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Autore: OlicityAllTheWay    10/02/2017    3 recensioni
Se continuo così mi verranno scleri ad ogni puntata! ahaha
Ho deciso di scrivere questa storia di getto, prendendo spunto dalla 5x12 che è uscita stamattina per cui ATTENZIONE SPOILER!!!
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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MY WIFE

 

Siamo in un bar che Oliver dice di conoscere bene, a quanto pare lo frequentava spesso durante il suo periodo in Russia e nella Bratva.

In cerchio alziamo il bicchierino di vodka che Anatoly ci ha offerto e brindiamo alla riuscita del piano.

Dio, questa cosa è disgustosa.

 

Vado un attimo in bagno per rinfrescarmi ma quando esco ci sono due uomini con degli orribili tatuaggi sul viso, che mi sbarrano la strada.

Cerco di passare ma loro si spostano di continuo, per trovarsi di fronte a me ad ogni mio tentativo.

Mi dicono qualcosa in russo, non capisco ma non credo che sia niente di amichevole.

<< Fatemi passare >> dico alzando il mento e cercando di mantenere la voce calma e salda.

<< Perché tanta fretta piccola? >> dice quello più alto. E’ senza capelli e ha delle lacrime tatuate sullo zigomo destro. Inquietante.

<< Sì dai resta con noi >> aggiunge l’altro e si avvicina a me. Troppo per i miei gusti. Il suo alito sa di alcol e fumo, è disgustoso.

Fanno qualche passo verso di me fino a che non mi ritrovo con le spalle al muro.

Potrei urlare ma credo che mi ammazzerebbero prima ancora che qualcuno possa chiedersi da dove provenga il suono.

Potrei scappare ma sono troppo vicina al muro e ai loro, davvero enormi, corpi.

Potrei cercare di difendermi ma con questi tizi non si scherza, sono della Bratva per la miseria!

 

Quando il mio cervello ha esaurito le possibilità vedo Oliver che si avvicina a noi velocemente.

Tiro un sospiro di sollievo: non lascerebbe che nessuno mi facesse del male.

Urla qualcosa in russo. Gli uomini si allontanano da me di due passi.

Quando mi raggiunge mi prende velocemente la mano e mi infila un anello all’anulare sinistro, senza farsi vedere.

Lo riconosco subito. Freddo, pesante e pieno di ricordi. Pesa sul mio anulare come un mattone.

Dopo che fa questo prende la mia mano e la alza vicino al viso dei due, con il dorso rivolto verso di loro.

Loro dicono qualcosa e dalle loro facce credo che siano delle scuse.

 

Quando si allontanano gli chiedo: << Che gli hai detto? >>

<< Che sei mia moglie. E che se ti avessero anche solo sfiorato li avrei ammazzati con le mie mani. Saranno anche degli assassini a sangue freddo ma ci sono delle regole morali molto rigide e che tutti seguono. E una di queste è “non toccare e non guardare la moglie di un tuo fratello Bratva”. >>

Ridacchio per il paradosso.

Oliver però si gira immediatamente verso di me con sguardo severo. Alzo le mani in segno di resa: << Scusa, scusa >> dico.

<< Stai vicino a me >> dice lui solenne e io decido di obbedire.

<< Perché ti sei portato dietro l’anello? >> chiedo improvvisamente.

Lui si ferma e per poco non gli finisco addosso.

<< Perché sapevo che qualcuno ti avrebbe dato fastidio e la scusa dell’essere mia moglie era l’unico modo per tenerteli lontani senza dover prendere a pugni tutti quanti >>.

Rimango un attimo spiazzata, non so bene che rispondere: << Beh, grazie allora >>.

 

I festeggiamenti si protraggono per diverse ore, credo che ormai nessuno di noi sappia più per cosa stiamo festeggiando.

Forse ci stiamo solo godendo un momento che non avevamo da tanto, un momento senza pensieri negativi e lontano da casa, una casa costantemente piena di guai e di brutte notizie.

Oliver è seduto su uno sgabello, le gambe leggermente divaricate e io sono in mezzo con il sedere poggiato nella porzione di sgabello libera.

La mia schiena contro il suo petto, posso sentire quando ride, quando il suo cuore accelera e quando la sua voce roca e bassa gli riempie il petto.

Quando ride nasconde la testa nella mia schiena o la lascia andare sulla mia spalla.

E’ fantastico e così naturale per noi che fa male pensare che sia solo una farsa e che usciti di qui saremo di nuovo distanti come due estranei.

Inizio a fantasticare sul fatto che non sia del tutto una finzione perché l’anello che porto al dito è abbastanza grande da dire “statemi lontani, sono la moglie di Oliver Queen”; non dovevamo spingerci tanto oltre. Eppure eccoci qua a fingere di essere una coppia. Forse è solo un contatto che bramavamo entrambi da tempo.

 

Ogni tanto sento che si irrigidisce e mi accarezza una mano, o mi passa il braccio intorno alla vita e mi stringe di più a sé. E ogni volta vedo che lo fa fissando in modo assassino qualche uomo che a sua volta ha fissato me per un momento più lungo di due secondi.

Mi fa impazzire che sia così possessivo. Ogni tanto lascio cadere la testa all’indietro, sulla spalla. Altre volte gli accarezzo una coscia.

Vorrei girarmi su me stessa e baciarlo per far capire alle donne che ci sono nella stanza, e che lo guardano con fare allusivo, che lui è mio tanto quanto io sono sua e che io sono possessiva tanto quanto lo è lui. Forse la vodka mi sta dando alla testa perché è esattamente quello che faccio.

Mi stacco dallo sgabello e mi giro verso di lui. Gli passo delicatamente le mani sul petto e mi avvicino al suo orecchio sussurrandogli qualcosa che gli altri non possono sentire, e che non riesco a credere di aver detto “andiamo via di qua”.

Lui deglutisce rumorosamente, trangugia l’ultimo sorso di vodka e mi prende per mano trascinando lontano dal resto dei nostri amici che per poco non si soffocano e ci guardano impietriti.

 

Nel retro del bar ci sono delle camere da letto che possono essere utilizzate dai membri Bratva e visto che Oliver è uno di loro non se lo fa dire due volte.

Non appena siamo fuori dalla vista di tutti mi spinge contro il muro e fa aderire il suo corpo al mio. Inizia a baciarmi con passione.

Io rispondo subito, felice e allo stesso tempo sorpresa che lo volesse tanto quanto lo volessi io.

Ci dirigiamo verso la prima stanza che troviamo, senza mai staccarci.

Una volta dentro Oliver chiude la porta con un calcio e poi fa scattare la serratura.

Inizio a baciargli il collo e lui ringhia.

<< Dio, ti desidero da così tanto tempo >> mi dice con voce roca.

Sorrido e continuo a baciarlo, salendo verso l’orecchio e mordicchiandogli il lobo.

<< Sicura non sia colpa della vodka? >> chiede lui cercando di trattenersi.

<< La vodka mi ha solo dato il coraggio di fare quello che volevo fare da tanto, troppo tempo >>.

Con mani esigenti inizia a sbottonarmi la camicetta e me la fa scivolare dalle spalle, rabbrividisco.

Ora è il mio turno di dedicarmi ai suoi abiti. Gli sfilo la giacca in pelle che gli sta da Dio mettendo in risalto i suoi muscoli e lui si sfila la maglia, veloce impaziente.

Mi tolgo la gonna e lui fa lo stesso con i suoi jeans. Non c’è romanticismo in questo momento: solo il desiderio bruciante di due persone, il desiderio di unirsi dopo tanto tempo. Due persone che si sono mancate a vicenda e che erano pronte a condividere il resto della propria vita insieme.

E finalmente dopo tanto tempo facciamo l’amore.

 

Rimaniamo abbracciati per un tempo che sembra interminabile, le gambe e le dita intrecciate, i respiri che si scontrano, i cuori che vanno allo stesso ritmo.

Oliver mi accarezza i capelli e io lo guardo negli occhi, incapace di esprimere cosa sento in questo momento. L’anello che emette riflessi in tutta la stanza grazie all’illuminazione dell’abat-jour.

<< Forse dovremmo andare >> dice interrompendo il silenzio: << Gli altri si staranno chiedendo dove siamo finiti >>

<< Credo che dal modo in cui ce ne siamo andati lo abbiamo capito da soli >> rispondo sorridendo.

Lui sbuffa una risata: << John non ci lascerà un attimo in pace. Ci farà tanti discorsi profondi da uomo profondo >>.

<< Forse è quello che ci serve >> azzardo io. Io e lui ci apparteniamo, lo so io e lo sa lui. Ma abbiamo aspettato troppo tempo. Lui mi ha mentito è vero, ma io non sono riuscita a perdonarlo non per qualcosa che ha fatto lui, ma per colpa mia.

Da quando mio padre mi ha abbandonato sento di avere qualcosa che non va. Non credevo che nessuno potesse o volesse amarmi e ho avuto paura che lui si potesse accorgere di questo, che lui potesse trovare quel qualcosa di sbagliato in me. Ho avuto paura che anche lui mi abbandonasse, così ho fatto il primo passo prima che fosse troppo tardi.

Non lo avrei sopportato prima, figuriamoci dopo il matrimonio.

Una lacrima sfugge al mio controllo e si va a depositare sul petto di Oliver. Merda!

<< Ehi! Stai piangendo? >> chiede lui voltandomi verso di sé tenendomi per il mento.

Poi mi asciuga le lacrime: << C’è qualcosa che non va? Ti sei pentita? >>.

C’è insicurezza nella sue voce. Forse anche lui ha paura di essere abbandonato dalle persone che ama, forse ci completiamo a vicenda e abbiamo bisogno l’uno dell’altra.

Faccio di no con la testa.

<< E allora cosa? >>

<< E’ solo che…scusa. >>

<< Di cosa? >>

<< Quando ti ho lasciato. Non era solo per te. Era anche per me. Ti ho fatto sentire in colpa, e ho gettato tutte le colpe su di te ma ero anche io il problema. Avevo paura che tu ti accorgessi che non fossi abbastanza per te, che fossi sbagliata e quindi mi avresti abbandonato. Per questo l’ho fatto io prima che lo facessi tu. >>

Lo mi guarda esterrefatto, non si aspettava una cosa del genere: << Tu sei perfetta Felicity. Perlomeno lo sei per me. Non ti avrei mai lasciato. Ti avrei sposato e ti avrei protetto e tenuto con me per tutta la vita. Lo farei ancora in realtà >> dice. Aggiungendo l’ultima frase dopo aver studiato a lungo il mio viso.

Questo è tutto quello che ho bisogno di sentire per fiondarmi di nuovo sulle sue labbra e ricordando una seconda volta come ci si sente ad appartenere alla tua anima gemella.

 

   
 
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