue. Per quanto tu possa negare i fatti, la realtà è questa. Accettala e basta. -
Avanzò a passi lenti fino al cerchio di rune e si fermò ad osservare i simboli disegnati col sangue che sfavillavano nell’oscurità. Ledah lo squadrò con fierezza dal centro della sua prigione, quella che sua madre aveva progettato apposta per non farlo fuggire. Dopo un lungo momento, l’uomo fece un gesto noncurante della mano e una fiamma si accese sul palmo. La luce improvvisa accecò l’elfo, che di riflesso nascose il viso contro la spalla. Per un lungo minuto rimase immobile, poi, quando le macchie davanti agli occhi cominciarono a svanire, incontrò di nuovo le iridi rosso brace del suo aguzzino.
La prima volta che era venuto a trovarlo, Ledah lo aveva fissato con sgomento. Aveva letto moltissime cose sul suo conto, ma non era preparato a vederlo sotto quelle sembianze: l’immagine di Aesir, il dio oscuro con il fisico e la possanza di un guerriero, si era sgretolata per lasciare il posto a un vecchio dall'aspetto fragile e avvizzito. Aveva riconosciuto le fattezze di un Drow nei lineamenti aggraziati del viso e nella pelle scura, anche se dell’originaria bellezza non era rimasta che un lieve accenno: la carnagione aveva assunto una malsana sfumatura violacea, mentre le unghie non erano altro che un moncherino annerito e scheggiato che lasciava scoperta la carne viva.
Come se avesse intuito i suoi pensieri, Aesir sogghignò e in un attimo attraversò il cerchio di rune come se non esistesse, la mano che reggeva il fuoco magico davanti a sé.
- Hai lo stesso spirito combattivo di tua madre. Ogni volta che ti guardo, mi pare di vedere lei. Scommetto che piuttosto che piegarti al mio volere, preferiresti farti spezzare. - gli sibilò in un orecchio.
Ledah rise, una risata rauca che gli graffiò la gola. Avvertì il sapore ferroso del sangue in bocca e, in seguito, un rivolo denso e viscoso gli colò sul mento Ormai faticava a parlare, persino mangiare e bere erano una tortura, a malapena riusciva a trangugiare quella poltiglia di avena e chissà cos’altro che gli portavano ogni giorno per mantenerlo in vita. Eppure, nonostante tutto, non si sarebbe mai dichiarato sconfitto.
- Ti diverti a vedermi ridotto così? - sputò per terra un grumo di sangue e saliva e tornò a sfidare il dio con la sola forza dello sguardo.
- Non più di tanto. Magari all’inizio sì, adesso mi urta quasi vedere il mio prossimo contenitore trattato come una bestia da circo. Sarebbe più semplice se accettassi questa situazione. Ti ricordo che potrei rigenerare il tuo corpo in pochissime ore, se solo mi lasciassi entrare. Non sei stanco, Ledah? Coraggio, accoglimi! Ti aiuterò, te lo prometto. Non sentirai più alcun dolore. - lo blandì pacato, proprio come avrebbe fatto un padre affettuoso con l'amato pargoletto.
Gli sollevò il mento e Ledah si tirò indietro all’istante. Le manette attorno ai polsi si strinsero e le catene gli torsero violentemente le braccia, mentre una scarica elettrica gli scuoteva tutto il corpo. Solo facendo appello a tutta la rabbia che provava riuscì a trattenere le lacrime. Faceva male e il dolore ogni volta gli mozzava il fiato, ma non si sarebbe mai arreso.
- Già, tu non mi tratteresti in questo modo, infatti. - rispose sarcastico quando tornò a respirare, - Cosa vuoi da me? - grugnì affaticato.
Aesir si alzò e cominciò a girargli attorno. Alla luce tenue delle rune e della fiamma il suo viso appariva ancora più scavato, spettrale come quello di un morto.
- Lysandra mi ha riferito una cosa e io ho pensato che potesse interessare anche te. -
La sua voce rimbombò tra le pareti di pietra, fredda e raschiante, un suono che a Ledah ricordò il ringhio di una belva feroce.
- Se vuoi dirmi che il re degli umani è morto e che Lysandra ha preso il comando di Sershet, non ti scomodare, le guardie non parlano d’altro. Per quanto i vostri non-morti siano sempre ligi al dovere, in questi ultimi giorni non fanno che discutere dei piani della loro regina. -
Il sorriso sul viso del vecchio si allargò: - Eh, già. Immaginavo che la notizia sarebbe giunta fino a qui. D’altronde, nel regno degli umani tutto ciò che succede a corte è motivo di pettegolezzo. Ma no, non era di questo che volevo parlarti. Di' un po', sai che fine ha fatto la Morte Bianca, il Generale Airis Lullabyon? -
Ledah si impietrì di colpo. Percepì il poco sangue rimasto defluire dal volto e l'angoscia stritolargli il cuore in una morsa d'acciaio. Un cattivo presentimento si fece strada nella sua coscienza, tanto da bloccargli il respiro in gola. In quei giorni di prigionia aveva pensato spesso ad Airis, alla promessa che si erano scambiati prima di dividersi a Luthien. Anche mentre era in viaggio verso la capitale, durante la notte si svegliava in preda ai tremori, con quel pensiero troppo doloroso conficcato in testa. Aveva faticato ad accantonarlo, ancora adesso tremava, eppure qualcosa doveva essere successo, lo sentiva.
- Vedi, un paio di giorni fa Lysandra ha mandato alcuni esploratori a cercare il corpo del Generale. Sai, alcune voci sostenevano di averla scorta per le strade di Luthien prima dell’attacco del drago e degli elfi. Oh, non fare quella faccia inorridita, Ledah! A qualcuno dovevamo pur dare la colpa di quello che è accaduto e quale capro espiatorio migliore se non gli eterni nemici degli umani? -
- Voi… -
- Noi cosa? Siamo dei mostri? No, siamo solo degli attimi attori, migliori della maggior parte delle pedine che si muovono sulla scacchiera. - replicò, continuando a girare in cerchio.
- Gli elfi non farebbero mai una cosa simile! - ruggì Ledah.
Intuì che Aesir era alle sue spalle, vicinissimo, quando avvertì il suo fiato gelido sulla nuca.
- Gli umani hanno tutt’altra opinione del tuo popolo. - bisbigliò il dio, fintamente dispiaciuto, - Hanno dimenticato le antiche alleanze, ciò che una volta rappresentavate l’un per l’altro. Nei loro cuori sopravvive soltanto il ricordo del male che avete compiuto, mentre le gesta eroiche giacciono sotto cumuli d’ossa e cenere. -
I suoi occhi divennero ancora più rossi. Si portò di fronte a Ledah in un lampo e incatenò i loro sguardi.
- È in memoria di tali pregiudizi che continuerà questa guerra fratricida. Llanowar è caduta, Luthien è stata distrutta e molte altre la seguiranno. Varestei e Alfeir, gli amati figli di Yggrasill, zittiscono il loro dolore versando altro sangue, perpetrando le atrocità per cui hanno pianto, e combattono per i loro morti senza rendersi conto che ormai sono succubi della loro natura assassina, della voluttà che l'atto di togliere una vita porta con sé. Ma c’è anche un altro sentimento che li consuma e alimenta la loro fame di morte. - gli mise le mani sulle spalle e lo fissò con un'intensità tanto forte che Ledah si sentì schiacciare, - Parlo della disperazione, quella lacerante sofferenza che deriva dall'aver perso qualcuno di caro. È nella disperazione più nera che la follia pianta le sue radici. È questo il segreto, figlio mio. -
L’elfo scosse il capo con veemenza, incurante del dolore che quel gesto gli provocò. Avrebbe voluto tapparsi le orecchie, urlare, fuggire, ma le catene glielo impedivano.
- Airis Lullabyon, il Cavaliere del Lupo, è morta. Hanno trovato il suo cadavere in un burrone, si è tolta la vita per sfuggire a un’imboscata dei tuoi amati fratelli. Felther ha riportato la sua spada a corte qualche giorno fa. - dichiarò Aesir senza altri indugi, godendosi l'espressione sbigottita e cerea di Ledah.
Quelle parole aleggiarono nell’aria, rimbalzarono sulle mura di pietra in un’eco impossibile da ignorare. La paura gli attorcigliò le viscere, il dolore lo trafisse nel petto alla stregua di una lama arroventata e l'incredulità gli chiuse la gola come un cappio. Le voci che a lungo lo avevano tormentato tornarono ad assalirgli le orecchie, sibili suadenti che nulla avevano di umano.
Morta. Airis è morta. Sei solo, ora.
- No... non è vero… non può essere... - rantolò.
- Puoi non credermi, ma sai che non ho alcun motivo per mentire. Vedi, per quanto ti ammiri, quando mi svestirò delle spoglie di questo mio servo, preferirei non dover intraprendere una lotta contro la tua anima per il controllo del mio nuovo corpo. Questi incantesimi, quelli che Lysandra ha inciso su queste catene, sono potenti, ma non abbastanza. - accarezzò uno degli anelli con la punta delle dita, le labbra distorte in un sorriso crudele, - So che provavi qualcosa per Airis, lo so per certo, è così chiaro che non è mai stato necessario entrare nella tua mente. Ma vedi, Ledah, l’amore è quanto di più effimero e stupido esista, persino mio padre lo sapeva. Eppure, quando è arrivato il momento di fare la scelta giusta, non è riuscito a rinchiudermi. Mi ha esiliato a camminare nelle Profondità, illudendosi che gli anni e i secoli passati nelle ombre avrebbero cancellato la rabbia che provavo per lui e i miei fratelli. Invece questa è maturata, è diventata disperazione, accecante e cupa disperazione, per poi tramutarsi in odio. -
- Stai zitto! -
- Sarebbe molto più semplice se accettassi la sua morte. L’amore non fa per noi, non ci appartiene. Il dolore e la disperazione che stai provando non hanno senso, non ne avranno mai. Prendi atto della realtà, figlio mio, ti prometto che diventerà tutto più facil… -
- Io non sono tuo figlio! - urlò, le unghie affondate nei palmi nelle mani, il verde muschio ormai bruciato da un rosso denso, ardente.
Strattonò le catene, tirandole con tutta la forza che aveva in corpo, incurante delle scariche elettriche che lo scuotevano fin nelle ossa. Alzò lo sguardo, incontrando il ghigno beffardo del dio, e si sentì sommergere da quell’oceano di voci assordanti, che ripetevano sempre la stessa cosa.
Airis è morta. Morta. Sei solo.
Si protese verso Aesir, allungò un braccio per afferrarlo, ma le catene lo tirarono violentemente indietro, sollevandolo da terra fino a quando non rimase solo la punta di un piede a contatto con la pietra. Si dimenò in preda alla furia nel vano tentativo di scappare, mentre Aesir lo guardava inespressivo. Infine rimase immobile, schiacciato dalla sofferenza, senza più forze e con solo la compagnia di quei sussurri nelle orecchie.
Il dio schioccò la lingua e sorrise: - Era questo che volevo vedere. -
Poi gli diede le spalle e uscì.

- Generale? Generale, vi sentite bene? -
La voce di Arghail interruppe il suo sonno leggero. Mentre apriva lentamente gli occhi, Airis percepì l’odore selvatico della pelliccia e la consistenza ruvida di una coperta di lana. Fece perno sui gomiti e, non senza fatica, si mise a sedere. La luce del sole filtrava attraverso il tessuto madido dell’umidità notturna in lame luminose, delineando l’ambiente spartano di una tenda. Vide i tizzoni anneriti nei bracieri e un supporto in ferro occupato da un pettorale e una cotta di maglia familiari.
“La mia armatura?”
- Generale. - la richiamò il soldato e Airis si accorse che la stava scrutando.
- Arghail. - esalò, prima di prendersi la testa tra le mani, - Dove siamo? -
- Nella mia tenda, nell’accampamento provvisorio. -
- In quanti ti hanno visto portarmi qui? -
- Solo i miei compagni che facevano la ronda ieri notte, ma per ora non hanno fatto molte domande. Credo stiano semplicemente aspettando una spiegazione che io, al momento, non posso dare. - intrecciò le dita sotto il mento e scosse la testa, - Stento a credere che siate viva. Perché vi stavate nascondendo nella foresta? -
Airis trasse un profondo respiro e incrociò lo sguardo di Arghail. Adesso che lo osservava da vicino, riconobbe i tratti dell’uomo che aveva incrociato nella Casa della Cenere. Stessi capelli biondo-rossicci, stessa mascella volitiva, stesse labbra sottili. Era come se avesse davanti la medesima persona con una decina d’anni in meno. Di sicuro avevano qualche legame di sangue, anche se dubitava fossero padre e figlio.
- È una storia un po’ complicata. - rispose con un sospiro, si spostò una ciocca e fece per aggiungere qualcosa, quando i suoi occhi catturarono un dettaglio che l’allarmò, - Mi… mi hai per caso svestita tu? -
Il soldato scoppiò a ridere di gusto, ma davanti all’espressione minacciosa Cavaliere del Lupo si ricompose subito.
- No, non mi sarei mai permesso. Ho chiesto a una mia compagna di occuparsi di voi, la tunica che avete addosso è la sua. Io ero impegnato a convincere Ferul e Garth a non parlare con nessuno di quello che avevano visto. -
Airis lo scrutò in cerca di una ruga, qualsiasi segno che le comunicasse se le stesse mentendo, ma le parve sincero, quasi quanto la smorfia risentita che gli storceva le labbra.
- Mi credete davvero un uomo capace di approfittare di una donna svenuta? - strinse i pugni e scosse la testa, - Ho fatto un giuramento, Generale, io non… -
- Lo so. Ma la guerra cambia le persone e toglie sacralità ai giuramenti. - si alzò e poggiò la mano sul petto, all’altezza del cuore, - Ti sono grata per avermi salvato e anche per aver mantenuto celata la mia identità ai tuoi compagni, eppure non posso dire di fidarmi di te. -
Arghail sospirò e annuì comprensivo.
- Chi devo ringraziare per avermi dato degli abiti puliti? - domandò, sfiorando un lembo della semplice tunica in lana azzurra.
- La incontrerete oggi. Si chiama Hallende, è la cerusica. Dovrebbe passare a controllare le vostre condizioni a momenti. -
Il fruscio della tenda che si apriva richiamò la loro attenzione. Entrò una donna con l’estremità della sopravveste blu raccolta sul braccio destro, la tunica dorata le accarezzava la punta dei piedi ad ogni passo, stretta in vita da una fusciacca purpurea. Non appena la vide, Arghail si affrettò ad alzarsi per lasciarle posto. Lei si sedette e nel farlo i pendagli d’argento che le agghindavano le trecce emisero un leggero tintinnio.
- Come vi sentite stamattina, Generale? Vedo che vi siete ripresa e che la tunica vi calza a meraviglia. - le si rivolse con un sorriso gentile.
Airis notò gli occhi leggermente a mandorla e l’incarnato scuro del volto, tratti tipici dei Chàyl, il popolo che viveva nei deserti dell’Oquea del sud.
Inspirò profondamente e spostò le ciocche ribelli dietro la testa: - Mi sento meglio, sì. Grazie per avermi dato qualcosa di pulito. -
- Non merito nessun ringraziamento per aver svolto il mio dovere. Piuttosto, sono molto sorpresa di vedervi… viva. - scambiò un’occhiata veloce con Arghail, - Il Cavaliere del Drago ha riportato la vostra spada alla capitale e meno di una settimana fa si sono svolti i funerali vostri e di Ignus. Pensavamo tutti foste morta durante l’esplosione di Llanowar. -
- No, sono riuscita a salvarmi, anche se per pura fortuna. - si passò una mano sul viso, riportando alla mente gli eventi accaduti dopo che quella luce accecante aveva distrutto tutto.
Il viso di Ledah riemerse con prepotenza dalla sua memoria, assieme a tutti i momenti che avevano condiviso e alla promessa che si erano fatti prima che lei fuggisse con i cittadini sopravvissuti.
- A parte me, qualcun altro è scampato all'esplosione? - domandò speranzosa.
Hallende scosse la testa: - No, nessuno, a quanto sembra. Soltanto Felther è tornato vivo da Llanowar. -
- E al campo? -
- Ho mandato i miei uomini in perlustrazione mezz’ora fa. - intervenne Arghail, le labbra atteggiate in una smorfia amara che già lasciava presagire cosa avrebbe aggiunto, - Ma dubito che troveranno qualcuno di vivo. -
Airis annuì. Erano davvero tutti morti. Contrasse la mascella e si morse le labbra, abbassando lo sguardo sulle mani strette a pugno. Sussultò quando percepì una presenza al suo fianco. Le dita di Hallende si chiusero sulle sue, delicate e premurose.
- Non oso immaginare quanto abbiate patito in questi mesi. Persino per un Generale navigato come voi dev’essere stato orribile. Se posso fare qualcosa… -
- No, è solo... doloroso. - scrollò la testa e si scostò, - Ma immagino che non siate venuti qui per consolarmi. -
Hallende e Arghail non risposero. Ancora una volta i loro sguardi si cercarono e Airis colse nei loro occhi la domanda che non avevano ancora avuto il coraggio di porle.
- Volete sapere cosa so di Luthien, giusto? - li prevenne.
- Sì, se possibile. Abbiamo visto l’esplosione da porto Eamone e ci siamo subito diretti qui. Abbiamo marciato più in fretta che potevamo, ma non siamo arrivati in tempo. - disse il soldato con un fil di voce, gli occhi viola pieni di dolore, - Sono stati gli elfi ad attaccarvi? -
Airis spostò la sua attenzione su un braciere all’angolo della tenda, sfuggendo lo sguardo di Arghail, che interpretò quel gesto come un’esitazione dettata dalla sofferenza di ricordare quello che era accaduto. Si avvicinò e prese posto sulla sedia di fronte a lei con un impeto tale che per poco questa non cadde. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma un’occhiata ammonitrice da parte di Hallende fu più che sufficiente a fargli capire che non era il caso d’insistere, o così Airis si augurò, perché non avrebbe saputo come rispondere. La soluzione più logica sarebbe stata rivelare che erano gli elfi i colpevoli di quel massacro, ma la verità era un'altra.
- Purtroppo non vi posso aiutare. Ho vagato a lungo per la foresta di Llanowar, e quando finalmente sono riuscita a uscirne era già tutto distrutto. Anche quando sono arrivata al campo, la notte scorsa, non ho trovato altro che cadaveri. -
Al pensiero di aver depredato quei corpi insepolti, la vergogna le incendiò le guance. Percepì il calore della mano di Hallende a un pollice dalla guancia, ma si ritrasse in fretta.
- C’è altro che dovete chiedermi? -
- Sì. - rispose Arghail dopo un breve silenzio, sembrava quasi cercare le parole adatte per continuare, - Hallende, puoi lasciarci soli? -
La donna esitò, ma poi, vedendo che il soldato non sembrava intenzionato a cambiare il suo ordine, si alzò, fece un rapido inchino e uscì fuori dalla tenda.
Rimasti soli, Arghail si concesse ancora del tempo. Fissava Airis con un’espressione che non lasciava trapelare nulla, lo sguardo perso in chissà quali riflessioni. Quando finalmente parlò, aveva un tono gentile ma fermo.
- Perché quando mi sono annunciato vi siete nascosta? -
La guerriera si irrigidì, presa in contropiede.
- Dovresti sapere che sono cieca, soldato, non potevo vedere lo stemma sul tuo pettorale. Erano settimane che non incontravo anima viva, non potevo di certo immaginarmi di essermi davvero imbattuta in un mio alleato. - spiegò nervosa.
- In altre circostanze, Generale, vi crederei, tuttavia non sembrava che vi mancasse la vista, anzi, correvate come se sapeste con chiarezza quali ostacoli avevate davanti. Tutti eravamo convinti che usaste qualche artificio magico per combattere, ma quando Hallende vi ha spogliata non vi ha trovato niente addosso, né tatuaggi, né artefatti, né strane gemme. Inoltre… - le indicò gli zigomi, - non avete più le cicatrici attorno agli occhi, quelle che si dice vi siate procurata quando vi è stata tolta la vista. -
Airis non seppe come ribattere. Pensò rapidamente a una scusa che potesse giustificare quell’improvvisa guarigione, ma non le venne in mente nulla di convincente.
Davanti al suo silenzio, Arghail incalzò: - Ascoltate, qualsiasi cosa vi sia accaduta, qualsiasi cosa abbiate fatto per sopravvivere io non vi giudicherò. Il vostro esercito è stato spazzato via da un’esplosione, avete vagato per più di un mese in una foresta distrutta e poi rivissuto lo stesso incubo quando siete passata da Luthien. Per quanto sangue e devastazione abbiate visto, alla morte non ci si abitua mai. Vi prometto che quello che mi direte rimarrà tra me e voi. -
- Mi stai chiedendo di fidarmi di te? -
- So che è difficile e non posso pretendere che mi riveliate tutto, però voglio che sappiate che vi ammiro, Generale. Non avete niente di cui vergognarvi, non con me. -
Quella parola aveva un suono meraviglioso: fiducia. La guerriera se la ripeté ancora e ancora, assaporandola nella mente. Guarda caso l’ultima persona su cui aveva fatto affidamento era la stessa che adesso avrebbe dovuto salvare. Con Ledah però era stato diverso, era stata un’alleanza dettata dal bisogno di sopravvivenza, che in seguito si era evoluta in qualcosa di più, qualcosa che ancora non riusciva a capire. E ora qualcuno la pregava di buttarsi di nuovo, così come aveva fatto la prima volta che aveva incontrato Cyril.
Incrociò gli occhi con quelli di Arghail e lo studiò in silenzio per capire cosa gli passasse per la testa. Lui sostenne il suo sguardo senza avvicinarsi, senza muovere un muscolo.
- Non posso rivelarti quello che è successo, non ora. Quello che so è troppo importante e non posso permettermi errori. - allungò la mano e gliela posò sulla spalla, - Per favore, non farmi ulteriori domande e mantieni il segreto sulla mia identità. È importante che nessuno sappia che sono ancora viva. Quando arriverà il momento, quando sarò certa che potrò fidarmi di te, prometto di spiegarti ogni cosa. -
- Me lo state chiedendo? -
- No, soldato. È un ordine. -
Arghail annuì e abbozzò un sorriso: - Mi sembra un buon inizio. -
- Diciamo di sì, ne ho avuti di peggiori. -
- Allora spero che un giorno me li racconterete. Bene, è giunto il momento di andare. Riferirò ad Hallende di non parlare con nessuno di quello che sa. - disse alzandosi in piedi.
- E ai tuoi compagni? Cosa dirai? E all’ufficiale superiore? -
- Ai miei compagni dirò che ieri notte ho trovato una sopravvissuta e che la nostra cerusica ha rinvenuto i sintomi della febbre rossa. Nessuno oserà avvicinarsi. Per quel che riguarda la seconda domanda… - il sorriso sulle sue labbra si allargò, - Sappiate che siete al cospetto del capitano della guarnigione, ho una certa influenza. -
Ammiccò gentile, poi spostò il lembo della tenda e la lasciò sola. Airis tornò a stendersi sulla brandina e si tirò la coperta fino al petto. Era tornata in vita in un corpo che non era il suo, senza niente, disarmata e con una missione impossibile da portare a termine. Realizzò con amarezza che l’unica cosa che ora poteva fare era sperare di aver riposto bene la sua fiducia, che quell’atto di fede non le si sarebbe rivoltato contro.
“Meno di sei settimane all’eclissi, prima che Lysandra compia il rito e che Ledah diventi Aesir.”
Si toccò la bocca con una mano. Le labbra erano fredde e il gelo era sceso anche sul cuore. Sarebbe riuscita ad abituarsi in tempo?
La luce del sole calante indorava la tenda e l’orchestra della foresta si preparava ad accogliere la notte, ma Airis non poté cedere alle lusinghe del sonno, il pensiero che volava a Ledah e alle parole che non le aveva mai detto.

  
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