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Autore: Emmastory    10/02/2017    4 recensioni
Anche se il tempo continua a scorrere, le cose nell'un tempo bella e umile Aveiron sembrano non cambiare. La minaccia dei Ladri è ancora presente, e una tragedia ha ora scosso l'animo dei nostri amici. Come in molti hanno ormai capito, quest'assurda lotta non risparmia nessuno, e a seguito di un nobile sacrificio, la piccola ma coraggiosa Terra sembra caduta in battaglia, e avendo combattuto una miriade di metaforiche e reali battaglie, i nostri eroi sono ora decisi. Sanno bene che quest'assurda e sanguinosa guerra non ha ancora avuto fine, ma insieme, sono convinti che un giorno riusciranno a mettere la parola fine a questo scempio, fatto di sangue, dolore, fame, miseria e violenza. Così, fra lucenti scudi, affilate spade e indissolubili legami, una nuova avventura per la giovane Rain e il suo gruppo ha inizio. Nessuno oltre al tempo stesso sa cosa accadrà, ma come si suol dire, la speranza è sempre l'ultima a morire.
(Seguito di: Le cronache di Aveiron: Miriadi di battaglie)
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Capitolo III

Pianti ascoltati

Passarono tre giorni. Tre interminabili giorni, che trascorsi piangendo accanto al corpo della mia incosciente figlia maggiore. Secondo il dottor Patrick era viva, e stava bene, ma nonostante tale consapevolezza, non potevo evitare di essere preoccupata. Stefan mi parlava continuamente, incoraggiandomi ad aver fede proprio come io avevo fatto con lui, e tenendomi la mano, continuava a pregare. Confusa e nervosa, fissavo il volto della mia bambina, concentrandomi poi sul suo petto. Si alzava e abbassava in modo regolare, e saperlo mi era di conforto, ma non abbastanza. Tutti i miei amici lo sapevano, e anche la mia famiglia, che al solo scopo di rincuorarmi, mi aveva mandato un’ennesima lettera. Dicevano che sarebbero venuti ad Aveiron il prima possibile, ma dopo tre giorni di snervante attesa, di loro neanche l’ombra. Distrutta, stavo per arrendermi, ma proprio in quel momento, eccoli. Mia madre, mio padre e Alisia. Ricordavo bene l’ultima volta in cui l’avevo vista, così come la prima, in cui mi aveva intimato di ricordarla come sorellastra. Sì, sorellastra. Nessuno oltre a lei me l’aveva mai detto, eppure esisteva una possibilità che il legame esistente fra di noi fosse solo e soltanto affettivo, ma a me non importava. Per quanto ne sapevo, lei sarebbe sempre stata mia sorella, e i miei genitori sarebbero stati nostri. In fin dei conti, le volevo bene, e benché fossi convinta di non dirglielo abbastanza, né di ricambiare i mille favori che continuava a farmi, era vero. Ad essere sincera, avrei davvero voluto conoscere la verità sentendola provenire direttamente dai miei, o meglio nostri genitori, ma ora era poco importante. Quello che per me contava era riavere indietro Terra. Per una madre, un figlio non è che una benedizione, e perderlo in qualunque circostanza, inclusa quella in cui ci trovavamo, può significare molto, e come tante altre cose, essere indice di dolore. Avendola affidata alle cure di un medico del calibro del dottor Patrick, che aveva lavorato e lavorava ancora al servizio della Leader Lady Fatima, non potevamo far altro che guardarla e sperare per il meglio, tenendo le mani giunte e unite in preghiera. Restando vicina ai miei genitori, infusi coraggio a mia madre, provata e distrutta all’idea di perdere una delle sue nipoti. Contrariamente a lei, mio padre non piangeva, ma a giudicare dalla mesta espressione dipinta sul suo volto, era triste anche lui. Abbracciandola, offriva conforto alla moglie, e aspettando, fissavo il sole e le stelle. Se ne andarono così altri sette giorni, e dopo ben dieci, accade quello che ognuno di noi in quella stanza attendeva. Mugolando qualche insensata parola, Terra provò a comunicare con noi, e con uno sforzo immane, mosse una mano. I suoi verdi occhi si riaprirono solo poco dopo, e risvegliandosi, si ritrovò circondata da visi amici, ma specialmente dalla sua intera famiglia. Per una ragione comune infatti, eravamo tutti lì per lei, felici di rivederla viva e sveglia, con i cuori colmi di gioia sapendo che ce l’aveva fatta. Aveva vinto un’ardua battaglia contro la morte, ed era tornata tra noi. “Terra!” la chiamai, quasi gridando il suo nome e precipitandomi ad abbracciarla. “Tesoro mio, per fortuna sei qui!” continuai, stringendola a me con forza ancora maggiore. “Sono qui? Significa che ti ho salvata?” chiese, attendendo in silenzio una qualsiasi risposta. “Sì, piccola, mi hai salvata, ma quel che conta è che ti sei salvata.” Le risposi, spiegandole poi in termini comprensibili alla sua età la grande importanza del suo sacrificio. Sciogliendo poi quell’abbraccio, l’aiutai a liberarsi dalle coperte e scendere da quel letto, notando che nonostante il dolore alla schiena, e una vistosa cicatrice, riusciva a muoversi. Ancora tutti intorno a lei, non riuscivamo a credere ai nostri occhi. Quella cucciola coraggiosa si era sacrificata per quello che lei vedeva come il componente più importante dell’intero gruppo, e a seguito di quella così ardua e importante battaglia, che a momenti minacciava di privarla della vita, era ancora in piedi, pronta a lottare ancora. In quel così fortunato giorno, il dottor Patrick la dimesse, e una volta fuori da quell’ambiente così clinico e arido, ci rendemmo conto di una cosa. Finalmente, dopo dieci giorni di attesa, i nostri pianti erano stati ascoltati.
   
 
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