Film > Le 5 Leggende
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Autore: Roiben    11/02/2017    1 recensioni
Ancora poco, solo qualche metro, e infine sarà libero.
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«Tu chi sei?»
«Boogeyman, e tu?»
«Katherine»
Genere: Angst, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emily Jane Pitchiner, Kozmotis 'Pitch' Pitchiner, Nuovo personaggio, Pitch
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'La Strada Verso Casa'
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capitolo 39 – Incomprensioni




Dalle tende di lino beige filtra la timida luce del mattino. Katherine mugola e si stiracchia, le sue dita si aggrappano al cotone tiepido e un sospiro non suo si spande nell’aria quieta.


«Pitch!» sussulta, rammentandosi improvvisamente di trovarsi nella camera dello spirito e in sua compagnia.


«Mh» mormora debolmente lui.


Katherine solleva velocemente lo sguardo e lo punta sul suo volto, impensierita.


«Sei sveglio» constata felice. «Come stai?».


Inizialmente è solo il silenzio a risponderle. Pitch si limita a posare gli occhi su di lei, pensieroso. Infine, forse persuaso della necessità di dire qualcosa, socchiude le labbra e… sospira di nuovo.


«Stanco» ammette. «E… credo un po’ deluso per l’esito dei miei sforzi».


Lei lo fissa perplessa, poi sembra comprendere ciò che lui ha provato a confessarle e, timidamente, stiracchia un piccolo sorriso di conforto.


«È di nuovo per colpa di quella stupida Luce?» borbotta con un ghignetto.


«Mh» conferma di malavoglia Pitch. «Temo ci vorrà più tempo del previsto» azzarda contrariato.


«Ma tu non ti arrendi» offre Katherine, posando nuovamente una guancia sul suo petto.


«Nemmeno per idea» asserisce, quasi in un ringhio.


Il sorriso sulle labbra di Katherine si distende e diviene più ampio e appagato. Si stringe maggiormente a lui, rannicchiandosi strettamente al suo fianco, e un piccolo gorgoglìo compiaciuto scivola lungo la sua gola quando Pitch circonda le sue spalle con un braccio.


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«Tra poco devo andare a scuola» mugola infastidita. Incerta, solleva nuovamente il capo e osserva lo spirito, tentennante. «Tu… starai bene?».


Pitch sforza un ghigno ironico. «Naturalmente» sostiene, in uno strascicato tono sarcastico. «Conto di riuscire a conservare almeno un arto sano. Diciamo fino a domani».


Katherine sbuffa e lo colpisce piano sulla spalla.


«Dico davvero, sai» obbietta seria.


«Lo so. Ma non sarà un braccio fuori uso a fermarmi. Perdere altro tempo prezioso non è un’opzione».


Lei annuisce. Comprende ciò che lui le sta dicendo; ciò non toglie che sia comunque preoccupata per lui.


«Però… Stai attento, sì?» si accerta, ansiosa.


Lui distoglie lo sguardo dalla sua osservazione del soffitto intonacato di panna e porta invece tutta la sua attenzione sulla bambina, cercando ma non trovando le parole giuste per rassicurarla.


«Farò ciò che è in mio potere per non darti ulteriori preoccupazioni» tenta.


Katherine, che non ha mai smesso di fissarlo crucciata, sbuffa facendo fremere le narici.


«Ma?» insiste.


Pitch stira le labbra, chiude gli occhi e reclina la testa all’indietro sul cuscino, lasciando scoperto il sottile collo teso.


«Farò anche ciò che devo affinché giungano i risultati sperati. Non posso permettermi di rimanere indifeso, non di questi tempi. Sento che manca poco» rivela cupo.


«Manca poco a cosa?» chiede, dubbiosa.


«Vorrei saperlo». Scuote la testa, contrariato. «Purtroppo, al momento, non ho modo di accertarmene. Inoltre, grazie al Nightmare King, non ho neppure la possibilità di rivolgermi a chicchessia per chiedere aiuto e consiglio. Sono praticamente, drammaticamente isolato, sia dal mondo degli spiriti che da quello degli esseri umani».


«Non hai nessun amico?» domanda Katherine, incredula.


«No» esala caustico Pitch.


«Per-perché?» insiste con voce tremante.


Pitch digrigna i denti, apparentemente infastidito.


«Mi pare ovvio» sibila. «A chi pensi possa far piacere essere amico di uno spirito oscuro con i miei trascorsi?».


«A me fa piacere» offre innocentemente Katherine.


Pitch assottiglia gli occhi e soffia, irritato.


«Questo non fa testo. Non si può certamente affermare che tu sia un normale esponente del mondo umano da prendere a esempio».


Il tempo materiale per completare la frase e Pitch si rende conto, tardi, di ciò che realmente ha detto. Sgrana gli occhi, nel momento in cui sente la bambina risollevarsi di scatto.


«Tu… A-anche tu pensi che sono pazza?» soffia Katherine, sconvolta.


«No» rantola Pitch, mentre tenta di rimettersi seduto. «Mi dispiace. Io… non intendevo dire…».


«Che cosa?» geme Katherine con voce strozzata. «Hai appena detto che non sono normale».


«No» ripete Pitch, aggrappandosi con la mano sana al copriletto per mantenere l’equilibrio. «Quello che ho detto non… È stato un errore. Te lo giuro».


«Non pensi che sono pazza?».


«No» rimarca, scuotendo velocemente la testa.


«Allora perché hai detto quelle cose cattive?» insiste irremovibile.


«Io… Mi dispiace, non stavo pensando».


«No. Tu pensi sempre. Perché non me lo hai mai detto? Perché… p-perché adesso?» chiede con disperazione.


«Katherine, no, non è così» geme.


«Pensavo che… almeno un po’, solo un pochino, mi volevi bene» soffia Katherine. Scuote la testa e si alza in piedi sul letto, fissando il piumone senza realmente vederlo. «Invece» gracchia, tremando «pensi che sono solo una sciocca bambina pazza».


Solleva gli occhi, sgranati e lucidi, e lo fissa con rabbia e dolore.


Lui prova ad allungare un braccio nella sua direzione, ma lei si scosta bruscamente e, dopo essere scesa dal letto con un balzo, velocemente scompare oltre la porta senza aggiungere altro.


«No… Katherine!» grida, incredulo.


Rimane immobile ancora per qualche istante; infine si riscuote con un rantolo strozzato e, strisciando goffamente sulla trapunta, posa finalmente i piedi a terra e si rimette in piedi, traballando un po’ per ritrovare l’equilibrio. Poi, arrancando e borbottando, scompare a sua volta oltre l’uscio, alla ricerca della bambina.



Niente ferisce, avvelena, ammala, quanto la delusione. Perché la delusione è un dolore che deriva sempre da una speranza svanita, una sconfitta che nasce sempre da una fiducia tradita cioè dal voltafaccia di qualcuno o qualcosa in cui credevamo. E a subirla ti senti ingannato, beffato, umiliato. La vittima d’una ingiustizia che non t’aspettavi, d’un fallimento che non meritavi.” (Oriana Fallaci)


* * * * * * * * * * * * * *


La maggior parte delle liti amplifica un malinteso.” (André Gide)






  
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