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Autore: PuccaChan_Traduce    10/02/2017    1 recensioni
Asahi e Nishinoya hanno finito il liceo e frequentano l’università. Asahi studia medicina dello sport e Noya gioca ancora a pallavolo. La loro amicizia pare salda come sempre, ma qualcosa sta per cambiare... specialmente dopo l’entrata in scena di una ragazza che sembra molto interessata al piccolo libero.
DISCLAIMER: questa fanfiction è una traduzione che io sto effettuando con il permesso del legittimo autore; tutti i personaggi citati appartengono ai rispettivi autori.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Asahi Azumane, Nuovo personaggio, Ryuunosuke Tanaka, Yuu Nishinoya
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autore: Codango
Storia originale: And yet here you are

~

Con un grugnito, Asahi riappoggiò il bilanciere sui sostegni lentamente, con movimenti controllati. Poi, anche se secondo il galateo delle palestre non stava bene, si sdraiò sulla panca per alcuni secondi, lasciando che il battito del suo cuore rallentasse e facendo vagare la mente.
Erano le cinque passate di un martedì pomeriggio. Un orario strano per la palestra secondo quelle che erano le sue abitudini. Di solito preferiva allenarsi di mattina, ma... Asahi aggrottò la fronte. Finché non avrebbe fatto chiarezza in certe faccende, quell’opzione era da scartare.
Sabato sera era tornato nel suo appartamento perplesso, confuso e con ancora la sensazione di calore addosso. Nishinoya gli era rimasto appiccicato per tutta la serata mentre Tanaka testava il livello di flirteraggio che Shizuku era disposta a tollerare.
Domenica, era andato a correre sulla pista coperta per scaricarsi un po’. Nishinoya stava giocando a basket in uno dei campi sottostanti. Asahi aveva quasi urtato tre persone prima di rendersi conto che era concentrato sulla partita.
Lunedì mattina, era arrivato in palestra proprio mentre la squadra maschile di pallavolo terminava gli ultimi giri di riscaldamento. Nishinoya indossava una maglietta a compressione stretta che, durante la sessione di addominali inversi, gli evidenziava ogni singolo muscolo del busto. Per poco Asahi non si era lasciato cadere su un piede il peso da 10 kg che stava sollevando.
Secondo lui, le squadre avrebbero dovuto riservarsi la sala pesi quando la usavano. Occupavano tutto lo spazio, comunque, nessuno altro poteva usarla. Era fastidioso.
E così, si arrivava al martedì. Giornata odierna. Asahi aveva controllato il programma della squadra di pallavolo sulla bacheca della sala di medicina sportiva. Erano informazioni che avrebbe dovuto tenere a mente in ogni caso. Come trainer. E poi non gli avrebbe fatto male un po’ di allenamento più leggero.
Purtroppo, la sua concentrazione andava ancora di merda. Fissò il bilanciere sopra la sua testa.
Qualcuno tossicchiò. “Ehm, hai fatto, amico?”
“Ah! Scusa!” Asahi balzò su dalla panca, quasi dando una craniata al bilanciere. Sul serio, pensò mentre si cambiava le scarpe, niente Nishinoya finché non avrai capito che cacchio sta succedendo.
Grande piano.
Il cellulare gli vibrò in tasca.

Tanaka
Pronti ragà? Fate il tifo per me stasera!

Oh. Asahi emise un gran sospiro. Scrisse come risposta un rapido ‘Contaci!’ per buona volontà.
Beh. Sarebbe stato un grande piano. Se non stesse praticamente andando a un appuntamento doppio con Nishinoya giusto quella sera.

~
 
Era in ritardo.
Asahi lanciò un’occhiata stressata all’orologio da polso e iniziò a correre. Mancavano pochi metri all’appartamento di Shizuku, non avrebbe sudato con quel freddo. Se la sarebbe cavata.
Non voleva assolutamente che Nishinoya arrivasse prima di lui e pensasse che stava di nuovo giocando al cupido arrivando casualmente in ritardo.
Asahi fece una smorfia. Comunque era tutta colpa di Nishinoya. Aveva fatto tardi – e odiava far tardi – perché era rimasto a fissare il proprio armadio pensando a cosa indossare. Lui! Asahi! E poi sul serio, che sperava di escogitare mettendoci tutto quel tempo? Il suo intero guardaroba consisteva in jeans scuri, scarponcini, una gran varietà di t-shirt molto tranquille, maglioni, e abbigliamento sportivo. Aveva un paio di jeans aderenti color rosso scuro che aveva indossato una volta sola (e mai più), e quelli restavano ben sepolti nelle profondità dell’armadio. Anzi, se li era quasi messi, prima di decidere che così sarebbe stato fin troppo ovvio.
“Ehi! Pisellino, stavo parlando con te?!”
Asahi rallentò immediatamente il passo impostandolo su una cauta camminata, e si guardò intorno per capire da dove provenissero quelle urla furibonde. Non conosceva nessuno in quella zona – a parte Shizuku, adesso – ed era difficile individuare–
“Adesso sì, stronzo!” gridò una seconda voce. Una voce familiare. Asahi si sentì il cuore in gola.
Nishinoya.
Poi li vide. Nishinoya, Shizuku e – merda – un tizio molto alto dalle spalle larghe quanto un armadio. Erano sul secondo piano di un palazzo a forse un cinquecento metri da dove si trovava lui. Cazzo. Cazzo cazzo cazzo. Asahi riprese a correre.
“Vuoi che parli con te? Va bene, parlo con te”, disse lo spilungone. Con voce alta e strafottente. Asahi sentì qualcosa ruggirgli dentro. “Ho fatto una domanda a Shizuku e, a meno che pensi che lei ti appartenga o qualcosa del genere, non mi interessa quello che hai da dire tu!”
“Fottuto bastar–!”
“Noya-san!” La voce di Shizuku era spaventata, ma chiara.
Asahi stava svoltando tra le basse siepi del palazzo, la scalinata era davanti ai suoi occhi.
“Cos’è, non vuoi che si metta nei guai?” Una risata sguaiata. “Te la fai con questo microbo, per caso?”
Nishinoya ringhiò. “E se anche fosse?”
“Non stiamo insieme!” gridò Shizuku. “Noya-san, non c’è bisogno che tu menta!”
L’altro ridacchiò. “Tanto, chi ci crederebbe? Tu, insieme a una come lei? Figuriamoci. Ti servirebbe qualcun altro se anche solo volessi prendermi a calci in culo. Ovviamente, se Shizuku volesse...” Lasciò di proposito la frase in sospeso.
Asahi strinse i denti e afferrò la ringhiera delle scale.
“Non ti preoccupare per me”, ribatté Shizuku. “Ma io mi guarderei dal ragazzo di Noya-san se fossi in te.”
“C–cosa?” La voce di Nishinoya sembrava essersi alzata di qualche ottava.
“Chibi-chan ha un ragazzo?” Ogni parola trasudava gioioso interesse. “Santo cielo, e chi è?”
Asahi comparve sull’ultimo gradino, irradiando rabbia a ondate. “Salve”, ringhiò.
Il ragazzo si girò, e Asahi lo riconobbe. Kibikino. Playmaker della squadra maschile di basket. Primo anno. Un fanfarone. Che al momento apriva e chiudeva la bocca come un pesce fuor d’acqua.
A volte Asahi sentiva che il proprio enorme corpo valeva tutti i problemi che gli causava per il resto del tempo. Sovrastava quel ragazzo di almeno un paio di centimetri e di svariati chili.
Kibikino fece un passo indietro. Guardò Nishinoya. Poi di nuovo Asahi. “Uhm”, disse.
“Che succede?” Asahi cercò di adottare un tono cortese. Ci provò davvero. Ma aveva sentito abbastanza, e aveva già sentito parlare quel tizio e non era proprio dell’umore, se doveva essere sincero.
Il giocatore di basket arricciò le labbra. “Che tempismo. Tu devi essere il suo ragazzo.”
Asahi incrociò le braccia sul petto, scegliendo di ignorare quell’ultima frase come se non avesse saputo che farsene. La ficcò nel cassetto mentale delle  ‘cose da controllare più tardi’. “Volevi chiedere qualcosa a Shizuku?” domandò. Il suo tono era ancora troppo aggressivo.
“Nah.” Kibikino si lanciò un’occhiata fugace alle spalle, come se tutto il suo interesse fosse svanito. “Non ne vale proprio la pena.”
Asahi gli girò intorno, frapponendosi tra lui e Nishinoya e Shizuku. “Bene.” Si erse in tutta la sua altezza di fronte agli altri due. “Ci vediamo alla partita della prossima settimana.”
Kibikino sostenne il suo sguardo senza vacillare. “Ah, sì. Adesso ti riconosco. Azumane. Quello che mette i cerotti.”
“Ehi–!” Nishinoya si preparò a scattare in avanti, ma Asahi gli sbarrò di nuovo la strada.
“Sono anche quello che sa alleviarti i crampi ai polpacci in sette secondi.” Asahi sogghignò. “Dovresti bere più acqua.”
Il giovane strinse i denti. Gli rivolse un sorriso tirato. “Allora.” Agitò una mano verso di loro. “Cos’è, te lo scopi? O magari vi scopate lei tutti e due?”
Vabbè. Tanto mi hanno già sospeso una volta. Asahi fece un passo avanti. Non ebbe bisogno di guardare per sapere che Nishinoya era dietro di lui.
“Ooookaaay!” Shizuku lo bloccò mettendogli una mano sulla spalla. “Noi dobbiamo proprio andare, siamo in ritardissimo, non so cosa diremo a Tanaka, accidenti.” Vi batté sopra la mano con un po’ troppa energia. “Siamo pronti ad andare? Io sì. Andiamo, Noya-san.”
Asahi si sentì trascinare oltre il playmaker, verso le scale. “Ciao, Kibikino-san!” canterellò Shizuku. Asahi si guardò alle spalle giusto in tempo per vedere che Nishinoya alzava il dito medio in faccia all’altro ragazzo. L’effetto però fu un po’ rovinato da Shizuku che lo tirava giù per le scale stringendogli il polso.
La ragazza infilò le braccia in entrambi i loro gomiti e marciò decisa lungo il marciapiede. Asahi notò che camminava in fretta. Per lui non era un problema, ma Nishinoya doveva fare due passi per ognuna delle sue falcate.
“Uhm.” Asahi si schiarì la gola. “State bene tutti e due?”
“Ancora un po’”, bisbigliò Shizuku. “Ho bisogno... ho bisogno di camminare ancora per qualche minuto. Poi collasserò per terra e voi due potrete sgridarmi, ok?”
“Sgridarti?” ripeté Noya, incredulo. “Sei stata magnifica! Probabilmente gli hai salvato la vita a quel tizio.”
Shizuku ebbe un leggero sorriso. “La sua vita? Ho salvato i vostri culi dalla sospensione. E forse anche da una denuncia.”
“Sì, beh.” Nishinoya tirò su col naso.
“E comunque, la star dello show è stata Azumane-san. SALVE”, disse Shizuku facendo la voce grossa. “SONO VENUTO A SPACCARE QUALCHE MUSO.”
Asahi gemette. Il cuore aveva cominciato a galoppargli in petto, adesso. Che cavolo gli era saltato in mente?
Nishinoya annuì. “È andata esattamente così! Asahi-san fa veramente paura quando si arrabbia.”
Shizuku trattenne rumorosamente il fiato. “È già successo prima?”
“Asahi-san arrabbiato è uno spettacolo raro”, le assicurò Nishinoya con aria da intenditore. “A Tanaka spiacerà esserselo perso.”
“Noyaaaaa”, si lagnò Asahi. “Avremmo potuto metterci in guai seri! Siamo stati incredibilmente stupidi. È un miracolo che Shizuku sia intervenuta in tempo per tirarci la testa fuori dal culo!”
“Sì, sì. Comunque”, Nishinoya roteò gli occhi, “sei stato sexy!”
Il silenzio cadde su di loro come neve. Come tre metri di neve tutta in una volta. Quindi, non in maniera delicata né piacevole.
Shizuku fece schioccare piano la lingua. “Già. Infatti.”
Asahi le era grato per il braccio che continuava a stringergli. In caso contrario... beh... con ogni probabilità si sarebbe lasciato cadere nel bel mezzo della strada. Lanciò un’occhiata a Nishinoya, del tutto incapace di controllarsi.
Nishinoya teneva lo sguardo fisso a terra. Gli occhi spalancati, il volto arrossato, una mano sulla bocca.
“Uhm”, riprese Shizuku con una certa esitazione. “A proposito, scusa per quel commento sul fatto del, ehm, del ragazzo. Sai, prima. È stato... cioè, non volevo che mentissi su noi due ma non avrei dovuto– cioè, io non so se tu sei... uhm. Scusami.”
Asahi non sarebbe riuscito a staccare gli occhi da Nishinoya neanche se l’avessero pagato.
Nishinoya fece un sorriso, debole e lieve. “Non preoccuparti. Voglio dire, non è mica un problema per me. La gente può pensare quello che vuole.” Sollevò il capo e guardò risolutamente avanti a sé. “Non che abbia intenzione di dirlo a tutto il mondo, però.”
“Sì. Certo.” Shizuku sospirò. “Mi dispiace tanto. Dio, e proprio davanti a quello stronzo, poi. Sono veramente–”
“Sapete, mi sa che abbiamo preso la strada più lunga per il distretto delle izakaya”, disse Nishinoya all’improvviso. “Asahi-san, perché non avverti Tanaka che stiamo arrivando?”
“Eh?” Asahi si riscosse. “Oh. Certo.” Mentre componeva il messaggio, tenne stretto il cellulare con entrambe le mani.

~
 
L’izakaya della famiglia Tanaka non era molto lontana dal campus. Dato che erano le 19 di un giorno feriale, al bancone del bar c’era solo una manciata di salarymen. Asahi riconobbe un paio di professori, ma sembrava proprio che sarebbe stata una serata tranquilla.
“Ehi, ragazzi, ce l’avete fatta!” li salutò Tanaka da dietro il bancone. Poggiò davanti a un uomo calvo in abito scuro un piatto con sopra qualcosa di caldo e sfrigolante. “Siamo al tavolo qua dietro, vengo tra un secondo.”
Uno dei tavoli nella sala da tè, notò Asahi. Tanaka aveva intenzione di giocarsi l’asso quella sera. Scosse il capo. Giusto. Quella serata era per Tanaka e Shizuku. Il suo confuso quello-che-era avrebbe dovuto aspettare il proprio turno.
Mentre tutti si sedevano sui cuscini intorno al tavolo, Tanaka vi appoggiò sopra un piatto con delle noci di ginko arrostite. “Cominciate con queste”, disse loro. “Ciao, Shizuku.” Le rivolse un sorriso smagliante.
Il sorriso di risposta di lei fu cauto. “Sembrano ottime, grazie. Ciao.”
Nishinoya si sporse in avanti. “Allora, prendiamo la birra oppure...?”
“Tutto quello che vuoi tu, Noya-chan.” Tanaka gli batté un colpetto sulla testa. “Per voialtri?”
“Avete dello shochu?” chiese Shizuku.
Tanaka si raddrizzò. “Sicuro. Con ghiaccio?”
“Liscio, grazie.”
Il ragazzo sollevò un sopracciglio. “Ok. Asahi-san?”
Asahi doveva assolutamente bere. “Birra anche per me.”
Nishinoya aprì una noce di ginko mentre Tanaka tornava al bar. “Asahi-san che beve in mezzo alla settimana?”
“Sono ancora un po’ scosso, grazie mille.” Asahi si sistemò alcune ciocche di capelli, sfuggite al suo codino, dietro le orecchie. “Le liti non sono la cosa che preferisco.”
“Nemmeno io.” Shizuku si mise le mani dietro al collo e poggiò i gomiti sul tavolo. “È stato... spiacevole.”
“Ma che voleva Kibikino, comunque?”
Nishinoya si accigliò. “Lo stronzo ci ha visti uscire da casa sua insieme e le ha chiesto se le piacessero piccini.”
Asahi strinse i denti. “Ah.”
Shizuku sospirò senza alzare la testa. “Sta quattro porte sotto di me. Ha sempre qualche commento da fare, anche se di solito non sono così cattivi.”
“Che coglione”, disse Nishinoya convinto. “Hai pensato di trasferirti da un’altra parte?”
“Non è questa gran cosa, davvero!”
Asahi prese lo schiaccianoci e si dedicò ad aprirne qualcuna. In quel momento c’erano parecchie cose che non gli piacevano. Non gli piaceva che qualcuno si rivolgesse agli altri in quel modo. Soprattutto non gli piaceva che un cazzone come Kibikino parlasse in quel modo a una persona carina come Shizuku. E sicuramente non gli piaceva pensare a Nishinoya che si ritrovava coinvolto con un tizio grosso il doppio di lui che con ogni probabilità poteva ridurlo molto male, volendo.
“Dovresti passare più tempo con noi”, disse Nishinoya. “Non ti romperà più le palle se sa che stai con noi.”
Shizuku rise. “Credi che funzionerà?”
“Senza dubbio.” Nishinoya si puntò un pollice sul petto. “Pallavolo contro basket? I miei pugni sono di gran lunga più letali.”
Asahi immaginò Kibikino che sferrava un pugno in faccia a Nishinoya e – crack! – riuscì a fracassare sia il guscio sia la noce. Gettò tutto nel mucchio crescente dei rifiuti.
Shizuku fece schioccare la lingua. “Il tuo occhio sta molto meglio, Noya-san. Non è proprio il caso che te ne procuri un altro così presto.”
“Ehi, di che state parlando?” Tanaka tornò con le loro bevande. “Che è successo?”
“Ma niente. Un certo coglione è stato sgarbato con Shizuku quando siamo andati a prenderla”, brontolò Nishinoya. “Ma niente paura, Asahi-san e io lo abbiamo fatto scappare.”
Tanaka rimase con un boccale di birra a mezz’aria. “Uhm. Ok, cosa?” Fece scorrere lo sguardo da Nishinoya ad Asahi a Shizuku. “Chi era? Che ha detto?”
Asahi alzò una mano prima che Nishinoya rivelasse il nome del tizio. “Solo un idiota. Non c’è bisogno che tu vada a cercarlo, Tanaka, per favore.”
“Non faccio promesse.” Tanaka sorrise a denti stretti. “Ma che vuol dire che lo avete fatto scappare?”
“Ooooh!” Nishinoya si sporse sul tavolo. “Asahi-san è stato intenso. In pratica non ha dovuto fare altro che starsene lì e guardarlo malissimo. Com’è che fai tanta paura quando sei così gentile?”
Asahi si passò una mano sul viso. “Seee, altro che gentile. Sono stato un cretino, puro e semplice.”
“Uffa!” Tanaka si raddrizzò. “Perché non mi riesce mai di recitare la parte di quello figo? Shizuku, ti riaccompagno a casa io.”
La ragazza arrossì leggermente. “Io... non è il caso. Voglio dire, Asumane-san e Noya-san sanno già–”
“Niente da fare. Tocca a me. Loro possono andare affanculo.” Le fece l’occhiolino. “Torno subito con la cena.”
Accidenti. Asahi guardò Tanaka sparire in cucina. Quando è diventato così sicuro del fatto suo?
“Ti sta bene?” Nishinoya sbirciò Shizuku. “Possiamo riaccompagnarti io e Asahi-san, se preferisci. So che lo hai appena conosciuto.”
“E ho conosciuto voi, quando, l’altro ieri?” Ma Shizuku sembrava compiaciuta. “No, va bene così. Voi due tornate pure a casa per conto vostro.” Bevve un sorso di liquore, senza guardarli.
Fu il turno di Asahi di arrossire. “T–Tanaka è un bravo ragazzo”, farfugliò. “Si comporterà bene.”
“Tanaka è un angelo”, insistette Nishinoya. “Kibi-come-cazzo-si-chiama farà meglio a starsene chiuso in casa per tutta la notte.”
“Queste due frasi non stanno esattamente bene insieme”, puntualizzò nervosamente Asahi.
Shizuku batté le palpebre. Poi si mise a ridere, una risata chiara e allegra.
“E che cavolo, ragazzi.” Tanaka tornò al loro tavolo con un grande vassoio pieno di pietanze fumanti. “Niente più storie divertenti finché non mi siedo anch’io, ok?”

~
 
Asahi agitò una mano in segno di saluto, ma Tanaka e Shizuku non gli stavano prestando molta attenzione. Shizuku perché era concentrata sul camminare, e Tanaka perché era concentrato su di lei.
Quanto a lui, non si sentiva poi troppo meglio. Abbassò lo sguardo su Nishinoya e gli rivolse un sorrisone. “Dove si va adesso?” disse allegramente. Era proprio brillo. Forse un pochino. Vabbé. La cena era stata davvero buona, e il papà di Tanaka non aveva fatto altro che portare loro altra birra. Il papà di Tanaka era grande.
Nishinoya sollevò un sopracciglio. “Adesso? Vuoi andare a bere da un’altra parte?”
“Vorrei.” Ma Asahi diresse i propri piedi verso il suo appartamento. Dopotutto, quella vocina che per tutta la sera aveva insistito affinché stesse alla larga da Nishinoya si faceva ancora sentire. Prima devo capire che cacchio succede. Devo capire. Che cacchio. Succede. Wow sono proprio bevuto forte.
Nishinoya lo seguì, camminando goffamente. “Forse possiamo trovare una festa in cui imbucarci.”
“Mm.” Altra gente gli sembrava meno divertente. Nishinoya era divertente. Altra gente non così tanto.
“Io non ho più niente da bere a casa”, precisò Nishinoya. “Ci siamo scolati tutto sabato sera.”
“Mm.” Peccato. Sarebbe stato divertente. Sabato sera era stato divertente. Quella serata era stata divertente.
“Tu ne hai?” chiese Nishinoya dopo un po’.
“Mm... sì!” Asahi s’illuminò in volto. “Ho del whiskey.”
“Whi– perché?”
“Un regalino di Daichi.”
“Buon vecchio Daichi”, intonò Nishinoya. “Andiamo a bercelo.”
“Mm.”
“Asahi... san. Ce l’hai ancora con me?”
Asahi abbassò lo sguardo su Nishinoya. Accidenti, era così... piccolino ed era arrossito e i suoi occhi erano davvero belli. Però era comunque molto muscoloso per uno del suo fisico. La maglia a compressione dell’allenamento di lunedì gli fluttuò alla mente.
“Chissà se mi arrivi al petto?” si domandò.
Noshinoya batté le palpebre. “Uhm. Beh.” Gli si portò avanti di un paio di passi e guardò in su. “No.”
Asahi sorrise. “Con i capelli ci arrivi.”
“Chiudi il becco”, si accigliò Nishinoya. “A te piacciono i miei capelli.”
“Sì.” Asahi vide la propria mano stendersi e le dita intrecciarsi con le ciocche nere e bionde. “È vero.”
Nishinoya spalancò gli occhi. Poi la sua fronte fece di nuovo quella cosa carina... quando la aggrottava. E chiuse di colpo gli occhi. E – Asahi si chinò per guardare più da vicino – si stava mordendo il labbro? “Non fare così”, sussurrò. Gli premette delicatamente il labbro inferiore con il pollice fino a fargli aprire un po’ la bocca.
Le sue labbra erano morbide. Avevano un sapore morbido. Una bocca poteva sapere di morbido? La bocca di Nishinoya sapeva un po’ di noci di ginko e un po’ di birra e un bel po’ di paradiso.
Nishinoya sospirò sulle sue labbra, e Asahi sentì che gli afferrava il davanti del giubbotto. Com’era carino. E dolce. Piccolo, dolce Nishinoya. Asahi spalancò gli occhi quando sentì la sua lingua sfiorargli l’angolo delle labbra. Altro che dolce. È sexy da morire, cazzo.
Cosa?
Cosa?
Tolse le mani dai capelli di Nishinoya. Cercò di alzare la testa per schiarirsela dalla nebbia di alcol e panico che la avviluppava, ma Nishinoya lo afferrò alla nuca e lo costrinse a riabbassarla.
“No”, bisbigliò il ragazzo. “Ti prego, solo per un po’. Ti giuro che non–” Si tagliò le parole in bocca da solo e premette di nuovo le labbra contro le sue.
Le sue mani erano bollenti sul suo collo, la sua bocca si muoveva su quella di Asahi. Decisa. Calda. Nishinoya era così caldo. Com’era possibile? Aveva il giubbotto aperto, e faceva freddo là fuori. Le mani di Asahi gli scivolarono sulle costole, dentro il giubbotto. Nishinoya ansimò, e Asahi sentì un’esplosione di meraviglia diffondersi dal suo cuore in tutto il petto.
Gli girava la testa. Era troppo e non abbastanza al tempo stesso, aveva foglia di fare molto di più e molto molto di meno così forse poteva rimettersi a posto il cervello. Lasciò cadere la testa sulla spalla di Nishinoya, preoccupandosi appena di poterlo schiacciare.
Nishinoya gli appoggiò una mano sul viso, girò la testa nell’incavo del suo collo, e subito dopo Asahi sentì le sue labbra calde contro la gola. Restò senza fiato. “N–Noyaaaa”, sibilò. Porca puttana. La lingua di Nishinoya sul suo collo non... non gli era per niente di aiuto. “Merda.”
Nishinoya s’immobilizzò, mani, bocca, tutto.
Il mondo era silenzioso sotto la luce dei lampioni. Tutto ciò che Asahi sentiva era il proprio sangue che gli rimbombava nelle orecchie.
“Sei molto più ubriaco tu di quanto lo sia io. Vero?” sussurrò Nishinoya.
Com’è possibile? Asahi lo strinse forte alla vita. Era il doppio di Nishinoya, forse letteralmente. Non avrebbe dovuto essere lui quello più fuori tra loro due. Avrebbe dovuto essere lui... a prendersi cura di Nishinoya. “Noya”, fu tutto quello che riuscì a dire.
“Cazzo.” La voce di Nishinoya risuonò bassa. Esalò un sospiro profondo e fece un passo indietro. Mise le mani sulle spalle di Asahi e lo spinse via con delicatezza.
Asahi lo guardò con occhi annebbiati. “Voglio stare così”, borbottò. “Fa freddo.”
“Oddio.” Era poco più che un sussurro. “Non mi rendi le cose facili.” Nishinoya gli si mise accanto e si portò il suo braccio sulle spalle. “Riporto il tuo culo a casa tua. Dove certamente io non resterò.”
“Potresti.” Asahi cercò di tenere gli occhi aperti abbastanza da vedere il marciapiede davanti a lui. Nishinoya era caldo, e il suo appartamento sarebbe stato freddo. E buio. L’idea era tanto deprimente che aveva voglia di piangere.
“...Asahi-san.” Nishinoya sembrava esasperato.
“Dovevamo continuare a bere. Pensavo”, tentò di protestare Asahi.
Nishinoya gli fece scivolare un braccio intorno alla vita, e Asahi sorrise al calore dei loro corpi premuti insieme. “Se ti lasciassi bere ancora stasera, non mi parleresti mai più”, ribatté Nishinoya.
Asahi riconobbe vagamente gli scalini che stavano salendo. “Casa mia.”
“Già. Dammi le chiavi.”
Ridacchiando, Asahi pescò le chiavi dalla propria tasca. E le lasciò cadere per terra. “Settimana scorsa ho dovuto farlo io per te.”
“Wow.” Nishinoya si chinò e recuperò le chiavi. Aprì la porta. “Non ero ridotto così male. Non esiste.”
“Esiste, esiste”, insistette Asahi mentre Nishinoya lo spingeva all’interno dell’appartamento. Una mano forte lo fece girare su se stesso, e riuscì a malapena a reggersi contro lo stipite.
Gli occhi di Nishinoya lo fissarono ferocemente, le sue mani si artigliarono al suo giubbotto. “Non esiste.” E gli tirò giù la testa.
Asahi si aggrappò allo stipite, cercando di non perdere l’equilibrio mentre la lingua di Nishinoya assaggiava la sua. Inspirò profondamente: voleva di più, voleva troppo, voleva voleva. Finì troppo presto, e quando Nishinoya si scostò da lui, gli andò appresso col viso.
“Tu–” Nishinoya gli puntò una mano sul petto. “–Farai meglio a ricordarti tutto questo domani mattina.” Si girò e cominciò ad allontanarsi. “Tutto.”
Asahi rimase a guardare finché i capelli a punta non sparirono giù dalle scale. Chiuse la porta del suo appartamento, vi si appoggiò contro e si lasciò scivolare a terra.
...E come avrebbe mai potuto dimenticare?
  
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